«Devi
assolutamente scusarti con Sarada-chan! E, quando lo farai, portale anche un
nuovo paio di occhiali. Quello che le avevamo dato ormai le starà stretto.»*
«Solo
se verrai con me.»
«Cosa?
Non ci penso nemmeno. Sei tu che hai causato tutto questo casino, razza
d’imbecille. E sarai tu a risolverlo.»
«Non
dirmi che non muori dalla voglia di vederli. Sarada. Sakura. E Sasuke.»
«Non
funziona. Non riuscirai a convincermi a fare quello che vuoi. Invece di perdere
il tuo tempo a corrompermi, perché non pensi a quello che dirai a Sarada?»
Watermelon ~ Happy Ever After
Credeva
di essere stata irremovibile nella sua posizione, perché era giusto così, che
andasse da solo a risolvere il problema che lui stesso aveva creato. Non era richiesta
la sua presenza, no?
Glielo
aveva ripetuto – urlato – un sacco di volte, ma lui continuava a
darle la stessa risposta: lo avrebbe fatto, solo se lei lo avesse accompagnato.
Lei
si era imputata ad averla vinta e lui, semplicemente, si era intestardito a
fare il contrario di quello che gli aveva consigliato – ordinato.
E
davvero non riusciva a capire le sue ragioni; iniziava a credere che non lo
facesse solo – anche se avrebbe scommesso che fosse la maggior parte – per
innervosirla, ma anche perché una piccolissima parte desiderava che
l’accompagnasse, senza altri fini.
Forse,
considerò Karin, si sentiva a disagio nel portare le proprie scuse, non sapeva
come fare ad approcciarsi a una ragazzina che aveva visto una sola volta.
Non
ne era sicura, tuttavia si era trovata ad essere la sua compagna di viaggio.
Nemmeno la scusa che Orochimaru avesse bisogno del suo aiuto l’aveva
desistito dal volerla con sé e il Sannin le aveva dato carta bianca.
Che
nervi! Anche Orochimaru le si era messo contro.
Con
la coda dell’occhio vide Suigetsu ghignare, trionfante.
Se
credeva che l’avrebbe passata liscia, si sbagliava di grosso; la sua mente
stava già architettando una degna vendetta.
Viaggiarono
in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Karin
non ricordava che Suigetsu sapesse essere così tranquillo – non lo
era mai stato durante gli anni del team Taka – e si ricoprì a lanciargli, di
quando in quando, degli sguardi dubbiosi.
Era
scettica, ma l’altro non parve accorgersene, assorto com’era.
Subito
le salì l’impulso di urlargli qualcosa – qualsiasi cosa – per spaventarlo, ma
poi si ricompose, quello era un comportamento sciocco e immaturo, lei era
cresciuta. Quindi, preferì lasciare stare il compagno. Tutto quel silenzio,
però, la metteva inconsciamente sull’attenti, come se ci fosse stata la
possibilità che qualcosa potesse andare storto e lei dovesse essere pronta per
l’evenienza.
Era
innaturale.
Da
una parte, tuttavia, gustava quella calma – che mai e poi mai avrebbe pensato
di poter assaporare in compagnia di Suigetsu.
Forse
aveva preso troppo seriamente la cosa e magari stava andando in panico?
Se
così fosse stato, le espressioni del suo viso non tradivano nulla di tutto ciò.
Era stranamente silenzioso – e già questo le dava da pensare.
Non
ebbe ulteriore tempo per rimuginare sulla questione, poiché erano ormai visibili le grandi porte di Konoha.
«Sei
sicura che ci lasceranno passare senza tante storie?»
La
voce di Suigetsu la destò bruscamente dalle sue
riflessioni.
Voltò
il viso in sua direzione solo per rivolgergli uno sguardo insicuro. Non sapeva
se li avrebbero fermati, tuttavia non si arrestò sui propri passi, continuò il
suo cammino eSuigetsu la seguì, facendo spallucce.
Stranamente
non vennero bloccati dagli Anbu e poterono tranquillamente perdersi per le
vie affollate del centro villaggio, disperdendosi tra i civili.
Raggiunsero,
senza nessun problema, la casa dove viveva la famiglia Uchiha e, dopo essersi scambiati uno sguardo,
Karin bussò alla porta.
Sentirono
dei rumori provenire dall’interno e dopo poco videro aprirsi la porta, dalla
quale sbucò il viso cordiale di Sakura Haruno, ninja medico e ex allieva del Quinto Hogake.
«Karin! Suigetsu!
Che sorpresa! Come mai qui?» li accolse la padrona di casa, mentre si spostava
per lasciarli entrare nella propria dimora.
«Siamo
qui per parlare con Sarada-chan» spiegò Karin, mentre si diresse in
soggiorno.
Suigetsu si buttò subito sul sofà, come se fosse a
casa propria, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Karin, che si sedette
molto più educatamente su una poltrona.
Il
giovane ninja roteò gli occhi al cielo, sbuffando. Karin era sempre così
fastidiosa.
«Sarada non c’è, al momento. Tornerà presto a
casa.»
Le
parole di Sakura riuscirono a catturare l’attenzione di entrambi i membri
dell’ex team Taka.
«Vorrà
dire che l’aspetteremo qui, se non è un problema.»
«Nessun
disturbo. Cosa posso offrirvi intanto?»
«Per
me nulla, grazie.»
«Io
prenderei volentieri un bicchiere d’acqua.»
Questa
volta fu il turno di Karin di roteare gli occhi, infastidita, gesto che non passò
inosservato al ninja della Nebbia, che lanciò prontamente un’occhiata torva
alla compagna.
E
aveva le sue buone ragioni per avercela con lei. Era colpa sua, se ora si
trovava in quella casa troppo piena di oggetti e legami ad attendere la giovane
figlia di Sasuke per dirle che aveva sbagliato a trarre le
conclusioni.
Come
aveva fatto quella stregaccia a convincerlo?
Probabilmente
nel corso degli anni si era rammollito un po’ troppo, doveva riprendere il
vecchio smalto, perché non esisteva proprio che si facesse comandare così da
quella brutta racchia.
Una
vocina nella sua testa gli fece presente che in tutte le coppie la donna
riusciva sempre – in un modo o nell’altro – a far valere le proprie posizioni;
questo pensiero sovrastò l’inconscia ammissione che la donna non fosse affatto
brutta.
Ma
lui e Karin non erano esattamente una coppia o almeno non come la gente comune
intendeva il termine.
Non
avevano una relazione, sebbene fossero finiti più di una volta a letto insieme
e ogni volta fingevano – in realtà era più lei che insisteva su questo punto –
che non fosse successo niente, si comportavano come sempre, come se nulla
fosse.
Gli
andava bene così, in fondo; non voleva complicarsi con sentimenti e tutto ciò
che ne conseguiva, ma da un po’ a questa parte iniziava a volere che le cose,
fra loro, fossero più chiare. Forse, essere in una relazione aveva i suoi
vantaggi dopotutto.
Ma
il suo desiderio non si sarebbe realizzato molto presto, perché – lo sapeva
– lei era ancora legata a Sasuke,
provava ancora qualcosa per lui – e questo proprio non riusciva a mandarlo giù.
Voleva avere l’esclusiva, essere l’unico per lei.
Quando
gli aveva spiegato che Sarada non era sua figlia – si era sentito particolarmente sollevato
dalla rivelazione –, le aveva chiesto se provasse ancora qualcosa per Sasuke,
lei non aveva risposto subito, ma gli aveva indorato la pillola con la storia
che i legami potevano presentarsi sotto svariate forme e che le stava a cuore
la felicità di Sasuke, anche se non coincideva con la propria.
Ora
era lui a volere un legame con lei e le avrebbe fatto dimenticare Sasuke;
si sarebbe impegnato al massimo.
Perso
nelle sue riflessioni, non si era accorto che Sakura era tornata con il
bicchiere d’acqua da lui richiesto e con un vassoio di biscotti, sul quale si
avventò senza pensarci due volte.
Immaginò
che questo suo comportamento infastidisse Karin ed era sicuro di trovarla con
un’espressione contrariata.
La
donna, in realtà, non seguì le azioni del compagno di viaggio, piuttosto il suo
sguardo vagava nell’ambiente, si soffermava sugli oggetti presenti, percependo
la vita, le emozioni e i ricordi che emanavano.
Per
un breve istante, invidiò Sakura e la sua felicità. Ma poi si vergognò di aver
fatto un tale pensiero; Sakura aveva lottato e sofferto tanto, si meritava il
suo lieto fine.
Aveva
visto l’amore che provava per Sasuke la prima volta che si erano incontrate e
durante la missione a cui avevano partecipato insieme l’aveva visto crescere e
rinforzarsi, era stata testimone del fatto che Sasuke reciprocasse i suoi sentimenti. Non poteva
che essere felice per entrambi, per la loro storia e per l’amore che,
finalmente dopo tutte quelle avversità, era sbocciato.
Un
rumore di una porta aprirsi di scatto e di passi concitati risuonarono
all’ingresso.
«Mamma!
Papà è tornato!»
Trafelata
e con un enorme sorriso, fece il suo ingresso Sarada Uchiha.
In
un primo momento Sakura rimase sorpresa dalla notizia, poi le sue labbra si
curvarono all’insù a imitazione della figlia.
Subito
dopo il suo annuncio, il temibile ninja fece la sua comparsa.
Quando
i suoi occhi constatarono la presenza di due ospiti, cercò, interrogativo, lo
sguardo della moglie; non aspettava visite.
Sarada rimase pietrificata alla vista della donna
con gli occhiali. Si domandò cosa ci facesse in casa sua, cosa volesse. Non era
sicura che le sarebbe piaciuto scoprirlo.
«Sasuke! Che piacere rivederti!»
La
voce di Suigetsu si levò per ammortizzare la tensione.
La
sua esclamazione sembrava così falsa – e nessuno avrebbe faticato nel notarlo
– dato che si erano visti poco tempo prima,
il suo entusiasmo era particolarmente forzato, ma si era sentito in dovere – o
meglio aveva sentito una certa pressione – nel dire qualunque cosa, perché era
risaputo che non sapesse stare in silenzio: lui, come Naruto,
aveva il vizio di bombardare di parole.
Sasuke gli rivolse a malapena un cenno di saluto,
ancora alla ricerca di risposte da Sakura.
«Karin
e Suigetsu sono venuti a trovare Sarada»
spiegò, allora, la signora Uchiha.
Queste
parole non piacquero ai due Uchiha, per motivi diversi: a Sasuke,
semplicemente, non andava particolarmente a genio, in quel momento, avere
ospiti a casa e non potersi godere il suo ritorno con le sue due donne; Sarada,
invece, temeva ciò che sarebbe potuto uscire dalla bocca di quella donna. Da
una parte era curiosa di scoprire cosa l’avesse spinta a cercarla, ma l’altra metà lo temeva.
«Sarada-chan, Suigetsu deve dirti una cosa molto importante.»
La
giovane Uchiha si meravigliò che la donna si fosse
rivolta direttamente a lei utilizzando il suffisso chan,
percependo un certo legame, passando in secondo piano il fatto che quello
strambo individuo avesse qualcosa da riferirle.
L’Uzumaki, intanto, stava incitando poco
galantemente l’Hozuki a prendere parola.
Suigetsu sapeva che non avrebbe potuto esimersi da
quella disfatta per il proprio orgoglio, gli occhi rossi della donna
minacciavano fiamme se lui si fosse tirato indietro: non gli restava altro da
fare che accontentarla.
«Sì. Ecco… devo
porgerti le mie scuse.»
Sperò
di sbrigarsela con poco.
«Eh?
Di cosa stai parlando?»
La
ragazzina era ancora più confusa.
Di
cosa mai avrebbe dovuto scusarsi? Del fatto che le aveva dato una mano nel
capire chi era la sua vera madre?
«Ho
sbagliato a darti quell’informazione. Non è corretta. Karin non è tua madre. È
Sakura.»
Non
era sicura dell’effetto che quelle parole – la verità, che in fondo al cuore
già sapeva e che lo stesso Sasuke, a modo suo, le aveva rivelato – avevano,
in quel momento, su di lei. Non era né arrabbiata, delusa o infastidita. Non
provava nulla: cosa avrebbe dovuto sentire, se aveva già avuto le risposte alle
proprie domande?
E
anche se Sakura non fosse stata la sua madre biologica, l’avrebbe considerata
la sola e unica – aveva già risolto questo problema, grazie
anche alle parole del Settimo.
Allora
perché i due ex nukenin si erano sentiti in dovere di ritirare
fuori la questione?
I
coniugi Uchiha, imperturbabili, seguirono la vicenda,
attendendo le reazioni della figlia.
«Sai,
quell’idiota di Suigetsu ha creduto che quel cordone ombelicale
fosse il mio; in realtà era il tuo: per questo il risultato è stato positivo.»
Il
suddetto ninja guardò in cagnesco la donna, rivolgendole un mezzo ringhio.
«Gli
avevo espressamente chiesto di tenere lontane le sue manacce dalla mia
scrivania, ma ovviamente lui deve fare sempre di testa sua.»
Era
palese dalle sue parole l’irritabilità verso il compagno.
«Già,
perché tu le preferisci in altri posti» ribatté, allusivo, Suigetsu.
Le
guance di Karin si tinsero di rosso, una volta che le parole attecchirono, e si
gonfiarono dalla rabbia. Suigetsu pensò che quella sì, che era una bella
visione; adorava quando la donna perdeva le staffe – e dire che in quel
frangente si stava pure trattenendo dal picchiarlo brutalmente a beneficio dei
presenti, in particolare di Sarada-chan; non voleva mostrare la sua vera
personalità alla ragazzina, altrimenti avrebbe avuto tutto il diritto di
pensare che fosse pazza.
Il
giovane sogghignò, compiaciuto e divertito.
«Come
osi, viscido mollusco!» sibilò, furente.
Per
un momento, si spaventò, perché di solito urlava tutta la sua rabbia, invece
per la prima volta il suo tono non aveva raggiunto le solite ottave. Fiutò il
pericolo preminente.
«Come
se poi te lo permettessi» commentò, ghignando. Aveva ottenuto nuovamente il
controllo e era passata al contrattacco.
«Non
sembrava così l’ultima volta. Mugolavi soddisfatta quando -»
Un
colpo di tosse si elevò sopra le sue parole.
«Non
vogliamo sapere cosa fate nel vostro tempo libero» disse Sasuke,
perentorio.
Prima
se ne sarebbero andati, meglio sarebbe stato per tutti.
Karin
aveva ancora tracce di rossore sulle gote, di rabbia o di imbarazzo, Suigetsu non sapeva definirlo. La donna gli rivolse
uno sguardo poco amichevole e sapeva cosa i suoi occhi gli stavano dicendo: avrebbero
fatto i conti successivamente.
Il
ninja non se ne preoccupò, ormai le sue minacce non lo colpivano più di tanto,
sapeva cosa aspettarsi.
«Avete
altro da riferire a Sarada oppure no?» tornò sulla questione Sasuke,
pratico.
Il
suo era un invito, alquanto esplicito, a sloggiare al più presto, così che lui
potesse godersi la tranquillità della propria casa.
«Abbiamo
un piccolo pensierino» disse la donna, riprendendosi, porgendo una piccola
borsa di carta.
«È
per te, Sarada.»
La
giovane ninja era sorpresa e confusa.
«Cos’è?»
chiese, interessata ma anche dubbiosa.
«Sono
un paio di occhiali nuovi. Ho pensato che quelli che hai adesso ti stiano
diventando piccoli. È un modo per chiederti scusa del disagio che ti abbiamo
arrecato. Tutto qui.»
La
donna le sorrise, cordiale.
Sarada si ritrovò, suo malgrado, a ricambiare,
perché sapeva riconoscere le gentilezze e Sakura le aveva sempre insegnato ad
apprezzarle e ad esserne riconoscente.
«Grazie.»
«È
stato davvero un piacere. Ora noi ce ne andiamo, perché abbiamo qualche oretta
di strada. Addio!» si congedò per entrambi Karin.
***
I
due ninja si incamminarono alla volta del covo.
Non
erano sciocchi, avevano inteso i segnali di Sasuke, il suo desiderio di rimanere solo con la
propria famiglia.
Appena
fuori da Konoha, Karin iniziò la sua ramanzina.
«Sei
proprio un idiota!» sbottò.
Suigetsu non si stupì più di tanto, c’aveva fatto
ormai il callo alle sfuriate della donna e aveva perso il conto di tutte le
volte che gli rivolgeva epiteti così affettuosi.
«Perché
non impari a pensare prima di aprire la bocca, eh? Mi hai fatto fare una
figuraccia!»
Ecco,
qual era il suo problema.
Se
lui non pensava affatto prima di parlare, lei invece era troppo concentrata su
se stessa.
Insomma,
che cosa aveva detto di così scandaloso?
«Che
cosa avrò detto mai!» sbuffò, indolente, Suigetsu.
«Cosa?
E me lo chiedi pure?»
Era
talmente indignata che sicuramente il suo strillo, lo avevano sentito fino alla
periferia di Konoha e avevano lasciato le porte del Villaggio
da solo dieci minuti.
«Com’è
possibile che tu non sappia discernere le cose da poter dire da quelle che è
meglio tenere per sé!»
Oh.
Aveva
finalmente afferrato a cosa Karin si riferiva.
Percepì
una lieve stretta al petto.
«Ti
vergogni così tanto di me da non poter sopportare nemmeno l’idea che gli altri
possano immaginarci insieme?» sputò fuori, con rancore.
Era
profondamente deluso da lei. Non credeva che la sua presenza, dopo tutto quel
tempo in cui si conoscevano, le arrecasse tutto quel fastidio.
Si
fermò.
La
donna ci mise qualche secondo per capire che l’uomo non le camminava più a
fianco, si voltò indietro per scoprire cosa l’avesse spinto a arrestarsi.
Lo
osservò: il suo sguardo era tagliente, molto duro, e Karin se ne meravigliò,
non l’aveva mai visto così profondamente sofferente.
Si
sentì piccola piccola.
«Perché
dici così?» trovò la voce per domandargli, raggiungendolo.
Si
riscoprì insicura e, per un istante, si sentì in pericolo; Suigetsu avrebbe potuto ucciderla senza battere
ciglio, anche a mani nude, e lei non sarebbe stata in grado di difendersi.
«Dimmelo
tu!» le rispose, con astio.
Karin
non riusciva a capire da dove provenisse tutta quell’ostilità, che cosa
l’avesse scatenata.
Perché
accidenti doveva saperlo lei?
Era
confusa.
«Non
ti capisco proprio.»
Decise
di essere sincera. Davvero, non lo capiva affatto.
«Non
è poi questa grande novità.»
Ancora
una volta, le sue parole grondavano rammarico, quando invece si sarebbe
aspettata un tono sarcastico, dal quale sarebbe scaturito il solito scambio di battute.
Si
ritrovò destabilizzata. Iniziava ad innervosirsi.
«Basta
con questi giochetti! Dimmi chiaro e tondo cosa c’è!»
Non
era molto paziente, non lo era per nulla; doveva saperlo.
Pensò
che, nonostante il momento particolare e le stranezze che gli passavano per la
testa, avesse scelto deliberatamente di essere così misterioso, di lasciarla
sulle spine solo ed esclusivamente per farla infuriare, gli veniva naturale:
dopotutto era il suo divertimento preferito!
«Il
problema sei tu. Perché non capisco che cosa vuoi veramente. Dannazione!»
Cosa
c’entrava lei con il suo malessere?
«Che
cavolo stai farneticando?» gli urlò contro.
Ma
come si permetteva di dire che lei non sapeva quello che voleva? Chi era lui
per sputare queste sentenze?
«Vedi!
Se ti scaldi tanto, è perché ho ragione» constatò, sorridendo compiaciuto.
Karin
si infuriò ancora di più, quel sorrisino aveva sempre avuto l’effetto di farla
uscire dai gangheri e in quel momento era arrabbiata più che mai.
«Non
ti permetto di dire queste cose. Tu non sai niente, niente di me!»
Lui
non si trovava del tutto d’accordo con lei: la conosceva eccome, anche se gli
sfuggiva quello che voleva, gli sarebbe bastato un piccolo segnale e avrebbe
fatto di tutto per rendere la loro vita felice. Insieme.
Ma
lei non lo capiva.
Karin
si era lasciata andare, aveva lasciato che le emozioni la soprafacessero e non
si ricordava quasi più da cosa si era scatenato tutto ciò.
«Com’è
che siamo arrivati a tanto?» chiese lei, ormai senza forze.
«Non
ne ho idea. Questa volta abbiamo esagerato un po’.»
Anche Suigetsu tornò a toni più miti.
Si
guardarono intensamente negli occhi, come se cercassero le risposte che
entrambi bramavano.
Pochi
secondi dopo decisero di riprendere il loro cammino, in silenzio.
«Allora
tu sai cosa vuoi, invece?»
Quelle
parole le sfuggirono di bocca, ma non se ne pentì del tutto, perché era davvero
interessata a ascoltare la sua risposta.
Non
era sicuro di aver sentito bene; la sua domanda lo aveva colpito.
Voglio
te.
Avrebbe
voluto dirle, ma non poteva. Perciò decise di rimanere sul vago.
«Qualcosa
che al momento non è realizzabile.»
Lei
era sempre più curiosa. Che cosa mai poteva essere?
«E
come mai non lo è?»
«Perché
non dipende solo da me.»
Sperò
che non insistesse ulteriormente; era la prima volta che scopriva questo suo
lato; certo la curiosità era donna, ma non si era mai interessata a lui, almeno
non in modo così profondo e intimo.
Se
quello che stavano creando non era un legame, allora non sapeva cos’altro
potesse essere.
Era
sempre più affascinata, voleva sapere cosa fosse, ma aveva intuito che lui non
volesse rivelarle quel segreto così importante, che lo divenne anche ai suoi
occhi.
Oh,
ma se lo sarebbe fatta dire, lo avrebbe scoperto in un modo o nell’altro.
Per
il momento, tuttavia, optò per una tregua, gli lasciò intendere di aver mollato
la presa, di farsi bastare le risposte evasive che le aveva fornito.
«Ma
sei sicuro che non potrà mai accadere?»
Non
sapeva spiegarsi perché sentisse la necessità di chiederglielo, di indagare. Le
sembrò giusto, perché magari non era così senza speranza come aveva supposto
lui.
«Sì,
abbastanza direi» affermò con certezza. E poi sospirò.
Fuggiva
il suo sguardo; era insolito. Karin iniziò a preoccupasi, leggermente.
Calò
nuovamente il silenzio tra loro, gli unici rumori ad accompagnarli erano quelli
della natura: il canto degli uccellini, il rumore attutito dei loro passi, il
fruscio del vento.
La
ragazza usufruì di quella calma per pensare, per capire che cosa nascondessero
le parole del suo compagno di viaggio.
Ripercorrendo
il loro dialogo, c’era stata una battuta in particolare che l’aveva colpita,
sulla quale non si era soffermata troppo in principio.
E
ora ne capì la vera importanza. Scoprì che proprio quella celava l’indizio che
le avrebbe fatto intuire cosa Suigetsu volesse.
Non
poteva credere che lui desiderasse chiarire il loro rapporto. Credeva che gli
andasse bene così come avevano sempre fatto – e, in realtà, non sapeva nemmeno
lei come definirlo.
Forse,
dopotutto, aveva ragione: c’era bisogno di dargli un nome.
Temeva
quel momento, ma sembrava inevitabile.
«Senti,
ti va se ci fermiamo?» gli propose, di punto in bianco.
Il
giovane la guardò, interrogativo.
«Perché?
Insomma, non è necessario. Tra meno di un’ora siamo arrivati.»
«Appunto.
Che differenza fa se torniamo tra un’ora o due?» insisté la ragazza.
Il
ninja si arrese alla volontà della donna, non aveva voglia di litigare per una
sciocchezza del genere e, in fondo, non aveva nessuna importanza se sarebbero
arrivati un po’ dopo rispetto al programma: non aveva nessun impegno
particolare.
Con
una scrollata di spalle, la seguì senza fare ulteriori obiezioni. Lo portò tra
gli alberi fino a quando non si fermò in una piccola radura, vicino a un fiume.
La
osservò mentre si sedeva su una roccia a osservare l’acqua che scorreva veloce.
Era un’immagine splendida che fotografò con la mente.
Accortasi
che il compagno non si era fatto avanti, lo invitò a sedersi vicino a lei.
Nonostante
trovasse il suo comportamento insolito, seguì il suo consiglio. Le si accomodò
vicino e osservò la natura che li circondava.
Non
riusciva a comprendere le sue intenzioni: era forse una trappola?
«Che
bello! E poi è così tranquillo. Non trovi?»
Seriamente,
aveva voluto fare una pausa per fargli ammirare le bellezze della natura? Ma
che, scherzava?
Non
era nella loro indole, lo sapevano entrambi.
Si
domandò cosa gli stesse nascondendo.
«Uh
uh» acconsentì, distrattamente, osservandola di sottecchi: lei aveva ancora lo
sguardo puntato dritto davanti a sé e, per un istante, gli sembrò che vedesse
altro, guardasse oltre a quello che c’era. Avrebbe tanto desiderato vedere
anche lui, insieme a lei, la stessa meraviglia.
Scosse
la testa, dandosi mentalmente dello stupido per aver solo pensato una cosa così.
Che
accidenti gli era preso?
Diede
la colpa a quel luogo, forse il rumore scrosciante dell’acqua lo faceva
sragionare oppure aveva preso troppo sole durante il viaggio.
Ritornò
a studiare la compagna; era troppo tranquilla per i suoi gusti e di solito
questo non era mai un buon segno. Tuttavia era abbastanza sicuro di non
percepire i soliti segnali che avrebbero portato a una sfuriata epica.
Ma,
allora, cosa aveva in mente di fare?
«Che
cos’è che vuoi dirmi?»
Karin
fece un’espressione fintamente sorpresa, ma era chiaro che non aveva previsto
questa sua domanda.
«Io?
Forse sei tu che vorresti parlarmi di qualcosa, mh?» rigirò la questione, allusiva.
Suigetsu la guardò, meravigliato.
E
adesso? Che cosa doveva dire?
Non
riusciva a capire le regole di quel gioco, era troppo complicato per lui.
«A
cosa ti riferisci?»
«A
quando mi hai detto che, secondo te, mi vergogno dell’idea di noi due come
coppia.»
Il
ninja non rispose; non sapeva che dire. Quella era una situazione insolita, non
aveva idea di come muoversi, senza fare ulteriori danni.
«Non
immaginavo che pensassi questo.»
Al
giovane sembrò di percepire una lieve sofferenza nelle sue parole; era
inverosimile, probabilmente lo aveva solo immaginato.
«E
poi» continuò lei, titubante «non sapevo che volessi chiarire questa cosa che c’è fra noi.»
«Cosa?
Non ho mai detto niente del genere! Che cosa ti sei fumata?» si allarmò Suigetsu.
Come
avesse fatto a capirlo, gli restava un mistero: quella ragazza lo spiazzava
molto spesso, per questo ne era totalmente ammaliato.
«È
vero, non lo hai detto chiaramente. Ma lo hai fatto intendere.»
Davvero?
Accidenti,
doveva proprio stare attento alle parole che usava d’ora in poi!
Non
riusciva a capire da dove provenisse tutta quella certezza che aveva; era
proprio vero che le donne avevano una marcia in più – e forse era proprio
grazie a questa che riuscivano sempre a avere la meglio sugli uomini.
«Comunque
non c’è nulla. È solo sano divertimento, capita di aver
bisogno di un po’ di calore umano ogni tanto» recitò, con una piccola smorfia;
non sentiva sua quella spiegazione, ma era quello che voleva udire lei, quello
che gli diceva sempre dopo ogni notte passata insieme, qualcosa che non doveva
avere nessuna ripercussione sui loro sentimenti.
Lei
ci aveva creduto, ma non era più così sicura. Qualcosa aveva lasciato,
bisognava solo capire cosa fosse.
«Smettila!»
gli ordinò lei, severa.
Era
palese che stava mentendo e questo non lo sopportava, la infastidiva.
Perché
si ostinava a tenere nascosto quello che davvero pensava e provava?
Gli
stava dando l’occasione di essere sincero e lui, ottuso e stupido qual era, non
la prendeva al volo. Doveva saperlo, che un’opportunità del genere non
l’avrebbe mai più avuta. Allora, che accidenti aspettava?
«Va
bene. Hai ragione. Non lo penso affatto» confessò, in seguito.
«Vorrei…» iniziò «…vorrei rendere serio il nostro rapporto, questa cosa che abbiamo, questo noi.»
Karin
aveva intuito che volesse parlare di quel loro legame, ma sentirglielo dire,
con quelle parole così sincere e vere, le aveva fatto provare una strana
emozione, ancora indefinibile, ma piacevole, forse anche troppo. E lei non era
abituata a tanta dolcezza.
Il
giovane si arrischiò a incontrare lo sguardo della ragazza per vedere le sue
reazioni a quelle parole, a quella dichiarazione velata.
Lei
era combattuta, perché non voleva mostrarsi debole, rendergli noto che le sue
parole l’avevano colpita, che avrebbero potuta scioglierla come neve al sole,
perché era la prima volta che qualcuno le si rivolgeva con così tanta intensità
e affetto; era la prima volta che qualcuno aveva scelto lei, voleva lei e solo lei, era importante
per qualcuno e questo non se lo aspettava: non avrebbe mai immaginato di essere quella persona per Suigetsu.
Tuttavia,
era scettica riguardo al loro futuro, non riusciva a dipingerlo.
«E
tu credi che noi potremmo funzionare?» espose il suo dubbio, senza tanti giri
di parole inutili.
La
ragazza lo guardò, seria, sopraciglio alzato.
«Non
lo sapremo mai, se non ci proviamo nemmeno, no?»
Le
si avvicinò fino a quasi far sfiorare i loro nasi. Annegò nei suoi occhi rosso
cremisi, così pieni di vita, di rabbia, di passione; rossi come un fuoco,
quella forza prorompente che lei nascondeva.
Guidato
dall’incoscienza, le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente. Voleva
trasmetterle tutta la sua convinzione, voleva che anche lei credesse in loro
così tanto da infonderci tutta l’energia necessaria ad alimentare quella che
per lei era una follia – glielo aveva letto negli occhi.
Ma,
in fondo, la vita era bella proprio perché, a volte, era giusto rischiare.
Karin
era paralizzata, immobile, le occorsero un paio di secondi per avvedersi di
quello che le stava succedendo, dell’avventatezza del gesto di Suigetsu – e normalmente per questo l’avrebbe
sgridato.
Percepì
che lui voleva approfondire il loro bacio e, solo dopo alcuni suoi tentativi,
decise di accogliere il suo desiderio.
Nel
momento in cui schiuse le labbra per dargli libero accesso, gli cinse il collo
con le braccia, lasciandosi trasportare dalle sensazioni, mentre le mani del
giovane, in una lenta carezza lungo il suo corpo che le procurò dei brividi
lungo la spina dorsale, dal viso si posarono sui suoi fianchi.
Dopo
una lotta agguerrita di lingue, Karin interruppe il bacio, guadagnandosi uno
sguardo contrariato da parte di Suigetsu. La giovane avrebbe tanto voluto ridere
per quella sua espressione buffa, così facile da interpretare.
«Ti
sfido!»
Lo
sguardo attonito che le rivolse era impagabile.
«Mi
sfidi?» ripeté lui, confuso.
«Sì,
hai capito bene. Ti sfido a chi riesce a sopportare l’altro più a lungo.»
Questo
– l’aveva capito – era un suo modo per accettare quel loro legame e fare in
modo di tenerlo sempre vivo. Karin non avrebbe mai sopportato di perdere una
sfida contro di lui, si sarebbe impegnata al massimo per vincere.
Sogghignò.
Karin era una ragazza tutta particolare: non aveva usato parole troppo
sdolcinate per accettare la sua proposta, non aveva pianto di gioia come le
comuni ragazzette, ma gli aveva lanciato una sfida per dare più pepe al tutto.
Era proprio per questo che l’amava alla follia e non se la sarebbe lasciata
scappare.
«Interessante.
Non posso di certo tirarmi indietro.»
Si
guardarono negli occhi, studiandosi.
«E,
senti, secondo te chi cederà per primo?» la stuzzicò.
«Beh
ma tu, ovvio! Non puoi sopportarmi così a lungo!» lo prese bonariamente in
giro.
«Così
pensi che non abbia abbastanza pazienza, eh? Io, invece, credo che sarai tu quella che si stancherà per prima!»
Risero
di cuore, l’uno nelle braccia dell’altra, finalmente liberi di provare quelle
nuove sensazioni, quelle emozioni assopite e trattenute, liberi di amare senza
freni, liberi di essere se stessi senza timori e paure, perché consapevoli di
essere capiti e amati.
Suggellarono
la loro promessa con un bacio.
*Naruto Gaiden capitolo 10, traduzione APD forum.
Salve
a tutti! ^^
Mi
rifaccio sentire con una SuiKa. Non so, in questo periodo, mi è partita
un po’ la fissa. In realtà, questa coppia mi è sempre piaciuta, ma boh, in
questo ultimo periodo avevo voglia di leggere di loro due e, niente, mi sono
trovata a scriverci su qualcosa.
E
la mia mente ha partorito questa cosetta qui, che non so come definire. Non
sono sicura che mi soddisfi al cento per cento.
Ad
ogni modo, si colloca dopo l’ultimo capitolo di Naruto Gaiden,
in particolare prende spunto dalla battuta di Karin quando ordina/consiglia a Suigetsu di scusarsi con Sarada.
Insomma,
non posso crederci che nessuno ci abbia fantasticato su!
Quindi Suigetsu deve andare a scusarsi con Sarada – perché anche lui ha una coscienza, in
fondo. Ma lo fa solo a delle condizioni: ovvero che con lui ci sia Karin.
È
il minimo, no? XD
Quindi
la shot nasce
da questi presupposti, oltre a chiarire il loro rapporto.
Personalmente
li ho visti sempre bene insieme e devo ammettere che non trovarli
dichiaratamente canon – perché francamente non ho capito se lo
siano o cosa – mi ha un po’ deluso/rattristato.
Quindi,
mi sono detta che lo sono, che comunque fra loro esiste un legame, ma per il
carattere di entrambi non è cosa sospettabile. Perché in realtà non vogliono
crearne uno, ma alla fine non si accorgono di farlo.
E
soprattutto non vogliono impegolarsi con i sentimenti.
Ma
nonostante questo passano del tempo insieme, non solo litigando, si cercano e
l’attrazione fisica fa il resto! ;)
E
poi arrivano i problemi.
Ho
questo head canon per cui sia Suigetsu il primo ad accettare i suoi sentimenti
per la rossa e credo che si intuisca molto bene in questa shot .
^^
Quindi
è inevitabile un chiarimento, il momento in cui si gioca a carte scoperte.
Ok,
ancora una volta mi sono lasciata andare troppo…
Lo
so, queste spiegazioni sono inutili, perché in teoria dovrebbero intuirsi con
la shot… Ma
io ho sempre il timore che mi lasci indietro qualcosa, che non riesca ad
esprimere, a far arrivare il messaggio e soprattutto a trasmettere qualcosa…
Ad
ogni modo, grazie a chi è arrivato fino in fondo – anche ai miei sproloqui! C:
E
se qualcuno volesse lasciare un parere, consigli e critiche costruttive, ne
sarei molto grata. ^^
Au revoir!
;)
Selly