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Autore: SellyLuna    03/11/2015    4 recensioni
«Ti sfido!»
Lo sguardo attonito che le rivolse era impagabile.
«Mi sfidi?» ripeté lui, confuso.
«Sì, hai capito bene. Ti sfido a chi riesce a sopportare l’altro più a lungo.»

Perché anche il SuiKa merita di essere canon – e per me lo è, indipendentemente. E questa shot mostra come, secondo me, hanno capito di amarsi, di volersi, di restare l’uno accanto all'altra, nella buona e nella cattiva sorte. Ma, tranquilli, per ora, non c’è in vista nessun matrimonio. XD
[Post Naruto Gaiden]
[SuiKa ♥]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karin, Sakura Haruno, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha, Suigetsu | Coppie: Karin/Suigetsu, Sasuke/Sakura
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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«Devi assolutamente scusarti con Sarada-chan! E, quando lo farai, portale anche un nuovo paio di occhiali. Quello che le avevamo dato ormai le starà stretto.»*

«Solo se verrai con me.»

«Cosa? Non ci penso nemmeno. Sei tu che hai causato tutto questo casino, razza d’imbecille. E sarai tu a risolverlo.»

«Non dirmi che non muori dalla voglia di vederli. Sarada. Sakura. E Sasuke

«Non funziona. Non riuscirai a convincermi a fare quello che vuoi. Invece di perdere il tuo tempo a corrompermi, perché non pensi a quello che dirai a Sarada

 

 

 

 

 

 

Watermelon ~ Happy Ever After

 

 

 

 

 

 

 

 

Credeva di essere stata irremovibile nella sua posizione, perché era giusto così, che andasse da solo a risolvere il problema che lui stesso aveva creato. Non era richiesta la sua presenza, no?

Glielo aveva ripetuto – urlato – un sacco di volte, ma lui continuava a darle la stessa risposta: lo avrebbe fatto, solo se lei lo avesse accompagnato.

Lei si era imputata ad averla vinta e lui, semplicemente, si era intestardito a fare il contrario di quello che gli aveva consigliato – ordinato.

E davvero non riusciva a capire le sue ragioni; iniziava a credere che non lo facesse solo – anche se avrebbe scommesso che fosse la maggior parte – per innervosirla, ma anche perché una piccolissima parte desiderava che l’accompagnasse, senza altri fini.

Forse, considerò Karin, si sentiva a disagio nel portare le proprie scuse, non sapeva come fare ad approcciarsi a una ragazzina che aveva visto una sola volta.

Non ne era sicura, tuttavia si era trovata ad essere la sua compagna di viaggio. Nemmeno la scusa che Orochimaru avesse bisogno del suo aiuto l’aveva desistito dal volerla con sé e il Sannin le aveva dato carta bianca.

Che nervi! Anche Orochimaru le si era messo contro.

Con la coda dell’occhio vide Suigetsu ghignare, trionfante.

Se credeva che l’avrebbe passata liscia, si sbagliava di grosso; la sua mente stava già architettando una degna vendetta.

Viaggiarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

Karin non ricordava che Suigetsu sapesse essere così tranquillo – non lo era mai stato durante gli anni del team Taka – e si ricoprì a lanciargli, di quando in quando, degli sguardi dubbiosi.

Era scettica, ma l’altro non parve accorgersene, assorto com’era.

Subito le salì l’impulso di urlargli qualcosa – qualsiasi cosa – per spaventarlo, ma poi si ricompose, quello era un comportamento sciocco e immaturo, lei era cresciuta. Quindi, preferì lasciare stare il compagno. Tutto quel silenzio, però, la metteva inconsciamente sull’attenti, come se ci fosse stata la possibilità che qualcosa potesse andare storto e lei dovesse essere pronta per l’evenienza.

Era innaturale.

Da una parte, tuttavia, gustava quella calma – che mai e poi mai avrebbe pensato di poter assaporare in compagnia di Suigetsu.

Forse aveva preso troppo seriamente la cosa e magari stava andando in panico?

Se così fosse stato, le espressioni del suo viso non tradivano nulla di tutto ciò. Era stranamente silenzioso – e già questo le dava da pensare.

Non ebbe ulteriore tempo per rimuginare sulla questione, poiché erano ormai  visibili le grandi porte di Konoha.

«Sei sicura che ci lasceranno passare senza tante storie?»

La voce di Suigetsu la destò bruscamente dalle sue riflessioni.

Voltò il viso in sua direzione solo per rivolgergli uno sguardo insicuro. Non sapeva se li avrebbero fermati, tuttavia non si arrestò sui propri passi, continuò il suo cammino eSuigetsu la seguì, facendo spallucce.

Stranamente non vennero bloccati dagli Anbu e poterono tranquillamente perdersi per le vie affollate del centro villaggio, disperdendosi tra i civili.

Raggiunsero, senza nessun problema, la casa dove viveva la famiglia Uchiha e, dopo essersi scambiati uno sguardo, Karin bussò alla porta.

Sentirono dei rumori provenire dall’interno e dopo poco videro aprirsi la porta, dalla quale sbucò il viso cordiale di Sakura Haruno, ninja medico e ex allieva del Quinto Hogake.

«Karin! Suigetsu! Che sorpresa! Come mai qui?» li accolse la padrona di casa, mentre si spostava per lasciarli entrare nella propria dimora.

«Siamo qui per parlare con Sarada-chan» spiegò Karin, mentre si diresse in soggiorno.

Suigetsu  si buttò subito sul sofà, come se fosse a casa propria, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Karin, che si sedette molto più educatamente su una poltrona.

Il giovane ninja roteò gli occhi al cielo, sbuffando. Karin era sempre così fastidiosa.

«Sarada non c’è, al momento. Tornerà presto a casa.»

Le parole di Sakura riuscirono a catturare l’attenzione di entrambi i membri dell’ex team Taka.

«Vorrà dire che l’aspetteremo qui, se non è un problema.»

«Nessun disturbo. Cosa posso offrirvi intanto?»

«Per me nulla, grazie.»

«Io prenderei volentieri un bicchiere d’acqua.»

Questa volta fu il turno di Karin di roteare gli occhi, infastidita, gesto che non passò inosservato al ninja della Nebbia, che lanciò prontamente un’occhiata torva alla compagna.

E aveva le sue buone ragioni per avercela con lei. Era colpa sua, se ora si trovava in quella casa troppo piena di oggetti e legami ad attendere la giovane figlia di Sasuke per dirle che aveva sbagliato a trarre le conclusioni.

Come aveva fatto quella stregaccia a convincerlo?

Probabilmente nel corso degli anni si era rammollito un po’ troppo, doveva riprendere il vecchio smalto, perché non esisteva proprio che si facesse comandare così da quella brutta racchia.

Una vocina nella sua testa gli fece presente che in tutte le coppie la donna riusciva sempre – in un modo o nell’altro – a far valere le proprie posizioni; questo pensiero sovrastò l’inconscia ammissione che la donna non fosse affatto brutta.

Ma lui e Karin non erano esattamente una coppia o almeno non come la gente comune intendeva il termine.

Non avevano una relazione, sebbene fossero finiti più di una volta a letto insieme e ogni volta fingevano – in realtà era più lei che insisteva su questo punto – che non fosse successo niente, si comportavano come sempre, come se nulla fosse.

Gli andava bene così, in fondo; non voleva complicarsi con sentimenti e tutto ciò che ne conseguiva, ma da un po’ a questa parte iniziava a volere che le cose, fra loro, fossero più chiare. Forse, essere in una relazione aveva i suoi vantaggi dopotutto.

Ma il suo desiderio non si sarebbe realizzato molto presto, perché – lo sapeva –  lei era ancora legata a Sasuke, provava ancora qualcosa per lui – e questo proprio non riusciva a mandarlo giù. Voleva avere l’esclusiva, essere l’unico per lei.

Quando gli aveva spiegato che Sarada non era sua figlia –  si era sentito particolarmente sollevato dalla rivelazione –, le aveva chiesto se provasse ancora qualcosa per Sasuke, lei non aveva risposto subito, ma gli aveva indorato la pillola con la storia che i legami potevano presentarsi sotto svariate forme e che le stava a cuore la felicità di Sasuke, anche se non coincideva con la propria.

Ora era lui a volere un legame con lei e le avrebbe fatto dimenticare Sasuke; si sarebbe impegnato al massimo.

Perso nelle sue riflessioni, non si era accorto che Sakura era tornata con il bicchiere d’acqua da lui richiesto e con un vassoio di biscotti, sul quale si avventò senza pensarci due volte.

Immaginò che questo suo comportamento infastidisse Karin ed era sicuro di trovarla con un’espressione contrariata.

La donna, in realtà, non seguì le azioni del compagno di viaggio, piuttosto il suo sguardo vagava nell’ambiente, si soffermava sugli oggetti presenti, percependo la vita, le emozioni e i ricordi che emanavano.

Per un breve istante, invidiò Sakura e la sua felicità. Ma poi si vergognò di aver fatto un tale pensiero; Sakura aveva lottato e sofferto tanto, si meritava il suo lieto fine.

Aveva visto l’amore che provava per Sasuke la prima volta che si erano incontrate e durante la missione a cui avevano partecipato insieme l’aveva visto crescere e rinforzarsi, era stata testimone del fatto che Sasuke reciprocasse i suoi sentimenti. Non poteva che essere felice per entrambi, per la loro storia e per l’amore che, finalmente dopo tutte quelle avversità, era sbocciato.

Un rumore di una porta aprirsi di scatto e di passi concitati risuonarono all’ingresso.

«Mamma! Papà è tornato!»

Trafelata e con un enorme sorriso, fece il suo ingresso Sarada Uchiha.

In un primo momento Sakura rimase sorpresa dalla notizia, poi le sue labbra si curvarono all’insù a imitazione della figlia.

Subito dopo il suo annuncio, il temibile ninja fece la sua comparsa.

Quando i suoi occhi constatarono la presenza di due ospiti, cercò, interrogativo, lo sguardo della moglie; non aspettava visite.

Sarada rimase pietrificata alla vista della donna con gli occhiali. Si domandò cosa ci facesse in casa sua, cosa volesse. Non era sicura che le sarebbe piaciuto scoprirlo.

«Sasuke! Che piacere rivederti!»

La voce di Suigetsu si levò per ammortizzare la tensione.

La sua esclamazione sembrava così falsa – e nessuno avrebbe faticato nel notarlo –  dato che si erano visti poco tempo prima, il suo entusiasmo era particolarmente forzato, ma si era sentito in dovere – o meglio aveva sentito una certa pressione – nel dire qualunque cosa, perché era risaputo che non sapesse stare in silenzio: lui, come Naruto, aveva il vizio di bombardare di parole.

Sasuke gli rivolse a malapena un cenno di saluto, ancora alla ricerca di risposte da Sakura.

«Karin e Suigetsu sono venuti a trovare Sarada» spiegò, allora, la signora Uchiha.

Queste parole non piacquero ai due Uchiha, per motivi diversi: a Sasuke, semplicemente, non andava particolarmente a genio, in quel momento, avere ospiti a casa e non potersi godere il suo ritorno con le sue due donne; Sarada, invece, temeva ciò che sarebbe potuto uscire dalla bocca di quella donna. Da una parte era curiosa di scoprire cosa l’avesse spinta  a cercarla, ma l’altra metà lo temeva.

«Sarada-chan, Suigetsu deve dirti una cosa molto importante.»

La giovane Uchiha si meravigliò che la donna si fosse rivolta direttamente a lei utilizzando il suffisso chan, percependo un certo legame, passando in secondo piano il fatto che quello strambo individuo avesse qualcosa da riferirle.

L’Uzumaki, intanto, stava incitando poco galantemente l’Hozuki a prendere parola.

Suigetsu sapeva che non avrebbe potuto esimersi da quella disfatta per il proprio orgoglio, gli occhi rossi della donna minacciavano fiamme se lui si fosse tirato indietro: non gli restava altro da fare che accontentarla.

«Sì. Ecco… devo porgerti le mie scuse.»

Sperò di sbrigarsela con poco.

«Eh? Di cosa stai parlando?»

La ragazzina era ancora più confusa.

Di cosa mai avrebbe dovuto scusarsi? Del fatto che le aveva dato una mano nel capire chi era la sua vera madre?

«Ho sbagliato a darti quell’informazione. Non è corretta. Karin non è tua madre. È Sakura.»

Non era sicura dell’effetto che quelle parole – la verità, che in fondo al cuore già sapeva e che lo stesso Sasuke, a modo suo, le aveva rivelato – avevano, in quel momento, su di lei. Non era né arrabbiata, delusa o infastidita. Non provava nulla: cosa avrebbe dovuto sentire, se aveva già avuto le risposte alle proprie domande?

E anche se Sakura non fosse stata la sua madre biologica, l’avrebbe considerata la sola e unica –  aveva già risolto questo problema, grazie anche alle parole del Settimo.

Allora perché i due ex nukenin si erano sentiti in dovere di ritirare fuori la questione?

I coniugi Uchiha, imperturbabili, seguirono la vicenda, attendendo le reazioni della figlia.

«Sai, quell’idiota di Suigetsu ha creduto che quel cordone ombelicale fosse il mio; in realtà era il tuo: per questo il risultato è stato positivo.»

Il suddetto ninja guardò in cagnesco la donna, rivolgendole un mezzo ringhio.

«Gli avevo espressamente chiesto di tenere lontane le sue manacce dalla mia scrivania, ma ovviamente lui deve fare sempre di testa sua.»

Era palese dalle sue parole l’irritabilità verso il compagno.

«Già, perché tu le preferisci in altri posti» ribatté, allusivo, Suigetsu.

Le guance di Karin si tinsero di rosso, una volta che le parole attecchirono, e si gonfiarono dalla rabbia. Suigetsu pensò che quella sì, che era una bella visione; adorava quando la donna perdeva le staffe – e dire che in quel frangente si stava pure trattenendo dal picchiarlo brutalmente a beneficio dei presenti, in particolare di Sarada-chan; non voleva mostrare la sua vera personalità alla ragazzina, altrimenti avrebbe avuto tutto il diritto di pensare che fosse pazza.

Il giovane sogghignò, compiaciuto e divertito.

«Come osi, viscido mollusco!» sibilò, furente.

Per un momento, si spaventò, perché di solito urlava tutta la sua rabbia, invece per la prima volta il suo tono non aveva raggiunto le solite ottave. Fiutò il pericolo preminente.

«Come se poi te lo permettessi» commentò, ghignando. Aveva ottenuto nuovamente il controllo e era passata al contrattacco.

«Non sembrava così l’ultima volta. Mugolavi soddisfatta quando -»

Un colpo di tosse si elevò sopra le sue parole.

«Non vogliamo sapere cosa fate nel vostro tempo libero» disse Sasuke, perentorio.

Prima se ne sarebbero andati, meglio sarebbe stato per tutti.

Karin aveva ancora tracce di rossore sulle gote, di rabbia o di imbarazzo, Suigetsu non sapeva definirlo. La donna gli rivolse uno sguardo poco amichevole e sapeva cosa i suoi occhi gli stavano dicendo: avrebbero fatto i conti successivamente.

Il ninja non se ne preoccupò, ormai le sue minacce non lo colpivano più di tanto, sapeva cosa aspettarsi.

«Avete altro da riferire a Sarada oppure no?» tornò sulla questione Sasuke, pratico.

Il suo era un invito, alquanto esplicito, a sloggiare al più presto, così che lui potesse godersi la tranquillità della propria casa.

«Abbiamo un piccolo pensierino» disse la donna, riprendendosi, porgendo una piccola borsa di carta.

«È per te, Sarada

La giovane ninja era sorpresa e confusa.

«Cos’è?» chiese, interessata ma anche dubbiosa.

«Sono un paio di occhiali nuovi. Ho pensato che quelli che hai adesso ti stiano diventando piccoli. È un modo per chiederti scusa del disagio che ti abbiamo arrecato. Tutto qui.»

La donna le sorrise, cordiale.

Sarada si ritrovò, suo malgrado, a ricambiare, perché sapeva riconoscere le gentilezze e Sakura le aveva sempre insegnato ad apprezzarle e ad esserne riconoscente.

«Grazie.»

«È stato davvero un piacere. Ora noi ce ne andiamo, perché abbiamo qualche oretta di strada. Addio!» si congedò per entrambi Karin.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

I due ninja si incamminarono alla volta del covo.

Non erano sciocchi, avevano inteso i segnali di Sasuke, il suo desiderio di rimanere solo con la propria famiglia.

Appena fuori da Konoha, Karin iniziò la sua ramanzina.

«Sei proprio un idiota!» sbottò.

Suigetsu non si stupì più di tanto, c’aveva fatto ormai il callo alle sfuriate della donna e aveva perso il conto di tutte le volte che gli rivolgeva epiteti così affettuosi.

«Perché non impari a pensare prima di aprire la bocca, eh? Mi hai fatto fare una figuraccia!»

Ecco, qual era il suo problema.

Se lui non pensava affatto prima di parlare, lei invece era troppo concentrata su se stessa.

Insomma, che cosa aveva detto di così scandaloso?

«Che cosa avrò detto mai!» sbuffò, indolente, Suigetsu.

«Cosa? E me lo chiedi pure?»

Era talmente indignata che sicuramente il suo strillo, lo avevano sentito fino alla periferia di Konoha e avevano lasciato le porte del Villaggio da solo dieci minuti.

«Com’è possibile che tu non sappia discernere le cose da poter dire da quelle che è meglio tenere per sé!»

Oh.

Aveva finalmente afferrato a cosa Karin si riferiva.

Percepì una lieve stretta al petto.

«Ti vergogni così tanto di me da non poter sopportare nemmeno l’idea che gli altri possano immaginarci insieme?» sputò fuori, con rancore.

Era profondamente deluso da lei. Non credeva che la sua presenza, dopo tutto quel tempo in cui si conoscevano, le arrecasse tutto quel fastidio.

Si fermò.

La donna ci mise qualche secondo per capire che l’uomo non le camminava più a fianco, si voltò indietro per scoprire cosa l’avesse spinto a arrestarsi.

Lo osservò: il suo sguardo era tagliente, molto duro, e Karin se ne meravigliò, non l’aveva mai visto così profondamente sofferente.

Si sentì piccola piccola.

«Perché dici così?» trovò la voce per domandargli, raggiungendolo.

Si riscoprì insicura e, per un istante, si sentì in pericolo; Suigetsu avrebbe potuto ucciderla senza battere ciglio, anche a mani nude, e lei non sarebbe stata in grado di difendersi.

«Dimmelo tu!» le rispose, con astio.

Karin non riusciva a capire da dove provenisse tutta quell’ostilità, che cosa l’avesse scatenata.

Perché accidenti doveva saperlo lei?

Era confusa.

«Non ti capisco proprio.»

Decise di essere sincera. Davvero, non lo capiva affatto.

«Non è poi questa grande novità.»

Ancora una volta, le sue parole grondavano rammarico, quando invece si sarebbe aspettata un tono sarcastico, dal quale sarebbe scaturito il solito scambio di battute.

Si ritrovò destabilizzata. Iniziava ad innervosirsi.

«Basta con questi giochetti! Dimmi chiaro e tondo cosa c’è!»

Non era molto paziente, non lo era per nulla; doveva saperlo.

Pensò che, nonostante il momento particolare e le stranezze che gli passavano per la testa, avesse scelto deliberatamente di essere così misterioso, di lasciarla sulle spine solo ed esclusivamente per farla infuriare, gli veniva naturale: dopotutto era il suo divertimento preferito!

«Il problema sei tu. Perché non capisco che cosa vuoi veramente. Dannazione!»

Cosa c’entrava lei con il suo malessere?

«Che cavolo stai farneticando?» gli urlò contro.

Ma come si permetteva di dire che lei non sapeva quello che voleva? Chi era lui per sputare queste sentenze?

«Vedi! Se ti scaldi tanto, è perché ho ragione» constatò, sorridendo compiaciuto.

Karin si infuriò ancora di più, quel sorrisino aveva sempre avuto l’effetto di farla uscire dai gangheri e in quel momento era arrabbiata più che mai.

«Non ti permetto di dire queste cose. Tu non sai niente, niente di me!»

Lui non si trovava del tutto d’accordo con lei: la conosceva eccome, anche se gli sfuggiva quello che voleva, gli sarebbe bastato un piccolo segnale e avrebbe fatto di tutto per rendere la loro vita felice. Insieme.

Ma lei non lo capiva.

Karin si era lasciata andare, aveva lasciato che le emozioni la soprafacessero e non si ricordava quasi più da cosa si era scatenato tutto ciò.

«Com’è che siamo arrivati a tanto?» chiese lei, ormai senza forze.

«Non ne ho idea. Questa volta abbiamo esagerato un po’.»

Anche Suigetsu tornò a toni più miti.

Si guardarono intensamente negli occhi, come se cercassero le risposte che entrambi bramavano.

Pochi secondi dopo decisero di riprendere il loro cammino, in silenzio.

«Allora tu sai cosa vuoi, invece?»

Quelle parole le sfuggirono di bocca, ma non se ne pentì del tutto, perché era davvero interessata a ascoltare la sua risposta.

Non era sicuro di aver sentito bene; la sua domanda lo aveva colpito.

Voglio te.

Avrebbe voluto dirle, ma non poteva. Perciò decise di rimanere sul vago.

«Qualcosa che al momento non è realizzabile.»

Lei era sempre più curiosa. Che cosa mai poteva essere?

«E come mai non lo è?»

«Perché non dipende solo da me.»

Sperò che non insistesse ulteriormente; era la prima volta che scopriva questo suo lato; certo la curiosità era donna, ma non si era mai interessata a lui, almeno non in modo così profondo e intimo.

Se quello che stavano creando non era un legame, allora non sapeva cos’altro potesse essere.

Era sempre più affascinata, voleva sapere cosa fosse, ma aveva intuito che lui non volesse rivelarle quel segreto così importante, che lo divenne anche ai suoi occhi.

Oh, ma se lo sarebbe fatta dire, lo avrebbe scoperto in un modo o nell’altro.

Per il momento, tuttavia, optò per una tregua, gli lasciò intendere di aver mollato la presa, di farsi bastare le risposte evasive che le aveva fornito.

«Ma sei sicuro che non potrà mai accadere?»

Non sapeva spiegarsi perché sentisse la necessità di chiederglielo, di indagare. Le sembrò giusto, perché magari non era così senza speranza come aveva supposto lui.

«Sì, abbastanza direi» affermò con certezza. E poi sospirò.

Fuggiva il suo sguardo; era insolito. Karin iniziò a preoccupasi, leggermente.

Calò nuovamente il silenzio tra loro, gli unici rumori ad accompagnarli erano quelli della natura: il canto degli uccellini, il rumore attutito dei loro passi, il fruscio del vento.

La ragazza usufruì di quella calma per pensare, per capire che cosa nascondessero le parole del suo compagno di viaggio.

Ripercorrendo il loro dialogo, c’era stata una battuta in particolare che l’aveva colpita, sulla quale non si era soffermata troppo in principio.

E ora ne capì la vera importanza. Scoprì che proprio quella celava l’indizio che le avrebbe fatto intuire cosa Suigetsu volesse.

Non poteva credere che lui desiderasse chiarire il loro rapporto. Credeva che gli andasse bene così come avevano sempre fatto – e, in realtà, non sapeva nemmeno lei come definirlo.

Forse, dopotutto, aveva ragione: c’era bisogno di dargli un nome.

Temeva quel momento, ma sembrava inevitabile.

«Senti, ti va se ci fermiamo?» gli propose, di punto in bianco.

Il giovane la guardò, interrogativo.

«Perché? Insomma, non è necessario. Tra meno di un’ora siamo arrivati.»

«Appunto. Che differenza fa se torniamo tra un’ora o due?» insisté la ragazza.

Il ninja si arrese alla volontà della donna, non aveva voglia di litigare per una sciocchezza del genere e, in fondo, non aveva nessuna importanza se sarebbero arrivati un po’ dopo rispetto al programma: non aveva nessun impegno particolare.

Con una scrollata di spalle, la seguì senza fare ulteriori obiezioni. Lo portò tra gli alberi fino a quando non si fermò in una piccola radura, vicino a un fiume.

La osservò mentre si sedeva su una roccia a osservare l’acqua che scorreva veloce. Era un’immagine splendida che fotografò con la mente.

Accortasi che il compagno non si era fatto avanti, lo invitò a sedersi vicino a lei.

Nonostante trovasse il suo comportamento insolito, seguì il suo consiglio. Le si accomodò vicino e osservò la natura che li circondava.

Non riusciva a comprendere le sue intenzioni: era forse una trappola?

«Che bello! E poi è così tranquillo. Non trovi?»

Seriamente, aveva voluto fare una pausa per fargli ammirare le bellezze della natura? Ma che, scherzava?

Non era nella loro indole, lo sapevano entrambi.

Si domandò cosa gli stesse nascondendo.

«Uh uh» acconsentì, distrattamente, osservandola di sottecchi: lei aveva ancora lo sguardo puntato dritto davanti a sé e, per un istante, gli sembrò che vedesse altro, guardasse oltre a quello che c’era. Avrebbe tanto desiderato vedere anche lui, insieme a lei, la stessa meraviglia.

Scosse la testa, dandosi mentalmente dello stupido per aver solo pensato una cosa così.

Che accidenti gli era preso?

Diede la colpa a quel luogo, forse il rumore scrosciante dell’acqua lo faceva sragionare oppure aveva preso troppo sole durante il viaggio.

Ritornò a studiare la compagna; era troppo tranquilla per i suoi gusti e di solito questo non era mai un buon segno. Tuttavia era abbastanza sicuro di non percepire i soliti segnali che avrebbero portato a una sfuriata epica.

Ma, allora, cosa aveva in mente di fare?

«Che cos’è che vuoi dirmi?»

Karin fece un’espressione fintamente sorpresa, ma era chiaro che non aveva previsto questa sua domanda.

«Io? Forse sei tu che vorresti parlarmi di qualcosa, mh?» rigirò la questione, allusiva.

Suigetsu la guardò, meravigliato.

E adesso? Che cosa doveva dire?

Non riusciva a capire le regole di quel gioco, era troppo complicato per lui.

«A cosa ti riferisci?»

«A quando mi hai detto che, secondo te, mi vergogno dell’idea di noi due come coppia.»

Il ninja non rispose; non sapeva che dire. Quella era una situazione insolita, non aveva idea di come muoversi, senza fare ulteriori danni.

«Non immaginavo che pensassi questo.»

Al giovane sembrò di percepire una lieve sofferenza nelle sue parole; era inverosimile, probabilmente lo aveva solo immaginato.

«E poi» continuò lei, titubante «non sapevo che volessi chiarire questa cosa che c’è fra noi.»

«Cosa? Non ho mai detto niente del genere! Che cosa ti sei fumata?» si allarmò Suigetsu.

Come avesse fatto a capirlo, gli restava un mistero: quella ragazza lo spiazzava molto spesso, per questo ne era totalmente ammaliato.

«È vero, non lo hai detto chiaramente. Ma lo hai fatto intendere.»

Davvero?

Accidenti, doveva proprio stare attento alle parole che usava d’ora in poi!

Non riusciva a capire da dove provenisse tutta quella certezza che aveva; era proprio vero che le donne avevano una marcia in più – e forse era proprio grazie a questa che riuscivano sempre a avere la meglio sugli uomini.

«Comunque non c’è nulla.  È solo sano divertimento, capita di aver bisogno di un po’ di calore umano ogni tanto» recitò, con una piccola smorfia; non sentiva sua quella spiegazione, ma era quello che voleva udire lei, quello che gli diceva sempre dopo ogni notte passata insieme, qualcosa che non doveva avere nessuna ripercussione sui loro sentimenti.

Lei ci aveva creduto, ma non era più così sicura. Qualcosa aveva lasciato, bisognava solo capire cosa fosse.

«Smettila!» gli ordinò lei, severa.

Era palese che stava mentendo e questo non lo sopportava, la infastidiva.

Perché si ostinava a tenere nascosto quello che davvero pensava e provava?

Gli stava dando l’occasione di essere sincero e lui, ottuso e stupido qual era, non la prendeva al volo. Doveva saperlo, che un’opportunità del genere non l’avrebbe mai più avuta. Allora, che accidenti aspettava?

«Va bene. Hai ragione. Non lo penso affatto» confessò, in seguito.

«Vorrei…» iniziò «…vorrei rendere serio il nostro rapporto, questa cosa che abbiamo, questo noi

Karin aveva intuito che volesse parlare di quel loro legame, ma sentirglielo dire, con quelle parole così sincere e vere, le aveva fatto provare una strana emozione, ancora indefinibile, ma piacevole, forse anche troppo. E lei non era abituata a tanta dolcezza.

Il giovane si arrischiò a incontrare lo sguardo della ragazza per vedere le sue reazioni a quelle parole, a quella dichiarazione velata.

Lei era combattuta, perché non voleva mostrarsi debole, rendergli noto che le sue parole l’avevano colpita, che avrebbero potuta scioglierla come neve al sole, perché era la prima volta che qualcuno le si rivolgeva con così tanta intensità e affetto; era la prima volta che qualcuno aveva scelto lei, voleva lei e solo lei, era importante per qualcuno e questo non se lo aspettava: non avrebbe mai immaginato di essere quella persona per Suigetsu.

Tuttavia, era scettica riguardo al loro futuro, non riusciva a dipingerlo.

«E tu credi che noi potremmo funzionare?» espose il suo dubbio, senza tanti giri di parole inutili.

La ragazza lo guardò, seria, sopraciglio alzato.

«Non lo sapremo mai, se non ci proviamo nemmeno, no?»

Le si avvicinò fino a quasi far sfiorare i loro nasi. Annegò nei suoi occhi rosso cremisi, così pieni di vita, di rabbia, di passione; rossi come un fuoco, quella forza prorompente che lei nascondeva.

Guidato dall’incoscienza, le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente. Voleva trasmetterle tutta la sua convinzione, voleva che anche lei credesse in loro così tanto da infonderci tutta l’energia necessaria ad alimentare quella che per lei era una follia – glielo aveva letto negli occhi.

Ma, in fondo, la vita era bella proprio perché, a volte, era giusto rischiare.

Karin era paralizzata, immobile, le occorsero un paio di secondi per avvedersi di quello che le stava succedendo, dell’avventatezza del gesto di Suigetsu – e normalmente per questo l’avrebbe sgridato.

Percepì che lui voleva approfondire il loro bacio e, solo dopo alcuni suoi tentativi, decise di accogliere il suo desiderio.

Nel momento in cui schiuse le labbra per dargli libero accesso, gli cinse il collo con le braccia, lasciandosi trasportare dalle sensazioni, mentre le mani del giovane, in una lenta carezza lungo il suo corpo che le procurò dei brividi lungo la spina dorsale, dal viso si posarono sui suoi fianchi.

Dopo una lotta agguerrita di lingue, Karin interruppe il bacio, guadagnandosi uno sguardo contrariato da parte di Suigetsu. La giovane avrebbe tanto voluto ridere per quella sua espressione buffa, così facile da interpretare.

«Ti sfido!»

Lo sguardo attonito che le rivolse era impagabile.

«Mi sfidi?» ripeté lui, confuso.

«Sì, hai capito bene. Ti sfido a chi riesce a sopportare l’altro più a lungo.»

Questo – l’aveva capito – era un suo modo per accettare quel loro legame e fare in modo di tenerlo sempre vivo. Karin non avrebbe mai sopportato di perdere una sfida contro di lui, si sarebbe impegnata al massimo per vincere.

Sogghignò. Karin era una ragazza tutta particolare: non aveva usato parole troppo sdolcinate per accettare la sua proposta, non aveva pianto di gioia come le comuni ragazzette, ma gli aveva lanciato una sfida per dare più pepe al tutto. Era proprio per questo che l’amava alla follia e non se la sarebbe lasciata scappare.

«Interessante. Non posso di certo tirarmi indietro.»

Si guardarono negli occhi, studiandosi.

«E, senti, secondo te chi cederà per primo?» la stuzzicò.

«Beh ma tu, ovvio! Non puoi sopportarmi così a lungo!» lo prese bonariamente in giro.

«Così pensi che non abbia abbastanza pazienza, eh? Io, invece, credo che sarai tu quella che si stancherà per prima!»

Risero di cuore, l’uno nelle braccia dell’altra, finalmente liberi di provare quelle nuove sensazioni, quelle emozioni assopite e trattenute, liberi di amare senza freni, liberi di essere se stessi senza timori e paure, perché consapevoli di essere capiti e amati.

Suggellarono la loro promessa con un bacio. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Naruto Gaiden capitolo 10, traduzione APD forum.

 

 

 

 

Salve a tutti! ^^

Mi rifaccio sentire con una SuiKa. Non so, in questo periodo, mi è partita un po’ la fissa. In realtà, questa coppia mi è sempre piaciuta, ma boh, in questo ultimo periodo avevo voglia di leggere di loro due e, niente, mi sono trovata a scriverci su qualcosa.

E la mia mente ha partorito questa cosetta qui, che non so come definire. Non sono sicura che mi soddisfi al cento per cento.

Ad ogni modo, si colloca dopo l’ultimo capitolo di Naruto Gaiden, in particolare prende spunto dalla battuta di Karin quando ordina/consiglia a Suigetsu di scusarsi con Sarada.

Insomma, non posso crederci che nessuno ci abbia fantasticato su!

Quindi Suigetsu deve andare a scusarsi con Sarada – perché anche lui ha una coscienza, in fondo. Ma lo fa solo a delle condizioni: ovvero che con lui ci sia Karin.

È il minimo, no? XD

Quindi la shot nasce da questi presupposti, oltre  a chiarire il loro rapporto.

Personalmente li ho visti sempre bene insieme e devo ammettere che non trovarli dichiaratamente canon – perché francamente non ho capito se lo siano o cosa – mi ha un po’ deluso/rattristato.

Quindi, mi sono detta che lo sono, che comunque fra loro esiste un legame, ma per il carattere di entrambi non è cosa sospettabile. Perché in realtà non vogliono crearne uno, ma alla fine non si accorgono di farlo.

E soprattutto non vogliono impegolarsi con i sentimenti.

Ma nonostante questo passano del tempo insieme, non solo litigando, si cercano e l’attrazione fisica fa il resto! ;)

E poi arrivano i problemi.

Ho questo head canon per cui sia Suigetsu il primo ad accettare i suoi sentimenti per la rossa e credo che si intuisca molto bene in questa shot . ^^

Quindi è inevitabile un chiarimento, il momento in cui si gioca a carte scoperte.

Ok, ancora una volta mi sono lasciata andare troppo…

Lo so, queste spiegazioni sono inutili, perché in teoria dovrebbero intuirsi con la shot… Ma io ho sempre il timore che mi lasci indietro qualcosa, che non riesca ad esprimere, a far arrivare il messaggio e soprattutto a trasmettere qualcosa…

Ad ogni modo, grazie a chi è arrivato fino in fondo – anche ai miei sproloqui! C:

E se qualcuno volesse lasciare un parere, consigli e critiche costruttive, ne sarei molto grata. ^^

Au revoir! ;)

Selly

 

 

 

 

   
 
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