Capitolo 7
Dopo tanto penare
eccomi qui a rammaricarmi di non essere rimasto a casa o per lo meno di
non
aver pensato a salvarmi dal tanfo dei cunicoli che mi sta uccidendo! Se
non è
qualcos’altro. Non si può certo immaginare che
odori così intensi possano
piegare un essere umano sotto la loro morsa, ti s’insinuano
nelle narici fino a
raggiungere il cervello e s’infilzano come tanti spilli, con
un dolore
lancinante. Perciò accelero l’andatura e, tenendo
sempre sott’occhio la mappa
fotografata, mentre mi copro la bocca e il naso con il colletto della
vecchia maglia,
indossata per l’occasione, mi dirigo a passo di marcia verso
l’uscita. Una
volta fuori, tolgo dal marsupio un berretto per nascondere i capelli e
schermo lo
sguardo da alieno con un paio di lenti scure. Sono conciato come il
peggiore
dei rapinatori e, sfoggiando una tuta stinta e dimenticata
nell’armadio, mi aggiro
indisturbato tra la folla.
Adesso dove potrei
trovare la mia, si spera,
collaboratrice? Non se ne parla di cercare il suo indirizzo
perché potrei
trovarmi nella parte sbagliata della città e poi non conosco
il suo cognome,
ammesso che la gente la conosca. Perciò opto per
l’agenzia in cui lavora,
almeno di quella sono assolutamente certo. Girovago un po’
per le strade senza
la minima idea di dove stia andando e quando decido di arrischiarmi nel
chiedere informazioni, m’imbatto nuovamente nelle bancarelle
viste il primo
giorno e che ancora una volta mi sorprendono con i monili e gli oggetti
esposti, tutte cose che non potrei mai trovare al Centro neanche
pagandole a
peso d’oro, eppure qui sono così comuni!
<< Hai
trovato qualcosa che t’interessa ragazzo?>>
sussurra una vocina da dietro
il banchetto che ha attirato la mia curiosità. Dal fresco
dell’ombra, proiettata
dal telo che copre il suo banchetto, è seduta una
piccolissima signora anziana
dai capelli canuti raccolti in una crocchia e, con gli occhi stretti
per
l’intensità della luce, mi fissa ansiosa di sapere
se uno dei suoi manufatti le
potrebbe fruttare qualche moneta.
<<
Veramente
non m’interessa niente, ero solo curioso>>
rispondo.
<<
Peccato>>
le sfugge una smorfia di delusione.
Decido allora che
forse potrei chiedere a lei l’ubicazione
dello stabile che sto cercando. Mi sembra una persona a posto.
<< In
verità avrei bisogno di
un’informazione>> azzardo e sul viso della
vecchietta splende di nuovo un barlume di speranza per un possibile
guadagno
<< sa dove si trova l’agenzia di spedizione Eolo express?>>
<<
Certo, chi
non la conosce?!>> questo semplifica molto le mie
ricerche. << Ma
tutto, anche la più piccola informazione ha un prezzo
giovanotto!>> dice
la vecchia affilando furbescamente lo sguardo.
Sta cercando di
estorcermi del denaro?!? Appena realizzo il tutto, faccio per andarmene
ma la
nonnina, sporgendosi dal suo sgabello sulla bancarella, mi afferra con
sorprendente velocità.
<< Non
credere che qualcun altro possa darti ciò che
cerchi>> sussurra tra i
denti. Non posso evitare di chiederle il perché.
<<
Proprio
perché tutti conoscono la Eolo, non tarderebbero a guardarti
con diffidenza se
lo chiedessi in giro. Però sono disposta a darti le
indicazioni in cambio di un
giusto pagamento>>
Rimango per un
attimo sbigottito dal modo di fare dell’anziana…
troppo arzilla per i miei
gusti.
<< E
sarebbe …>> incalzo, ma la nonna indica
semplicemente la bancarella <<
Vuole che compri le sua merce?>>
<<
Minimo
due pezzi!>> ribatte portandosi i pugni sui fianchi
sfoggiando la sua
aria da donna d’affari.
Intanto valuto la
situazione: rischiare di essere scoperto chiedendo a qualcun altro o
scucire
qualche moneta e finirla qui? Non credo ci sia da discutere.
Do un’altra
occhiata superficiale agli oggetti esposti e proprio quando ho deciso,
la
signora mi affibbia un collanina di pietruzze grezze e un polsino di
cuoio con
un gufo ricamato sopra.
<<
Ottima
scelta! Fanno 37 bire>>
Mi sta prendendo
in giro, o qui tutti hanno questo modo di fare? 37 bire per un paio di
ninnoli
inutili?! Per tagliare corto, anche se la sensazione di essere truffato
è
forte, saldo il conto e attendo le informazioni “ adeguatamente pagate”.
<< Cosa
ti
spinge ad andare in quell’agenzia?>> chiede
d’un tratto la vecchietta una
volta finito di istruirmi sulla strada da prendere.
<<
Signora
ogni informazione ha un prezzo>> ribatto sarcastico, ma
suscito solo una
risata divertita dopo un attimo di stupore.
<<
Ragazzo, mi piaci! Perciò ti do un consiglio>>
questa volta mi
metto sulla difensiva. << Tranquillo è
completamente gratuito. La
prossima volta che passi di qui scegli meglio il tuo guardaroba.
È vero c’è
gente strana in giro, ma non così stramba da conciarsi in
questo modo!>> e
detto ciò si rintana dietro al banchetto, ridendo di gusto.
Rimuginando
sull’affermazione della vecchia, osservo preoccupato il mio
abbigliamento.
Cos’ha che non va? Guardo curioso la gente intorno a me, non
mi pare che abbiano
vestiti dalla foggia o stile molto diverso dal mio.
Seguo attentamente le
indicazioni fornitemi e
dopo parecchie svolte in quel mare caotico di gente e piccoli animali
d’allevamento, sbuco da una stradina laterale nei pressi
dell’agenzia. Sono
indeciso sul da fasi: entro e chiedendo direttamente di April, pregando
che lì
dentro non ci siano altre ragazze con il suo nome, o aspetto fuori che
finisca
il turno? Bel dilemma. Il primo punto mi mette direttamente alla
mercé del
primo a cui chiederò e, dopo l’esperienza di poco
fa, preferisco evitare, non
ho così tanto denaro con me. Così mi appoggio a
un muro tenendo sotto controllo
l’ingresso principale. Dopo mezz’ora di posta si
presenta un’ opportunità che
non posso lasciarmi sfuggire. La persona che sto cercando, si catapulta
fuori
dallo stabile inseguendo una macchia arancione.
<< Felipe!
Vieni qui maledetto!!>> inveisce contro la creatura
<< ridammi
quelle carte!>>. Il felino si gira di scatto in
atteggiamento scherzoso,
con il sedere puntato verso l’alto mentre il resto del corpo
si appiattisce al
suolo, così appena la ragazza si avvicina per afferrare le
pagine che tiene in
bocca, la scarta e riprende a correre verso il vicolo nella mia
direzione. È il
momento di intervenire per avvicinarla, ma per far sì che la
tipa mi ascolti
devo impossessarmi dei fogli che vuole recuperare. Perciò
attiro l’attenzione
del micio con la collanina presa al banchetto (almeno adesso serve a
qualcosa)
e, non appena è a portata di mano, prendo i fogli mentre la
bestiola è intenta a
cercare di afferrare con la zampa le perline. La ragazza, che ha
assistito alla
scena, si avvicina. È il mio momento.
<< Avrei
potuto prenderlo da sola quel disgraziato!>> dichiara
allungando la mano
per farsi consegnare l’oggetto dell’inseguimento.
Per lo meno
è
simpatica come al solito, ma non è l’ora di
procrastinare e decido di farmi
riconoscere. Sfilo gli occhiali scuri, lasciando che siano gli occhi a
parlare
al mio posto << Alla fine ci rivediamo >>
gongolo trionfante,
vedendo la ragazza sbiancare per l’improvvisazione.
Ebbene sì,
poteva
aspettarsi chiunque, ma non il sottoscritto. Sorpresa! La guardo dritto
negli
occhi specchiandomi nelle sue naturali iridi color cioccolato.
<< Che
diavolo ci fai TU qui?!>> sbotta di rabbia superato il
momento di shock,
poi si guarda freneticamente intorno.
<< Devo
parlarti>> dichiaro.
<< Non
credo>> sibila sulla difensiva indietreggiando di qualche
passo. Penso
non voglia farsi vedere con me nel caso sopraggiungesse qualcuno.
<< E
invece
credo proprio di sì, se rivuoi indietro le tue carte. Non
vuoi discutere con il
tuo capo>> le sventolo sotto il naso i fogli ormai
bellamente spiegazzati
e inzuppati i saliva di felino. Non sono bravo a ricattare la gente e
spero che
la minaccia vada a buon fine, altrimenti non so che fare. Pare,
però, che la
cosa funzioni perché la ragazza non replica né
cerca di picchiarmi. Evidentemente
sta valutando le possibilità con tutti i pro e i contro.
<< Spero
per te che sia importante>> si sta sforzando di restare
calma, ma la cosa
le brucia probabilmente; scendere a patti con una persona odiata non
dev’essere
per niente facile. È lo stesso per me quando devo
relazionarmi con Spike,
perciò un minimo posso capirla.
Cerca in un
ultimo disperato tentativo di afferrare le carte, cogliendomi
impreparato, ma
non perdo il bottino.
<< Non
così
in fretta, voglio una prova che manterrai la parola, altrimenti salta
tutto>> dirle una cosa simile è un azzardo, ma
non posso rischiare; soprattutto
adesso. La vedo diventare paonazza ma, in seguito a due bei respiri
profondi,
sembra calmarsi, poi trae dalla tasca dei pantaloni la sua mascherina
depura-aria e me la lancia in malo modo.
<<
Soddisfatto?!>>
ringhia.
<<
Adesso
sì>> ripongo al sicuro il pegno nel marsupio e
le restituisco i fogli;
devono essere importanti, per renderla così collaborativa.
Sto per dirle se
c’è un posto dove poter parlare senza problemi, ma
lei mi anticipa. << Non
qui>> intima, poi mi squadra dalla punta dei capelli ai
piedi, scuotendo
la testa.
Le chiedo quale
sia il problema.
<< Sei
inguardabile! Dove hai preso questi … cosi? >>
dice schifata arricciando
il naso.
La guardo di
traverso. Che problema hanno tutti quanti con i miei vestiti?
È solo una tuta
da ginnastica con motivi militari e una maglia nera! Uno scintillio
metallico
nella mano della ragazza mi mette in allerta.
<< Metti
giù quell’affare>> le ingiungo in
tono serio.
<< Se
vuoi
che l’accordo prosegua, sta’ zitto e lasciami fare.
Non mi va di finire nei
guai per colpa tua>> ribatte con una smorfia di rabbia.
Cerco inutilmente
di rilassarmi, visti i precedenti non mi fido per niente di questa
matta! Comunque
allargo le braccia in segno di resa. La lama si avvicina alla spalla e
… taglia
le maniche?! Che …?
<< Che
stai
facendo?>> chiedo palesemente disorientato.
<< Tu
che
dici? Ti do un aspetto decente!>> passa
all’altra manica e anche questa
dopo un paio di tagli e strappi viene via. In seguito prende una
manciata di
polvere rossastra da terra e la butta sui pantaloni, poi con
brutalità ne
strofina un po’ anche sulla maglia. “ Questa
sarebbe una ragazza? Non ha niente
a che vedere con i modi pacati e
femminili di Chanel” penso, perché il paragone
viene istintivo.
<<
Adesso arrotolati una gamba del
pantalone almeno sotto il ginocchio>>
Eseguo di cattivo
umore, vedendo come questa tizia mi tratta. Eppure non le ho salvato la
vita
qualche giorno fa deviando la catena del malvivente?
<< Il
cappello e gli occhiali vanno bene. Se qualcuno ti chiede qualcosa, sei
uno di
quei fissati con la break-dance e parla solo se necessario …
anzi sta zitto, è
meglio>> mi ammonisce.
<<
C’è
qualcos’altro che devo fare, sergente?>>
bofonchio infastidito. Non mi
piace che qualcuno m’imbecchi su cosa devo fare e dire.
Né ho già abbastanza
dalle mi parti e un’altra persona da aggiungere alla lista
non mi va proprio.
Infilo istintivamente le mani in tasca e la guardo in segno di sfida
attraverso
le lenti.
<<
Cretino,
non capisci proprio eh?!>> mi volta le spalle e si avvia
verso le porte
della Eolo
express
ditta di
spedizioni.
La seguo
spazientito. Ed io dovrei aver a che fare con lei?!?! Sono impazzito di
colpo.
Una volta
all’interno il rumore assordante mi assale. Non lo ricordavo
così caotico! Ma
ecco che dopo pochi passi, veniamo fermati da un omone di colore alto
almeno un metro e novanta.
<<
Piccola
A, hai acciuffato il mostriciattolo?>> dice affabilmente
con la possente
voce baritonale.
<< Quel
sacco di pulci è un flagello! Dovremmo dire a Chris di
prendere un cane per
tenerlo lontano>>
<<
Andiamo,
lo so che un po’ ti piace averlo intorno! Ehi, è
lui chi è?>> si rivolge
a me.
<< beh,
lui
è …>> incomincia la ragazza, ma la
anticipo nei tempi.
<< Sono
Nagìl, il breake-dancer del quartiere, ho recuperato io le
carte alla
signorina>> mi atteggio a spaccone e gli porgo la mano
per una stretta
tra fratelli, come ho visto fare a un certo parente demente.
<<
Signorina?!
Ha ha ha ha ha ha. Ehi, April hai sentito sei una signorina adesso? Mi
sorprende che tu non lo abbia già preso a calci in
culo>> scoppia a
ridere.
La ragaza mi fulmina
con lo sguardo, forse sta rimpiangendo di non averlo fatto. Le sorrido
ammiccando, il che la fa imbestialire. Me la farà pagare, ma
al momento mi
piace prendermi qualche piccola rivincita.
<<
Amico,
io sono Zedd Turner!>> dice giulivo agguantando la mano
con la sua
possente presa.
<< Avete
finito? C’è del lavoro da fare. Zedd, ecco le
carte per quella spedizione da
dare a Chris. L’altra consegna è
pronta?>> chiede acida, ma
professionale. Vedendola al lavoro mi rendo conto che ho fatto bene a
scegliere
lei come prima (e direi unica) “confidente”, anche
se ho ancora qualche dubbio
su una nostra futura collaborazione. È insopportabile!
<<
Sì, è
stata caricata adesso sul carrello>>
<<
Allora
vado a fare la consegna, ci vediamo più tardi per il
rapporto>> si
allontana per impossessarsi della maniglia del carrello su cui
è posizionata
una spessa scatola di cartone e, sollevando una saracinesca nel fianco
della ditta,
aspetta che la raggiunga.
<<
Informo
il capo. Ehi, Nagìl! Fatti vedere in giro così mi
dai qualche dritta>>
<<
Contaci
fratello>> gli rivolgo un amichevole gesto di saluto con
la mano e mi
avvio molleggiando verso l’uscita. Come attore non sono
affatto male!
April mi aspetta
spazientita
all’esterno e, appena la tenda di metallo ci separa dalla
vita dei corrieri, sbotta.
<< Ti ha dato di volta il cervello?!?! “sono il
dancer del quartiere”!!
Hai idea della balla che hai detto?>> scimmiotta.
<<
Quanto la
fai tragica!>>
<< Non
hai
idea di come stanno le cose qui! Pensi che le parole siano solo suono
che si disperde
nell’aria? Non per noi! Qui tutto ciò che dici
può essere usato per te o contro
di te, perché tutti sanno tutto di tutti! E cosa pensi
succederà quando la voce
del ballerino di strada si diffonderà e non
troverà nessuna conferma tra gli
abitanti dei dintorni? A chi pensi che chiederanno del misterioso
mostro di
bravura delle piroette per strada?>>
<< Non
lo
so>> sono costretto ad ammettere di malavoglia.
<< Certo
che non lo sai!!! Non hai nemmeno usato un nome falso! Non posso
passare dei
casini per colpa di uno come te>>
<<
È già la
seconda volta che lo dici … aspetta, con uno come
me?!>> ribatto offeso.
Ma sentite questa! Che diamine, non sa che sto passando dei guai
anch’io per
portare avanti questo progetto?
<< Sono
stufa di averti tra i piedi, facciamola finita. Dimmi cosa hai di
così urgente
e poi sparisci>> cerca di liquidarmi ferocemente.
<< Sta
calma,
è una questione delicata, sei sicura che possiamo parlare
per strada?>> ribatto
accigliato lanciandole un occhiataccia eloquente; così
sentenzia << prenderemo
una strada laterale tra due svolte a sinistra>>
Le racconto
per
filo e per segno le congetture che abbiamo elaborato io e Spike,
aggiungendoci
qualcosa di mio; ad esempio i computer che ho visto al loro rifugio e
dell’aiuto che potrei dargli con i file che dovessero
trovarvi. Le riferisco
anche il fatto che dovrei passare molto tempo nei Sobborghi per
studiare la
situazione e tutte le ipotesi che mi vengono in mente, non tralasciando
nessun
dubbio o ipotesi. Alla fine sembra pensierosa, spero di averla almeno
un po’
incuriosita, ma non parla per tutto il tragitto. Non chiede
spiegazioni, né fa
domande per saperne di più. Dalla postura rigida delle
spalle e dallo sguardo
di sottecchi che mi rivolge, capisco che non sa se credermi. La sua
diffidenza
può essere una caratteristica molto utile da aggiungere al
suo curriculum di
alleata, tuttavia spero comunque di averla convita più di
quanto lo sia io.
Non ho fatto
attenzione a dove mi stava portando, finché un enorme
edificio semidistrutto
non ci blocca la visuale e ci accoglie un enorme porticato coperto
d’edera
essiccata e dall’intonaco scrostato che lascia nudi i rossi
mattoni che ne sono
lo scheletro. Seguo la ragazza tra cumuli di cemento e calcinacci e,
dopo aver
superato una fila di finestre, di cui alcune saltate e rattoppate alla
meglio
con nastro isolate e pannelli di plastica, ci attende un portone
divorato dai
tarli. Dopo aver bussato, da uno spiraglio della porta si intravede un
occhio
sospettoso e la porta si richiude, un frettoloso rumore di catenacci e
poi il
battente viene nuovamente spalancato con uno strattone.
<<
April!
Quanto tempo!!>> una ragazza sui ventisette anni, dai
capelli scuri ed
arruffati, raccolti alla meglio in due lunghe trecce, salta al collo
della
ragazza in questione, tra lo svolazzare della sua ampia gonna grigia
abbinata
ad una severa camicia bianca.
<< Anche
per me è bello rivederti Rose … però
potresti staccarti? Sto
soffocando!>>
<<
Scusami!!>>
si allontana sistemandosi sul naso la tonda e grande montatura degli
occhiali
da vista, poi si accorge della mia presenza << Oh! E il
tuo
accompagnatore chi è? Sono Rosemary
Highfield, piacere di conoscerti!!!>> esordisce
vivacemente scuotendomi a
più non posso la mano. Ha energie da vendere.
<<
Nagìl,
piacere mio>> biascico preso alla sprovvista dalla sua
esuberanza e dalle
sue formose curve che sobbalzano seguendo i suoi movimenti.
<< Rose,
ho
portato una nuova donazione>>
<<
Davvero?!
Oh! Che bello, i bambini saranno contentissimi, aspetta che vado a
chiamarli,
stavano finendo i compiti!>> finalmente molla la presa e
si precipita
dentro urlando a squarciagola.
<< Dove
siamo?>>
dico ancora frastornato, ma non ottengo risposta.
Neanche il tempo
di dirlo che una mandria di circa trenta marmocchi, tra i 3 e i 9 anni,
si
catapulta fuori circondandoci e salutando calorosamente April: alcuni
l’abbracciano,
altri le saltellano intorno cantilenando “ Ben tornata, ben
tornata” e lei
ricambia la loro esultanza. È strano non vederla arrabbiata,
sembra quasi
normale.
Un bimbetto dalla
pelle olivastra e fitti capelli corvini, mi scruta curioso,
finché non
esordisce con il classico: “ lui chi è??
”.
La domanda non mi
coglie alla sprovvista, ma istintivamente guardo irritato April per
vedere se,
anche in quest’occasione, ha intenzione di parlare al posto
mio;
sorprendentemente è a braccia conserte e mi guarda con aria
di sfida. Vuole
vedere se ho il coraggio di mentire anche a questi innocenti bambini?!
Me ne
infischio dei suoi presunti sospetti.
<< Sono
Nagìl! Il break-dance del quartiere!>> dico
spavaldo.
<<
Davveroooooo??
E cos’è?>> chiede il bimbo con una
smorfia inclinando il capo.
<<
E’ un
modo di ballare>> spiego paziente, mentre si solleva un
coro di “Oh!”
<< Che
bello!! Facci vedere>>; << Sì,
sì facci vedere>> urlano i
bimbetti.
Non aspettavo
altro! Lancio uno sguardo beffardo ad April poi, dopo aver chiesto che
si
dispongano in un cerchio abbastanza largo, faccio appello a tutte le
memorie sulle
lezioni di break e mi lancio in una performance.
Mi alzo poco dopo con
il fiato corto tra gli
applausi scroscianti di Rosemary e le bocche spalancate dei bambini. Il
marmocchio
di prima mi strattona la tasca dei pantaloni con gli occhi spalancati e
pieni
d’ammirazione << Fratellone, mi insegni a
ballare cm te?!?!?>> e
subito una manciata di bambini lo imitano.
Cerco con lo
sguardo la ragazza per lanciarle un’occhiata alla “
adesso hai la conferma che
cercavi” ma April intanto si è rivolta a Rosemary,
e insieme stanno scaricando
il carrello. Ferito nell’orgoglio decido che dovrei darle una
mano, ma non
prima di aver risposto a “capelli neri”.
<<
Certo! Intanto esercitatevi con
questi passi>> gli mostro alcuni semplici mosse base, poi
chiedo alle
ragazze cosa fare, non sapendo da dove iniziare.
È April che
con
mala grazia, mi getta tra le braccia un sacco da almeno cinque chili,
intimandomi
di non farlo cadere, e, dopo essersene caricato uno sulle spalle, si
avvia
dietro alla Governante all’interno dell’edificio.
Attraversiamo un
piccolo vestibolo e un soggiorno spartano, fin troppo, sembra quasi che
non
abbia visto abitanti da almeno qualche anno, e giungiamo alle cucine.
Le
ragazze appoggiano quanto trasportato sul ripiano di cottura e
ripetiamo
l’operazione almeno cinque volte, finché non
svuotiamo tutto il contenuto dello
scatolone. In ultimo sistemiamo le vettovaglie nella dispensa e quel
poco che
c’è di deperibile nella sottospecie di
frigorifero, un ammasso di ferraglia
pitturato alla meglio di bianco.
Mentre sistemiamo,
mi arrischio a chiedere a Rosemary di che posto si tratta.
<< Il
tuo
amico è nuovo di queste parti>> scherza la
ragazza rivolta ad April,
mentre questa fa una smorfia di disappunto. Non deve aver ancora
superato lo
scoglio della nostra diversa provenienza.
<<
Questo è
un Orfanotrofio Comunale, viviamo con le donazioni delle compagnie o
dei pochi
spiccioli che ci da il governo>>
<< Come
mai
ci sono così tanti bambini se guerre non ce ne
sono?>> dico senza
pensare. Sul viso della ragazza si delinea un sorriso tra lo stupito e
il
triste.
<< Non
sai
proprio nulla allora?>> chiede sbalordita.
Scuoto la testa
improvvisamente a disagio, uno sguardo fugace alla mia guida, che non
sembra tesa,
ma visibilmente stanca. Non tenta di intervenire a riparare al mio
errore, ma
va avanti a sistemare le provviste sulle mensole.
Distolgo lo
sguardo non appena la ragazza inizia a parlare.
<< Non
ci
sono guerre, è vero, ma la situazione nei sobborghi non
è facile come saprai. La
gente qui vive, anzi sopravvive con quel poco che il Centro
distribuisce, con le
Donazioni e dei miseri prodotti che riesce ancora a coltivare o
allevare.
Perciò molte persone, i più deboli, chi non ha
spazio per coltivare o perché non
ha più nulla, non sopravvivono e i figli vengono spediti
qui. Ma la maggior
parte dei bambini qui ha un’altra storia>> fa
una pausa per osservare April
che, girata di spalle, ha smesso di
sistemare delle lattine nelle dispensa in alto, è tesa ma
non si volta, anzi
decide di cambiare stanza, alludendo a nascondere ai vandali il
montacarichi
che ci siamo portati dietro. Questo da alla ragazza un incitazione per
riprendere
il discorso. << La maggior parte è arrivata
per colpa delle “ Stelle nere”>>
dice d’un fiato come se il solo pronunciare quella parola
portasse enormi
disgrazie << si presentano senza preavviso alla porta
delle persone e
portano via gli interessati imponendo le ragioni più
disparate: abilità uniche
o molto sviluppate, necessarie in un determinato ambito nel Centro;
l’essere
stato scelto per la missione di avanscoperta alla ricerca di altre
città
superstiti come la nostra e molte altre cause. Perciò i
bambini che non hanno
più un posto dove andare o stare, giungono al nostro
orfanatrofio. Purtroppo
molti non vengono accettati e finiscono per morire di fame in
strada>>
Un nodo mi sale
alla bocca dello stomaco, guardo i bambini che saltellano sul patio
visibilmente
contenti e una sensazione subdola e infida mi striscia addosso, mi
sento
colpevole! Colpevole, per tutti gli anni passati
nell’ignoranza, chissà quanti
hanno affollato le strade in cerca di ricovero e quanti non
hanno potuto ottenerlo. Sono colpevole, per
tutti quelli che non hanno cibo da mangiare ed io l’ho
sprecato, buttato nello
scarico, per capriccio e ripenso a quanti sprechi avvengono nel Centro.
La
rabbia per la mia ottusità e anche per un altro motivo di
cui devo parlare al
più presto con Spike, monta inesorabile.
<<
Perché non
dite nulla? Perché non vi ribellate?>>
prorompo spinto dalle emozioni del
momento. Rosemary mi guarda colpita, non si aspettava una domanda del
genere. È
perplessa e forse ha capito la mia vera identità,
perciò mi maledico di essere
così stupido. È già la seconda persona
a cui stupidamente ho rivelato la mia
provenienza.
<< A
cosa
servirebbe? Abbiamo imparato dal passato. Una volta hanno tentato, ma
è finito
con una sconfitta schiacciante seguita da una povertà che ha
dimezzato la popolazione.
Ormai la gente è stanca e disillusa, non spera
più nel futuro perché non vede
via d’uscita. Non si può più
cambiare…>> Rosemary è costernata e
abbattuta, con il capo reclinato verso il petto.
La gente si
è
arresa, ecco la verità che mi brucia. Non credono
più in un cambiamento, pensano
di essere soli e abbandonati. Potrò mai fare qualcosa con il
progetto che
abbiamo in mente?
Cala un silenzio
pesante
come un macigno, non so che dire; di solito cosa si aggiunge in queste
occasioni? Non lo so, non ne ho la più pallida idea.
È la
governante a
riportare tutti al presente.
<< Quasi
dimenticavo. April! Il dottore ti cercava. Oggi non ti sei presentata
per
togliere i punti, dice di andare prima che chiuda. , perciò
sbrigati!>>
April sbuffa
seccata ricomparendo nella cucina, ma non sembra realmente infastidita,
perciò la
informa che ci andrà dopo sotto lo sguardo severo della
ventiseienne.
Salutiamo i
bambini tra un coro di “no” delusi. Alcuni
addirittura si attaccano alle tasche
e al marsupio, tirandomi da tutte le parti. Non sono mai stato bravo
con i
marmocchi, perciò non riesco a scollarmeli di torno. Devo
promettere a un paio
che tornerò a dargli lezioni affinché mi lascino
andare i pantaloni, dove si
sono avvinghiati. Gli altri li rimette in riga l’istitutrice.
Poi imbocchiamo
la strada del ritorno. Nessuno dei due parla, ognuno ha i suoi pensieri
da
riordinare ed impilare. Arriviamo fin troppo presto all’ormai
noto ingresso ai
tunnel, e lì ci fermiamo, eppure anche a questo punto non
viene pronunciata una
parola. Lei allora fa per andarsene, ma non posso lasciarla andare via
così, ho
bisogno di togliermi un peso perciò la chiamo. Si volta
dubbiosa e seccata.
<< Mi
dispiace! Mi dispiace per tutto, in parte comprendo perché
ci odi e farò del
mio meglio per aiutarvi, perciò pensa alla mia proposta. Mi
farò vivo io.>>
affermo deciso portando una mano sul cuore come giuramento e
rilanciandole il
pegno per la nostra conversazione.
Che idiota che
sono, non potevo trovare qualcosa di meglio da dire?! Non mi sono mai
sentito
così impacciato e incapace. Anche sembra irritata dalla
veemenza delle mie
parole, avevo bisogno di dirglielo, avevo bisogno che capisse che ho
compreso,
almeno in parte, le sue ragioni e soprattutto che sono sincero. Le cose
che ho
detto le penso davvero e voglio impegnarmi a fare ciò che ho
detto.
La ragazza mi
guarda senza rispondere rimettendo nella borsa a tracolla la sua
mascherina
depura aria, forse ha capito o forse no, non posso saperlo adesso. Poi
semplicemente
si volta e ritorna sui suoi passi, sparendo per le vie aranciate dal
tramonto
ormai vicino.
Percorrendo i
cunicoli, ormai memorizzati, rifletto sulla giornata: mi sento
sconvolto dalle
poche informazioni scoperte e mi sorprendo a pensare al
perché mi abbia portato
lì con sé, poteva benissimo troncare il discorso
e lasciarmi a macerare nel
dubbio della sua risposta, invece no, ha fatto in modo che vedessi
l’orfanotrofio. Pura coincidenza o voleva che vedessi
l’oppressione del nostro
governo? Quante altre cose non so sul Centro? Quanti orrori si celano
per quel
dedalo di edifici che cadono come tessere di domino?
Oppure voleva
punirmi perché provengo dal luogo che detesta, mettendomi
così difronte alla
verità?! Non lo so, non conosco quella lunatica e
perciò non posso farmi un’idea
delle sue intenzioni. Tuttavia di una cosa sono certo, da
più di una stamattina
sono convinto che quello che abbiamo intrapreso io è Spike
sia necessario. Per
tutti questi anni sono fuggito da quelli che ritenevo essere stupidi
vaneggiamenti, da parte di gruppi di sediziosi, sul nostro amato
governo e ora
mi accorgo che mi sarebbero tornati immensamente utili come base da cui
partire!
Comunque a questo punto non serve a niente rimuginarci sopra, tuttavia
posso
perlomeno avvisare il mio complice delle nuove scoperte,
perciò cerco il
cellulare nel marsupio per controllare la strada.
Sparito! Il
palmare non è da nessuna parte. Maledizione come ho fatto a
perderlo?! Cerco
freneticamente nelle tasche ma nulla. È troppo tardi per
tornare indietro, se
non rientro immediatamente mi scopriranno. Vorrà dire che
invece di chiamarlo
appena lasciata questa rete sotterranea, dovrò andare
direttamente da lui.
Adesso però ho un altro problema immensamente rilevante da
risolvere; devo
riuscire a ricordare il percorso, altrimenti sono fottuto, in ogni
senso.
<<
Alleluya
Spike ce ne hai messo di tempo!!>> sentenzio spazientito.
Mio cugino mi
osserva sbadigliando e con i capelli ancora arruffati da un pisolino
appena
interrotto.
<< Che
vuoi?>> biascica.
Spero mi stia
prendendo
in giro. Lo scanso, puntando verso camera sua. Non è
cambiata di una virgola:
stesso letto a baldacchino nero, le identiche ante con specchio della
sua
“stanza-armadio”, l’angolo studio in
acciaio satinato, il soppalco con libreria
anche esso in acciaio ed i suoi immancabili scatti fotografici in
bianco e
nero. È rimasto un narcisista.
<< Non
è
cambiato nulla. Da quanto non vengo a casa tua?>>
<< Da
quando hai deciso di fare il
ribelle-che-cerca-di-far-incavolare-il-padre
andandotene a zonzo>> mi rinfaccia innervosito con i
capelli in disordine
e una smorfia indispettita.
<< Ti
sei
alzato con il piede sbagliato?>> ribatto guardolo in
cagnesco.
<< No,
mi
hai svegliato! Stavo sognando di passeggiare in riva al mare con una
bella
bionda>> si lagna << e visto che mi hai
interrotto sul più bello
spero sia molto importante!>>
<< Non
trovo più il palmare altrimenti ti avrei chiamato
>>
<< Ho ho
ho
Nagìl che perde qualcosa, finalmente una notizia
interessante. Meglio di quella
del governatore che chiede del figlio scomparso>> cerca
di fare il
sarcastico.
<< Oh
finiscila, sono venuto per il nostro progetto ricordi? Cosa mio padre
ha
chiamato?>> lo canzono prima di rendermi conto di cosa
abbia detto. Mio
padre non chiama mai nessuno, specialmente di persona,
perciò che diavolo stava
succedendo?
<<
Ebbene
sì! Ho dovuto pararti di nuovo il culo. Tanto per
cambiare>> dice con un
sorriso beffardo e canzonatorio che gli solleva un angolo della bocca.
Già sono
infuriato, ci manca solo lui a
peggiorarmi l’umore. È stata una pessima idea
raggiungerlo per aggiornarlo sui
fatti, e non ho voglia di perdere fiato e tempo con un rincoglionito
come lui! “
Ma chi me l’ha fatto fare di allearmi con lui?!”
Penso mentre cerco di porre
fine alle sue scenate da attrice capricciosa e farmi dire cosa
è successo dalla
telefonata del Governatore in poi.