Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: vali_    04/11/2015    3 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Oggi mi sono impegnata per essere un pochino più puntuale… spero che lo apprezziate XD ma ovviamente, ahimé, una cosa esclude l’altra, perciò non sono riuscita a finire di rispondere alle recensioni. Chiedo venia, mi metto all’opera ora, ma prima volevo pubblicare così da potervi dare la possibilità di leggere un po’ prima i miei deliri XD
Non vorrei tediarvi con note lunghissime, ma ho un sacco di cose da dirvi.
Questo è un capitolo a cui tengo davvero moltissimo. La citazione iniziale è molto lunga, ma non riuscivo a tagliarla considerando che ogni singolo pezzettino mi sembrava ci stesse a pennello, perciò alla fine mi sono ridotta a lasciarci il testo della canzone intatto. L’ho trovata particolarmente adatta alla situazione e vi invito ad ascoltarla in questa versione; io la adoro.
Se da una parte ho notato che il numero delle visite è un po’ calato – mi auguro che sia per problemi/impegni personali e non perché la storia si sta allungando troppo ed ha cominciato a farvi schifo XD –, dall’altra non mi è sfuggito che il numero di persone che segue/preferisce/ricorda si è alzato questa settimana e la cosa mi fa immensamente piacere! :D *appende uno striscione con un bel “Welcome” scritto in rosso a caratteri cubitali*
Alla soglia delle cento recensioni – che non mi sarei mai sognata di ricevere neanche per sbaglio –, approfitto ancora una volta per ringraziarvi immensamente per il sostegno e l’entusiasmo con cui ci tenete a darmi la vostra opinione e vi invito a farlo ancora, che la storia sta per finire ed io ho taaanto bisogno delle vostre bellissime parole. :D
Un abbraccio fortissimo, alla prossima settimana! <3 


Capitolo 25: A world I used to know before
 
Like the dust that settles all around me
I must find a new home
The ways and holes that used to give me shelter,
Are all as one to me now.
But I, I would search everywhere
Just to hear your call,
And walk upon stranger roads than this one in a world
I used to know before
I miss you more
 
Than the sun reflecting off my pillow
Bringing the warmth of new life
And the sounds that echoes all around me,
I caught a glimpse of in the night
But now, now I’ve lost everything,
I give to you my soul.
The meaning of all that I believed before
Escapes me in this world of none,
No thing, no one.
 
(Afterglow – Genesis)
 
 
Si guarda allo specchio, la spazzola tra i capelli castani che pettina con cura, mentre canticchia la canzone che metteva buonumore alla mamma, quella che le è rimasta impressa da quando ha spento la sveglia.
 
Accade praticamente ogni mattina: il telefono comincia a vibrare sul comodino, intonando quella melodia così allegra, e ad Ellie rimane nella testa per tutta la giornata, quasi fosse il suo carburante, la sua fonte di energia. O almeno, le piace pensarla così.
 
Appoggia la spazzola accanto al lavandino del bagno della sua stanza e si alliscia un’ultima volta i capelli con le dita. Sposta il piccolo ciuffo che le fa da frangia sul lato destro del viso, come fa di solito, e sorride appena, soddisfatta del risultato.
 
Ci sono dei modi di dire che affermano che, quando una ragazza si taglia i capelli, la colpa è sempre di uomo, che si sente frustrata o incompresa e allora cambia look, per piacere più a se stessa. Per Ellie, però, non è stato così.
 
Quando è tornata a Buckley, ha deciso di rimettersi a lavorare fin da subito per trovare un buco da poter prendere in affitto. Era decisamente stanca dei motel e le truffe con le carte di credito non erano il massimo per campare; voleva stare lontana da quei casini. Poi aveva riacquistato una parvenza di vita normale e voleva sudarsi un posto dove stare e tutto il resto per vivere, come aveva sempre fatto.
 
Per i primi tempi Janis, che Ellie ha rintracciato immediatamente, si è offerta di ospitarla ed Ellie aveva apprezzato tantissimo il gesto, ma aveva comunque cominciato a cercare un appartamento fin da subito per liberarle la stanza il prima possibile. E’ sempre stata una cara ragazza e si è rivelata altrettanto gentile a volerla tenere con sé dopo tanti anni che non si sono viste o sentite, ma quando arrivava il suo ragazzo a volte Ellie si sentiva di troppo e poi Janis non voleva in nessun modo dividere le spese di cibo, acqua, luce e tutto il resto. Diceva che quella casa era sua ed Ellie era solo un’ospite, quindi non doveva contribuire in nessun modo; voleva solo che cucinasse, perché adora il modo in cui Ellie lo fa. Perciò, non appena si è resa conto di avere soldi a sufficienza per l’affitto di un monolocale e per mangiare, è riuscita a trovare un piccolo appartamento comodo, a basso prezzo, in un quartiere silenzioso. Dopo aver fatto il trasloco e sistemato tutte le sue cose, Ellie si è guardata allo specchio e quei capelli non la convincevano, in un modo o nell’altro non la rispecchiavano più, così è andata dal suo vecchio parrucchiere di fiducia e li ha tagliati di netto.
 
E’ stata una sensazione strana vedere tutte quelle ciocche cadere a terra una dietro l’altra, come era strano all’inizio abbassare la testa e non vedere più i lunghi capelli che le scendevano sotto il seno, ma poi ci ha fatto l’abitudine. Appena fatti, li aveva più su delle spalle, a caschetto. Ora le sono ricresciuti un po’, ma continuano a piacerle.
 
Janis era sempre andata pazza per i suoi capelli lunghissimi ed Ellie sorride ripensando alla faccia che ha fatto quando glieli ha visti decisamente più corti.
 
Anche lei è cambiata molto. Al liceo, se li tingeva di nero e li teneva sempre legati in una coda di cavallo o in strane acconciature che richiedevano l’uso di una smodata quantità di forcine e mollette di ogni forma e colore; tutto questo perché, come diceva lei, “almeno i capelli non dovevano farla penare”.
 
Aveva una strana filosofia di vita, ma era la persona più simpatica che Ellie avesse mai incontrato. Rispondeva a tono a qualsiasi persona osava dirle una parola storta e tendeva sempre a difenderla, soprattutto di fronte ai suoi compagni di classe, anche quando aveva torto. La motivazione era semplice: “siamo amiche e tra amiche bisogna sempre pararsi il culo”, nient’altro.
 
Anche adesso la pensa in questo modo, per questo si è offerta di ospitarla. Attualmente vive da sola ed ha un lavoro fisso presso un negozio di abbigliamento; ha smesso di tingersi i capelli e li ha del suo colore naturale, castani scuri, e li porta mossi, con la frangetta davanti. In più, non si trucca più mettendo tutto quel nero sotto gli occhi ed ha tolto il piercing al naso; è cresciuta ed è anche più bella. [1]
 
Nelle serate che hanno passato insieme, Janis le ha confessato che il suo ragazzo – David Wilson, un tipo che Ellie conosceva di vista quando viveva ancora a Buckley – la rende felice, che è tutto ciò che non avrebbe mai aspettato di trovare nella sua vita. Janis è sempre stata un po’ cinica riguardo alle questioni di cuore e questa è stata una vera sorpresa per Ellie, ma in fondo aveva sempre saputo che la sua era solo una maschera, un modo per non far vedere agli altri – soprattutto quelli che la disprezzavano – quanto fosse piena d’amore. Ellie è davvero felice per lei ma, non potendo condividere la stessa gioia, a volte prediligeva farsi da parte quando c’era lui, lasciargli un po’ di spazio per stare da soli. Non sa dire perché, semplicemente preferiva così.
 
Janis non ha mai fatto troppe domande sul tempo che Ellie ha vissuto lontana da Buckley e lei, silenziosamente, gliene è stata infinitamente grata. Non le andava di ricordare, di pensarci anche quando era in sua compagnia. Le ha raccontato lo stretto necessario, di aver ritrovato suo padre e di aver preso poi una strada diversa dalla sua; le ha detto che era un commerciante d’arte, un uomo che doveva viaggiare molto per lavoro.
 
Ellie è diventata brava a raccontare bugie, per cui è assolutamente certa che Janis le abbia creduto, anche se le è dispiaciuto molto mentirle. Non solo per la gentilezza che le ha dimostrato, ma perché le vuole bene ed è sempre brutto dire balle a qualcuno a cui tieni, ma non ha potuto farne a meno. Non vuole metterla al corrente di cose che, inevitabilmente, le farebbero cambiare la sua visione del mondo. Janis le ha fatto un dono nei mesi che hanno vissuto a stretto contatto: le ha dato appoggio nel momento in cui ne aveva più bisogno, insieme alla forza di credere ancora in se stessa, ed Ellie non poteva ripagarla mostrandole la faccia più orribile del mondo che la circonda.
 
Quando le ha chiesto se c’era stato qualcuno con cui aveva condiviso qualcosa di diverso, Ellie è stata volutamente sulle sue. Con la scusa dei lunghi viaggi insieme a suo padre, si è limitata a dirle che non si fermava molto a lungo e non faceva mai in tempo ad approfondire certe conoscenze. Tutto il resto, Ellie ha voluto tenerlo per sé, come un tesoro prezioso da custodire in silenzio.
 
A Buckley, poi, qualcuno c’è stato… più o meno. Era un ragazzo moro, riccio; a parte l’altezza che era più o meno la stessa, fisicamente era il contrario di Dean: un po’ meno muscoloso, più asciutto e magrolino. Ellie lo incontrava spesso al lavoro; lui veniva sempre per pranzo e a volte si fermava a chiacchierare con lei.
 
Quando Janis l’ha scoperto – Ellie non si era neanche azzardata a dirglielo, sapendo perfettamente cosa avrebbe cercato di fare –, aveva provato in tutti modi a convincerla ad uscirci insieme, perché “un appuntamento non si nega a nessuno e poi è carino e devi buttarti in queste cose”, ma Ellie non sapeva neanche dire se le piaceva; non aveva alcuna voglia di “buttarsi” in una qualsiasi relazione e poi c’era qualcosa che stonava in lui. Poteva sembrare solo una scusa per non dargli una possibilità, ma a forza di parlarci, poi, Ellie si è resa conto di qual’era il suo “problema”: era spavaldo ed erano troppi i nomi delle ragazze che diceva di conoscere o di aver frequentato ed Ellie era talmente stanca di questi tipi da una botta e via che, alla fine, ha deciso di dargli il ben servito.
 
Era molto insistente – altro punto a suo sfavore –, ma si è dato proprio la zappa sui piedi quando le ha chiesto di andare a vedere un film a casa sua. Ellie ha preso la palla al balzo per toglierselo di torno e gli ha detto di sì, conscia del fatto che lui avrebbe sicuramente tentato di sedurla nel modo a lei meno congeniale.
 
Quella sera, dopo aver cenato insieme con qualcosa di veloce, si sono accomodati sul divano, ma lei si è addormentata molto prima che il film potesse acquistare un minimo di spessore, senza neanche dargli il tempo e la possibilità di provarci e proprio in quell’occasione si è resa conto che quello non era poi un difetto così brutto come qualcuno lo aveva definito più volte, ma che anzi, all’occorrenza, poteva essere davvero utile.
 
Dopo quella volta, infatti, Ellie non l’ha più visto se non di sfuggita e lui le ha rivolto sì e no la parola, ma non le è dispiaciuto affatto e anche Janis, alla fine, le ha dato ragione.
 
Si sono frequentate spesso nei mesi che Ellie ha trascorso a Buckley. Ritornare lì, dopo quel terribile litigio con suo padre, le era sembrata la cosa più naturale da fare; non aveva altra scelta perché quello è l’unico posto al mondo che conosce davvero bene e non aveva senso stabilirsi altrove.
 
Tornare a Buckley, poi, per Ellie è stato ritrovare la mamma… letteralmente. Non era più stata davanti alla sua tomba da quando è partita, fuggendo da quel posto insieme a suo padre come una ladra, ma, in quei mesi di permanenza, è andata a trovarla ogni volta che le è stato possibile. Le cambiava i fiori quando erano secchi – le portava in prevalenza gerbere gialle e orchidee, i suoi preferiti – e le parlava a lungo, inginocchiata davanti a quella pietra liscia o seduta sulla ghiaia. Quando non c’era nessuno, soprattutto, Ellie fissava la fotografia della mamma, la migliore tra quelle che aveva perché doveva rappresentarla per com’era stata in vita: l’aveva scelta sorridente, con i capelli sciolti e gli occhi blu luminosissimi, come due zaffiri che brillavano di luce propria. Ellie ne accarezzava il contorno, stringendo i denti per non piangere perché la mamma non lo avrebbe mai voluto e scusandosi per non essere stata mai a trovarla negli anni trascorsi con papà, per averla lasciata sola.
 
Le parlava a bassa voce, per non farsi sentire dai passanti che talvolta la guardavano strano ma lei non se ne curava, perché se c’era qualcosa che la mamma le aveva insegnato era di essere se stessa sempre, anche in mezzo ad una folla di gente ed Ellie non poteva venire meno a questo insegnamento mai, soprattutto quando era davanti a lei. Le raccontava le sue giornate, proprio come faceva quando erano ancora insieme e questo, in parte, la faceva stare meglio, le dava un po’ di quella leggerezza che le stava venendo meno negli ultimi tempi.
 
Le serate in cui non lavorava e non stava con Janis le passava da sola, per lo più, a leggere libri, ad ascoltare musica o a disegnare. Mufasa, invece, l’ha trovato un giorno accanto al cassonetto fuori dalla sua porta; miagolava in cerca di qualcuno che gli desse qualcosa da mangiare. Ellie, non appena l’ha visto, se n’è innamorata ed ha voluto tenerlo con sé.
 
Per tutto il periodo di permanenza a Buckley, le ha fatto un’immensa compagnia. Più che un randagio, era chiaramente un gatto fuggito a qualcuno o lasciato da qualche idiota abbandona-animali, perché era affettuoso e dolce, così diverso dai mici che vivono tutta la vita in strada. Le faceva sempre le fusa e la notte era solito appallottolarsi in fondo al letto e dormire accanto ai suoi piedi.
 
Ellie, lo sguardo puntato verso la finestra, si stringe le braccia attorno al corpo ed osserva il paesaggio fuori; il cemento della strada accanto al motel rimpiazza in modo brutale quello del suo appartamento a Buckley, di fronte al parco cittadino. Il verde adesso è un grigio topo, imbrattato qua e là da qualche macchia colorata di cartelli pubblicitari o macchine parcheggiate. Ellie ne scorge una rossa e pensa alla “sua”, posteggiata nel parcheggio antistante il motel.
 
E’ ormai abituata a definirla tale, perché la guida da mesi, ma la verità è che, ogni volta che ci sale, pensa a colui che gliel’ha prestata: Bobby.
 
Ricorda ogni dettaglio della sera in cui si è presentata alla sua porta: erano passati sì e no un paio di giorni da quando aveva litigato con suo padre e non aveva la più pallida idea di dove andare. Poi le era venuto in mente di salire sul primo autobus e dirigersi a Sioux Falls, nell’unico luogo dove qualcuno avrebbe potuto aiutarla. Non voleva rimanere molto, solo il tempo necessario per raccogliere le idee e decidere il da farsi.
 
Era fine gennaio, l’aria fuori era fredda e il cielo minacciava di mandare giù una valanga di neve quando si è ritrovata davanti a quella casa, il borsone sulle spalle e il gelo nel cuore.
 
Ha ancora impresso nella mente il viso di Bobby quando le ha aperto la porta, quella stanchezza che subito si è trasformata in preoccupazione quando l’ha vista lì, infreddolita e sola davanti al suo ingresso.
 
L’ha fatta accomodare ed Ellie gli ha raccontato – con non poca difficoltà – il raccontabile: aveva litigato con papà che l’aveva mandata via, dicendole chiaramente che l’aveva avuta per troppo tempo tra i piedi e che, adesso che era maggiorenne, doveva prendere la sua strada e togliersi dalle scatole. Bobby aveva ascoltato tutto senza battere ciglio, ma con una rabbia negli occhi che Ellie non gli aveva mai visto addosso prima.
 
Le ha detto che poteva trattenersi lì per tutto il tempo che voleva, che quella poteva essere la sua casa se Ellie lo desiderava. Una parte di lei avrebbe voluto accettare, ma l’altra le diceva che era meglio andarsene – il rischio di incontrare un altro volto che le dava dolore era troppo grande e la sua scelta non era quella di restare tra i cacciatori, ma anzi, di stare il più lontano possibile da tutti loro – ed è a quella che ha dato ascolto. Non era di certo Bobby il problema, ma aveva bisogno di disintossicarsi da quell’aria marcia, piena di ricordi dolorosi e sangue e da quel senso di colpa per qualcosa che lei non aveva commesso che aleggiava sempre intorno a quelle persone. Aveva bisogno di respirare aria pulita, dopo averne inspirata tanta piena di sofferenza. Era quello che credeva più giusto in quel momento.
 
Anche quella casa, in fondo, era piena di ricordi. Bobby le aveva detto che poteva usare la stanza che aveva in più, come aveva fatto altre volte, ma Ellie aveva preferito rimanere a dormire sul divano piuttosto che rimettere piede lì dentro. Poi, però, alla tentazione di tornarci aveva ceduto; l’ha fatto una sola volta, quando Bobby era uscito per delle commissioni.
 
Era tutto uguale a come l’aveva lasciato, solo un po’ più in disordine: un bel cumulo di polvere si era accasciato sul comò, ma il letto era rifatto con cura ed Ellie si era rivista lì sopra, rannicchiata su se stessa quando aveva avuto paura di un ragno o quando era entrata in punta di piedi, in una notte di pioggia, per cercare di dargli conforto; le sere in cui lui entrava ed interrompeva le sue letture per fare due chiacchiere e poi l’ultima volta, quando proprio lì sopra, spogliata dei vestiti e dei pensieri, si era sentita desiderata come mai prima di allora e le aveva fatto così male il cumulo di sensazioni che quei ricordi avevano fatto riaffiorare che era uscita di corsa, maledicendosi per quella stupida idea e, quando Bobby è tornato, si è decisa ed ha fatto i bagagli. Quel vecchio brontolone ha voluto prestargli a tutti i costi una macchina, dicendole che a lui non serviva e che “gli autobus li prendono i vecchi”. L’unica cosa che le ha chiesto, è stata quella di fargli sapere dove andava e di non fargli perdere le sue tracce. Non ne avrebbe parlato con nessuno, neanche a suo padre – semmai glielo avesse domandato, perché Ellie dubitava fortemente che potesse accadere – e lei è stata di parola, dicendogli dove si trovava non appena si è stabilita a Buckley.
 
Ha continuato a sentirlo almeno una volta a settimana, fino a qualche giorno fa. Bobby la chiamava per sapere come se la cavava e per scambiare due parole; Ellie sa bene che lo faceva perché era preoccupato – soprattutto i primi tempi, quando le telefonate erano più frequenti – e, anche se le loro conversazioni non duravano più di un minuto o due – giusto il tempo di chiedersi come stavano e come se la passavano –, a lei si scaldava il cuore a sentire quella voce buona perché voleva dire che c’era ancora qualcuno, incontrato lungo il cammino, che le voleva davvero bene. E talvolta questo, per qualche strano motivo, era anche più appagante della routine di Buckley.
 
Per tutto il tempo in cui è rimasta lì, ha avuto la strana sensazione che prima o poi sarebbe dovuta tornare sulla strada; se lo sentiva nelle viscere che qualcosa o qualcuno l’avrebbe richiamata all’ordine. Non si aspettava che a farlo sarebbe stato Dean, ma forse pretendere una telefonata da suo padre era troppo.
 
Si sono trattati troppo male e una parte di lei crede che probabilmente non lo vedrà mai più. Eppure ce l’aveva messa tutta per resistere all’irrefrenabile impulso che aveva a volte, quando la pazienza la abbandonava, di urlargli che era uno stronzo e che avrebbe almeno dovuto provare ad essere un padre, a guardarla non come un intralcio ma come una cosa bella, come parte della sua famiglia. Ci sono persone che darebbero via un rene pur di ritrovare un figlio perduto, ma di certo James Davis non appartiene a quella categoria e, quando la bomba è scoppiata, Ellie non ha saputo più trattenersi.
 
A volte di notte si sveglia e ripensa ad ogni istante di quel litigio furibondo, alle parole aggressive di suo padre e tutta la sua rabbia, quella che sembrava aver represso per tutto il tempo che hanno trascorso insieme. Si chiede se ne è valsa la pena di arrivare a questo punto, se mai sarà possibile tornare indietro e molto spesso si risponde che no, non lo è, e quel pensiero le fa così male da provocarle una fitta dolorosa – tremendamente intensa – tra le costole, qualcosa che non accenna a diminuire nonostante siano passati quasi nove mesi, lunghi e talvolta freddi come un inverno.
 
Non riuscirà mai a recuperare il rapporto con suo padre perché in realtà non ne hanno mai avuto uno che si potesse definire tale, ma la speranza è l’ultima a morire ed Ellie, da qualche parte nel suo cuore, ci crede ancora. Chissà se avrà mai il coraggio di andarlo a cercare, un giorno.
 
Un paio di colpi alla porta la riscuotono da quei pensieri. Si avvicina e non si sorprende quando apre e trova Dean lì fuori che le sorride di sbieco «Non hai ancora imparato a controllare chi è prima di aprire».
 
Ellie alza le spalle e non gli risponde. Era solo distratta. Sa di non poterselo permettere in questo lavoro, che deve essere sempre pronta e concentrata, ma ancora deve riabituarsi a tutto questo, al dover stare sempre allerta e attenta a tutto.
 
A Buckley era solita mettere strisce di sale alle finestre, anche se a volte era difficile perché a Mufasa piaceva arrampicarsi lì sopra per curiosare fuori e il sale si sparpagliava a terra. Sorride seguendo il filo dei suoi pensieri e sente il rumore di un paio di dita schioccare, in lontananza. Si riscuote e solleva lo sguardo trovando Dean che la guarda perplesso mentre agita una mano di fronte al suo viso per attirare la sua attenzione. «Ci sei?» Ellie annuisce. «Bene, perché dovremmo andare. E non sei ancora vestita».
 
Ellie si osserva da capo a piedi – la maglia verde con l’elefante che porta per dormire e nient’altro addosso – ed effettivamente deve cambiarsi. Prende qualcosa dall’armadio e si dirige in bagno senza dire una parola. Pazienza se oggi gli sembrerà più strana del solito, tanto non ha mai avuto un’alta opinione di lei… forse. Ellie credeva di sì, ma poi è cambiato tutto, quindi non sa più dirlo con certezza.
 
Durante il periodo trascorso a Buckley, ci ha pensato spesso – non può negarlo – e le è mancato. Il suo raro sorriso vero – quello che a volte sembrava riservare solo a lei – e il suono della sua risata, gli occhi limpidi e sinceri di quando si apriva – di rado, ma si ricorda ancora quando lo ha fatto la prima volta, un lago e un gelato al cioccolato a fargli compagnia –, le partite a biliardo e la sua totale incapacità nel mangiare cibo cinese. Le sono mancate le piccole cose di Dean, quelle che più lo rendevano speciale ai suoi occhi.
 
Più volte si è chiesta se quello che avevano vissuto, quelle sensazioni e quella sincerità che leggeva nei suoi occhi non fossero nient’altro che un’illusione, qualcosa che si è solo immaginata di vedere e non ci fossero davvero, ma sa di non essere pazza o visionaria, perciò era solita pensare che no, non si era sognata niente; è quello che è successo dopo che le sfugge, quello che è cambiato, come e perché, ma la risposta che si è data più volte non le è mai piaciuta e finiva col provare a non pensarci per non farsi più male.
 
Ha riflettuto spesso anche sul loro litigio, sulle cose che gli ha urlato contro. Non le pensava tutte, chiaramente, ma il fatto che Dean non l’abbia fermata, che non le abbia detto nulla, l’ha spinta a credere che forse, invece, era tutto vero. In realtà, se lui ha provato a dirle il contrario, Ellie neanche se lo ricorda. Probabilmente nemmeno l’ha sentito, presa com’era dalla sua rabbia.
Non si infuria mai, ma quando lo fa spesso dice cose che non pensa e quello, sicuramente, era uno dei casi.
 
Ricorda il suo sguardo smarrito di fronte alla sua collera, come se tutto quello che Ellie gli stava dicendo non avesse alcun senso per lui. Vorrebbe aver avuto la pazienza necessaria per fermarsi e riflettere e magari spiegargli tutto con calma, fargli capire il suo punto di vista senza aggredirlo in quel modo. Ormai, però, non può tornare indietro.
 
Esce dal bagno e lo trova seduto sul suo letto a guardarsi intorno. Le sorride quando la vede uscire «Pronta?» e la osserva, l’espressione è quella di chi sembra aver ritrovato qualcosa che credeva di aver perduto per sempre: non scruta il suo corpo come ha fatto a volte in passato, non è impegnato a seguire con lo sguardo le curve dei suoi fianchi o a sbirciare nella scollatura della camicia chiara; è semplicemente concentrato sul suo viso, sui suoi occhi.
 
Non svia lo sguardo, anzi, sembra prendersi tutto il tempo che vuole per studiarla, come per cercare di scavare più a fondo e leggerle dentro; è come se fosse consapevole di qualcosa che invece sfugge ad Ellie.
 
Lei fa altrettanto, prendendosi un momento per osservarlo con attenzione: i contorni regolari del viso, gli occhi verdi sempre un po’ spenti – se li ricordava più intensi, meno sbiaditi e stanchi –, la pelle delle guance quasi glabra e il lieve profumo di dopobarba che le arriva alle narici e in questo piccolo momento non sembra essere cambiato niente da un anno fa ad oggi.
 
Ellie si chiede se la sensazione che sente addosso – che gli è mancata, forse almeno quanto lui è mancato ad Ellie – è solo un’altra illusione oppure no, ma decide di fregarsene di trovare una risposta. Non le interessa neanche sapere in che modo gli è mancata, se come amica o come possibile amante – che lei ricorda quella notte come la più bella del mondo, ma forse lui è abituato ad altri standard – o qualsiasi cosa siano adesso, si limita semplicemente a cullarsi in quella piccola sensazione di benessere che quel pensiero le provoca.
 
Non ha dimenticato quello che le ha fatto e quanto ci è stata male, quanto ha sofferto per tutto quello che è successo e quanto sia ancora delusa da lui e dal suo atteggiamento, ma in questo preciso momento non ha alcuna importanza.
 
Prende la borsa e si avvia fuori, a seguire la pista che spera li porterà a trovare almeno una mezza soluzione a questo strano caso.
 
*
 
Parcheggia l’Impala di fronte a quel cumulo di mattoncini rossi ammassati l’uno sopra l’altro e tenuti insieme da chissà quanti strati di cemento.
 
A Dean non sono mai piaciute le scuole né frequentarle e, forse, gli piace ancora di meno l’idea che adesso, dopo anni di libertà, deve rimetterci piede e mischiarsi a tutti quei mocciosi saltellanti in balia dei loro sbalzi di ormoni.
 
Dà un’occhiata al cellulare, per la millesima volta in pochi giorni: nessuna chiamata, nessun messaggio, niente di niente. Suo padre è ancora disperso e Dean non sa più come cazzo comportarsi a riguardo. Forse dovrebbe mollare tutto e andarlo a cercare, che tanto questo caso non lo sta portando a niente e, anzi, gli sta solo facendo perdere un sacco di tempo prezioso, ma poi pensa che è comunque qualcosa che il suo vecchio gli ha affidato e, in un modo o nell’altro, è suo compito portarla a termine.
 
Sospira e osserva Ellie al suo fianco; è un po’ troppo silenziosa per i suoi standard, e Dean non sa se è questo l’atteggiamento che dovrebbe aspettarsi – e quindi tacere perché è giusto che lei si comporti così – o se invece, per qualche strano motivo, vorrebbe che fosse incazzata, più nervosa. Non sa per quale ragione, ma ha la sensazione che tutto questo, in un certo senso, le scivoli addosso, che non le interessi sul serio. Forse è solo un’idea, o forse l’anno che Ellie ha trascorso lontano da lui è stato così difficile da farle riconsiderare tutto quello che sapeva, da trasformare il suo atteggiamento e cambiarla nel profondo.
 
Si inumidisce le labbra «C’è qualcosa che non va?»
Ellie si volta nella sua direzione e scuote appena la testa «No, è tutto ok. Sono solo… pensieri» appoggia una mano sulla maniglia dello sportello, come se avesse fretta di uscire.
Dean annuisce pensieroso «Se… se devi tornare per il tuo lavoro o per qualcosa lo capisco, insomma… » sa che è contro il suo interesse dirlo e che vorrebbe averla sempre al suo fianco, anche quando tutto questo giro di stranezze sarà finito, ma non può dimenticare il fatto che Ellie ha lasciato – seppur temporaneamente – il suo lavoro per venire fin qui.
Lei scuote nuovamente il capo e abbozza un sorriso «E’ tutto sotto controllo» scende dalla macchina e Dean fa altrettanto, seguendola.
 
Ellie cammina a passo deciso, la gonna che le lascia scoperte le gambe e la giacca avvitata che le calza a pennello; una camicia bianca e i capelli sciolti, sembra la persona più professionale del mondo e, in questa mise, dimostra a malapena i suoi ventidue anni ormai compiuti. In un certo senso, però, è come se non fosse ancora abituata a quella specie di uniforme; Dean lo capisce dal modo in cui si liscia la gonna ogni tanto, come se fosse un po’ nervosa. Forse non si abituerà mai a tutto questo, all’eleganza che devono fingere di possedere per far credere a tutti che è quello il loro vero lavoro e Dean non può neanche darle tutti i torti.
 
Entrano all’ingresso e Dean si guarda intorno, constatando velocemente che le scuole americane sono tutte uguali. Lui, da ragazzo, ne ha girate parecchie: ogni volta che suo padre aveva un caso che si protraeva per un tempo piuttosto lungo, iscriveva lui e Sammy in una scuola, così da farli acculturare un po’. Sam era felice di questo, sebbene tollerasse molto poco l’idea che doveva cambiare compagni e classe ad intervalli più o meno regolari, ma per Dean era una cosa terribile. Studiare non è mai stato nelle sue corde.
 
Osserva quel corridoio infinito corredato da un’altrettanto sterminata fila di armadietti e sospira appena, notando che Ellie sta facendo lo stesso. «Ti è mancato un posto come questo?»
Lei alza la testa e lo guarda, le labbra incurvate in un sorriso stanco «Per niente».
 
Dean sorride di sbieco; neanche ad Ellie è mai piaciuta la scuola, non l’ha mai nascosto. Gli anni del liceo sono stati tutto fuorché piacevoli a quanto gli ha raccontato, quindi questo non è decisamente l’ambiente in cui si sente più a suo agio. Per una volta sentono le stesse cose – perché a Dean, da quando è tornata, sembra che vedano tutto in maniera opposta, ma magari non è così.
 
Dopo aver chiesto gli opportuni permessi al preside Stern, Dean ed Ellie si dirigono in palestra, dove Jennifer Hamford si sta allenando insieme alle sue compagne cheerleader. Sì, perché a quanto pare la ragazzina è tipo la punta di diamante della squadra e si fa rispettare all’interno di quello strano circolo pieno di altrettanto strane regole che è il mondo delle cheerleader.
 
Dean la osserva muoversi e, avendo già visto sue foto tra i documenti scolastici che ha spulciato nei giorni precedenti, la riconosce immediatamente: bassina, i capelli neri e lunghi raccolti in una coda di cavallo ed il fisico abbastanza asciutto. A lui, però, che conosce piuttosto bene i corpi di molte cheerleader – e non solo perché gli piaceva frequentarle quando passava dalle parti di un qualche liceo – stona qualcosa: potrà anche essere brava nella coordinazione, ma Jennifer Hamford ha il culo basso, il suo viso non è particolarmente grazioso – un po’ spigoloso, il naso a punta e il mento un po’ sporgente – e a Dean sembra strano che di tutte le ragazze magari anche più belle di lei che hanno fatto il provino per entrare nella squadra della Junior High School sia stata lei la prescelta. Ma forse è solo una sensazione, perché ormai si è convinto che lei c’entri qualcosa con questa faccenda.
 
Osserva Ellie al suo fianco mentre si guarda intorno curiosa e, non appena capiscono che l’allenamento è terminato, si avvicinano a quella ragazza.
 
Jennifer sta parlando con un’altra tipa, presumibilmente una sua amica, il sorriso a sessanta denti; sembra tutto fuorché sconvolta per la scomparsa di un suo compagno di scuola.
 
Ellie non le parla finché non sono praticamente al suo fianco. «Jennifer Hamford?»
Le due ragazze si girano e la guardano con la spavalderia tipica delle adolescenti di sedici anni «Chi la cerca?»
Entrambi tirano fuori il distintivo e Dean aggrotta la fronte; già gli girano le scatole «Agenti Malcolm e Angus [2], FBI».
A sentire quelle parole, tutte e due cambiano espressione: Jennifer mostra un sorriso – quello di chi è disposto a fare di tutto per leccarti il culo –, mentre l’altra – un po’ più alta ma comunque minuta, i capelli castani chiari e gli occhi celesti –, è visibilmente più titubante, sembra quasi abbia paura. Dean sa fin troppo bene che quel distintivo mette timore a chi deve averne perché ha fatto qualcosa di sbagliato e questo è un indizio che decide di tener bene a mente. «Vorremmo farti delle domande sulla scomparsa di Kevin Dion».
 
La ragazza si morde il labbro e annuisce. Guarda l’amica che le appoggia una mano sulla spalla e la saluta con un cenno del capo «Ci vediamo dopo Amy, aspettami a mensa» forse l’altra ha capito che per lei era bene togliersi di torno. Jennifer punta di nuovo gli occhi su di loro. «Quello che sapevo l’ho già detto alla polizia».
«Non credo ti farà male ripeterlo anche a noi» Dean si volta di scatto verso Ellie e non sa se essere compiaciuto o no di quella sua uscita; la ragazzina è evidentemente antipatica anche a lei, su questo non può darle torto, perciò eviterà di bacchettarla dopo, a meno che non continuerà ad essere acida per il resto dell’interrogatorio – o qualsiasi cosa sia questa chiacchierata al centro di una palestra scolastica.
 
La ragazzetta sbuffa e incrocia le braccia al petto «Ok… basta che sia una cosa veloce, tra un quarto d’ora ho il corso di letteratura».
«Ti aspetteranno» Dean sorride beffardo; e pensare che si era quasi fatto un’idea positiva degli adolescenti di questa città. Kevin e l’altro tizio erano tutto fuorché degli stronzetti come questa qui. «Allora, cosa puoi dirci di Kevin?»
Jennifer stringe le spalle «Beh, lui è… un ragazzo semplice, alla mano. Gli piace aiutare tutti».
«Aiutava anche te?»
«A matematica. Sono una schiappa con le disequazioni e… con tutta la matematica in generale, a dire il vero» sorride e si gratta dietro la nuca, sembra leggermente in imbarazzo «Lui è sempre disponibile per darmi delle ripetizioni».
«L’ultima volta che l’hai visto?»
«Martedì sera. Abbiamo studiato e poi è rimasto a cena da me».
 
Dean la osserva con attenzione: ha tolto quell’espressione stronza e altezzosa dalla faccia e lo guarda sempre negli occhi, come se volesse aggraziarselo, ma questo di certo non gliela fa piacere di più. C’è qualcosa di strano in lei, è come se nascondesse qualcosa. Dean non si sente più un adolescente da un pezzo – magari non lo è neanche mai stato; è cresciuto troppo in fretta anche solo per ricordarsi la sensazione – ma sa che sanno mentire molto bene pur di nascondere le loro marachelle sotto un mucchio di sabbia.
 
«Un’ultima domanda: tu e Kevin avete qualche amico in comune?» la ragazzina lo guarda perplessa «Perché non frequentate gli stessi corsi, dico bene?»
Jennifer sembra pensarci per un secondo «Solo… solo quello di matematica. Non è un ragazzo ultrasocievole, è—»
«Voglio solo sapere se avete conoscenze in comune, nient’altro».
«Beh, c’è… c’è Amy… voglio dire Amelia Duncan, la mia migliore amica. Quella che ho salutato un attimo fa».
 
Dean annuisce in modo quasi impercettibile, mentre un pensiero si fa velocemente strada nella sua testa. Infila la mano destra nella tasca della giacca e tira fuori un rettangolino di carta bianca; lo porge a Jennifer che lo afferra, dubbiosa «Se ti viene in mente qualcos’altro sai dove trovarci».
 
Lei annuisce, le labbra strette in una linea sottile; in fin dei conti è solo una ragazzina e, se si è messa in qualche casino più grande di lei e deciderà di volere un qualche aiuto, Dean crede sia giusto darle una mano ad uscirne fuori.
 
*
 
Il resto della mattinata e il pomeriggio sono stati piuttosto tranquilli, calmi. Ellie e Dean hanno anche parlato con Amelia, l’amica strana di Jennifer, e… gli è sembrata ancora più strana. Sembrava voler sviare le domande, era vaga… a nessuno dei due ha fatto una buona impressione, ma Dean ha lasciato un biglietto da visita anche a lei, nel caso le venga voglia di parlare di quello che ha combinato con la sua amica, perché è sempre più chiaro che entrambe hanno a che fare con tutta questa storia, anche se Amelia sembra un po’ più consapevole di quello che potrebbe succederle, più… timorosa. 
 
Infatti, dopo aver fatto delle ricerche anche su di lei, Ellie ha ascoltato Dean tirare le fila della situazione e il suo discorso, per lei, non fa una piega.
 
Jennifer Hamford, sicuramente aiutata dalla sua amica, avrebbe qualcosa a che fare direttamente con la scomparsa di Kevin. Non l’ha di certo ucciso o torturato – è pur sempre una ragazza e molto giovane, perciò non sarebbe stata tanto tranquilla in quel caso –, ma sa dove si trova.
 
Dietro tutta questa storia c’è chiaramente un pizzico di stregoneria: lei ed Amy si saranno divertite a fare qualche incantesimo, per esempio per migliorare i voti che avevano in alcune materie scolastiche – e questo le loro pagelle lo confermano, visto che in letteratura sono passate da due C a tre A- in brevissimo tempo – e ad entrare nella squadra delle cheerleader, in quanto, secondo Dean, “nessuno avrebbe fatto passare alle selezioni quella lì”. Per Ellie, invece, Dean si basa solo sul suo gusto personale in questo giudizio, ma effettivamente ricorda che le cheerleader che erano nella squadra della sua scuola erano molto diverse: più alte, più slanciate, nel complesso più belle e atletiche. Jennifer Hamford potrà essere una brava ballerina, magari, o una brava ginnasta, ma effettivamente è difficile pensare che sia riuscita a passare le selezioni solo per la sua estetica. Probabilmente Kevin ha scoperto l’inganno e le due amiche hanno trovato un modo per farlo tacere, seppur temporaneamente.
 
E’ per questo che si stanno dirigendo all’abitazione di quella ragazza adesso: hanno atteso la sera, così potranno appostarsi indisturbati.
 
Jennifer vive da sua zia, una donna di nome Kelly Hamford, la sorella del padre. E’ sola, senza marito o figli e, a quanto hanno trovato scritto nella sua cartella nell’ufficio scolastico, è l’unica in grado di prendersi cura della nipote nel periodo che sta vivendo adesso, mentre i genitori sono nel Maryland per questioni di lavoro.
 
Ellie batte piano le dita sulle sue cosce, aspettando che Dean rientri con la cena – chissà perché ha insistito per andare a prenderla da solo –, e si guarda intorno, accarezzando poi la pelle del sedile dell’Impala ed inspirando il profumo che le arriva alle narici. Ha già potuto constatare che i gusti musicali di Dean non sono cambiati e c’è sempre una delle sue cassette di un qualche gruppo rock che scalda l’atmosfera, ma non è questo che le era mancato di più: era la sensazione di un luogo familiare, protetto. Ricorda quando ci hanno dormito per non pagare l’affitto della stanza di un qualche motel, una delle tante volte in cui dovevano raggiungere i loro padri chissà dove: era riuscita a guadagnarsi il sedile posteriore dopo averlo battuto a morra cinese ed era molto più comodo di quello della piccola Volvo a cui si è affezionata, ma che è tutto tranne che confortevole per dormire; ha provato la sensazione un paio di sere fa, prima di arrivare qui a Westwego. E’ un periodo di magra per Ellie – tra l’affitto e le spese che son sempre tante – e non poteva permettersi di prendere una stanza – soprattutto in vista del suo soggiorno qui –, così si è raggomitolata sul sedile posteriore con una coperta addosso ed ha provato a prendere sonno, ma è stata solo la stanchezza ad aiutarla ad addormentarsi. La mattina dopo, infatti, si è ritrovata con un terribile mal di schiena.
 
Perciò sorride appena pensando alla differenza, a quanto invece era più largo e comodo il sedile di questa macchina e si volta verso la parte posteriore, dove sa che è nascosto quel piccolo soldatino di plastica e, sebbene non riesca a vederlo perché non c’è luce, è sicura che sia ancora lì e la cosa, non sa perché, la rincuora.
 
Il rumore dello sportello dalla parte della guida che si apre distoglie Ellie dai suoi pensieri. Dean rientra con la cena che, per oggi, ha la forma di un cartoccio di carta bianca.
Ellie sorride mentre lo afferra e riconosce immediatamente di cosa si tratta dalla forma del cartone e dai disegnini arancioni che vi sono sopra «Cinese, eh?»
Lo guarda annuire «Non lo mangio da un po’ e mi ricordavo ti piacesse».
 
Anche Ellie annuisce, mentre Dean mette in moto e guida fino a fermarsi di fronte alla dimora di Kelly Hamford, ma sul lato opposto della strada, per non dare troppo nell’occhio.
E’ una casa abbastanza semplice, ma sembra spaziosa; ha un solo piano, perciò tutte le stanze sono collocate al pian terreno e le ampie vetrate non nascondono al meglio le attività delle due donne. C’è un grande giardino davanti alla porta e un piccolo viale che conduce dal cancello all’ingresso principale. Molto semplice, ma carino.
 
Dean ha fatto scorta anche di caffè e porge uno dei due bicchieroni che ha comprato ad Ellie che lo prende in mano, sfiorando inavvertitamente le sue dita e sentendo un brivido correrle lungo la spina dorsale. Finge di non prestarci attenzione e afferra il cartoccio bianco, prendendo poi le bacchette e lo apre; il vapore e l’odore di spezie si espandono immediatamente nell’abitacolo e anche Ellie, ripensando a quello che le ha detto Dean prima, constata silenziosamente che non mangiava cinese da qualche tempo; l’ultima volta ci è andata con Janis qualche mese fa.
Prende uno dei bocconcini e lo porta alla bocca ed osserva Dean lottare con i bastoncini per fare lo stesso; sorride divertita «Ancora non hai imparato ad usarle?»
Dean la guarda leggermente irritato – la faccia tipica che fa quando non gli riesce qualcosa – e sbuffa, scuotendo appena la testa «Come ho detto, non mi esercito da un po’. E poi non avevo più la mia maestra personale».
 
Ellie si morde le labbra e abbassa lo sguardo mentre il risolino di prima sparisce velocemente. Forse a lui piace ricordare o parlare della loro “rottura” – se così può chiamare il furioso litigio che li ha tenuti separati per un anno –, ma a lei non molto perciò preferisce cambiare argomento. Ha notato che non hanno mai discusso mentre tentavano di mettere insieme i pezzi di questo caso che li sta facendo penare, non vede perché debbano rovinare il clima mite che si è instaurato tra di loro durante la giornata.
 
Manda giù il boccone «Comunque potremmo prendere la mia macchina, la prossima volta».
Dean sorride di sbieco «Senza offesa, ma i catorci di Bobby non fanno per me. Poi non mi fido di te che guidi».
Ellie fa altrettanto, mostrando poi un finto broncio «Non è tanto più vecchia della tua e poi è affidabile e… ed io non guido male».
«Resta il fatto che la mia piccola non si batte».
 
Ellie stringe le spalle e lo guarda accennare un sorriso nella sua direzione, gli occhi fissi nei suoi. A volte sembra la persona più spensierata e felice dell’universo, altre è più abbattuto, quasi triste. Anche il suo anno non dev’essere stato dei migliori.
 
Una domanda le ronza in testa da un po’ e non ce la fa più a trattenerla per sé. Forse perché prima non lo faceva mai «Dean, mi spieghi perché… perché non hai più chiamato Bobby?» non glielo chiede con cattiveria, ma vuole una risposta sincera «E’ quasi un padre per te, perché non—»
«Non è come pensi tu» Dean sbatte i pollici sul volante, lo sguardo rivolto verso il cancello di ferro battuto di casa Hamford, alla sua sinistra «Io non voglio mettermi in mezzo. Mio padre è strano e probabilmente Bobby ha le sue ragioni per essersi comportato in quel modo, ma… non voglio entrarci».
 
Ellie alza le spalle; non è d’accordo con questo discorso, perché se fosse così allora anche lei e Dean non dovrebbero parlarsi per la discussione che hanno avuto i loro padri, ma non ha intenzione di controbattere. E’ come se l’atmosfera tra di loro fosse sempre tesa – quando non parlano del caso, appunto – e non le va di approfondire troppo certi argomenti, non vuole creare altre discussioni. Quasi si pente di aver fatto quella domanda, solo che… una volta ci dicevamo tutto, maledizione. E’ come se fosse un’abitudine che non riesce a togliere.
 
Segue un attimo di silenzio, poi Dean parla ancora «Ti ha chiesto qualcosa di me?» ed Ellie si volta a guardarlo nuovamente «In che senso?»
«Se mi avevi visto o cose del genere».
Lei scuote la testa «Non è stupido. Credo abbia capito che io e te non ci parliamo granché adesso» prende un respiro «Non mi sarei presentata alla sua porta, altrimenti. Avrei chiamato te quando avevo più bisogno di aiuto».
«Potevi farlo» lei lo guarda negli occhi, un po’ sorpresa da quelle parole «Non ti avrei chiuso la porta in faccia, Ellie, lo sai».
«Lo avrei fatto se avessi voluto, ma non… » sospira, non sapendo bene come concludere la frase. La verità è che ci ha pensato, ci ha riflettuto per più di un lungo istante, ma se ne sarebbe pentita perciò non ha neanche tentato. E poi quello accanto a Dean non era più il suo posto… se mai lo era stato. «E comunque c’era tuo padre. Non avrei… insomma, non saremmo stati esattamente un’allegra famigliola felice» Dean la guarda, le sopracciglia leggermente aggrottate e l’espressione visibilmente confusa «Io, te e John. Immagino i salti di gioia che avrebbe fatto se fossi comparsa sul serio».
Dean scuote la testa sbuffando leggermente e appoggiando poi il gomito sul volante «Senti, papà ha esagerato a dire quelle cose su di te, è vero, ma tu non lo conosci».
«Nemmeno lui conosce me, però si è permesso di giudicarmi».
 
A quelle parole, Dean non risponde più e torna a concentrarsi sulla sua cena finché non finisce di mangiare – con non poca difficoltà. Ellie fa altrettanto e poi appoggia il gomito sulla parte dello sportello da cui sale il finestrino.
 
E’ passato del tempo, ma non riesce proprio a tollerare il fatto che Dean difenda continuamente suo padre, così, a spada tratta, anche se ha palesemente torto. Nonostante ne ammetta le colpe, trova comunque un qualcosa per farlo uscire pulito e ad Ellie tutto questo dà sui nervi. E forse è questo il motivo per cui probabilmente non si metterà mai quella storia alle spalle, perché si è sentita così ferita e non ha trovato in Dean l’appoggio che cercava. A volte crede di avergli scaricato addosso tutta la sua rabbia senza neanche avergli dato modo di rispondere nulla, ma altre si rende conto che ha avuto tutto il tempo possibile per dimostrarle che si stava sbagliando, che lui la pensava diversamente, ma non l’ha lasciata da sola a risolvere un problema quando avrebbe dovuto, quando Ellie si sentiva pronta per farlo; non le ha dato la fiducia che Ellie credeva di meritare. Perciò sì, anche lui ha le sue colpe.
 
Rimane in silenzio per non sa quanto tempo, osservando zia e nipote di casa Hamford spartirsi bonariamente la cena.
 
«Ci pensi mai a quella sera?»
La voce di Dean si espande nell’abitacolo ed Ellie si volta di scatto, trovandolo a guardarla dritto negli occhi. Sa fin troppo bene a cosa si riferisce ma, onde evitare figuracce, crede sia meglio chiedere. «Quale?»
«E dai, hai capito».
Sì, intendeva proprio quello. Non ha senso mentire, Dean lo capirebbe subito e non le va di fargli pensare chissà cosa. Meglio rimanere vaghi.
«A volte. Perché me lo chiedi?»
«Così». Ellie torna a concentrarsi su Jennifer, sperando che il discorso sia finito, ma si ricorda fin troppo bene l’atteggiamento di Dean di fronte a certe cose, perciò… sicuramente vorrà parlarne, altrimenti se ne sarebbe stato zitto. «Perché io… io credevo veramente che ti fossi pentita».
Ecco, appunto. Ellie si aspettava che, prima o poi, tutta quella storia sarebbe uscita fuori, dopo essere stata sepolta per un lungo anno nel mare del silenzio. Lo guarda, le braccia incrociate al petto «Vuol dire che non hai capito proprio niente di me» lui la osserva senza rispondere «Insomma… davvero non ti sei reso conto di quanto stavo bene?»
Dean si gratta dietro la nuca. Sarà passato del tempo, ma Ellie lo conosce e non la frega: sa che è nervoso in questo momento e lo celerebbe anche bene se avesse una sconosciuta davanti e non lei. «Questo non vuol dire nulla. Uno può… può sempre cambiare idea la mattina dopo. Succede. In fondo sbagliamo tutti, può capitare anche a te».
Ellie continua a guardarlo; non ha mai sentito addosso tanta voglia di prenderlo a schiaffi come in questo momento «Proprio perché mi è già successo ci ho pensato bene prima di… di lasciami andare con te quindi no, non ero pentita. Non lo sono neanche adesso» prende fiato, le guance che le prendono fuoco; non ha senso mandare questo discorso per le lunghe, tanto è sicura che Dean troverebbe comunque il modo per ritirarlo fuori. Tanto vale mettere le cose in chiaro una volta per tutte «Però per me era importante e mi sarebbe piaciuto che lo fosse stato anche per te».
«Nessuno ti ha detto il contrario» Ellie lo fissa, indecisa su cosa rispondere, il cuore che le scoppia nel petto al sentirgli dire quelle parole «Non avrò capito niente di te, ma potrei dirti la stessa cosa. Voglio dire, non credi che se veramente la pensavo come mio padre—»
«Oh, andiamo… avevi mille modi di dirmi che mi sbagliavo e non hai fatto niente».
«Se mi avessi dato il tempo di spiegarti quando ci siamo visti… »
«Ero arrabbiata».
«No, eri furiosa. Dio, non ti avevo mai vista in quel modo, sembravi una iena pronta a sbranarmi».
«Non pensavo ti spaventassi così facilmente».
 
Dean solleva un angolo delle labbra verso l’alto, roteando gli occhi; se non lo conoscesse, penserebbe che tutto questo lo diverte, ma ormai ha capito che è tutta una farsa per non far vedere quello che sente davvero. Non è la prima volta che fa così, che si mostra forte quando magari dentro sta uno schifo. Solo che Ellie non ha più nessuna voglia di capirlo o giustificarlo. L’ha fatto troppo a lungo e non l’ha portata a niente.
 
«Comunque sia» Dean riprende a parlare, tossicchiando leggermente «Io lo pensavo perché non ti ho trovata quella mattina, ma magari… »
Ellie stringe forte le palpebre. Non vuole che questa conversazione duri all’infinito, è già abbastanza infastidita da tutto questo discorso. Non ha senso tirarla ancora per le lunghe, tanto non c’è soluzione, non c’è modo di tornare indietro e rimediare agli sbagli commessi perciò lo interrompe prima che possa terminare quella frase «Va beh, ora dacci un taglio» Dean la guarda perplesso «Hai ottenuto quello che volevi, ora che sai che non ero pentita… perché devi farla così lunga? Perché devi… devi tediarmi ancora con questa cosa?»
Nota i muscoli della sua mascella guizzare velocemente, stringersi in una morsa «Di qualcosa dobbiamo pur parlare».
«Non di questo».
 
Dean inspira forte e si volta verso il finestrino, l’espressione arrabbiata. Ellie sa perfettamente di essere stata dura, di aver usato un tono brusco, ma non le importa perché era esattamente quello che voleva. Anche perché è perfettamente conscia del fatto che se non l’avesse interrotto le sarebbe scappato di bocca qualcosa di molto peggio.
 
Le due donne della famiglia Hamford rimangono buone e docili per tutta la sera: nessun battibecco, nessun tipo di traffico losco o gitarella particolare in qualche luogo sospetto; sono fin troppo tranquille ed Ellie deve lottare con tutte le forze che ha per non addormentarsi. Non è più abituata ad appostamenti notturni o a dormire poche ore per notte, perciò trova tutto questo tremendamente stancante.
 
Per di più, Dean non dice una parola e forse è meglio così. Non ha voglia di discutere ancora su quella storia; è passata e deve finire. Fondamentalmente perché non vuole peggiorare quello che è già parecchio deteriorato di suo.
 
Lo osserva silenziosamente, con la coda dell’occhio, e nota che, ogni tanto, Dean tira fuori il telefono dalla tasca della giacca di pelle e ne osserva il display per alcuni secondi, per poi richiuderlo e rimetterlo al suo posto. Forse sta aspettando una telefonata di suo padre. Ellie non lo biasima per questo; in fondo, quando suo papà spariva per giorni interi senza lasciare neanche un biglietto, lei lo chiamava fino allo sfinimento, intasandogli di messaggi la segreteria, perciò capisce la sua preoccupazione. E’ più che legittima.
 
Ellie sa che non possono permettersi di mettersi a dormire, perché c’è un ragazzo che è scomparso e potrebbe stare bene o forse no e non possono riposarsi finché non lo avranno trovato e riportato a casa sano e salvo, ma è talmente stanca che non riesce a resistere e neanche si accorge quando le palpebre le si chiudono da sole e il sonno la travolge totalmente fino a farla crollare, il collo storto sul sedile di pelle.
 
Si sveglia che il cielo fuori è più chiaro, brillante. Si stropiccia gli occhi e si ritrova in una posizione più comoda, la testa appoggiata al finestrino ed una coperta addosso. Si guarda intorno, gli occhi ancora piccini, ed è ancora nell’Impala; ritrova Dean seduto sul posto di guida, come sempre.
 
Ellie si tira su di scatto e lui, accorgendosi dei suoi movimenti, si volta nella sua direzione, abbozzando un sorriso stanco e non tanto caloroso. «Ben svegliata».
Lei lo guarda allarmata. «Oddio, scusa, mi sono—» ma Dean scuote la testa. «Non fa niente. Non sei più abituata a questi ritmi, eh?»
Scuote la testa «E’ successo qualcosa?»
«No. Sono andate a letto ad un’ora decente e la zietta si è alzata da poco per andare a lavorare… presumo. Per il resto tutto morto, Torrance Shipman [3] è ancora nel mondo dei sogni» Ellie aggrotta la fronte e lui scuote la testa abbozzando un sorriso «Dovresti guardarti qualche film ogni tanto, non ti farebbe male».
 
Ellie alza le spalle e guarda fuori dal finestrino: non sono più fuori dall’abitazione delle Hamford, ma nel parcheggio del motel. Era così stanca che non si è accorta di nulla, neanche del motore che si accendeva.
 
Scendono dall’Impala e Dean si avvicina alla porta della sua stanza, infilando poi la chiave nella serratura. Ellie dovrebbe andare nella sua per rinfrescarsi un po’, ma gli si avvicina, in modo del tutto istintivo. «Scusa se mi sono addormentata. Sul serio, io… non sono riuscita a tenere gli occhi aperti».
Lui scuote la testa «Per questo si fa conversazione, di solito. Per rimanere svegli» sorride appena e ad Ellie non sfugge la massiccia dose di ironia nel suo tono di voce «Comunque non fa niente, in fondo non… aspetta un attimo» si interrompe da solo, togliendo il cellulare dalla tasca.
 
Ellie lo osserva e vede i suoi occhi illuminarsi per qualche secondo, prima di aprire il display; forse crede che sia suo padre, e magari una cosa potrebbe essersi aggiustata, che forse è tutto a posto almeno su quel fronte ed Ellie sarebbe davvero contenta per lui se l’avesse ritrovato ma, quando quel luccichio si spegne, capisce di aver fatto male i suoi conti e che John Winchester ha ancora intenzione di darsi alla macchia per un po’. Osserva Dean mentre risponde e spalanca gli occhi sempre di più e poi pronunciare solo un secco «Arriviamo» al suo interlocutore.
 
Dean chiude la chiamata e la guarda allarmato «Non ci sto capendo più un cazzo… L’amica della ragazzina insolente, Amelia, è stata aggredita stanotte».

 
[1] Come presta volto per Janis, ho pensato a Lizzy Caplan perché l’ispirazione per “crearla” mi è venuta proprio dal suo ruolo in “Mean girls”, dove interpreta Janis Ian, l’amica ribelle della protagonista. La stessa attrice poi ha interpretato personaggi completamente diversi da quello che aveva in quel film (come in Masters of Sex, ad esempio, che credo sia il suo lavoro più recente), e da qui viene l’idea che, una volta cresciuta, con lei sia cambiato anche il suo look. Per capirci, qui è come me l’immagino quando frequentava il liceo insieme ad Ellie, qui e qui è com’è ora che si sono ritrovate a Buckley.
[2] I cognomi Malcolm e Angus provengono dai nomi dei fratelli Young fondatori della band AC/DC.
[3] Torrance Shipman, interpretata da Kirsten Dunst, è il capitano della squadra di cheerleader nel film “Ragazze nel pallone”.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: vali_