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Autore: The_Lock    05/11/2015    2 recensioni
Sette amici decidono di passare un fine settimana lontano dalla civiltà. Sembra una storia horror qualsiasi, ma in realtà è un gioco interattivo: a fine di ogni capitolo si dovrà scegliere tra due o più opzioni, ognuna delle quali avrà delle conseguenze. Il primo a commentare ha il diritto di scegliere.
Genere: Horror, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'It's up to you!'
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22

 

DRUMMER ISLAND, ore 04:35

“Lana! MUOVITI!” urlò Oliver, sentendo già il peso della stanchezza che si impadroniva dei muscoli delle braccia e delle spalle. Ormai il ragazzo era in quella posizione da non sapeva neanche lui, ma tra continue corse, adrenalina e terrore i suoi muscoli erano talmente atrofizzati che il rosso non sapeva ancora quanto avrebbe retto; in più, il morso lasciato prima da Brooke si era riaperto ed iniziava a stillare rivoli di sangue rosso.

Lana abbassò lo sguardo e vide il mostro che, pian piano, iniziava a riprendersi. Dapprima aprì e chiuse le dita della mano, poi sbatté gli occhi ed un sibilo simile a quello di una caffettiera che borbottava quando il caffè fuoriusciva, si faceva strada alla sua cassa toracica. Di certo la creatura era ancora intontita, ma Lana non avrebbe certo arrischiato di cadere al suo fianco, quindi la ragazza lasciò cadere la pistola e porse la mano ad Oliver. Il ragazzo la tirò su, le vene del collo gonfie per la fatica, i denti stretti per lo sforzo, e poi i due si sedettero sul tetto, sfiniti. Oliver era molto affannato e Lana aveva un forte dolore alle braccia dovuto al fatto di essere rimasta appesa per ben due volte in poche ore. I due ragazzi si guardarono, i loro busti facevano su e giù per la gran quantità d'aria che incameravano ad ogni respiro.

“Che facciamo?” domandò Lana. Oliver fece spallucce, si alzò e si sporse oltre il cornicione per vedere se il mostro fosse ancora intontito per terra, ma, come il rosso stesso si aspettava, il mostro non c'era più. Era rimasta solo la pistola che poco prima Lana aveva fatto cadere.

“Non c'è più, il mostro. Forse è andato via.” spiegò Oliver.

“Forse è tornato a casa e sta per attaccarci, di nuovo.” fece notare Lana. Il rosso annuì, come per dire che entrambe le opzioni erano assai probabili, e si alzò in piedi con il tentativo di capire dove i due potessero andare per evitare un nuovo attacco. Di certo scendere per prendere la pistola era la soluzione migliore in caso il mostro fosse ritornato, ma chi garantiva loro che la creatura non si era nascosta dietro qualche cespuglio, dietro qualche tronco o sotto al portico della casa per tendere loro un attacco fulmineo? Lo stesso rischio era probabile che accadesse in caso i due avessero deciso di tornare dentro casa, o di rimanere su quel tetto per altre due ore. Ma il mostro era solo uno, e loro avevano il cinquanta percento di possibilità di scegliere la strada giusta verso la salvezza.

A) I ragazzi rientrano
B) I ragazzi riprendono la pistola
C) I ragazzi si dividono (specificare chi va dove)

 

“Ok, ma fai in fretta!” disse Trevor, appoggiandosi alla parete, mentre l'amico si avvicinava a passo felpato verso la porta dove la traccia sembrava continuare oltre gli infissi. Trevor rimase vicino alla parete esposta, troppo stanco e con vertigini abbastanza forti da impedirgli di camminare da solo. Il biondo si avvicinò alla porta, tendendo l'orecchio per sentire un qualsiasi rumore, ma nessuna onda sonora gli faceva vibrare il timpano e non osò neanche pronunciare il nome dell'amica per timore che dietro quella porta una creatura potesse attaccarlo all'improvviso; solo, Laurel avvertiva la presenza di qualcuno. Era come un cambiamento nelle molecole dell'aria, come percepire l'aura di un'anima oltre quella porta, o forse era solo la sua convinzione di trovare qualcos'altro oltre quella porta. Mise la mano incerta sulla maniglia e prese un respiro, spalancandola di colpo. La porta sbatté contro la parete opposta, soffocando un secondo rumore; cioè quello di un pezzo di metallo sfilato all'improvviso.

Da lontano e con un occhio solo, Trevor vide solo l'amico irrigidirsi e rimanere a bocca aperta, ma dalla sua posizione, Laurel vide solo il Dottor R vicinissimo a sé, con un ghigno spettrale che sembrava urlare “ho vinto”. Poi arrivò una sensazione di freddo assurda che partiva da un punto preciso del proprio corpo, e Laurel abbassò gli occhi, trovandosi un coltello piantato nello stomaco.

“Sorpresa...” ghignò l'uomo, sfilando il coltello, mentre Laurel si piegava a sputare sangue e cadeva a terra, reggendosi lo stomaco che perdeva rivoli di sangue bollente.

“NO!” urlò Trevor, scattando verso l'amico, per soccorrerlo, mentre la certezza della disperazione si faceva largo ad artigli ed uncini nella sua testa. Provò a colpire ferocemente il dottore, ma l'uomo con una gomitata ben assestata lo fece andare a sbattere contro la parete opposta, facendogli sbattere il capo contro ad un estintore.

“Grazie per l'occhio, Trevor!” disse il Dottor R, indicando con il dito sporco del sangue di Laurel il suo nuovo occhio, vale a dire quello che aveva estratto dall'orbita del ragazzo poco prima. Poi, l'uomo tornò a concentrarsi su Laurel poiché era ancora vivo, nonostante fosse pallido e tremante.

“Sai... fossi una ragazza ti trasformerei in uno dei miei mostri.” spiegò, pulendo il coltello sul suo camice con calma degna dei peggiori serial killer del pianeta “Le donne sono più fedeli, più minacciose e territoriali. Invece sei un ragazzo, quindi ti ucciderò e basta.” disse, sorridendogli, mentre gli occhi acquosi del biondo perdevano lacrime a non finire. L'uomo puntò il coltello sul collo del ragazzo, gustandosi quel momento come pochi altri omicidi.

Laurel non trovò il coraggio di chiudere gli occhi, continuava a respirare irregolarmente, sentiva il sangue scolare dalla ferita e si chiedeva se fosse il caso di reagire, quindi lottare per la propria vita o soffrire, oppure accettare la morte come tale, quando un fulmine rosso si abbatté sul volto del ottor R. Il biondo vide l'uomo cadere di lato, reggersi il naso dal quale colava del sangue, mentre Trevor, rosso di rabbia e fuori controllo, sfilava il beccuccio dell'aggeggio e glielo piantava nell'occhio, nel suo occhio, spingendo sempre più giù il piccolo beccuccio di ottone, mentre schizzi di sangue gli coprivano il volto.

“CREPA, STRONZO!” urlò Trevor, sfilando la chiavetta e premendo la leva. L'estintore fece un rumore simile ad un sibilo, poi dall'orbita ferita del Dottor R iniziò a fuoriuscire della schiuma dapprima rosa poiché si mischiava al sangue, ma pian piano, smacchiandosi, si rivelava bianca e brillante, e prendeva ad uscire anche dal naso dell'uomo, fino addirittura alla bocca. Il Dottor R rimase lì, fermo con l'occhio ancora spalancato e il petto fermo, immobile; mentre quello di Trevor si alzava e si abbassava freneticamente. Il moro ci mise un po' a fare il punto della situazione: aveva ucciso un uomo terribile e la cosa più strana è che non si sentiva neanche in colpa. Un gemito di Laurel riportò alla realtà della situazione e Trevor gattonò fino all'amico, prendendogli la mano e spostandola dalla ferita per osservarla il meglio che poteva; ma era troppo profonda e il sangue perso era tale da farlo scivolare nonostante fosse a quattro zampe.

“Andiamo, devo cucirtela...” disse Trevor.

“No... non puoi.” mormorò Laurel, voltandosi e sputando altro sangue. Trevor si avvicinò all'amico con l'occhio pieno di lacrime e si sollevò, poi lo prese in braccio, ma era anche lui troppo debole per camminare, eppure riuscì ad entrare in una camera dove fece stendere l'amico su un lettino.

“E-ero convinto di farcela, sai?” sorrise Laurel.

“Ce la farai! Devo solo trovare... qualcosa.” disse Trevor, aprendo tutti gli armadietti e rivoltandoli nel tentativo di trovare neanche lui sapeva cosa. “Non morirai. Non finché sono qui.” disse, con le lacrime agli occhi, perché quel verbo “morire” lo aveva appena messo davanti alla nuda e cruda realtà.
“Non morirai...” pianse, tirando un pugno contro l'armadietto e appoggiandosi, iniziando a piangere.

“N-non ho diritto ad un ultimo desiderio?” chiese Laurel con voce quasi impercettibile. Trevor tirò su col naso ed annuì, asciugandosi le lacrime ed avvicinandosi all'amico, prendendolo per mano e poggiandola sulle proprie labbra.

“Tutto quello che vuoi.”
“Salvati e salva Shannen...” spiegò, mentre le palpebre iniziavano ad abbassarsi.

“No, ehi! Ehi! Resta con me!” disse il moro, prendendo il volto dell'amico tra le mani.

“Mi spiace... non avrei mai voluto... lasciarti solo.” sussurrò, e poi il suo petto smise di muoversi, i muscoli si rilassarono completamente e le palpebre si abbassarono, per sempre.

 

“Laurel!” disse Shannen, facendo cadere la chiave inglese con cui stava girando la manovella per manomettere la caldaia. La ragazza si toccò il cuore che ora batteva forte e senza alcuna motivazione apparente; poteva sembrare un attacco di panico, ma Shannen aveva già avuto sensazioni simili, quando sua nonna morì a più di novecento chilometri di distanza e lei lo sentì, perché Shannen era così: sentiva e percepiva cose che nessun altro con una sensibilità normale riusciva a cogliere. La ragazza si coprì il volto con la mano e iniziò a piangere, provando a controllarsi nonostante non vi fosse nessuno lì a guardarla, solamente perché ora non era il momento per piangere i morti, bensì preoccuparsi per i vivi. La ragazza riprese la chiave inglese e continuò il suo lavoro mentre dagli occhi scendevano, instancabili, lacrime calde che le bagnavano il volto. Arrivò, infine, il momento in cui la manopola non girò più, e Shannen intuì di aver spinto gli ingranaggi oltre il limite, quindi lasciò cadere la chiave inglese. Lo specchietto nel quale la lancetta della caldaia si muoveva dapprima lentamente ed ora molto più velocemente, fece intuire a Shannen che sarebbe mancata meno di un'ora all'esplosione.

Confusa sulla direzione da prendere, Shannen si mosse verso una porta che credeva la avrebbe condotta verso l'uscita. La aprì, ma il buio era tale da renderle impossibile di capire cosa ci fosse, in quel luogo. Decise, comunque di camminare in quello stretto corridoio di cui non si vedeva la fine, quando, per pura prontezza di riflessi, Shannen si abbassò, schivano una mano che le si era palesata davanti in pochi centesimi di secondo.

La bionda rimase stesa per terra, ma il rumore che le giungeva nelle orecchie, i versi e i respiri le erano ormai così familiari che la bionda capì con cosa aveva a che fare. I suoi occhi chiari si abituarono al buio totale della stanza, e Shannen riuscì ad intravedere dieci, venti... forse trenta gabbie in cui altrettante creature si dimenavano oltre le sbarre. Sbuffavano, ululavano, si arrampicavano sulle sbarre con la loro velocità tipica dei rettili.

“Mio Dio...” disse la bionda, trovandosi all'improvviso sola contro una trentina di creature ingabbiate e la guardavano tutte, fameliche, con la bocca spalancata, pronta a morderle, e con solo delle sbarre a dividerla da loro e dalla loro voracità. Shannen decise di strisciare verso la fine del corridoio: era l'unica posizione che le permetteva di non essere ghermita dalle creature che ora si dimenavano come scimmie. Ci volle molto, prima che la bionda potesse arrivare alla fine del corridoio dove, quasi accidentalmente, accese la luce. Un secondo colpo al cuore: le gabbie non erano trenta, ma forse cinquanta, e fra cinquanta creature simili a quelle che Shannen aveva visto, vi era almeno una decina formata da esperimenti evidentemente riusciti male. Erano anche loro umanoidi ma erano gonfi, goffi, ricoperti da un liquido verde e con sangue nero che continuava a fuoriuscire dal naso, dalla bocca e dagli orecchi. Sembrava quasi che quei dieci umanoidi- più calmi degli altri -avessero subito una specie di reazione allergica al siero del Dottor R. Shannen si guardò attorno e vide solo tre gabbie aperte. Questo significava che il Dottor R, nella sua infinita perversione, aveva liberato solo tre creature.

Shannen studiò poi la parete in cui si trovava: vi erano fascicoli fino a riempire una comune biblioteca, pulsanti e altre fiale piene di un liquido nerastro a lei ormai familiare. Shannen prese un fascicoletto a caso e lesse il nome “Chloe Strong”. Tra quei fogli vi era di tutto: la data in cui era approdata a Drummer Island, l'orario dell'iniezione del siero e un intero set fotografico in cui, ora per ora, si documentava la trasformazione fisica della ragazza da sedicenne a creatura famelica. Altre lacrime si formarono sugli occhi della ragazza, mentre contava freneticamente quanti fascicoli vi erano, alcuni con su scritto sopra “FALLITO”, altri senza nessun timbro, ma erano tali che, insieme, formavano quasi duecento fascicoletti.

“Maledetto bastardo...” disse Shannen, guardando verso le creature e non riuscendo a non provare un moto di pietà verso quei mostri che, prima, erano semplici ragazzi. Ma ecco che vi fu un attimo in cui tutte le creature fecero silenzio: si calmarono immediatamente: smisero di agitarsi tra le sbarre e presero a camminare in torno, come leoni nervosi per la reclusione ma comunque addomesticati. Shannen non capì il perché di quella variazione, ma quando un suono di passi arrivò alle sue orecchie dal locale caldaie, il sangue le si gelò.

 

D) Shannen scappa
E) Shannen si nasconde



Bene, bene.
Anzi, non proprio benissimo. Laurel è morto, insieme a Brooke e Troy. Ma la vera domanda è: ne moriranno altri? Ormai vi sto mettendo alle strette, ragazzi miei, visto che manca un'ora e mezza all'arrivo del traghetto e solo altri tre capitoli alla fine della nostra storiella, ma ancora quattro sono i superstiti. Per quanto riguarda Lana ed Oliver, per esempio, ho fatto appositamente l'opzione C per tentarvi: o A o B li condurranno dritti dritti dalla creatura, ma volevo tentarvi con l'idea dell'opzione "male minore", quindi dandovi la certezza che almeno uno dei due si salverà, sicuramente. Certo, se siete fortunati e scegliete l'opzione giusta si potrebbero salvare entrambi, ma qui è tutta questione di fortuna, sta a voi decidere quanto rischiare.
Un abbraccio,
The_Lock

  
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