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Autore: uhstilinski    06/11/2015    3 recensioni
I numerosi alberi che circondavano la scuola di Beacon Hills erano mossi da un insolito vento autunnale, gli studenti si affrettavano ad entrare, visibilmente infastiditi dal suono insistente della campanella. Un rombo di motore attirò l’attenzione di Emma, un ragazzo in sella alla sua moto rossa fiammante aveva appena parcheggiato a qualche metro dalle gradinate di marmo, sfilandosi il casco per rivelare un paio d’occhi glaciali. Stretto nella sua giacca nera di pelle, sparì lentamente dalla sua vista, mimetizzandosi tra la folla.
«Quello è Jackson Whittemore» mormorò una ragazza dai capelli neri e gli occhi grigi, affiancando la giovane. «Il capitano della squadra di lacrosse e di nuoto, praticamente il tipo ideale di chiunque abbia un paio d’occhi funzionanti». Emma dovette sembrare parecchio confusa, data l’espressione divertita che nacque sul suo viso pallido. «E io sono Valerie Butler», le porse la mano con gentilezza perché la stringesse, sorridendo.
«Emma. Emma Walker».
«Lo so» annuì immediatamente la mora, allungando il passo. «È una cittadina molto piccola, le notizie arrivano prima di quanto immagini» concluse con espressione furba, rivolgendole un altro sorriso cordiale e divertito prima di correre in classe.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Triskele.


«Con Indoari o Arii si indica un antico popolo nomade appartenente al gruppo indoiranico dei popoli indoeuropei, che penetrò nel Subcontinente indiano nel II millennio a.C., subentrando alla Civiltà della valle dell'Indo e imponendosi su un ampio territorio. Disperdendosi su un’area tanto vasta, la lingua di questo popolo, di matrice indoiranica, subì un processo di frammentazione, che diede origine alle varie lingue indiane antiche – come il sanscrito – e moderne – come l’hindi». 
Emma si lasciò sfuggire un piccolo sbadiglio, sollevando la testa dal banco solo per controllare che ore fossero. La storia le faceva venire un gran mal di testa, non riusciva a stare attenta più di cinque minuti consecutivi. Tutti quei popoli e quelle loro tradizioni, le guerre e i trattati di pace, le alleanze… Tutto troppo noioso. 
Si voltò in direzione di Valerie, che si apprestava a prendere appunti su appunti sul proprio quaderno, con sguardo attento e vispo a scrutare il professore. 
La bruna osservò affranta il proprio foglio, sul quale non aveva fatto altro che disegnare lo stesso simbolo, rappresentato in diverse dimensioni senza nemmeno accorgersene. Assottigliò lo sguardo e si morse il labbro inferiore per la concentrazione, domandandosi come mai fosse così convinta di averlo visto da qualche parte. 
«Un simbolo indoario è, ad esempio, il Triskele, chiamato anche Triscele o Triskellion. È una raffigurazione di un essere con tre gambe, più generalmente tre spirali intrecciate o per estensione qualsiasi altro simbolo con tre protuberanze e una triplice simmetria rotazionale. Il significato principale del Triskele è piuttosto oscuro, ma è comunque evidente che presso le popolazioni celtiche e in termini di simbolismo assoluto rappresenti nella sua versione destrorsa la stilizzazione del movimento del sole, quindi una sorta di ruota solare che ci riporta al dio irlandese Dagda, connotandosi perciò come simbolo positivo accanto alla svastica indoeuropea. La simbologia ternaria da esso rappresentata si presta a numerose interpretazioni: i tre momenti del movimento del sole, alba, zenith e tramonto; la triplice composizione del cosmo secondo la tradizione celtica, fuoco, terra e acqua, oppure il tempo stesso come passato, presente e futuro».
Tutto ad un tratto, Emma smise quasi di respirare: davanti a sé, decine di Triskele disegnati dalle sue stesse mani. Lo stesso simbolo tatuato sulla schiena di Derek, proprio quel simbolo che, involontariamente, aveva iniziato a sognare da un paio di notti. Quel sogno che faceva fatica a mettere a fuoco e a ricordare le mattine successive, in quel preciso istante sembrò prendere vita.
«Deucalion» borbottò a bassa voce, con le mani a massaggiarsi le tempie. Valerie girò il capo verso di lei, inclinandolo appena con fare interrogativo. 
«Che hai detto?» bisbigliò un po’ confusa, chiedendosi se avesse sentito bene. 
«Niente, credo di aver capito cosa vuole Deucalion da Derek» le disse un po’ agitata, ancora non troppo convinta della propria interpretazione personale. Poteva avere ragione, come poteva semplicemente sbagliarsi. Infondo non era poi tanto sicura che l’anziano licantropo continuasse a manipolarle la mente durante il sonno. 
«Come? Che intendi?» domandò Valerie, smettendo di scrivere.
«Ne parliamo a pranzo con Scott e gli altri» concluse sbrigativa Emma, piegando in fretta il foglio scarabocchiato prima di riporlo all’interno del libro. Infilò il tutto nella borsa, alzandosi e dirigendosi in direzione della cattedra.
«Posso uscire un attimo? Dovrei andare in bagno» esordì a qualche passo di distanza dal professore, che prese ad osservarla da sotto gli occhiali da vista spessi come due fondi di bottiglia. 
«Va bene, va’» rispose dopo una breve e attenta analisi, forse per stabilire se avesse davvero bisogno del bagno o se fosse una semplice scusa per uscire dieci minuti prima del suono della campanella. 
Emma abbozzò una smorfia simile ad un sorriso tirato e si affrettò ad uscire dall’aula, percorrendo il corridoio illuminato con una certa fretta. Sentiva di aver bisogno di prendere una boccata d’aria fresca. 
Spinse con entrambe le mani la porta d’entrata, lasciandosi colpire in faccia dal rigido vento autunnale, che la fece sentire subito un po’ meglio. Si sedette sul primo gradino di marmo e iniziò a pensare a tutta la propria vita, cercando di comprendere chi e perché avesse deciso che fosse adatta a possedere quei particolari poteri che una volta scoperti, non avrebbe più potuto ridare indietro. Come venivano scelte le persone in grado di poter sopportare tutte quelle stranezze? Era una cosa casuale, o dietro a tutto quel soprannaturale c’era una spiegazione logica da dover trovare? Forse Beacon Hills era il porto in cui sbarcavano tutti coloro che possedessero – consapevolmente o meno – delle capacità insolite. 
Si chiedeva come sarebbe stata la propria vita se non si fosse trasferita da Portland, se non fosse stata morsa da quell’essere, se suo padre non fosse stato un cacciatore e sua madre non fosse morta. Forse le cose sarebbero state un po’ diverse. Magari non migliori, solo diverse. 
«Sentivo odore di ansia e preoccupazione dagli spogliatoi» borbottò qualcuno alle proprie spalle, un qualcuno che riconobbe subito come Isaac. «Che ti succede?»
Emma attese qualche secondo prima di girarsi e fingere un sorriso, stringendosi nelle spalle. «Niente» trillò, con un tono di voce palesemente forzato. 
Lui inclinò il capo di lato e la scrutò silenzioso, infilando le mani in tasca prima di avvicinarsi e chinarsi di fronte a lei, in modo da fronteggiarla. «Non le sai dire le bugie, il tuo battito ti tradisce».
Lei sbuffò e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, iniziando a giocherellare nervosamente con l’anello che portava all’anulare destro, finché Isaac non decise di poggiare il proprio palmo caldo e largo su di esse, infondendole un po’ di serenità. Era una delle sue abilità da lupo quella di riuscire a controllare lo stato d’animo altrui. 
«Stavo pensando un po’ alla mia vita e alla piega insolita che ha preso ultimamente» confessò la bruna, trovando finalmente il coraggio per specchiarsi nei suoi occhi chiari e lucenti. 
«Ti capisco in parte» ammise lui, sfiorandole il dorso delle mani col pollice, muovendolo circolarmente. «Però la mia decisione di cambiare è stata volontaria».
Emma annuì piano, quasi come se con quel gesto volesse spronarlo a continuare a parlarle: la sua voce roca le infondeva calma e tranquillità. 
«Mentre io non ho avuto nemmeno il tempo di capire cosa stesse succedendo. E a dirti la verità, non ci capisco niente nemmeno adesso, nonostante sia passato qualche giorno, io continuo ad essere confusa» sospirò lei, inumidendosi le labbra rosee. «Quanto vorrei che mia madre fosse qui».
«È normale tutta questa confusione, non fartene una colpa. E posso capirti, anche io ho perso mia madre, sai? A dirla tutta ho perso anche un padre, ma lui non si è mai comportato da tale. Non è stato mai capace di fare il genitore» continuò con tono particolarmente distaccato. 
«Mi dispiace tanto, so cosa provi, nonostante io abbia ancora una figura paterna» mormorò lei con un altro sospiro flebile. 
«La mamma è la mamma» esclamò lui con un sorriso malinconico, nostalgico dei vecchi tempi. «Ma sono certo che questa non è l’unica cosa che ti turba così tanto, il mio istinto mi dice che c’è dell’altro».
Aveva fatto c’entro, Emma continuava a pensare a Deucalion e al fatto che potesse tornare ad attaccarla di nuovo se non avessero capito in tempo cosa volesse da Derek. Aveva compreso che, essendo lei una banshee, probabilmente era l’unica con cui egli avesse potuto stabilire un contatto forzato tramite i sogni, però doveva ancora capire cosa c’entrasse il Triskele in tutta quella faccenda. Derek possedeva forse qualcosa che prima era di proprietà di Deucalion o di qualcuno a lui caro? O forse c’era dell’altro? Che avessero una questione lasciata in sospeso? 
«Hai ragione, è un po’ complicato. Continuo a sognare questo simbolo, il Triskele» iniziò lei, tirando fuori dalla borsa il foglio spiegazzato di prima. «Forse Deucalion sta manipolando di nuovo i miei sogni, forse questo ha qualcosa a che fare con la necessità che avesse di vedere Derek». 
«Il suo tatuaggio» biascicò Isaac, fissando un punto fisso dietro le spalle della ragazza. «C’entra con Derek senza alcun dubbio, dobbiamo parlargliene».
«Spero solo non sia tornato ad essere il solito Derek» sussurrò lei, dando voce ai propri pensieri.
«Che intendi?» domandò perplesso il riccio, non potendo sapere a cosa si stesse effettivamente riferendo. 
«Come vi ho raccontato, ieri l’ho aiutato» spiegò lei, gesticolando. «Beh, più che altro mi è piombato davanti ferito e pieno di sangue, tanto per cambiare, aggiungerei. E niente, sembrava non fosse tanto infastidito dalla mia presenza. Non so se lo sai, ma le prime due volte che ho tentato di aiutarlo, mi ha quasi sbranata viva».
Isaac si fece sfuggire una risata palesemente divertita e per niente stupita: conosceva il proprio Alpha ed era consapevole di quanto sapesse essere burbero ed insopportabile. «È fatto così, cosa ci vuoi fare? Siamo tutti abituati al suo carattere e so che a volte potrà sembrarti aggressivo e avventato, ma è uno di cui potersi fidare. Forse uno dei pochi in questa stramba cittadina». 
Emma sollevò le spalle pensierosa, cosa avrebbe potuto farci? Assolutamente niente. Glielo avevano detto tutti, Derek era così e bisognava accettarlo, nel bene e nel male. 
«Secondo te ci è diventato così o lo è sempre stato?» fece lei, sollevando lo sguardo dalle loro mani ancora vicine e strette ai suoi occhi insolitamente più scuri.
«Io credo sia stato il dolore a cambiarlo, non è facile sopportare una tale perdita, soprattutto quando hai diciassette anni» le disse in un sussurro, facendosi più cupo in viso. Con quell’affermazione forse non si riferiva solo all’Alpha, probabilmente stava parlando anche di se stesso. 
«Mi sembra di riuscire a sentirlo quel dolore: lo vedo attraverso i suoi occhi, sempre spenti e privi di vitalità. È così brutto vedere qualcuno soffrire in quel modo… E  la cosa peggiore sai qual è? Sapere che non abbia nessuno che possa consolarlo o rendergli la vita un po’ meno amara».
Isaac pesò ognuna di quelle parole, sollevando un angolo delle labbra con fare furbo e malizioso.
«Che c’è?!» esclamò lei, sbalordita.
«Niente, è che il tuo cuore galoppa a velocità imbarazzante quando parli di lui» ridacchiò malefico, schivando prontamente un pugno sulla spalla da parte di Emma, che arrossì come un peperone.
«Non è vero!» replicò con prontezza lei, lanciandogli uno sguardo truce, che sicuramente non l’avrebbe spaventato.
«Ah no? E allora perché sei arrossita?» la punzecchiò, sollevando un sopracciglio in segno di sfida.
«Giuro che appena scoprirò come funzionano questi poteri da banshee, mi impegnerò per trovare un incantesimo che ti faccia trasformare da lupo a chihuahua» borbottò piccata lei, incrociando le braccia al petto.
«Sei una banshee, non l’aiutante di Mago Merlino» la schernì nuovamente il giovane Lahey, pizzicandole una guancia. 
«Sei quasi più idiota di Stiles» si lamentò lei, sbuffando sonoramente.
«Hey, così mi ferisci» esclamò con ironia lui, portandosi una mano sul petto con fare teatrale. 
«Ho detto quasi» gli fece l’occhiolino Emma, alzandosi dopo esserselo scrollato giocosamente da dosso. «Raggiungiamo gli altri, mancano pochi minuti alla pausa pranzo».
Isaac annuì silenzioso e si apprestò a seguirla all’interno dell’edificio. La campanella suonò con un minuto di anticipo, liberando decine e decine di alunni scalpitanti e impazienti di infilare qualcosa sotto i denti tra una lezione di storia ed una di chimica.
Emma stava camminando tranquillamente, quando all’improvviso qualcuno le andò addosso, rischiando di farla cadere. Le bastò sollevare lo sguardo per incrociare gli occhi vispi e brillanti di Scott, che sembrava andasse abbastanza di fretta. 
«Scott, dove vai così di corsa?» domandò lei curiosa, inclinando il capo di lato, scrutando con attenzione il suo abbigliamento particolarmente insolito. Indossava ancora la maglia da lacrosse, i pantaloncini e sembrava essersi scordato le scarpe.
«Amico, perché sei scalzo?» s’intromise Isaac, aggrottando la fronte. 
«Jackson si è divertito a buttarmi i vestiti e le scarpe da qualche parte, prima lo trovo e prima riavrò le mie cose» spiegò scocciato, con espressione dura a dipingergli il volto.
«Siete così stupidi voi maschi» commentò impassibile la bruna, scansandosi per permettergli di raggiungere la segreteria. Qualche istante dopo, un rumore stridente echeggiò per i corridoi.
«Quell’idiota di Jackson Whittemore è pregato di recarsi urgentemente in segreteria».
Isaac e Emma si guardarono negli occhi per qualche secondo prima di scoppiare in una fragorosa risata. 
«Dimmi che non ha davvero detto una cosa del genere al microfono» esclamò lei, con gli occhi ancora spalancati.
«L’ha fatto» fu la risposta che ricevette da parte del riccio, che scosse il capo con incredulità. «E quel microfono è collegato ad ogni altoparlante presente nella scuola, non so se mi spiego».
«Mi farò quattro risate quando il vicepreside gli darà sei ore di detenzione in biblioteca, a riordinare libri e fascicoli sulla vivisezione delle rane nella sezione di biologia» ridacchiò lei, intravedendo tra la folla due volti conosciuti. «Vieni, ci sono anche Valerie e Stiles».
«Hey, avete visto Scott? Mi pare di aver sentito la sua voce rimbombare casualmente per il corridoio» esordì Stiles, saltando i soliti convenevoli.
«Sì, Giulietta, sta’ tranquilla. Romeo ci raggiungerà in mensa» scherzò Emma, ridendo, seguita anche da Valerie. «Ha avuto un piccolo inconveniente con Jackson».
«Come sei simpatica, Cappuccetto Rosso» rispose lui, ghignando. La bruna lo fulminò, fingendo indifferenza davanti a quel nomignolo.
«Ho delle novità di cui parlarvi, ma voglio aspettare Scott».

«Quindi credi che dietro ai tuoi sogni ci sia ancora lo zampino di Deucalion?» domandò con scetticismo Stiles, sistemandosi a sedere sulla panca tra Valerie e Isaac.
«Ragazzi, avete presente le ricerche di Deaton sulle banshee? Quelle cadute ad Emma a casa di Derek. Beh, ho letto una cosa interessante: a quanto pare, un Alpha potente e competente può riuscire a controllare le menti altrui e riconoscere delle capacità soprannaturali anche prima che esse si manifestino. Ecco perché ha scelto te, Em. Lui sapeva dove colpire sin dall’inizio, sapeva di te e probabilmente sa di riuscire ad avere ancora il controllo sui tuoi sogni» disse Valerie con serietà, avvicinandosi col busto al tavolo, in modo da farsi sentire solo dai quattro amici.
«Quello che mi chiedo è cosa voglia davvero da Derek e cosa c’entri il Triskele in tutta questa faccenda» sospirò dubbioso Scott, giocherellando con la forchetta in plastica con la quale avrebbe dovuto mangiare il proprio pranzo a base di hamburger ancora mezzo congelato e insalata somigliante a cartapesta. 
«Me lo chiedo anche io, l’unico modo per ottenere una risposta è parlarne con lui» suggerì Emma, spostando lo sguardo dal giovane licantropo al resto dei presenti.  
«Credi davvero che sarà d’aiuto?» borbottò sbigottito Stiles, aggrottando le folte sopracciglia in una smorfia buffa. «Insomma, è di Derek che stiamo parlando, non vorrei che ve lo foste scordato». 
«Non ha tutti i torti» commentò seria Valerie, sistemandosi con cura il beanie blu sulla testa.
«Provarci non costa nulla, alla fine è di lui che si parla, è giusto che sia messo al corrente delle novità» le disse Isaac, cercando approvazione nelle iridi scure di Emma, che aveva spostato la propria attenzione su altro: fissava silenziosamente qualcosa al difuori delle grandi finestre della mensa. Qualcosa che avrebbe giurato le sembrassero due fari rossi puntarla da lontano, nei pressi delle fitte boscaglie al confine con la scuola.
«Emma? Che succede?» la richiamò il riccio, appoggiandole una mano sul braccio destro. 
«Che c’è? Che cosa hai visto?» continuò Scott, volgendo lo sguardo verso il bosco non troppo distante dal cortile interno. 
«Non lo so in realtà, mi sembrava di essere osservata» mormorò lei, abbassando le palpebre sulle iridi color caramello. «Forse mi sono lasciata impressionare dalla questione».
Non era troppo convinta delle ultime parole pronunciate, ma tentò comunque di non pensarci troppo e di concentrarsi sulla conversazione.
«Quindi che si fa, passiamo da Derek nel pomeriggio?» propose Scott, decidendo di non dare troppo peso al comportamento un po’ assente di Emma: era normale che fosse un po’ scossa, era accaduto tutto così velocemente da non darle neanche il tempo di metabolizzare il tutto. 
«Derek si sta trasferendo in un loft, probabilmente lo troveremo lì a sistemare le poche cose che gli sono rimaste» li informò Isaac, che tra tutti sembrava fosse quello più vicino all’Alpha ultimamente. 
«Sai l’indirizzo?» domandò Stiles, incrociando le braccia sul tavolo.
«Ve lo mando via messaggio quando arrivo a casa, così non lo scordate» li tranquillizzò il giovane Lahey, abbozzando un piccolo sorriso. 
«In ogni caso, credete che sarà possibile uscire per una sera tutti insieme senza doverci preoccupare di tutto questo soprannaturale?» sbuffò Valerie, rivolgendo al gruppo una smorfia imbronciata.
«Vuoi violare il coprifuoco?» domandò Emma intromettendosi nella discussione prima di dare un morso alla mela rossa che le aveva offerto Scott. 
«Ha ragione» ammise Stiles, indicandola. «Mio padre mi ucciderebbe».
«Come se non avessi mai violato una delle regole imposte da tuo padre» brontolò la mora, sollevando un sopracciglio. 
«Val, non appena riusciremo a venire a capo di questa situazione, avremo tutto il tempo del mondo per divertirci» le disse Scott, alzandosi subito dopo per svuotare il proprio vassoio. 
«Sembri mio padre» mormorò lei in risposta, scambiandosi uno sguardo divertito con Emma, che scosse appena il capo.

Il loft di Derek si trovava nel bel mezzo di Oakwood Road, a meno di due miglia di distanza dal Beacon Hills Memorial Hospital. Valerie era arrivata insieme ad Emma e parevano essere in anticipo di qualche minuto. I capelli di quest’ultima le svolazzavano liberi davanti al viso, mossi dal vento gelido di quel pomeriggio. 
«Mio padre inizia ad avere dei sospetti, mi chiede continuamente con chi stia uscendo, se farò tardi, dove andrò… È diventato un po’ iperprotettivo» disse Emma, con uno sguardo al cielo grigiastro che non sembrava promettere nulla di buono. 
«Beh, non deve essere facile per un cacciatore sapere che la sua bambina vada in giro con i lupi, è una fortuna che i miei non siano mai in casa» rispose Valerie, con gli occhi puntati in direzione dell’ultimo piano. «Deve essere quello il loft, dove vedi quella grande vetrata».
«Già» si limitò ad annuire la bruna, sospirando e creando una piccola nuvola bianca di condensa. «Wow, è bella grande».
«Lo è» affermò l’altra, camminando avanti e indietro di fronte all’ampio portone. «Ma quanto ci mettono? Meno male che sono le donne ad essere sempre in ritardo».
«Quei tre sono delle donne mancate» rise Emma, strofinando le mani fredde tra loro, rabbrividendo appena. Si maledisse all’istante per non aver indossato il cappotto invernale ed essersi limitata a seguire l’istinto e uscire con indosso solo il maglione rosa cipria. 
«Non hai tutti i torti» ridacchiò Valerie, volgendo un’occhiata speranzosa in direzione della strada. «Hai già deciso con chi andrai al Ballo Autunnale?» 
A quelle parole Emma si mordicchiò il labbro, incrociando le braccia al petto: si era dimenticata totalmente del ballo e non aveva la minima idea di chi potesse accompagnarla. Probabilmente se non avesse ricevuto alcun invito, lo avrebbe chiesto a Scott o ad Isaac.
«Veramente non ne ho idea, tu andrai con Aiden?» 
«Che significa che non ne hai idea? Mancano meno di due settimane» esclamò la mora, strabuzzando gli occhi. «E sì, è l’unico invito che ho ricevuto».
«Almeno tu ne hai ricevuto uno» borbottò con espressione pensierosa la bruna. «Aspetta, che intendi? Da chi altro ti saresti aspettata un invito?» 
Valerie sospirò, stringendosi nelle spalle. «Ma da nessuno, si fa per dire. E sono certa che riceverai qualche invito, se fossi un ragazzo, t’inviterei immediatamente!»
«Sicura? Non è che speravi in una richiesta da parte di Stiles?» ridacchiò allegramente Emma, lanciandole un’occhiata maliziosa. 
«Emma» la incenerì con lo sguardo l’altra. «Sai benissimo che non è affatto così».
«Lo so?» mormorò la bruna, sollevando le sopracciglia. 
«Lo sai» le fece eco Valerie, annuendo con convinzione. «Sì che lo sai».
Il suono di un clacson attirò l’attenzione di entrambe, che smisero di chiacchierare e si voltarono in direzione della Jeep di Stiles, dalla quale scesero tutti e tre i giovani. 
«Ragazze» le salutò Scott, «è tanto che aspettate?»
«Più o meno una vita, volete darvi una mossa?» esclamò Valerie, alzando gli occhi al cielo prima di sbuffare rumorosamente. 
«È colpa di Scott e le sue assurde manie igieniche» disse Stiles, infilando entrambe le mani all’interno del giubbotto blu. «Trentadue minuti e mezzo per una doccia, una dannatissima doccia!» 
Emma liberò una risata armoniosa nell’aria prendendo a braccetto Scott prima di annusargli il collo e sentirlo rabbrividire. «Però devo ammettere che profuma».
«È il minimo» fece Stiles, lanciandole un’occhiata fintamente scocciata. 
«Va bene, bambini» trillò Valerie, intromettendosi. «Vogliamo entrare? Non ci tengo a diventare una stalagmite».
«Ma non erano le stalattiti quelle?» chiese confuso Isaac, aggrottando le sopracciglia. 
«La stalattite è una formazione calcarea pendente dalla sommità delle grotte, mentre la stalagmite è l’esatto opposto, poiché risale dal suolo» gli fece presente la mora, sollevando un angolo delle labbra nell’imbattersi nelle espressioni stupite dei presenti. 
«Okay, Wikipedia, adesso possiamo andare» disse Scott, facendole cenno di seguirlo all’interno dell’edificio di recente costruzione. 
Superata la soglia d’entrata, i ragazzi si ritrovarono davanti a delle scale ampie e lucenti. Finalmente Derek aveva scelto un posto degno di un essere umano vivente in un’epoca più recente. Quel palazzo in confronto alla sua vecchia dimora, poteva essere considerato quasi fantascienza. 
«Per di qua, andiamo in ascensore» li informò Isaac, facendo loro un cenno col capo in direzione di un’ampia porta metallica.
«Però, il nostro Alpha si è evoluto» commentò sarcasticamente Stiles, osservando attentamente i tasti metallizzati all’interno del grande ascensore. 
«A quanto pare» annuì Scott, osservando la propria immagine riflessa nello specchio di fronte a sé. «Avrà sicuramente qualche bolletta in più da pagare, ma ne vale la pena».
Dopo neanche mezzo minuto, un suono simile ad un campanello li avvisò di aver raggiunto l’ultimo piano. Il gruppetto si affrettò a raggiungere l’unica porta presente, e Isaac si ritrovò a bussare contro il materiale ferreo di cui era formata, che prese a scorrere verso sinistra, rivelando l’interno del loft ai loro occhi curiosi.
«Wow» bisbigliò Stiles, spalancando gli occhi. 
«Vi ho sentiti arrivare», la voce di Derek echeggiò nell’ampia zona adibita a salotto, collegata da un’enorme crepa nel muro di mattoni ad un altro ambiente poco più piccolo, nel quale erano sistemati un letto nero matrimoniale ed una scrivania abbastanza larga. 
«Derek» lo salutò Scott, avanzando per primo, seguito subito dopo dagli altri. Valerie, che entrò per ultima, si premurò di richiudere la porta, trascinandola con forza fino a sentirla scattare. 
«A cosa devo questa visita?» domandò l’Alpha, ancora di spalle, intento ad osservare il paesaggio fuori dall’ampia vetrata che fiancheggiava il letto. 
«Dobbiamo parlarti» spiegò ancora il Beta, fermandosi a pochi passi dalla parete in mattoni probabilmente da lui personalizzata. «È un cosa abbastanza urgente».
«Ditemi» fu il suo invito a parlare. «Sono tutto orecchi».
«Em?» fece Scott, come a voler richiamare l’attenzione della giovane su di sé. «Diglielo».
«Dirmi cosa?» fu in quel momento che Derek si voltò, mostrando la propria maglietta grigia incrostata di sangue. 
«Cosa ti è successo?» domandò Emma preoccupata, percorrendo la breve distanza che la divideva da Scott. 
«Poco fa mi sono imbattuto in uno degli Alpha nel bosco, l’aveva mandato Deucalion a controllarci. La buona notizia è che sono riuscito ad ucciderlo».
«E la cattiva?» fece Stiles, intromettendosi nel discorso.  
«La cattiva è che ho fiutato altri odori. Deucalion ne ha trasformati almeno altri due» rispose lui, secco e deciso, senza mostrare il minimo cedimento. 
«Allora eri tu prima, nel bosco» mormorò Emma, ripensando ai due occhi rossi che aveva intravisto dalla finestra della mensa. 
Derek sospirò appena, incrociando le braccia al petto ampio e rigido. «Controllavo che nessuno di voi fosse in pericolo».
Quelle parole fecero sorridere appena la bruna, che rilassò i muscoli del viso fin troppo tesi. Era bello sapere che si preoccupasse per loro.
«Tornando a noi, cos’è che dovete dirmi?» chiese nuovamente Derek, fissandoli uno ad uno con la classica serietà che gli apparteneva.
«Beh, prima dovresti vedere questo» gli disse Emma, tirando fuori dalla tasca posteriore dei jeans un foglio stropicciato. 
«Mi hai fatto un disegno?» la schernì il più grande, accennando un breve sorriso ironico, che sapeva tanto di presa in giro. 
Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo prima di avvicinarsi maggiormente, in modo da porgergli il pezzo di carta.
«Stanotte ho fatto un sogno ben preciso e credo che sia stato proprio Deucalion a volerlo. Questo simbolo significa qualcosa per te? Intendo dire oltre al tatuaggio, c’è dell’altro? Qualcosa che lui possa desiderare a tutti i costi, tanto da spingersi a manipolare il mio inconscio?»
Derek osservò con espressione piatta i numerosi disegni, restando in religioso silenzio per lunghi istanti. Emma non riuscì a decifrare la sua reazione, non capiva cosa gli stesse passando per la mente, quali pensieri o ricordi gli suscitasse quel semplice simbolo.  
«Ma certo» sussurrò a se stesso, sollevando lo sguardo dal pezzo di carta che teneva tra le mani. «Deucalion sta formando un branco e vuole il medaglione della mia famiglia». 
«Derek?» lo richiamò Stiles, perplesso. «Ti dispiacerebbe parlare una lingua da noi tutti conosciuta? Che significa che Deucalion vuole il tuo medaglione?» 
«La mia famiglia era solita addestrare i giovani lupi mannari, aiutandoli a controllare i poteri durante i primi periodi. Si recitava un mantra per tentare di focalizzare l’attenzione sul proprio corpo e sul controllo esercitato su di esso dalla mente, utilizzando un semplice disco di metallo con inciso sopra il Triskele» spiegò con lentezza l’Alpha, socchiudendo gli occhi per pochi secondi, volendo forse ricordare i momenti in cui lui ne aveva fatto uso durante i suoi addestramenti. 
«Un mantra?» domandò incuriosito Isaac, avvicinandosi prima di poggiarsi con entrambe le mani sulla scrivania dietro la quale se ne stava Derek.  
«Alpha, Beta, Omega» continuò quest’ultimo, sospirando. «Il medaglione non ha alcun valore, se non affettivo. Deucalion è a conoscenza della vecchia tradizione e crede che sia magico, per questo vuole servirsene per addestrare in maniera più rapida i suoi nuovi Alpha».
«Tutto qui? Quel pazzo ci ha quasi uccise per un medaglione?» strabuzzò gli occhi Valerie, fissando sconcertata il resto dei presenti. 
«Ovviamente no» ribatté Scott, facendosi avanti. «Ci ha proposto diverse volte di unirci a lui, è assetato di potere e farebbe di tutto pur di raggiungere i propri obiettivi» continuò con un sospiro, cercando gli occhi del giovane Alpha. 
«Cosa farà se non vi unirete a lui?» chiese tremante Emma, temendo una risposta negativa, che non tardò di certo ad arrivare. 
«Ha minacciato di ucciderci» le disse Derek, impassibile. «E ci ucciderà tutti se prima non lo faremo noi». 
La giovane sentì il sangue gelarsi nelle vene e il silenzio calare nell’ampia abitazione. Valerie stringeva timorosa il braccio di Stiles, che a sua volta teneva lo sguardo basso. Isaac si limitò e sospirare, mentre Scott le rivolse un’occhiata più o meno confortante. 
«Non gli permetteremo di farvi del male» provò a rassicurarla, tornando a guardare Derek, che si limitò a sollevare gli occhi al cielo di fronte alle sue parole. «Quanti sono? Ne hai ucciso uno, giusto?»
«Sì, ma ne ha trasformati altri due. Sono sei in tutto con Deucalion. Mi pare di aver ucciso Ennis, lo conoscevo da ragazzino, era il figlio del macellaio. Brutta fine» disse Derek, ostentando un palese disinteresse nei confronti di quell’uomo: non si faceva alcun problema ad uccidere chiunque tentasse di minacciarlo. Era chiamato istinto di sopravvivenza, o qualcosa di strettamente simile. 
«E pensi che siano tornati in città?» azzardò Stiles, che fino ad allora era rimasto in silenzio ad ascoltare. 
«Non credo, il loro odore è sparso nella radura, si espande fino ai confini della contea» spiegò l’Alpha, poggiando il disegno di Emma sul tavolo. 
«Abbiamo un piano?» chiese Isaac, dando voce alla propria curiosità. 
«Per ora vorrei che facessimo delle ronde nel bosco a turni. Le coppie saranno formate da me e Peter e te e Scott. Cora deve ancora riprendersi del tutto, non me la sento di sottoporla ad un tale rischio».  
«È testarda almeno quanto te» commentò allora il riccio, riferendosi ad una delle ultime discussioni tra l’Alpha e sua sorella, alla quale aveva involontariamente assistito. «Credi che vorrà restare in panchina?»
«Lo farà» tagliò corto Derek, facendosi pensieroso. «Mi chiedo quando torneranno Boyd ed Erica». 
«Boyd e chi?» domandò confusa Valerie, cercando di fare mente locale, non troppo sicura di aver sentito nominare quei due prima di allora. 
«Boyd ed Erica, sono gli altri due Beta di Derek» fece Scott, lanciando un’occhiata ad Isaac. «Lui è il terzo ed ultimo». 
Emma osservò la scena un po’ confusa, aggrottando le sopracciglia a quelle parole: cosa significava esattamente tutto quello? 
Isaac sembrò cogliere l’espressione interrogativa della bruna e dopo aver accennato una piccola risata, le si avvicinò.
«Derek è l’Alpha che ci ha morsi e da quel momento siamo diventati i suoi Beta. È una cosa naturale, accade continuamente tra lupi mannari». 
Chiarito quel dubbio, Emma non sembrò più tranquilla, tutt’altro. Pensava a Derek e al fatto che avesse morso tre adolescenti, condannandoli ad una vita di lotte e sacrifici. Pensava a Deucalion e al suo branco di mostri, al fatto che volessero ucciderli e che sarebbero stati capaci di passare sopra chiunque pur di raggiungere il loro scopo.
«Io… mi chiedevo se non fosse più semplice dare il medaglione a Deucalion ed evitare di combattere, rischiando la vostra vita per niente» esordì la giovane dopo una breve analisi della situazione attuale. 
«Deucalion continuerebbe a tormentarci e una volta scoperta la vera natura del medaglione, credo che sarebbe due volte più furioso di quanto possa esserlo ora» disse Derek, camminando avanti e indietro davanti alla grande vetrata. «Forse dovremmo allenarci». 
«Derek, io rimango del mio pensiero» lo interruppe Scott, fronteggiandolo dall’altro capo del tavolo. «Combatterò con voi, vi aiuterò ma non sarò uno dei tuoi Beta». 
«Ma se non sei uno dei suoi Beta, allora cosa…» fece Valerie, che ormai si era allontanata da Stiles e aveva fiancheggiato Emma. 
«Un Omega», una voce familiare al gruppo echeggiò alle loro spalle, sorprendendoli. Peter aveva fatto la sua apparizione dal nulla, unendosi alla conversazione senza neanche essere interpellato. 
«Ed ecco anche lo psicopatico» commentò con sarcasmo Stiles, sollevando le sopracciglia alla vista dell’uomo. 
«Ragazzino» lo riprese con un sorriso sghembo Peter, «per tua informazione non sono psicopatico, o almeno non del tutto». 
«Già» borbottò il giovane Stilinski, guardandosi intorno. «Ovviamente quando ci hai quasi uccisi tutti volevi solamente dimostrarci quanto tu sia sano di mente, vero?»
«Oh avanti,» rise l’altro, «il rancore è un brutto sentimento». 
Stiles roteò gli occhi al cielo e smise di rispondergli, incrociando le braccia al petto prima di sbuffare. 
«Comunque, ho sentito che avete bisogno del mio aiuto» esclamò presuntuoso, gonfiando il petto. Raggiunse suo nipote, che non smise neanche per un attimo di fulminarlo con lo sguardo. 
«Non farti strane idee, qui non piaci a nessuno. Si tratta solo di necessità e se non vorrai morire, dovrai aiutarci».



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