Crossover
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Autore: Registe    06/11/2015    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 29 - Fuga dall'inferno





La Spada del Sole




“Mia Madre mi ha lasciato un dono. Mi ha offerto il fuoco e le fiamme, il fulmine e la tempesta, mi ha regalato perfino il soffio dei draghi ed il cuore rovente degli uomini. Ha creato per me una spada in grado di distruggere Cephiro. Ma il dono che ha lasciato per ultimo, quello in cui ha riversato tutto il suo amore, non cancella montagne o fa tremare la terra: è piccolo, innocente, ammetto io stessa di averlo dimenticato.
Sono state le lacrime di Ven a ricordarmelo.
Non posso garantire nulla, non voglio ingannarlo, ma è mio dovere tentare. Sora merita una seconda possibilità.
Molti credono che il Cavaliere del Drago esista per distribuire distruzione certa a chiunque sfidi il suo verdetto … e si sbagliano, perché egli non è il signore della morte.
Il Cavaliere del Drago è colui che dona la vita”.
Appunti ritrovati di Lady Nova, ambasciatrice del regno di Pharen per conto del Grande Satana Nehellenia.




Negli ultimi tremila anni la famiglia demoniaca si era retta su una sola, granitica colonna. Una era la voce che li aveva risollevati nei momenti di sconforto, uno il viso a cui avevano rivolto gli occhi in cerca di coraggio quando tutto sembrava perduto. E quel viso continuava ad essere simbolo di speranza anche ora che i secoli vi avevano inciso con inclemenza i propri segni, persino adesso che le file dei demoni si erano finalmente rimpinguate di nuovi giovani, i cuori ardenti e gli animi pronti a combattere. Ancora una volta, era il suo signore a reggere sulle spalle tutto il peso della famiglia demoniaca.
In quei momenti Zaboera detestava la propria debolezza. Malediceva la sua ridicola statura, gli acciacchi dell’età e i piccoli, miseri due cuori che non avevano il potere di sostenere il Grande Satana come avrebbero dovuto. Era impotente persino nei confronti delle sue stesse creature: un Occhio giaceva immobile tra le sue braccia, i tentacoli flosci e la pupilla offuscata da un velo lattiginoso che nessun incantesimo sembrava capace di sollevare. In quei momenti i vecchi fantasmi tornavano a ghignargli con disprezzo nelle orecchie, e l’arcivescovo stregone continuava a domandarsi perché, del più grande e glorioso casato di Pharen, fosse stato proprio lui l’unico a sopravvivere.
Il Grande Satana lo aveva chiamato al suo fianco, e tutto ciò che poteva fare era guardarlo mentre lottava ancora una volta per la famiglia demoniaca.
“Mio signore, l’unità di viverne del generale Crocodyne è vittoriosa! Le navi imperiali fuori dal Baan Palace sono in rotta!”
Il giovane demone doveva aver corso parecchio per riferire la notizia, la prima veramente buona da quando l’attacco era iniziato. Ma il suo signore non batté ciglio, non distolse lo sguardo dal globo di cristallo che stava alimentando con il proprio potere magico. Il flusso di energia doveva rimanere costante, o sarebbe stata la fine per tutti loro.
“Non sono imperiali” si limitò a osservare. Avevano impiegato poco a capire che qualcosa non era come sembrava: questi invasori usavano navi mai viste prima, tra loro non c’erano droidi né caschi bianchi né divise tutte uguali. Verosimilmente provenivano dallo stesso mondo dell’Impero, ma erano più caotici, più imprevedibili. A quanto riferito dalle staffette non sembravano neppure obbedire a un capo. Compensavano la mancanza di disciplina con un alto livello di creatività e capacità di adattarsi alle situazioni; i loro ranghi erano composti da guerrieri e maghi, ed erano esperti nell’uso di armi sia tradizionali che tecnologiche.
“Ma sono diversi anche dai membri della Resistenza. Io mi sono fatto una mia idea. Tu cosa ne pensi, Zaboera?”
Che sono avversari temibili, mio signore. E che mi spaventano. In mesi di battaglie l’Impero li aveva spinti più volte all’angolo, aveva inferto ferite destinate a bruciare per secoli, ma mai, neppure una volta era riuscito a infiltrarsi nella loro roccaforte principale, né a far saltare l’eccellente sistema di comunicazione degli Occhi di Zaboera.
E ora, se non fosse stato per il Grande Satana, persino il Baan Palace sarebbe crollato in un cumulo di macerie.
“C’è solo un altro gruppo di umani che conosce la nostra esistenza e ha avuto contatti con noi, Grande Satana. La cosiddetta Alleanza Ribelle che Hadler e Hyunkel hanno incontrato.”
“È quello che penso anch’io.”
L’Arcivescovo Stregone sbirciò ancora una volta l’espressione del suo signore. Lo scintillio della magia accentuava ancora di più i segni sul suo viso, scavava solchi e valli in cui si annidavano millenni di lotte e fatiche. Le mani restavano salde, senza neppure un tremito, il flusso di energia fulgido e vitale guizzava dai suoi palmi fino al globo catalizzatore sospeso al centro della stanza; ma non sarebbe durato per sempre, Zaboera lo sapeva. Forse un’altra ora, due al massimo. Il Grande Satana stava riversando tutto se stesso nell’oggetto magico. L’energia scorreva fuori dal suo corpo come un fiume in piena, prosciugandolo e riversandosi nel globo e poi nelle condutture che attraverso le pareti del Baan Palace correvano dritte fino al nucleo. Se chiudeva gli occhi poteva sentire lo scroscio della magia in movimento, percepiva il grande polmone del nucleo dilatarsi e accogliere con avidità l’energia del Grande Satana Baan.
“Eppure mio signore… non abbiamo mai dato loro pretesti per attaccare. Possibile che… “
“Gli umani hanno mai avuto bisogno di pretesti?”
Fu solo un istante, ma il flusso di energia scalpitò, si impennò come una viverna imbizzarrita. Un’ondata di calore rovente soffiò sul viso di Zaboera e quasi gli strappò il bastone di mano prima che il Grande Satana riprendesse il controllo. La mandibola serrata e gli occhi ridotti a fessura rimasero le uniche tracce della sua furia, ma l’Arcivescovo Stregone sapeva che se il suo signore non fosse stato impegnato a tenere in piedi il Baan Palace il riverbero della sua magia sarebbe riecheggiato per l’intera regione di Papunika.
Decise di ingoiare le proprie paure, almeno per il momento. La battaglia in corso al nucleo era già da sola una catastrofe; le truppe demoniache combattevano con valore, ma quei maledetti umani avevano distrutto due dei cristalli catalizzatori, e senza l’intervento del Grande Satana il Baan Palace avrebbe già iniziato a precipitare verso terra. Non poteva gravare ulteriormente il suo signore con i timori di un vecchio, patetico demone minore. Come avrebbero fatto d’ora in poi a combattere sia l’Impero che l’Alleanza e portare avanti una guerra su due fronti, era una preoccupazione da affrontare l’indomani; oggi dovevano lottare per sopravvivere. Dovevano essere forti, e restare uniti come solo la gloriosa famiglia demoniaca era capace di fare.
“Notizie di Killvearn?”
“No, mio signore” il messaggero aveva ripreso fiato, e ora abbassò lo sguardo per la vergogna. “Lo abbiamo cercato ovunque, ma sembra sparito nel nulla. Crediamo che abbia lasciato il Baan Palace.”
Zaboera era sicuro di odiare quell’essere viscido e intrigante ancora di più degli imperiali o degli umani che minacciavano il Baan Palace. Doveva essere dalla loro parte, e invece svaniva quando c’era bisogno di lui, disobbediva agli ordini, si nascondeva in chissà quale sordido buco mentre i demoni combattevano e morivano per la salvezza del loro popolo. Ad aggravare il suo crimine, quel rifiuto della natura aveva con sé la Pietra Dimensionale, senza la quale non potevano teletrasportarsi su Kamino a prelevare Baran e Hadler per avere rinforzi. Una mancanza del genere equivaleva ad alto tradimento, e Zaboera giurò a se stesso che se anche il Grande Satana non lo avesse punito stavolta avrebbe pensato lui a farlo, a costo di causare l’ira del suo signore. Ma non poteva tollerare un istante di più una creatura così deprecabile e meschina tra i loro ranghi.
“Mio signore, forse… forse dovremmo usare la seconda Pietra. La assegni a me o al generale Crocodyne e le porteremo il Cavaliere del Drago qui nel minor tempo possibile.”
“La seconda Pietra non si muoverà dal Baan Palace” il tono del grande Satana troncò ogni obiezione. “Baran e Hadler potrebbero non riuscire a disimpegnarsi immediatamente dal combattimento, e noi non possiamo rischiare di rimanere senza mezzi di teletrasporto se ci fosse bisogno di evacuare i nostri.”
La parola “evacuare” gli fece correre un brivido gelido lungo la schiena. Erano già arrivati a questo, erano disperati fino a tal punto? Ma il Grande Satana era un comandante e uno stratega, ed era suo compito prendere in considerazione ogni eventualità, anche la peggiore. Soprattutto la peggiore.
“Grande Satana.” Si rese conto di stare stritolando il bastone tra le dita, ma impose alla voce di rimanere ferma e alla schiena di drizzarsi mentre incontrava lo sguardo del suo signore. “Per quel poco che vale la mia vita, io sono qui, e quando lei avrà bisogno di fermarsi a riposare prenderò il suo posto. Non potrò durare a lungo, ma giuro che terrò in piedi il nostro castello fino a che l’ultima goccia di vita non sarà risucchiata dal mio corpo.”
Fu un istante tra i lampi e le spire della magia, ma giurò di aver intravisto un sorriso increspare le labbra del Grande Satana.
“Lo so. Grazie, Zaboera.”




“… nulla. Si può sapere cosa diavolo gli è preso?”
“Sei sicuro che non sia rimasto ferito nello scontro?”
Hadler aveva gli occhi fissi sul rosso.
La pioggia di Kamino non si era fermata neppure per un istante dalla fine del combattimento. Continuava a scrosciare come dall’istante in cui erano giunti su quel pianeta, e le acque color della notte aveva ormai terminato di affondare tutti gli Star Destroyer precipitati. L’acqua battente aveva travolto anche gli ultimi pilastri di Tipoca City, ma non era ancora riuscita a far svanire del tutto il sangue di Zam Wesell. Scivolava fuori da lei in tanti rivoli sottili, si mescolava alla pioggia e scendeva dal pilone su cui si trovavano, l’unica traccia di colore in quel metallo gelido. Rimase con lo sguardo incollato all’abito viola, ormai nero per il sangue e l’acqua, gonfiarsi fino a nascondere del tutto la figura della cacciatrice di taglie. L’elmo era svanito chissà dove ed i capelli rossi erano sparsi in ogni direzione, sporchi di un sangue rappreso che nemmeno la pioggia riusciva a strappare; le coprivano il viso come un mantello, quasi ad impedire che qualcuno potesse guardarla in viso dopo la sconfitta.
“Anche io ho qualcosa da proteggere, generale Hadler. Per questo non ho mai preso nemmeno in considerazione la possibilità di perdere”.
Si chiese chi fosse la persona che quella donna stava cercando di proteggere.
Perché di una persona si trattava, glielo aveva letto negli occhi. Si chiese chi stesse aspettando quella grande guerriera.
Non era quella la vittoria che sperava di ottenere.
E non era quella la rivincita che la donna gli aveva promesso.
Fissò lo squarcio tra le scapole, la macchia scura dove Kaspar l’aveva colpita a tradimento. Forse, se fosse stato più veloce, sarebbe riuscito ad impedirlo. O forse no, lei sarebbe morta comunque per lo strano attacco di Sephiroth, ma era quasi certo che sarebbe stata una sconfitta preferibile a morire per mano di un viscido traditore. Aveva sconfitto centinaia di soldati umani, aveva sempre accettato i loro duelli: ma tutti quegli scontri, le vittorie ottenute persino a carissimo prezzo, tutte quelle immagini non avevano nulla da spartire con il potere selvaggio di quella donna che aveva incontrato sul campo solo due volte. Conosceva il suo nome quasi per errore.
Lentamente la pioggia lavò via anche le ultime gocce di sangue.
Una mano sulla spalla lo riportò alla realtà. “Hadler, abbiamo un problema”.
Sollevò lo sguardo solo per incontrare quello chiaro di Hyunkel: il suo compagno di battaglia aveva ripreso il suo solito aspetto e, nonostante il viso portasse tutti i segni della stanchezza per l’enorme incantesimo e per l’energia utilizzata, il demone si sentì molto più rilassato vedendo che l’ala nera era sparita e gli occhi verdi come quelli di un rapace erano di nuovo tornati semplici, comuni ed umani. L’unico oggetto in perfette condizioni era il Puzzle del Millennio che portava al collo e che adesso aveva smesso di brillare. “L’Occhio di Zaboera non riesce a comunicare con gli altri. Abbiamo tentato di contattare sia Killvearn che gli Occhi al Baan Palace, ma non riusciamo a vedere o sentire nulla. E non mi sembra che il nostro Occhio abbia subito danni, Baran lo ha tenuto sempre contro di sé per tutto lo scontro”.
“Non è mai successo prima d’ora” borbottò il demone, distogliendo per un istante i propri pensieri dal corpo della cacciatrice di taglie. Il compagno gli passò l’Occhio, e la piccola creatura iniziò a mandare dei versi rapidi ed intermittenti, dei “pi pu” che volevano senza alcun dubbio avvisarli che qualcosa non andava. Ne osservò l’iride e la palpebra, toccandolo alla base delle ali come gli aveva insegnato Zaboera per vedere se ci fossero ferite alla base dell’orbita, ma a parte qualche graffio ed un paio di squame danneggiate non vi erano problemi che riuscisse a vedere. Oltretutto la creatura continuava a mandare suoni, il che almeno voleva indicare che non fosse ridotta troppo male. “Qualche idea per contattare Killvearn? Sempre se vogliamo rientrare, s’intende …”
“Torniamo indietro”.
Se Hyunkel sembrava sul punto di svenire da un momento all’altro –e senza dubbio Hadler stesso non doveva essere in migliori condizioni- per Baran sembrava che la battaglia non fosse mai trascorsa; il Drago era soltanto bagnato dalla testa ai piedi, ma la furia che guizzava dall’occhio destro al sinistro non aveva nulla a che vedere con la frenesia da battaglia. Le braccia erano incrociate all’altezza del petto, ma il demone riusciva a vederne i muscoli contratti, le dita strette contro i bracciali come ad immaginarvi al di sotto la testa di un nemico da schiacciare … e non aveva bisogno di sforzarsi per immaginare chi fosse la persona che Baran avrebbe voluto trovarsi davanti in quel momento. “Abbiamo distrutto il principale stabilimento di produzione di cloni dell’Imperatore, e adesso il nostro nemico ha perso la sua prima guerriera. Abbiamo ottenuto una grande vittoria”.
Grande non è l’aggettivo che userei, Baran. E lo sai anche tu”.
Il generale strinse le labbra per soffocare un insulto in draconico. “Lo so, Hadler. E certe cose mi convincono ad ogni giorno che passa che gli umani siano una piaga per tutti i mondi; ciononostante abbiamo riportato la più grande vittoria dall’inizio della guerra e dobbiamo tornare indietro a fare rapporto”.
Da oltre le onde una creatura marina dal collo enorme si sollevò. Mandò un verso lungo e basso che fece scorrere un brivido lungo la pelle di Hadler mentre osservava l’essere gigantesco sollevare una pinna ed abbattere ciò che restava di una piattaforma di atterraggio di Tipoca City. Guardò oltre quel mostro, cercando di abbracciare l’intero spettacolo di distruzione che avevano creato: la pioggia stava diventando sempre più fitta, ma i resti della città dei cloni continuavano a stagliarsi anche attraverso quel muro d’acqua, imponenti persino nella loro distruzione.
Avrebbe dovuto gioire per quello.
Tutti e tre avrebbero dovuto, ma persino sulla faccia di Hyunkel vi era un’espressione nera, lui che praticamente da solo aveva annientato quel luogo corrotto e deviato … ed il suo sguardo non era certo corrucciato per un Occhio di Zaboera non funzionante. Era la prima volta che il demone sentiva quella stretta nello stomaco, una stretta che gli stava lasciando contro la gola un sapore amaro, aspro, molto diverso da quello riportato nella sconfitta su Coruscant. Aveva vinto centinaia di battaglie, ma di questa ne stava quasi provando vergogna. Ancora una volta risentì sulla pelle il dolore che aveva provato scontrandosi contro quella donna nella capitale degli uomini, la magia non-morta che lo attraversava dalla testa ai piedi e la seconda opportunità che lei gli aveva regalato.
Una bellissima, gloriosa seconda opportunità.
L’idea lo attraversò quasi come un fulmine. “Baran … tu puoi fare qualcosa per questa donna?”
“Cosa te lo fa credere?”
“Racconti. Leggende. Storie degli anziani. Si dice che il sangue del Dio Drago possa …”
“Scordatelo”.
Baran lo interruppe con il ringhio di una bestia feroce. I loro occhi si incrociarono, e nelle iridi dell’altro vi fu un guizzo che non gli piacque affatto. “Quel metodo non funziona, Hadler. Ci ho già provato, e non una volta sola. È solo una stupida leggenda senza alcun fondamento”.
“Nessuna leggenda è priva di verità. Prova con lei”.
Respirò a fondo. Lo sguardo di Baran era quasi invisibile per colpa della pioggia, ma nel tono della sua voce vi era una sfumatura strana. Si era trovato diverse volte a discutere con lui, ma nel corso dei decenni non era mai riuscito a sapere nulla realmente di lui, sempre che vi fosse una persona dietro a quel diadema d’oro. Eppure, in quella risposta secca, Hadler si rese conto che vi era qualcosa che non aveva nulla a che vedere con la loro battaglia, un terreno dove il suo amico non aveva mai fatto entrare nessuno e che, senza dubbio, avrebbe preferito non esporre in quella situazione. Ma doveva a Zam Wesell almeno un tentativo. “Puoi farlo, Baran?”
“Perché ti ostini con questa donna?”
“Beh, perché …”
Perché non era questo il duello che gli era stato promesso. Perché se si fosse trovato nei suoi panni avrebbe voluto morire come un guerriero, contro un avversario degno di questo nome, non con un colpo in mezzo alle spalle. Perché in qualche punto lontano del cielo c’era una persona che stava aspettando quella donna con il fiato sospeso. Perché una sconfitta era molto più dignitosa di una vittoria senza onore. Aveva cento, mille risposte alla domanda del Cavaliere del Drago, una per ogni goccia di sangue che adesso scivolavano lungo il pilone, sparendo nel mare nero; avrebbe voluto dirgliele tutte, fargli sentire quello che provava, cosa c’era in quel momento nei suoi cuori ed in tutto il proprio corpo.
“Perché questo risultato non piace nemmeno a te”.
“Ti stai illudendo. Non funzionerà”.
Hadler osservò il corpo martoriato. “Peggio di così non può andare”.
Baran si avvicinò a lei. Il mantello corto era grondante di pioggia, ma anche in quel modo la sua forma massiccia impedì alla tempesta di scrosciare ancora lungo i capelli rossi ed il corpo saturo d’acqua. Hadler rimase in silenzio, trattenendo il fiato persino quando l’altro si abbassò per portare una mano al viso di lei e scoprirne i lineamenti che la caduta ed il pilastro avevano devastato; rimase così diversi attimi, forse pensando, forse negando. Forse combattendo contro qualcosa dentro di sé che a lui ed al resto di Cephiro era precluso vedere. Il demone non mosse nemmeno un passo nella loro direzione, in attesa che il suo compagno emettesse un qualsiasi verdetto.
E, quando il Cavaliere del Drago sollevò la figura immobile tra le braccia, capì che non vi era bisogno di altre parole. “Il Grande Satana non approverà”.
“Se riuscirai nel tuo miracolo, Baran … mi assumerò ogni responsabilità”.
Si chiese cosa avrebbe fatto il signore dei demoni al suo posto, ma erano domande degne solo di svanire nella pioggia; un demone maggiore vedeva e pensava a livelli ben più alti del suo, dunque si limitò a sospirare mentre il generale del Choryugundan si faceva strada in mezzo alla piattaforma. Avrebbe affrontato il giudizio del suo unico signore a testa alta, come si conveniva ad un demone che avesse agito secondo il proprio orgoglio ed il proprio onore: e se davvero il suo compagno fosse riuscito nel prodigio che solo lui poteva compiere … avrebbe accettato qualunque punizione.
Scivolò accanto a Hyunkel, quasi immaginando di sentire le orbite vuote del valoroso Bartosh su se stesso.
Adesso dovevano solo sperare che l’Occhio di Zaboera riprendesse a funzionare per andarsene via di lì.




Trovarono le casse con i Nuclei Neri nel laboratorio dove le avevano lasciate, ancora sigillate dal ghiaccio accanto ai demoni addormentati. Questi ultimi furono legati in fretta e furia e rinchiusi nello sgabuzzino che per mesi era stato l’alloggio di Vexen e Camus.
“Ce ne sono altre?” Il dito di Aragorn si fermò a pochi centimetri dall’orlo di uno dei coperchi, esitante. Persino l’ardito re straccione sembrava aver perso la consueta leggerezza accanto agli esplosivi che avevano raso al suolo interi quartieri di Coruscant e polverizzato il leggendario Castello dell’Oblio.
“Un’altra dozzina dovrebbe essere nelle mani del generale Baran, che ora è in missione su Kamino.” Camus aveva fatto i compiti come al solito. Vexen non si era nemmeno accorto della partenza del Cavaliere del Drago, anche se era pronto a scommettere che l’attacco dei ribelli non fosse avvenuto durante la sua assenza per caso. “Ma qui nel Baan Palace ci sono solo queste quattro casse.”
“Ottimo. Prendiamole e andiamocene di qui.”
“Cosa? Non andiamo anche noi a menare le mani con Gandalf e gli altri?” Il Corthala più anziano, Lavok, sembrava deluso.
Aragorn sorrise. “La nostra missione è finita. Certo, una volta messi i Nuclei Neri al sicuro a Minas Tirith nulla ci impedisce di tornare qui a divertirci un po’… “
“Questo si chiama parlare!”
Il Corthala giovane brontolò qualcosa, un rimprovero allo zio che si ostinava a comportarsi come un bambino anche nelle situazioni più delicate. Vexen li osservò battibeccare, indovinando senza difficoltà l’affetto che trapelava dietro le frecciatine, le battute e le provocazioni. Zio e nipote, insieme. Ciascuno che si prendeva cura dell’altro.
Per la prima volta da quando era prigioniero sul Baan Palace si concesse di pensare al dopo. Negli ultimi mesi “libertà” era diventato un concetto estraneo e fumoso, una chimera appartenuta a un vago passato a cui non era più concesso pensare. Non aveva mai creduto veramente alla promessa del Grande Satana di lasciarlo andare una volta che non avesse più avuto bisogno di lui. I demoni misuravano il tempo con un metro diverso, e nella migliore delle ipotesi “libertà” avrebbe significato una vecchiaia trascorsa a nascondersi in qualche sordida grotta nel suo mondo e ad assistere impotente al declino delle sue forze e della sua mente.
Ora però era cambiato tutto. Aveva l’immortalità, e la libertà era luminosa e vicina, doveva solo protendere le dita e farla sua. Soprattutto, aveva uno scopo. Un obiettivo nuovo, che fino a poco tempo prima avrebbe ritenuto semplicemente inconcepibile.
Mentre Aragorn accendeva un comunicatore per riferire all’altro gruppo i progressi della missione e il giovane druido li faceva disporre in cerchio per attivare il teletrasporto, Vexen decise che la sua prima azione da uomo libero sarebbe stata andare in cerca di Zexion. Forse non era possibile ricostruire il passato, ma la conversazione iniziata in quello stesso laboratorio doveva finire, con tranquillità e lontano da occhi indiscreti. Tutto ciò che chiedeva era la possibilità di parlare e di spiegarsi. Non avrebbe preteso altro.
“Prendetevi per mano o aggrappatevi in qualche modo l’uno all’altro. Così la magia del teletrasporto ci includerà tutti.” Un’ondata di calore percorse i loro corpi mentre l’incantesimo iniziava a fare effetto. Le casse con i Nuclei Neri erano al centro del cerchio, e su ciascuna posavano le mani almeno due ribelli. Aggrappato al braccio di Camus, Vexen si preparò al consueto strappo alla bocca dello stomaco che accompagnava ogni salto tra le dimensioni.
“Gentili clienti, siamo spiacenti di informarvi che le dimensioni del vostro bagaglio a mano superano le misure consentite dalla nostra compagnia. Pertanto saremo costretti ad applicare una sovrattassa.”
La sensazione di calore svanì di colpo, risucchiata nel vortice di quella voce pungente e beffarda.
Vexen si sentì spingere indietro come da una mano invisibile che lo strappò via brutalmente da Camus. Vide i ribelli attorno a sé lottare e divincolarsi contro la stessa forza che ora gli gravava addosso, sospingendolo verso il pavimento.
“Di nuovo tu, pagliaccio della malora!”
Non aveva bisogno di guardare in alto per capire a chi si stesse riferendo Lavok. Notò per prima la falce, un cerchio nero disegnato nell’aria dalle lente oscillazioni della lama, come un pendolo che scandisce l’ora del destino. Poi il suo sguardo risalì lungo le gambe rivestite di nero della figura che fluttuava in aria, e infine si posò con un fremito di orrore sulla maschera e il suo sorriso agghiacciante.
Solo in un secondo momento si accorse delle casse. I contenitori dei Nuclei Neri non erano più sul pavimento, dove i ribelli li avevano collocati in attesa del teletrasporto, ma fluttuavano alle spalle di Killvearn, pericolosamente vicini alla traiettoria della falce. Gli strati di ghiaccio protettivo erano spariti.
“Il quattro di cuori è l’incantesimo della gravità, Piro Piro Piroro! L’ideale per inchiodare a terra i clandestini in fuga, non è vero Killvearn?”
L’immancabile esserino monocolo saltellava sulla spalla del suo padrone esibendo una carta tra le mani. In ginocchio, Vexen cercava di flettere le dita per evocare un incantesimo di ghiaccio, ma era come se ogni parte del suo corpo fosse stretta da fili invisibili che rendevano impossibile qualsiasi movimento.
“Proprio così, caro il mio Piroro. Ma qui c’è qualcuno che è più clandestino degli altri. Perché dimmi, come avrebbero fatto questi topi di fogna a teletrasportarsi qui senza conoscere la posizione del Baan Palace? A meno che io non mi sbagli, ovviamente.”
“Tu non sbagli mai, Killvearn!”
“Appunto. Quindi qualcuno qui deve aver fatto qualcosa di molto brutto… deve aver fatto la spia!”
“Una cosa terribile, Killvearn!”
Doveva esserci qualche lieve smagliatura nella trama dell’incantesimo di gravità, perché con un po’ di fatica Vexen riuscì a muovere il collo. Non troppo, quel tanto che bastava a incontrare lo sguardo di Lupo Solitario e ad accorgersi che anche la sua mano lottava contro l’incantesimo, a pochi centimetri dall’elsa della Spada del Sole agganciata alla cintura. Lo scienziato sperò con tutte le sue forze che l’arma magica fosse sufficiente a liberarli da quella situazione orribile.
La pantomima, intanto, continuava. “Ora però la domanda è: chi mai potrà essere stato?”
“Tu lo scoprirai di certo, Killvearn! Nessuno è bravo come te a far parlare le persone, Piro Piroro!”
La maschera della morte li passò in rassegna uno dopo l’altro, con lentezza, esasperata e deliberata lentezza. Quell’essere si dilettava con gli effetti speciali e i colpi di teatro, ma stavolta il copione era già scritto, persino scontato. Era fin troppo ovvio su chi si sarebbe posato quello sguardo dipinto, e Vexen si sentiva come in uno di quegli incubi in cui si viene inseguiti da una creatura malvagia ma le gambe restano incollate al suolo, rendendo impossibile la fuga. Tra le mani di Killvearn la falce continuava a oscillare in un moto perpetuo, ipnotico. Una promessa di sangue e dolore oltre ogni immaginazione.
“Sono stato io.”
Non riuscì a cogliere il movimento della falce. Un secondo volteggiava nell’aria, quello dopo era immobile e tesa, la punta a un millimetro dalla faccia di Camus.
“Hai visto, Killvearn? Ormai cantano ancora prima che il tuo spettacolo cominci! Ti temono Killvearn, e fanno bene, oh sì quanto fanno bene Piro Piro Piroro!”
Camus manteneva lo sguardo fermo, fisso sul volto macabro della creatura, ma nemmeno l’armatura d’oro nascondeva il tremito del corpo. Alcuni tra i ribelli cominciarono a urlare insulti verso Killvearn, nella speranza di attirarlo nella loro direzione.
“Ho rivelato io la posizione del Baan Palace alla Resistenza. E sono anche responsabile per la malattia degli Occhi di Zaboera.”
“Guarda, guarda. Questo è interessante.” Era impossibile, ma Vexen avrebbe giurato di vedere il sorriso sulla maschera allargarsi sempre di più. “Che ne dici di… raccontarci meglio?”
Il sacerdote sussultò quando la punta della falce gli sfiorò la gola, facendo sgorgare appena un rivolo di sangue. Quanto ci metteva quel dannato Ramas a intervenire?
“Dai Lupo! Ci sei quasi!”
Fu un errore da parte di Aragorn. Un errore fatale. Forse credeva che Killvearn fosse troppo concentrato sulla vittima del momento, o troppo interessato a ciò che Camus aveva da dire. Forse pensava che le grida degli altri ribelli avrebbero coperto il suo sussurro di incoraggiamento. Ma a quanto pareva Killvearn aveva ottime orecchie.
Ancora una volta la falce si mosse a velocità sovrumana, disegnando un arco mortale in direzione di Lupo Solitario. Ma non ci furono urla, né sangue. Quando l’arma tornò a sollevarsi rimasero tutti abbagliati dallo splendore della Spada del Sole, appesa per l’elsa alla lama ricurva della falce. Era un miracolo che Lupo Solitario avesse tutte e cinque le dita ancora attaccate alla mano destra.
“Guarda, guarda, cosa abbiamo qui? Pensavate di inscenare uno spettacolo alternativo senza coinvolgermi? Che cattivi! Ci sono rimasto molto male!”
La Spada volò in fondo alla stanza, fracassando un set di provette di Zaboera e lasciando una stria di bruciature nere sulla scrivania dell’arcivescovo stregone. Sole liquido o no, il rumore metallico che produsse cadendo non aveva nulla di diverso da quello di una spada comune. Piroro saltò giù dalla spalla del suo padrone e corse ad impossessarsene.
“Mi avete ferito. Ferito nel profondo. Sapete, non c’è niente di peggio che sentirsi esclusi. Diversi. Emarginati. Ma forse non potete capirlo, perché non avete mai provato una sensazione simile.” Killvearn portò una mano al petto, il mento leggermente sollevato nell’imitazione di una diva da opera tragica. Avrebbe potuto far ridere, se non fosse stato assolutamente terrificante. “Ma non temete, ve lo insegnerò io. Vi insegnerò a soffrire, così la prossima volta avrete più rispetto dei sentimenti del prossimo.” Una risata stridula eruppe dal mascherone. Era un suono orribile, come unghie sfregate tutte insieme su una lavagna o ingranaggi sofferenti che nessuno olia da chissà quanto tempo. “Visto che voi avete ferito me… adesso sarò io a ferire voi. Cominciamo da un braccio, che ne dite? O preferisci una gamba? Lo sai che sono capace di staccare un arto in un colpo netto?”
“Lascia stare il mio maestro razza di bastardo!” Roxas si contorceva come un disperato, ma non riusciva a fare di più che agitarsi sul posto e flettere leggermente le gambe e le braccia. Lupo Solitario era pallido e sudato, ma non spostava lo sguardo dalla maschera nera che di nuovo roteava la falce sulla sua testa, stavolta senza fretta, come a rallentatore.
“Non dovremmo fare del male agli amici, Killvearn.”
L’essere monocolo era risbucato da sotto la scrivania di Zaboera con la Spada del Sole tra le mani; era talmente grande per la sua statura che doveva trascinarla con la punta sul pavimento. La carta del quattro di cuori ora giaceva abbandonata sul pavimento, troppo lontana per essere raggiunta da chiunque di loro.
“Loro sono nostri amici, no? Siamo tutti grandi amici!”
C’era qualcosa di strano nella sua voce. Era strascicata, impastata come al risveglio da un lungo sonno; il timbro aveva perso la sua sfumatura squillante e ossessiva, e l’unico occhio era sgranato su di loro senza metterli realmente a fuoco, la pupilla dilatata a catturare distanze infinite.
Anche Killvearn doveva essere stupito dal cambiamento improvviso del suo servitore, perché si voltò nella sua direzione e rimase immobile a guardarlo, la falce ancora sollevata sulla testa.
“Voglio poter abbracciare i miei amici, tutti insieme!”
Di colpo l’esserino schioccò le dita e la carta del quattro di cuori prese fuoco. Vexen sentì la pressione sulle spalle allentarsi e svanire e la magia raccogliersi sulla punta delle dita non appena fu di nuovo in grado di muoverle normalmente. I ribelli furono ancora più rapidi. Una catena di fulmini e un dardo incantato partirono dalle mani di Lavok e Nevius e si abbatterono su Killvearn mandandolo a rotolare sul pavimento con le vesti nere fumanti. Nello stesso istante Lupo Solitario scattò in piedi e allontanò Piroro con un calcio riprendendosi la Spada del Sole.
“Voi maghi del ghiaccio, i Nuclei Neri!”
Lavok doveva essere un mago di potenza eccezionale. Anche provato dalla lunga prigionia era in grado di reggere due incantesimi contemporaneamente, la catena di fulmini che continuava a martoriare il corpo di Killvearn, e con l’altra mano la magia di levitazione con cui aveva impedito alle casse dei Nuclei Neri di precipitare a terra. Vexen e Camus corsero in suo aiuto congelando di nuovo i quattro contenitori mentre Lavok li faceva atterrare con cautela sul pavimento.
“Che… cosa… diavolo… “
Il corpo ancora percorso da scariche elettriche, Killvearn si rialzò a fatica, gli arti scomposti, i movimenti a scatti come quelli di una marionetta spezzata. La falce ora roteava da sola di fronte a lui, generando una qualche sorta di scudo magico che assorbiva gli incantesimi offensivi di Nevius e Lavok. Lupo Solitario e Aragorn gli corsero incontro con le spade sguainate.
“Che… cosa… avete fatto… a Piroro?”
Il sorriso di Killvearn era tagliato a metà. La parte sinistra della maschera giaceva ai suoi piedi, spezzata, ma Vexen non riuscì a cogliere nemmeno un guizzo del suo vero volto perché l’essere lo coprì immediatamente con una mano nera, mostrando agli avversari soltanto il suo solito ghigno, ancora più sghembo, ancora più inquietante.
“Noi non abbiamo fatto proprio nulla… sei tu che ci sei cascato in pieno, mascherone!”
I due guerrieri dell’Alleanza scartarono a destra e a sinistra di Killvearn, gli occhi fissi sulla temibile falce alla ricerca di un varco, del momento giusto per superare la barriera e arrivare a portata dell’avversario. Sollevarono le armi, decisi a sferrare un attacco contemporaneo sui due fianchi. Con un solo braccio a disposizione Killvearn non poteva fermarli entrambi.
“Sai mascherone, la mia Spada del Sole è molto schizzinosa. Non le piace venire impugnata da chi non ha un animo luminoso quanto la sua lama. E quando questo succede… diciamo che lei si sforza di correggere la persona in questione, ecco. Evidentemente il tuo piccolo servitore non era di suo gusto!”
In un angolo della mente Vexen prese nota di non sfiorare mai, per nessun motivo, la Spada del Sole. Ci mancava solo una spada allucinogena che ti fa vedere il mondo pieno di unicorni e arcobaleni e venire voglia di abbracciare i tuoi nemici e sacrificarti per il prossimo. Sembrava proprio il tipo di arma che poteva andare d’amore e d’accordo con Camus.
Un paio di finte e Aragorn finalmente deviò la falce con la propria spada, aprendosi lo spazio necessario a menare un affondo verso il petto esposto di Killvearn. Dall’altro lato Lupo Solitario gli tagliava ogni via di fuga, ma di colpo entrambi i guerrieri furono avvolti da una cortina di fumo nero apparsa dal nulla, e Vexen fece in tempo ad adocchiare l’ennesima carta nella mano libera del mascherone prima che il suo mezzo sorriso svanisse inghiottito nella nube. Per un soffio Aragorn e Lupo non cozzarono l’uno contro l’altro, e quando il fumo finalmente si diradò si ritrovarono a duellare contro la sola falce, che prese a saettare da una parte all’altra della stanza sferrando fendenti come guidata da una mano invisibile. Vexen si rifugiò dietro uno scaffale trascinando Camus con sé.
Killvearn e Piroro non si vedevano da nessuna parte.
“Esci fuori vigliacco! Combatti lealmente per una volta!”
“Sprechi il fiato, zio” Valygar Corthala schivò la falce con una capriola e le tirò contro una serie di tomi presi a caso da una libreria nella speranza di arrestare la sua corsa, ma l’unico effetto fu far piovere sulle loro teste un cumulo di vecchie pagine ingiallite. Gli incantesimi dei maghi si infrangevano contro uno scudo invisibile, e la falce sembrava acquistare velocità ad ogni secondo che passava.
“Padron Vexen, dobbiamo aiutarli. Se riusciamo ad attirare quella cosa in un punto potremmo imprigionarla nel ghiaccio, che ne pensa?”
“Penso che fa caldo. Non lo senti anche tu?”
Era arrivata all’improvviso, anche se non riusciva a capire da dove. Una sensazione arida e bruciante incollata alla pelle e stretta attorno alla gola che trasformava il respiro in una serie di rantoli affaticati. Istintivamente si portò una mano alla fronte e la trovò madida di sudore.
“C’è poca aria qui dentro padron Vexen, ed è satura di incantesimi. Come elementale del ghiaccio lei deve risentirne più di tutti.”
“No… “ il sacerdote avvolse le proprie dita in uno strato di brina sottile e gliele passò sulla fronte. Al contatto con il proprio elemento Vexen provò sollievo, e per qualche attimo gli parve di respirare meglio. Ma il calore aumentava, e le energie scorrevano via dal suo corpo insieme ai ruscelli di sudore. “No, è qualcos’altro… come se… “
Si sporse oltre lo scaffale proprio mentre le gambe gli cedevano. Scivolò sulle ginocchia annegando nell’aria densa, pesante, distorta. Attraverso le ciocche di capelli incollate al viso i ribelli continuavano a battersi contro la falce impazzita, ignari di tutto. Aprì la bocca per parlare ma inghiottì solo un pugno di aria rovente, e solo la stretta di Camus intorno alle spalle gli impedì di scivolare ulteriormente sul pavimento. La sensazione gelida sulla fronte era sparita.
“Non riesco… padron Vexen, ha ragione… c’è qualcosa… non riesco più a evocare il ghiaccio… “
Al contrario di lui, Camus non era ancora un elementale del ghiaccio completo. Per diventare elementali autentici occorrevano decenni di pratica; bisognava rinunciare a tutti i tipi di magia tranne quello prescelto, e dedicarvisi interamente finché, dopo un lungo processo di assimilazione, il corpo non fosse entrato in perfetta sintonia con l’elemento, atrofizzando automaticamente ogni altro tipo di capacità magica. Una delle condizioni imposta dal Superiore ai nuovi membri dell’Organizzazione era proprio quella di diventare elementali, ma Xemnas possedeva la peculiare capacità di sigillare parti del potenziale magico di qualsiasi creatura, e il processo non aveva richiesto più di una manciata di secondi. Per Camus era diverso; il sacerdote probabilmente non era neanche a metà del suo cammino di elementale, e alle condizioni attuali avrebbe resistito più a lungo di lui in un ambiente dominato dall’elemento opposto. Ma non per molto.
La voce di Killvearn si fece strada attraverso i vapori che ora permeavano l’aria.
“Spero che gradiate il mio invito per una bella sauna, amici miei.”
Dalle grida capì che anche i ribelli si erano accorti che qualcosa non andava. Il nano Gimli si era precipitato alla porta del laboratorio e menava colpi d’ascia come un ossesso, ma la lama cozzava contro qualcosa di invisibile e gommoso, l’ennesimo scudo magico probabilmente, e la falce impazzita continuava a seminare caos tra i ribelli, immune all’ondata di caldo rovente che ora iniziava a essere avvertita da tutti loro.
Poteva sentirla sorgere dal pavimento ora, sempre più intensa, e dalle pareti; Camus gli si era accasciato accanto, ma restare a terra era pericoloso, le ginocchia iniziavano a scottare in modo insopportabile e quell’odore di bruciato probabilmente era la stoffa degli abiti che iniziava a consumarsi, ma nessun incantesimo di ghiaccio ormai rispondeva al suo appello e tutte le energie che gli rimanevano erano concentrate nell’immane compito di non svenire. Attraverso il velo di calore vide Nevius e un altro paio di ribelli cadere feriti dalla falce, poi una risata acuta e stridula gli perforò le orecchie nello stesso momento in cui una crepa si apriva nel ghiaccio che sigillava i Nuclei Neri, e questi ultimi si sparsero dalle casse aperte in ogni direzione, rotolando sul pavimento, disperdendosi sotto gli scaffali, tra le gambe dei tavoli e i piedi dei ribelli paralizzati dall’orrore.
Sui resti delle casse una carta solitaria, un dieci di fiori, si infiammò piano a un angolo e si consumò quietamente.
Urlò, o forse erano solo i suoi polmoni e la gola che prendevano fuoco.
“DOBBIAMO FUGGIRE, ORA! DRUIDO!!”
I Nuclei Neri pulsavano e vibravano, rossi come le pareti della stanza e le scintille che gli esplodevano nel cervello. Il calore avrebbe innescato la reazione, il Baan Palace sarebbe esploso, annichilito in un miliardo di atomi, e loro con lui. Gli ultimi secondi furono solo uno scorrere di sensazioni convulse e lampi accecanti.
“GANDALF! RISPONDI, GANDALF!”
Il morso del fuoco, la sagoma del druido a braccia spalancate.
“Aragorn, non c’è tempo!”
La stretta di Camus, le sue urla dentro la maledetta armatura rovente, quelle di Gimli mentre respingeva la falce con un ultimo, disperato colpo d’ascia. Il mondo rosso e bianco, la vibrazione di decine di Nuclei Neri sul pavimento, nei polmoni, fin dentro le viscere. Odore di carne bruciata e fuoco liquido nelle vene.
“Vexen!”
Riuscì ad afferrare la mano tesa di Roxas un attimo prima che tutto si capovolgesse e diventasse bianco. Sentì il corpo sbalzato in tutte le direzioni e un boato assordante, ma con l’ultimo barlume di coscienza non riuscì a capire se fosse l’esplosione del Baan Palace o il semplice effetto del teletrasporto.
Poi ci fu solo buio.


 
  
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