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Autore: Vanisher    06/11/2015    4 recensioni
(Dal capitolo 3)
- Dopotutto, è impossibile dimenticare una persona dall'oggi al domani. Sopratutto se quella persona è Tom Kaulitz -
Le sue parole sono maledettamente vere quanto dolorose.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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COME MI SONO INNAMORATA DI TE






05 dicembre 2013, 08:30 a.m



- Merda, merda, merda! - premetti con forza il piede sull'acceleratore, nella speranza che il mio vecchio catorcio di terza mano si trasformasse in una potente macchina col turbo, in grado di catapultarmi al lavoro in pochi secondi. Mi ero regalata quel rottame per il mio diciottesimo compleanno avvenuto da poco, e dati i pochissimi soldi che avevo potevo permettermi solo quello. I miei genitori non mi fecero alcun tipo di regalo e non mi aiutarono economicamente né con l'acquisto di una macchina che non si spegnesse ogni volta che svoltavo a sinistra né con l'aquisto di un nuovo appartamento. Dopo che abbandonai la scuola, pochi mesi prima, si erano decisi a disconoscermi e negare con tutte le loro forze che Annalise Rebecca Lahey era loro figlia.
Sì, avete capito bene, il mio vero nome è Annalise. Mia madre me lo diede in memoria della sua povera sorella defunta, mentre Rebecca era pin memoria della sorella di mio padre (sempre defunta). Ma dato che Annalise mi era sempre sembrato un nome da vecchia ed acida zitella, decisi che il mio vero nome sarebbe stato Rebecca, e così cominciai a presentarmi alle persone, gettando nell'ombra quello vero.
Avevo trovato lavoro in un piccolo locale in periferia, il Patrick's, frequentato essenzialmente da vecchi che sedevano a giocare a briscola tra una zuppa di lenticchie e una di carote e da ragazzini che capitavano casualmente insieme alle loro fidanzatine. La paga non era il massimo, ma perlomeno riuscivo a pagare l'affitto senza ritardare e ad andare a letto con la pancia piena.
Inutile specificarlo, ma ero dannatamente in ritardo. Di nuovo. Il capo era davvero stanco dei miei ritardi, e come biasimarlo dato il deficit di personale. Se non ricordo male eravamo rimasti in quattro a lavorare in quel posto maleodorante, il che non era affatto strano : tutti chiedevano le dimissioni appena trovato un posto migliore in cui lavorare, e onestamente anche io ero in procinto di andarmene. Il problema era trovare qualcuno che si accontentasse di una diciottenne che non aveva nemmeno terminato il liceo a causa della poca voglia di studiare.
A quell'ora le strade di Los Angeles erano piene zeppe di aiuto pronte a dirigersi verso i rispettivi posti di lavoro, e non era facile evitare code interminabili a semafori sfigati o altri incidenti che il destino crudele creava per farti arrivare in ritardo rischiare il licenziamento. Avevo trovato una scorciatoia veramente comoda, la strada era deserta e il mio rottame color vomito era l'unica cosa che stesse passando in quel momento, una benedizione dal cielo insomma ... finché il rottame decise di fermarsi in mezzo alla strada, immobile come una statua, emettendo qualche inquietante cigolio che non annunciava niente di buono.
Indovinate il perché? Esatto, avevo svoltato a sinistra.
- No, non di nuovo! - mugugnai lamentosa. Comincia a colpire affettuosamente il volante del catorcio, come ad accarezzare un gattino impaurito sul ciglio della strada - Andiamo, dolcezza, non adesso! Non adesso, o mamma Reb finisce senza lavoro! E niente lavoro vuol dire niente soldi, niente soldi vuol dire niente casa, niente casa vuol dire vivere in mezzo alla strada come una barbona! QUINDI NON ADESSO! -
Ma le mie preghiere non furono sufficienti a far ripartire il catorcio. No, quello rimase immobile, probabilmente morto. Che mi avesse abbandonata, questa volta per sempre? Non aveva i soldi necessari per comprarne una nuova e non ne aveva nemmeno per chiamare un carrattrezzi che potesse spostare il rottame dalla strada e portarselo via.
Decisi di scendere e provare a spingere la macchina lontano dalla strada, ma il mio esile e gracile corpo da diciottenne non era in grado di spostare quel rottame. Dopo nemmeno due spinte ero esausta e sudavo. 
- Dio, ti prego - mormorai implorante, spingendo invano il rottame con entrambe le mani, facendo leva sulle gambe fasciate nei jeans rattoppati con toppe rosse ricavate da vecchie magliette inutilizzate - Ti prego, se mi aiuti a spostare questo schifo da qui e a farmi arrivare a lavoro prima delle dieci giuro che mi metto a ballare la samba nuda su YouTube! -
- Non ti conviene giocare in questo modo con la rete, tesoro, potresti rimanere marchiata a vita - 
Sussultai spaventata, rischiando quasi di cadere a terra. Mi voltai, un bel ragazzo decisamente più alto di me dai capelli corti e biondi pettinati in una voluminosa cresta e dal viso coperto di piercing mi sorrise gentile. Gli occhi scuri sembravano brillare di luce propria, due soli radiosi.
- Serve una mano? - la sua voce era dolce, ma non troppo. 
- In effetti sì - ammisi leggermente imbarazzata, grattandomi nervosamente la nuca con le unghie mangiucchiate. Avevo un aspetto orribile : i capelli  raccolti in una coda disordinata che ormai era scesa penzolando pateticamente sul collo, una felpa viola di cinque taglie più grande di me, i pantaloni rattoppati e le immancabili converse rosse che da sempre mi avevano accompagnata nelle mie strambe avventure. Non mi ero nemmeno truccata, anche se lo facevo di rado. Con una mano indicai il catorcio immobile alle mie spalle - Credo che la mia auto mi abbia abbandonata -
- Ti dispiace se do una controllata? -
- Fai pure -
Il ragazzo biondo si avvicinò alla macchina, sollevando il cofano con un po' di fatica. Gettò un'occhiata distratta al motore e a tutti quei marchingegni di cui ignoro l'utilità e il nome, per poi ridacchiare con fare colpevole - Non sarò un meccanico, ma credo proprio che la tua auto sia morta -
- Oh, fantastico - sbottai ironicamente.
- Conosco un esperto -
- Non ho soldi per pagare, e non accetterò che tu paghi al posto mio -
Il ragazzo scoppiò a ridere, piegandosi quasi in due - Non preoccuparti, non ho bisogno di pagarlo : si tratta di mio fratello. Lui se ne intende molto più di me per quanto riguarda motori e queste cose qui - detto questo, il ragazzo afferrò con decisione il cellulare dalla tasca degli appariscenti pantaloni giallo canarino e digitò un numero che sembrava conoscere a memoria. Si portò il cellulare all'orecchio e dopo qualche secondo, cominciò a parlare - Fratello, ho bisogno di te. Sì, adesso. Si tratta di un'emergenza, devo aiutare una fanciulla in difficoltà. Se ti sto chiamando è perché ho bisogno del tuo aiuto, idiota! Si tratta di motori, sai che io non ne capisco niente. Ti ricordo che mi devi un favore, quindi alza in culo e vieni! Ti mando l'indirizzo per messaggio. Sbrigati! -
A fatica riuscii a trattenere una risata, e il ragazzo rise con me dopo che terminò la chiamata col presunto fratello. 
- Mi dispiace di scomodare tuo fratello - mormoro piano, mortificata.
- Non preoccuparti, non starà facendo nulla di produttivo - il ragazzo liquida la faccenda con un gesto frettoloso ed approssimativo della mano, per poi sorridermi raggiante come il sole - Spero solo che si sbrighi -
- Già, teoricamente dovrei andare a lavorare -
- Mi dispiace ma credo che oggi salterai il lavoro. E' un problema? -
Scrollai le spalle con finta indifferenza, una risata isterica esce dalle mie labbra come il sibilo di un serpente - Mi licenzieranno, ma cosa vuoi che sia? -





05 dicembre 2013, 10:05 a.m



La voglia di ammazzare il fratello di questo ragazzo così gentile crebbe a dismisura quando mi resi conto che era in ritardo di più di un ora e mezza, e ormai ebbi la certezza che mi avevano licenziata. Il ragazzo biondo, premuroso come non ne avevo mai incontrati, aveva tentato di richiamare il fratello più e più volte, ma quello zuccone aveva evidentemente spento il telefono per evitare di essere scocciato ulteriormente. Gran bella persona, davvero!
- Sono mortificato - si scusò per la decima volta il biondo.
- Non preoccuparti, sono abituata ai parenti serpenti - 
- Spero davvero non ti abbiano licenziata -
- Sì, lo spero anche io -
Improvvisamente, un potente rombo mi fece sobbalzare. Al contrario, il biondo sembrò riconoscere perfettamente quel rumore, perché si voltò con disinvoltura ed andò incontro alla lucida macchina rosso fuoco che si stava fermando dietro al mio catorcio. Una macchina senza ombra di dubbio costosa e moderna, di quelle che puoi ammirare solo nei cataloghi dei concessionari e sognare nei tuoi signi più belli. Evidentemente la famiglia del biondo doveva essere davvero molto ricca per permettersi un tale gioiellino.
Seguii il biondo, e dalla macchina rossa fiammante uscì un ragazzo identico al primo solo per i tratti delicati e marcati del viso, evidentemente il fratello che avevamo tanto aspettato. La corporatura non troppo muscolosa ma notevole, anche lui decisamente più alto di me, i capelli scuri tenuti in strette treccine legate approssimativamente sulla testa e gli occhi coperti dagli occhiali da sole neri. Aveva un anellino all'angolo sinistro del carnoso labbro inferiore, che continuava a stuzzicare con la punta della lingua. Indubbiamente un bel ragazzo, ma non il mio tipo. Mi bastò uno sguardo per capire che era uno che se la tirava una cifra. Il solito latin lover, patetico.
- Si può sapere dove ti eri cacciato?! - lo rimproverò severamente il biondo andandogli incontro coi pugni serrati sui fianchi magri, da fare invidia persino alla modella più anoressica del mondo. 
Il fratello sbatté con un gesto secco la portiera dell'auto, chiudendola - Stavo facendo sesso duro e violento, e mi hai interrotto proprio sul più bello -
Arricciai il naso, disgustata. Ecco, il genere di ragazzo che eviterei a tutti i costi.
Il ragazzo biondo alzò gli occhi al cielo, disgustato quanto me - Prima finisci, prima torni al tuo sesso -
Il fratello si tolse gli occhiali da sole, rivelando un paio di enormi occhi scuri - E allora, dove sarebbero questa fanciulla da salvare e questo motore tanto complicato? -
- Qua - il biondo indicò me e il mio rottame con un cenno della testa prima di avvicinarsi, seguito dal fratello. Il biondo mi sorrise gentile, i suoi occhi scuri così simili a quelli del fratello che trascinava rumorosamente i piedi sull'asfalto - Scusami, tesoro, il tuo nome? - 
- Mi chiamo Rebecca -
- Bene, Rebecca, facciamo in fretta - sbottò il treccinato, avvicinandosi con fare esperto al mio rottame e sollevando il cofano senza fare fatica. Si stuzzicò il piercing con la lingua, spostandolo ripetutamente a destra e a sinistra mentre analizzava con occhi attenti il motore e tutte le parti metalliche che, un tempo, gli permettevano di funzionare. Con le grosse mani spostò qualche tubo e mosse qualche rotella, prima di scuotere il capo - Questo cesso a pedali è da rottamare, fine della storia. E' completamente andato, nemmeno il meccanico più bravo del pianeta riuscirebbe a resuscitarlo -
- Smettila di fare l'insensibile, idiota! - il fratello biondo gli diede una pacca sulla spalla larga, rimproverandolo ancora. Intuii subito che quei due ragazzi erano l'uno l'opposto dell'altro, il biondo probabilmente era l'acqua santa e il fratello era il diavolo. Chissà perché, quella attribuzione di ruoli non mi sorprese affatto.
- Non preoccuparti, non avevo alcun legame affettivo con quel coso - con un cenno del capo indicai il rottame ormai deceduto. 
- A proposito, non ci siamo nemmeno presentati! - il biondo mi sorrise ancora, raggiante - Io sono Bill, e questo zuccone accanto a me è Tom - 
Ebbi come la vaga impressione di aver già visto quei due ragazzi da qualche parte, e rovistai accuratamente nella mia mente alla ricerca di qualche frammento in cui quei visi e quei nomi potessero collegarsi a qualcosa che potesse spiegare la mia sensazione. Probabilmente era solo una mia impressione.
- Aspetta, vuoi dire che non ci hai riconosciuti? - sbottò il fratello Tom, sgranando leggermente gli occhi e fissandomi con fare allibito e scioccato, come se avessi appena pronunciato la bestemmia più eclatante del secolo.
Alzai un sopracciglio - Dovrei? -
Tom boccheggiò un paio di volte, sempre più scandalizzato - Stai parlando con Bill e Tom Kaulitz, dannazione! -
Ora tutto tornava. Erano rispettivamente il cantante e il chitarrista dei Tokio Hotel, band abbastanza famosa ma non eccessivamente da doverla riconoscere appena uditone il nome. 
- Non tutti sono tenuti a riconoscerci, Tom - sospirò esasperato il biondo Bill.
- Vuoi scherzare?! Le ragazze mi saltano addosso appena mi vedono! -
Alzai anche l'altro sopracciglio - Perché, lanci soldi in mezzo alla strada? -
Bill scoppiò sonoramente a ridere, senza riuscire a contenersi. Rise forte, come se avessi appena fatto la battuta più divertente del secondo - Sei decisamente simpatica, Rebecca! - riuscì ad interrompere le risate per singhiozzare quella semplice frase, per poi riprendere ancora più forte. 
Tom, al contrario, mi lanciò una lunga occhiata fulminante e torva, come se fosse rimasto seriamente offeso dal mio sarcasmo. Dopo qualche secondo in cui Bill tentò invano di trattenere le abbondanti risate, Tom scosse il capo e si incamminò con passo trascinato verso l'auto rossa fiammante - Felice di esserti stato d'aiuto - borbottò, prima di rivolgersi al fratello - La prossima volta che mi chiami per queste cazzate chiudo a chiave il tuo armadio e butto la chiave nel cesso -
Bill smise improvvisamente di ridere - Non puoi farlo! In quell'armadio ci sono vestiti che valgono molto più della tua stessa vita! -
In tutta risposta Tom accese la macchina, che rombò rumorosamente annunciandone l'accensione - Sali, se non vuoi tornare a casa a piedi! -
Bill annuì per voi voltarsi a guardarmi e rivolgere un altro dei suoi radiosi sorrisi - Possiamo darti un passaggio a casa, se vuoi -
Scossi il capo declinando il gentile invito, incapace di sorridere. Adesso mi sarebbe toccato chiamare un carrattrezzi che rimuovesse il catorcio dalla strada, andare a lavoro sorbendomi l'interminabile ed ennesima ramanzina del capo, acquistare i biglietti della metropolitana e dell'autobus per tornarmene a casa una volta finito il turno ... Anzi, forse andare a lavorare ormai non aveva assolutamente senso, si era fatto tardi. 
Decisi di non approfittare ancora della gentilezza dei due gemelli - Non preoccuparti, la mia migliore amica verrà a prendermi -
Ma la verità era che la mia migliore amica era a scuola, poiché lei a differenza mia era un'alunna modello e una studentessa diligente che non saltava un giorno di scuola nemmeno con la febbre a quaranta.
Forza, Rebecca, o perdi la metro.





28 dicembre 2013, 7:30 a.m



Incredibile ma vero non fui licenziata per il mio ennesimo ritardo, ma questo solo perché quel giorno il capo rimase a casa a curare la polmonite della sua povera moglie. Il fatto che l'uomo non avesse mai nominato un suo vice rese le cose ancora più facili, perché nessuno fu in grado di testimoniare il mio clamoroso ritardo e nessuno aveva il potere di licenziarmi per questo.
Da quando il mio vecchio catorcio di terza mano mi abbandonò, dovetti cominciare a prendere i mezzi pubblici per andare al Patrick's. Se con quel rottame arrivavo sempre in ritardo, coi mezzi pubblici mi era impossibile arrivare con grande anticipo. Probabilmente il fatto che ogni mattina ero costretta ad alzarmi alle sei per non perdere l'autobus contribuì, e dopo dieci fermate di autobus me ne aspettavano altre otto di metropolitana più una bella corsetta di mezz'ora a piedi per le strade affollate della periferia di Los Angeles. Persi anche qualche kilo a causa di tutto quel quotidiano esercizio fisico, e fui costretta a dare via diverse paia di pantaloni perché improvvisamente troppo grandi. Fui costretta ad ammettere la mancanza del mio rottame di terza mano dopo pochissimo tempo.
Arrivavo talmente in anticipo da essere sempre la prima a varcare la soglia del Patrick's, e questo voleva dire che toccava a me alzare le saracinesche, togliere la polvere dai tavoli e dal bancone, lucidare il pavimento e le finestre e, infine, attaccare il cartellino fuori dalla porta d'ingresso che annunciava l'apertura del locale. I miei colleghi sarebbero arrivati alle otto, quindi le pulizia toccavano sempre ed esclusivamente solo a me. 
Quella mattina decisi che il mio eroe ed idolo Michael Jackson doveva accompagnare le mie pulizie, quindi misi a tutto volume Blood On The Dance Floor ed afferrai la scopa per grattare via alcune macchie di sporco rappreso dalle piastrelle giallo senape. 


She got your number
She know your game
She put you under
It's so insane
Since you seduced her
How does it feel
To know that woman
Is out to kill



- Every night stance is like takin' a chance, It's not about love and romance and now you're gonna get it! - cominciai a canticchiare, sfregando con forza la scopa su quelle macchie che sembravano essersi incollate al pavimento. Dopo qualche sforzo, quelle disgustose macchie si staccarano e insudiciarono la scopa - Every hot man is out takin' a chance, It's not about love and romance and now you do regret it! -
Decisi di accompagnare Michael Jackson anche nel ritornello, sfregando la scopa anche sul resto del pavimento ed improvvisando qualche passo di danza preso dal videoclip ufficiale della canzone. La musica di Michael mi aveva sempre accompagnata nel corso della mia vita, sia nei momenti di goia e di felicità che in quelli di tristezza e solitudine. Per me è come una divinità - To escape the world I've got to enjoy that simple dance and it seemed that everything was on my side! She seemed sincere like it was love and true romance and now she's out to get me, and I just can't take it, just can't break it! -
Nel momento stesso in cui decisi di girarmi per una piroetta e riporre la scopa, quest'ultima mi cadde dalle mani precipitando sordamente sul pavimento e mi portai le mani al petto per placare il mio cuore spaventato dalla persona che mi sorprese nel mezzo di una performance segreta : Tom Kaulitz era in piedi a pochi metri da me, del divertimento puro alzava gli angoli della sua bocca verso l'alto in un sorriso che presto si sarebbe tramutato in una risata che mi avrebbe gettata nell'imbarazzo totale. Le treccine scure spettinate sulle spalle larghe, una grossa felpa grigia e gli occhiali da sole neri calati sugli occhi grandi e scuri. 
Con un gesto imbarazzato afferrai il telefono, mettendo in pausa la musica. Mi sentii immediatamente avvampare dall'imbarazzo e dalla vergogna. Boccheggiai un paio di volte cercando una frase intelligente con cui liquidare la scena imbarazzante nella quale ero appena stata colta, quando Tom si chinò a terra per raccogliere la scopa sporca. 
- Però, ti dai un gran da fare nel tuo lavoro! - commentò beffardo porgendomi l'oggetto, che afferrai con entrambe le mani ed evitando accuratamente i suoi occhi coperti dalle spesse lenti nere - Rebecca, giusto? -
- Io, ehm, sì è giusto - riuscii a mormorare confusamente. Che figura di merda. Riposi velocemente la scopa al suo posto e presi posizione dietro al bancone per servire il mio primo cliente della giornata, con la poca dignità rimasta - Qual buon vento ti porta qui? -
- Quello di un Martini Dry - rispose Tom sedendosi su uno dei tanti sgabelli allineati davanti al bancone. 
Cercai di trattenere il mio sgomento : un alcoolico alle sette e mezza del mattino? Richiesta insolita, ma non potevo permettermi di rifiutare gli ordini di un cliente, così mi affrettai a preparare la sua ordinazione senza fare domande impertinenti. Mi stupii del fatto che non fece commenti sul posto orribile in cui era capitato quella mattina, era tipico dei nuovi clienti.
- Sei riuscita a trovare qualcosa che potesse sostituire il cesso a pedali? - domandò Tom riferendosi alla mia vecchia e ormai deceduta automobile. Probabilmente lo chiese per gentilezza e non per vero interesse, ma decisi di reggergli comunque il gioco per avviare una sorta di conversazione.
- In realtà non ho avuto il tempo di guardarmi attorno - risposi servendogli il suo Martini e facendo qualche passo indietro per appoggiarmi allo scaffale dei liquori e degli alcoolici. "In più non ho soldi" avrei voluto aggiungere, ma decisi di sorvolare su questo dettaglio - Tu cosa ci fai da queste parti? Pensavo che una grande stella del firmamento musicale come te mandasse i servi ad acquistargli il Martini -
Tom sorseggiò lentamente il suo Martini, riuscendo a cogliere il sarcasmo nella mia voce - Sono stato a casa di un'amica ... - rispose vago, accennando un sorriso malizioso. 
- A fare del  sesso "duro e violento"? - chiesi, ricordando le parole pronunciate dal chitarrista al fratello Bill più di due settimane fa, al nostro primissimo incontro in cui il mio rottame di terza mano morì.
Una luce maligna e maliziosa si accese negli occhi scuri di Tom, era perfettamente vedibile anche da dietro gli occhiali scuri. Colse ancora una volta la mia ironia mentre calava gli occhiali da sole sul naso piccolo per guardami meglio - Già, forse -
Gli occhi del chitarrista vagarono sfacciati sul mio corpo, soffermandosi qualche secondo di troppo sulla lieve curva del mio seno. In effetti quel giorno ero vestita in maniera insolitamente decente dato che quella sera avrei incontrato la mia migliore amica Amber terminato il mio turno : indossavo un paio di pantaloni blu a vita alta e una maglietta aderente a righe bianche e blu dal largo scollo che attraversava obliquamente il mio petto lasciandomi una spalla scoperta e lasciando intravedere il reggiseno scuro. I capelli lisci erano sciolti disordinatamente sulla mia schiena e la frangetta copriva fittamente la mia fronte. 
Avvampai e decisi di sottrarmi a quegli occhi scrupolosi e peccaminosi dandogli le spalle e mostrandomi impegnata a fare pulizia nello scaffale degli alcolici, mossa sbagliata perché sentii subito lo sguardo di quel maniaco sul mio sedere.
- Che fai domani sera? - mi chiese improvvisamente, facendomi sussultare.
Voltandomi nuovamente tentai di nascondere il mio scetticismo. Mi stava chiedendo un appuntamento? - Perché? -
- Io e Bill diamo una festa a casa nostra, mi piacerebbe se venissi anche tu -
- Perdonami, ma non credo mi troverei a mio agio in mezzo a una festa piena zeppa di celebrità del tuo calibro - ridacchiai malignamente, ero davvero in vena di scherzare quella mattina.
Anche Tom rise, i suoi occhi non si staccarono dal mio corpo nemmeno per un secondo - Niente celebrità, solo persone normali che ascoltano musica normale -
- Cosa ti dice che io ascolti musica normale? - 
- Ascolti Michael Jackson -
- Michael è il Re del Pop, chi non ascolta la sua musica? -
- Potrei mostrarti la mia collezione di dischi di Michael Jackson -
- La mia va più che bene - replicai, inclinando leggermente il capo - E poi tu non mi sembri il tipo di ragazzo appassionato di Michael Jackson, correggimi se sbaglio -
Tom sbuffò sonoramente, aumentando il mio divertimento - Allora, verrai? -
- In realtà avevo promesso alla mia migliore amica che avrei passato la serata con lei ... - risposi sincera.
Il chitarrista scrollò le spalle con indifferenza - Porta anche lei -
Boccheggiai un paio di volte alla ricerca di qualcosa con cui declinare ancora una volta l'invito, ma la mia mente era sgombra, non avevo idee o scuse convincenti. Ma ero certa che non'appena Tom Kaulitz se ne sarebbe andato mi sarebbero venute in mente un sacco di idee geniali. 
Tom sorrise vittorioso e soddisfatto, capì di averi vinto lui - Adesso non hai più scuse, Rebecca - 
- No, non è ho più - ammisi sincera, all'epoca per me non era un problema dire le cose con assoluta franchezza e sincerità, a volte apparivo persino più sfacciata del chitarrista che mi sedeva di fronte in quel momento. Fui costretta a sospirai, sconfitta - E va bene, ci sarò -
Dovevo andare a quella festa, in parte perché costretta, in parte perché ... beh ... 
Perché costretta. Punto.





28 dicembre 2013, 08:38 p.m



- Tom Kaulitz ti ha invitata a una festa e tu volevi dire di no?! - la mia migliore amica Amber Pratt lasciò trapelare il suo disgusto nei miei confronti. A differenza mia lei conosceva i Tokio Hotel, e anche abbastanza bene. Sebbene non ne fosse una fan accanita ascoltava volentieri la loro musica e metteva volentieri like ai post di Bill Kaulitz su instagram perdendosi in commenti su quanto fosse figo. 
Alzando gli occhi al cielo davanti al suo sgomento, bevvi un lungo sorso dalla mia lattina di coca cola quasi finita. Sedevamo in un piccolo bar vicino a casa sua, dove mi sarei fermata a dormire - Guarda che ha invitato anche te! - 
- E tu volevi rifiutare? -
- Mi ha invitata dopo aver esaminato attentamente il mio culo e le mie tette - replicai senza troppe cerimonie, Amber scoppiò immediatamente a ridere e io ripresi a parlare dopo un altro sorso di coca cola - Mi sa tanto di tattica per portarmi a letto -
- Non ci andresti? Quel ragazzo è uno schianto! - sospirò con occhi sognanti la mia migliore amica, totalmente il mio opposto. Amber aveva i capelli di un bellissimo rosso naturale e gli occhi verde smeraldo, curve abbondanti e carisma che attirava qualsiasi uomo le passasse accanto. La conoscevo dai tempi delle scuole elementari, frequentavamo la stessa classe e fu un vero dramma quando alle scuole medie ci misero in classi diverse. Una delle differenze fondamentali tra me ed Amber era che lei continuava ad andare a scuola, era una studentessa eccellente. Un'altra era che con i ragazzi aveva molte più esperienze di me, forse perché lei sapeva sedurre e io no.
Fui costretta a sospirare, sconfitta - Chi non ci andrebbe? -
- A proposito, quanti anni ha? -
- Ventitré - risposi prontamente.
- Te lo sei scelto grande, eh? -
- Sono solo cinque anni di differenza, che vuoi che siano? E poi io non ho scelto proprio un bel niente! - 
- Hai ragione, lui ha scelto te - rispose frettolosamente Amber terminando la sua lattina di Sprite, concludendo un con gesto approssimativo della mano ben smaltata la faccenda - Hai già deciso cosa indosserai? -
- Un jeans e una maglietta andranno più che bene - scrollai le spalle disinteressata, la moda non era mai stato il mio forte, anzi, mi aveva sempre annoiata terribilmente.
- Cosa?! Non puoi rimorchiare con un jeans e una maglietta! - Amber era sempre più scandalizzata - Ti presto qualcosa io, dovrei avere qualche vestito adatto a te -
- Non devo rimorchiare nessuno! -
- Non sembravi dello stesso parere fino a due secondi fa. Lascia fare a me, vedrai che sarai la ragazza più sexy della festa! - la mia migliore amica mi ammiccò con fare complice.
- Non voglio sembrare una bomboniera - mi affidai completamente a lei e sperai con tutte le mie forze di non pentirmene. 
- Piuttosto, perché non ammetti che ti piace? - 
Avvampai violentemente, sentii le mie guance tingersi improvvisamente di rosso e decisi di chinare il capo per nascondere l'improvviso colorito acceso sulla mia pelle. Slegai i capelli e finsi di voler ricomporre la coda di cavallo sulla nuca, impiegandoci più tempo del normale per tenermi occupata e non incontrare gli occhi di Amber - Ma se nemmeno lo conosco! -
- Al cuor non si comanda, Reb -
- Non mi piace, è solo un pallone gonfiato che si diverte a giocare coi cuori e coi corpi delle ragazze perché consapevole di essere incredibilmente sexy. Tutto qui - spiegai tutto d'un fiato, tornando ad alzare finalmente la testa.
Amber si sporse dalla sua sedia, i suoi occhi verde smeraldo mi fissarono penetranti, scavando nelle mie profondità alla ricerca della vera risposta e dei miei veri sentimenti, anche se sembrava conoscerli già. Cercava solo un modo per umiliarmi - E allora perché hai deciso di andare alla festa? -
- Perché amo le feste -
- Tu odi le feste! -
Sospirai esasperata, alzando gli occhi al cielo - Non possiamo cambiare argomento? -
Amber alzò le mani come in segno di resa, accavallando le gambe fasciate in un paio di collant neri e la gonna a palloncino che le copriva le ginocchia ossute - Okay, cambiamo argomento! - acconsentì con mia immensa gioa.
Ero davvero stanca di parlare di Tom e sui miei presunti sentimenti nei suoi confronti. Non lo conoscevo, sapevo solo che era il chitarrista dei Tokio Hotel, che adorava spassarsela con le ragazze in tutti i sensi e in tutti i modi possibili ed immaginabili, che era il ragazzo più bello che l'universo avesse mai plasmato, che aveva un fratello davvero gentile e che aveva una macchina costosa. Poteva definirsi amore, il mio? Assolutamente no, ero semplicemente attratta dalla figura del cattivo ragazzo, tutto qui. Si trattava di un'attrazione  passeggera, non sprecai nemmeno il mio tempo a fantasticarci sopra perché sapevo che mi sarei creata solo illusioni e false speranze. Ci sarei andata a letto volentieri, quello non lo negavo, ma si trattava solo di attrazione. 
Già, ero attratta dal tipico demone con le ali d'angelo.





29 dicembre 2013, 11:00 p.m



Solo a guardarla da fuori la villa dei Kaulitz era imponente e sfarzosa, la piscina sul retro era stata coperta a causa della stagione invernale che non permetteva l'agio di una nuotata. La villa era a tre piani, il tetto spiovente e la vernice color crema copriva le pareti esterne dell'edificio senza nemmeno una macchia di sporco o di cedimento del rivestimento. Avvicinandosi al rettangolare portone d'ingresso a due battenti si riusciva a sentire la voce soave di Selena Gomez intonare le note di Slow Down, il volume così tanto da riuscire a distinguere ogni singola parola come a un concerto dal vivo. 
Quel giorno saltai il lavoro fingendomi malata, ma in realtà passai tutta la giornata a casa di Amber per preparare con estrema cura i preparativi per la tanto nominata ed attesa festa. Amber mi lavò meticolosamente i capelli utilizzando una serie di prodotti costosissimi e dai colori sgargianti ed inquietanti, massaggiando la cute come una professionista; poi decise di piastrarli, anche se per me la cosa non ebbe senso dato che i miei capelli erano già lisci naturali. Tentò di farmi una elegante manicure coi resti delle mie unghie mangiucchiate, impresa ardua dato che sin dalla notte dei tempi avevo il terribile vizio di mangiarmele. Massaggiò il mio corpo con creme ed oli profumati, mi fece la dolorosa ceretta, mi tolse brufoli e punti neri, diede una ritoccata alla mie sopracciglia.
E poi venne la parte più difficile di tutte : il vestito.
Ogni vestito che io approvai venne scartato senza pietà da Amber, così come i vestiti che io scartai vennero definiti dalla mia migliore amica come "strepitosi" e "unici nel loro genere". Tra i tanti, Amber mi propose diversi vestiti che avrebbero fatto invidia a Lady Gaga e a diverse prostitute sul ciglio della strada. Era ufficiale, l'armadio di Amber era colmo di cose fantastiche ma decisamente bizzarre.
Alla fine optammo per un vestito che Amber si dimenticò persino di avere, acquistato mesi e mesi prima a una svendita. Era l'abito che mi piaceva di più tra tutti quelli che la mia migliore amica mi aveva proposto, decisamente il più particolare ma non eccessivamente egocentrico. Era un vestito nero dal corpetto con la scollatura a cuore ricoperto di sottili ed intriganti ricami in pizzo nero e l'ampia gonna di tulle nero. Quando lo indossai per provarmelo fu come amore a prima vista, era la primissima volta che mi innamoravo di un indumento, specialmente di un abito da sera. Il vestito cadeva a pennello sul mio corpo esile, lasciandomi le spalle scoperte e la scollatura a cuore lasciava intraverede un accenno del mio piccolo seno. La gonna mi copriva le coscie, voluminosa, e passai intere ore ad accarezzare i ricami in pizzo nero con le dita come estasiata. 
Per la prima volta mi trasformai una versione femminile di me stessa che mi piaceva.
Amber allungò con decisione una mano verso il campanello per annunciare il nostro arrivo, ma presi il suo polso interrompendo l'azione. Improvvisamente non ero più così sicura di voler varcare quella soglia, non ero più sicura che il vestito che avevo scelto solo quella mattina fosse adatto per l'occasione, non ero sicura dei miei capelli perfettamente piastrati e della manicure brillantinata e del trucco sobrio e leggero.
Cominciai a trovare una serie di difetti inesistenti.
- Potremmo fingerci malate - proposi, balbettando nel panico - Oppure potremmo fingere di esserci rotte una gamba. Anzi, sai che ti dico? Vado a buttarmi sotto una macchina, così almeno ... -
- Tu non vai proprio da nessuna parte, Annalise Rebecca! - mi bloccò Amber, per niente sorpresa dal mio atteggiamento carico di ansia e di tensione. Mi posò entrambe le mani sulle spalle, cominciando a strofinarle come a volerle riscaldare e proteggerle dalla fredda aria invernale  - Questa sera sei bellissima come non lo sei mai stata in vita tua, quindi gotidi la serata al meglio, che quel zoticone di Tom Kaulitz decida di prestarti attenzione o meno! -
Annuì, cercando di convincermi di quello che la mia migliore amica aveva appena detto. Sorrisi, improvvisamente cambiando umore e diventando positiva e raggiante - Al diavolo Tom, devo divertirmi! -
- Ben detto, ragazza! - Amber tornò ad allungare la mano e premette ripetutamente sul campanello della villa, e quando uno dei due battenti della porta si aprì l'ansia tornò a divorare il mio cuore senza pietà e compassione. 
Un ragazzo dagli occhi verdi e dai lunghi capelli castani tenuti sciolti sul petto muscoloso ci aprì, in una mano reggeva un bicchiere di vetro trasparente con al suo interno un liquido verdognolo, sicuramente un alcoolico. Era decisamente un bel ragazzo, ci sorrise amichevolmente mentre sorseggiava il suo drink tenendo gli occhi piccoli puntati su di noi. Ebbi come l'impressione di averlo già visto da qualche parte ...
Amber sollevò una mano laccata di viola in aria, sorridendo con disinvoltura mentre si presentava come se fosse una conoscente - Ciao, noi siamo ... - la sua voce si interruppe di colpo mentre l'attenzione dei suoi occhi verde smeraldo fu attirata da qualcosa o da qualcuno alle spalle del ragazzo che ci aveva aperto. Trattenne il respiro, portandosi la mano alla bocca spalancata - Non ci posso credere! Quella è KateMoss! - 
Il ragazzo dai lunghi capelli castani si voltò per guardare nella direzione indicata da Amber, prima di annuire e tornare a rivolgerci la sua attenzione - Sì, è proprio lei - e lo disse con una tale disinvoltura da lasciarmi esterrefatta, evidentemente doveva essere amico della modella in questione. 
- Devo andare a fare un selfie! - Amber cominciò a correre sui tacchi vertiginosi, il ragazzo dagli occhi verdi si spostò appena in tempo per non essere travolto dall'euforia della mia migliore amica, che rischiò di inciampare rovinosamente sul tappeto al centro della stanza. 
Scoppiai sonoramente a ridere, e il ragazzo rise con me. Indicai Amber con un dito, aveva appena braccato Kate Moss cominciando a scattare foto a più non posso col suo cellulare ricoperto di brillantini rosa - Lei è Amber Pratt, io sono Rebecca Lahey. Ci ha invitate Tom - 
Il ragazzo annuì - Io sono Georg, Georg Listing. Siete le benvenute! -
Era il bassista dei Tokio Hotel, ricordai immediatamente dove avevo già visto quei lineamenti così dolci. Non mi stupii del fatto che riuscisse a restare così tranquillo sapendo di avere una modella come Kate Moss nei paraggi, dopotutto non faticavo a credere che fosse stato a feste molto più affollate e alla moda e in compagnia di persone decisamente più importanti e popolari. 
Georg mi lasciò entrare e chiuse la porta, raggiungendomi subito dopo. La villa era totalmente affollata, piena di ragazze dagli abiti succinti ed aderenti come se indossassero soltanto la propria pelle e ragazzi con in mano bottiglie di birra ed alcoolici più pesanti. Numerosissime luci al neon fluorescente erano state installate sul soffitto, proiettando e colorando l'ambiente con colori diversi che cambiavano ogni dieci secondi, illuminando l'improvvisata pista da ballo e gli invitati intenti a ballare, chiacchierare e bere senza limiti. 
Una luce al neon dipinse la mia pelle di verde mentre Georg mi affiancò, Selena Gomez continuò a cantare a pieni polmoni nelle mie orecchie - Allora, tu non vai a scattare selfie con nessuno? - 


If you want me I'm accepting an application
So long that we can k-e-ep this record on rotation
You know im good to mouth to mouth resuscitation
Breath me in breath me out so amazing!



- Sono stata accolta nella villa dei Kaulitz dal bassista dei Tokio Hotel, che mi ha catapultata in una festa con Kate Moss e chissà quali altre celebrità che non vedrò ma più in vita mia; ho già tanto da raccontare - ridacchio sarcasticamente.
Georg bevve un lungo sorso del suo drink prima di ridere - La notte è giovane, avrai ancora tanto da raccontare. Hai detto di essere stata invitata da Tom, giusto? -
- Esatto -
- Perdonami ma la domanda mi sorge spontanea : sei una sua vecchia fiamma, una sua probabile fiamma, una sua amica o una sconosciuta che si è infiltrata a questa festa utilizzando Tom come scusa? -
Scoppiai a ridere, quel ragazzo cominciava a starmi davvero simpatico ed in più il suo ragionamento era del tutto logico e non faceva una piega - Diciamo che sono una conoscente, ha dato una controllata alla mia vecchia macchina per decretare che era da rottamare ... ed è stato un mio cliente ieri nel locale dove lavoro, dove ha avuto l'occasione di invitarmi qui - 
- Grandioso sapere che non sei una delle tante prostitute che frequenta -
- Grandioso non esserlo -
Georg rise ancora, aprì ancora la bocca per continuare quella piacevole conversazioni quando un paio di braccia forti circondarono la mia pancia abbracciandomi da dietro, e un petto muscoloso si spalmò contro la mia schiena. Mi voltai, sussultando a contatto di quella pelle sconosciuta. Il mio cuore smise di battere nello stesso momento in cui Tom Kaulitz mi sorrise, i suoi centimetri d'altezza in più rispetto ai miei troneggiavano sulla mia piccola ed esile figura di diciottenne - Felice di rivederti, Rebecca -


I just wanna feel your body right next to mine
All night long, 
baby slow down the song
And when it’s coming closer to the end everyone
All night long, 
baby slow down the
So-o-o-o-o-ng 



- Ciao, Tom - sorridi debolmente, quasi imbarazzata. 
- Vedo che hai fatto la conoscenza del nostro Georg - esordì allegramente Tom, la stretta sulla mia pancia aumentò, e mi ritrovai praticamente spalmata contro quel corpo da urlo. Il chitarrista lanciò una veloce occhiata all'amico bassista, che continuò a sorseggiare il suo drink godendosi lo spettacolo in silenzio - Come ti sembra, amico? -
Georg scrollò le spalle - Amico, è decisamente la migliore che ha messo piede in questa casa. Fossi in te non me la lascerei scappare! -
- Non lo farò, infatti - ridacchio maliziosamente Tom, prendendomi per una mano e tirandomi lentamente per una mano, in una direzione imprecisata - Vieni con me? - sembrava una richiesta, e invece sapevo perfettamente che era un ordine ben preciso. Annuii e lasciai che Tom mi guidasse in mezzo alla folla di persone che ballavano sulle note scatenate di una nuova canzone, a me sconosciuta. Mi guidò in un angolo isolato della casa, c'era un divanetto di pelle nera da dove era possibile vedere la festa in pieno svolgimento ma senza rimanerne travolti. Ci sedemmo, la musica arrivò ovattata e lontana come se ci trovassimo in una stanza totalmente differente. Sistemai la leggera gonna di tulle sulle cosce, la luce al neon mi colorò di azzurro per qualche istante. 
- Sai, sinceramente pensavo non saresti venuta - Tom allungò un braccio sul bordo arrotondato dello schienale del divanetto, appoggiandocelo sopra e circondandomi così le spalle scoperte.
- Non avevo scuse, dopotutto - gli ricordai.
- Ma ciò non ti costringeva a venire -
Alzai gli occhi al cielo, fingendomi offesa - Insomma, Tom, così mi fai pensare che avresti preferito fossi rimasta a casa a guardare sdolcinate serie tv con la mia migliore amica, invece che deliziarti con la mia presenza! - 
Tom rise divertito, le luci al neon lo colorarono di arancione - Al contrario, sono felice che tu sia venuta - le sue labbra si avvicinarono sensuali al mio orecchio, la sua voce era un sussurro roco e desideroso di cose proibite - E poi sei davvero uno schianto stasera -
- Sai, quando il mio represso lato femminile decide di uscire, succedono cose eclatanti - gli confido ironicamente.
- Dovresti farlo uscire più spesso, allora! -
Scoppiai a ridere divertita, chinando il capo all'indietro. Tornai seria dopo qualche secondo, inclinando leggermente la testa di lato per incontrare gli occhi interrogativi del chitarrista seduto accanto a me - Mi chiedo perché tu stia seduto insieme a una mezza sconosciuta invece di andare a ballare con le tue amiche modelle superfighe -
- Anche la mezza sconosciuta con cui sono seduto è superfiga - replica con naturalezza Tom, scrollando le spalle come se avessi appena fatto la domanda più banale del mondo.
Sospirai, sarcastica - A quante ragazze hai già detto la stessa cosa? -
- Sai, devo confidarti che con le altre non perdo tempo in complimenti -
- Ah no, le conduci direttamente in camera da letto? -
- A volte sono già lì ad aspettarmi senza che io lo sappia -
Studiai Tom, per la prima volta in quella serata. Le treccine scure erano sparse disordinate sulle spalle allenate, una fascia nera gli copriva la fronte donandogli un aspetto trasandato e ribelle. Indossava una semplice maglia nera che aderiva perfettamente al fisico scolpito nel marmo, lasciando intravedere un accenno di addominali, e un paio di jeans strappati sul ginocchio di qualche taglia più grande coprivano le lunghe gambe. Gli occhi scuri e penetranti fecero lo stesso, studiarono il mio corpo senza tralasciare nessun particolare e nessun dettaglio, una luce peccaminosa si fece sempre più vivida in essa. 
Mi voleva.
Sorrisi, con una certa punta d'orgoglio - Mi dispiace deluderti ma non sono quel tipo di ragazza -
- L'ho capito da come ieri hai cercato di evitare in tutti i modi possibili questa festa - fece un vago gesto con le braccia per indicare la festa che continuava indisturbata attorno a noi - E poi quel genere di ragazza comincia ad annoiarmi -
- Quindi cosa stai cercando, adesso? -
Un ghigno si fece largo sulle labbra carnose di Tom, con la punta della lingua cominciò a giocherellare con il sottile anellino appeso all'angolo sinistro del labbro inferiore, leccandolo con maliziosa lentezza come se stesse gustando pensieri piacevoli - Ti piacciono le sfide, Rebecca? -
Sospirai, decidendo di smascherare il suo gioco - Intendi un modo per portarmi a letto? -
- Ammetto che sarebbe una bella vittoria - 
- Ma io amo vincere, quindi credo che uno dei due rimarrà deluso a fine serata -
- Oppure potremmo guadagnarci entrambi - mi sussurrò sensuale Tom, il suo naso sfiorò il mio. Le sue labbra sfiorarono le mie, leggere e veloci come un battito di ciglia. Lo vidi chinarsi ancora di più su di me per tentare un approccio più diretto e meno timido, ma mi affrettai a retrocedere e a scostare il mio viso dal suo - E sentiamo, cosa ci guadagnerei io a venire a letto con te, Tom? -
Il chitarrista accanto a me fece un verso orgoglioso - Sono Tom Kaulitz, un'occasione del genere non ti ricapiterà mai più nella vita! -
Scoppiai a ridere, malignamente - Non sono stata in grado di riconoscerti la prima volta che ci siamo incontrati, pensi che possa importarmene qualcosa? E poi, non sei nemmeno così famoso come ti piace  credere -
- Non giocare col fuoco, piccola, finirai per scottarti - Tom alzò un sopracciglio con fare arrogante, probabilmente avevo colto nel segno come desideravo.
- Non usare frasi fatte, le trovo patetiche - gli suggerii con finta innocenza, sbattendo un paio di volte le lunghe ciglia piene di mascara resistente. Tom scoppiò a ridere, divertito dalla mia simulazione della ragazza innocente e pura.
- Vediamo ... potrei garantirti la nottata di sesso migliore della tua vita, ma abbiamo stabilito che non sei quel tipo di ragazza, e questo è un vero peccato perché in questo momento staresti testando le abilità del SexGott -
Lo guardai, perplessa - SexGott, tu? -
Tom allargò le braccia come a volersi mettere in mostra, gonfiando il petto d'orgoglio - Hai capito bene, piccola -
- Non metto in dubbio che tu sia bravo a letto ma, senza offesa caro, sono certa che al mondo esistano uomini che ci sappiano fare molto più di te - trattenni una risata sarcastica, consapevole di aver sgonfiato il suo orgoglio. O forse avrebbe cercato un modo per dimostrarmi che mi stavo sbagliando di grosso? Fui costretta ad ammettere che da una parte ci speravo, e anche tanto. 
La malizia si accese negli occhi del chitarrista, intensa ed incantatrice - Come fai a dirlo se non sei mai stata a letto con me? -
Scrollai le spalle con indifferenza - Sesto senso -
- Posso provare a convincere gli altri cinque, di sensi? - le labbra di Tom sfiorarono ed accarezzarono la mia spalla scoperta, percorrendola lentamente fino a raggiungere la base del mio collo. Il chitarrista si inumidì sensualmente le labbra con la punta della lingua, accarezzando l'anellino argenteo che brillava al buio come una stella, prima di risalire il mio collo verso il mio mento, la sua lingua sulla mia gola mi fece fremere. La mia pelle fremeva ad ogni battito del suo cuore, ogni mio muscoloso attendeva con impazienza che le sue mani in movimento gli dessero vita. 
- Pensi di riuscirci? - chiesi con finta innocenza.
Il naso di Tom sfiorò il mio - Ogni mezzo mi è concesso? -
L'unico modo di liberarsi di una tentazione è cedervi, dopotutto - Naturalmente -
Le sue labbra si posarono sulle mie, lente e caste, assaporando immediatamente la passione più sconvolgente ed ardente che il mio cervello, il mio cuore ed il mio corpo abbiano mai conosciuto. Ci premettero dolcemente sopra, la sua lingua accarezzò il mio labbro inferiore annunciando un approccio decisamente meno casto. Schiusi le labbra, concordando quel nuovo approccio così invitante mentre le mani di Tom s'infilarono sotto la vaporosa gonna di tulle per accarezzare le mie cosce. Il mio cuore smise definitivamente di battere quando la sua lingua incontrò la mia, cominciando a stuzzicarla sensualmente. Le nostre lingue cominciarono a muoversi in sintonia come se già si conoscessero, le nostre labbra approfondivano sempre di più un contatto unicamente nostro dal quale non ci volevamo sottrarre. Le sua labbra divorarono voraci ed affamate le mie, mordendole e succhiandole affamate. Lo sentii sospirare beatamente quando le mie unghie corte gli accarezzarono la pelle della schiena, solleticandogliela. Sorrisi, avevo trovato il suo punto debole da sfruttare e col quale giocare a mio piacimento. 
La sua mano salì lungo il mio fianco, accarezzandomi la spalla e posandosi bollente sul mio collo. Gli accarezzai ancora la schiena, lo sentii fremere eccitato sotto al mio tocco lento e dolce mentre mi sollevava dolcemente posizionandomi a cavalcioni sulle sue gambe, sopra di lui. Il suo petto si spalmò contro il mio, i nostri visi uniti si fondevano in un'unica cosa e le nostre labbra sembravano non volersi separare mai più, divertendosi ad affamare la fame reciproca che si era manifestata nel momento stesso in cui avevamo cominciato a baciarci. Le mani di Tom percorsero la mia schiena e si posarono sul mio sedere, premendoci eccitato mentre gli accarezzavo gli addominali e il pettorali scolpiti come una scultura. Le labbra di Tom passarono a baciarmi umide il collo, lo sentii ansimare contro la mia pelle bollente mentre io tentai di reprimere un sospiro beato mentre la sua lingua accarezzava la mia clavicola scoperta. Tornai a catturare le sue labbra, come stregata da quella pelle, attratta da quel contatto. 
Un vortice di emozioni forti e contrastanti agitò il mio cuore mentre continuavamo quella lotta e quella danza peccaminosa : volevo ardentemente che le sue mani continuassero ad esplorare il mio corpo, ma allo stesso tempo volevo si fermassero perché altrimenti sapevo sarei caduta nel profondo abisso dell'amore dal quale è difficile riemergere; volevo essere sua almeno per quella notte, ma sapevo che la mattina dopo mi sarei pentita di aver giocato con così tanta superficialità coi miei sentimenti, illudendomi che per Tom potesse trattarsi di qualcosa di serio da coltivare con me. Sapevo di essere una semplice avventura per lui, una delle tante che presto avrebbe portato nel suo letto, che avrebbe presto dimenticato e sostituito.
La parte razionale di me mi impose di staccarmi, me lo ordinò con prepotenza. Ma decisi di ignorarla : volevo l'amore, anche solo per una notte. 
E volevo Tom.
La mia già alta eccitazione crebbe quando sentii la sua erezione premere contro di me. Ansimai forte quando Tom morse la mia gola come un vampiro assetato, succhiando la mia pelle. Accarezzai le strette treccine, lasciandole scivolare con lentezza tra le mie dita mentre Tom proseguiva con la sua sensuale tortura che sperai non avesse fine.
Improvvisamente le mani di Tom si chiusero sul mio sedere e mi sollevarono, prendendomi in braccio mentre si alzava. Incrociai le gambe dietro la sua schiena muscolosa per non cadere, anche se la stretta del chitarrista sulla mia pelle era salda. Indovinai immediatamente dove fossimo diretti, e non feci niente per deviare la rotta o impedire di arrivare a destinazione, non feci niente per evitare ciò che stava per accadere, perché volevo accadesse. Volevo andare a letto con Tom anche se probabilmente non l'avrei mai ammesso ad alta voce per il troppo orgoglio che soffocava parole non dette. Il mio cuore batteva forte, così forte che sarei potuta svenire. 
Tom mi portò nella sua stanza, lontana dalla festa che avevamo abbandonato e da chiunque avesse potuto disturbare e interrompere quel momento così intimo e solo nostro. Mi baciò con trasporto per tutto il tragitto, cademmo insieme sul letto freddo ed ordinato. Sorrisi al pensiero che molto presto non lo sarebbe più stato, che molto presto sarei stata coperta unicamente da quelle lenzuola profumate, quelle lenzuola che sarebbero state le uniche testimone di ciò che sarebbe successo quella notte.
Ci baciammo con passione e desiderio, le nostre mani impegnate ad esplorare ed accarezzare i reciprochi corpi. Con un gesto impaziente Tom abbassò la cerniera sulla mia schiena, liberandomi dal vestito diventato improvvisamente fastidioso. Con la stessa fretta ed impazienza lo aiutai a disfarsi dei pantaloni e della maglietta che coprivano quel corpo così perfetto che sarebbe stato di mia proprietà almeno per quella notte. 
Ripresi la mia lenta tortura, solleticando con calcolata lentezza la schiena possente di Tom con le unghie corte. Lo sentii tremare, sospirare mentre le sue mani plasmavano roventi il mio corpo nudo sotto di lui. Avvicinò le sue labbra al mio orecchio, la sensuale voce roca trattenne un gemito di piacere - Mi stai facendo eccitare da pazzi -
- Ma tu guarda, puntavo proprio a quello - non riuscii a trattenermi dal ghignare con puro ed innocente sarcasmo. 
La bocca di Tom scese lenta sul mio seno, la sua lingua accarezzò i miei capezzoli cominciando a stuzzicarli e a giocarci provocante. A quel punto fui io ad essere tremendamente eccitata.
Le mani di Tom afferrarono con prepotenza le mie anche, con una spinta lenta e decisa entrò in me. Inarcai la schiena, una vampata di calore e di piacere mi pervase all'istante. Le spinte di Tom si fecero sempre più rapide e veloci, l'eccitazione indomabile mentre il suo corpo sudato si muoveva fremente sul mio. Ansimavamo entrambi, insaziabili ed instancabili avremmo potuto continuare per tutta la vita. Tom entrava forte in me facendomi gemere contro la sua pelle, facendomi godere e sospirare come mai nessuno era riuscito a fare. 
- Tom ... - gemetti roca, la mia bocca contro la sua spalla mentre spingeva eccitato.
Le mani del chitarrista premettero sulla mia schiena, i nostri bacini si muovevano armoniosamente all'unisono in una danza sensuale che non aveva fine. Il suo petto sudato contro il mio, la sua lingua che stuzzicava e giocava col lobo del mio orecchio - Urla il mio nome - ansimò.
Urlai il suo nome ad ogni spinta, gemendo ed ansimando mentre il corpo di Tom si muoveva esperto sul mio. La spinta finale, quella che rese i nostri corpi come due tizzoni ardenti, lo fece crollare sul mio corpo. Il suo respiro sulla mia pelle sudata, le sue braccia che circondavano protettive il mio corpo stremato.
Posai le sue labbra sulle mie, caste e dolci. Ci baciammo dolcemente, abbracciati senza malizia, come a voler suggellare quello che avevamo appena fatto, la notte appena trascorsa.
Quella fu la prima volta che feci sesso con Tom, e fu la più bella.





30 dicembre 2013, 08:40 a.m



Quando mi svegliai, l'altro lato del letto era freddo. Allungai le dita cercando il calore di Tom, ma trovai solo la tela fredda del morbido materasso. Decisi di aprire gli occhi, accogliendo il nuovo giorno con improvviso malumore. Lanciai una rapida e sprezzante occhiata al lato vuoto dell'enorme letto matrimoniale dove passai probabilmente la notte migliore di tutta la mia vita. Proprio come aveva previsto lui la sera prima, alla festa.
Ci impiegai parecchi secondi ad accorgermi del piccolo biglietto abbandonato sul cuscino accanto al mio, mi stropicciai gli occhi con entrambe le mani per assicurarmi che non si trattasse di una mia semplice allucinazione. Allungai svogliatamente una mano per afferrarlo, alzandomi a sedere per leggerne il contenuto.


Sotto questo cuscino  ci sono dei vestiti, mettiteli prima di uscire dalla stanza.
Alla tua sinistra proseguendo sempre dritto troverai il terrazzo. Ti aspetto lì. Ho bisogno di parlarti.
T.



Rilessi più volte il messaggio breve e conciso. Sbadigliai sonoramente, alzando il citato cuscino e trovando una camicia e un paio di pantaloni, entrambi di molte taglie più grandi di me ed evidentemente da uomini, sarei sembrata uno spaventapasseri.
Afferrai i vestiti e me li infilai, il risultato fu esattamente come me l'ero immaginato, comico e patetico allo stesso tempo : la camicia era talmente lunga da coprirmi le ginocchia come un vestito e fui costretta a rimboccare le maniche sette volte per farle arrivare fino ai polsi magri; i pantaloni troppo larghi cadevano e fui costretta ad arrotolare anche quelli per evitare di inciampare ad ogni passo. Con un sospiro esasperato mi passai una mano nei capelli spettinati, cercando di appiattirli. Ed ecco che tornai ad essere il brutto ranocchio, diventato principessa solo per una notte.
Mentre mi vestivo, la pesante consapevolezza di ciò di cui Tom volesse parlarmi appesantì il mio cuore come un pesante macigno. Ero pronta ad affrontare le conseguenze di quella notte in cui avevo bellamente ignorato la parte razionale e ragionevole di me, ero pronta a sentire la voce di Tom pronunciare parole che avrebbero segnato la fine di qualcosa che non sarebbe mai nato. Sapevo che Tom non era intenzionato ad avere una relazione con me, sapevo che per lui questa nottata di sesso non aveva avuto nessun valore o significato. Ero psicologicamente preparata a sentire le sue scuse, la falsità del suo dispiacere, perché a lui non dispiaceva affatto avermi avuta come una semplice avventura notturna. Ero perfettamente consapevole che sarei stata sostituita in fretta, ero stata veloce ed insignificante. Ma nonostante ciò, nonostante tutte le mie consapevolezze, avevo comunque deciso di lasciarmi usare come oggetto di piacere e di divertimento.
Non ci misi molto a trovare il terrazzo citato nel biglietto di Tom, le sue istruzioni furono precise e corrette. Il secondo piano della villa era completamente deserto e silenzioso, fummo probabilmente gli unici quella notte ad approfittare del piano superiore per soddisfare i nostri proibiti piaceri personali. 
Trovai Tom affacciato alla bassa ringhiera del terrazzo, sporto in avanti per guardare il quartiere che entrava lentamente in movimento. Indossava gli stessi pantaloni della sera prima e una canottiera larga e sformata che metteva in risalto il fisico invidiabile per qualsiasi uomo, le treccine scure raccolte sulla nuca. Non sembrava sentire affatto la fredda aria invernale pungere la sua pelle come un fastidioso insetto, al contrario di me che tremavo come una foglia.
La luce del pallido sole invernale illuminava debole il cielo talmente chiaro da sembrare quasi trasparente, i tiepidi raggi di sole incorniciarono la possente figura del chitarrista rendendolo una visione celestiale e perfetta.
Decisi di farmi avanti, schiarendomi la voce - Ciao -
Tom si voltò all'istante, solo allora mi accorsi della sigaretta appena accesa che teneva incastrata tra le labbra carnose. La prese tra le dita e soffiò una veloce nuvola di fumo bianco, indirizzandola verso il sole con un movimento del capo - Hey, Rebecca -
Mi avvicinai, notai i suoi grandi occhi color cioccolata improvvisamente vuoti. L'incertezza trasudava da quelle pupille, e non faticai ad indovinarne il perché. Mi appoggiai coi gomiti alla bassa ringhiera di ferro nero, gettando un'occhiata distratta alla strada popolata solo da qualche macchina parcheggiata e qualche gatto mattiniero che passeggiava. 
Sventolai il biglietto trovato poco prima sotto al naso del chitarrista, in silenziosa attesa. Tom si portò la sigaretta alle labbra, passarono parecchi secondi in cui lo vidi riempire i polmoni con quel dannoso fumo bianco che faceva uscire poi dal naso e dalla bocca leggermente aperta. I suoi occhi inanimati si posarono su di me - Dobbiamo parlare -
Eccolo, il grande momento - Va bene, parliamo -
Tom sospirò, i suoi occhi si concentrarono sul pallido sole di su noi, come se cercasse le parole adatte per cominciare un discorso che sapevo già perfettamente dove cio avrebbe portati - Quello che è successo questa notte ... è stato fantastico e ... sbagliato - 
Sbagliato.
Osi definire sbagliato il sesso?

- Non voglio illuderti, per me si è trattato solo di sesso -
Solo sesso.
- Credo tu abbia capito che tipo di ragazzo sono, dopotutto l'hai capito sin dal nostro primo incontro. Quindi credo che sia meglio fermarci qui e ... -
- Hai ragione - lo interruppi bruscamente, sorridendogli con falsa ma ben recitata cordialità. Attirai la sua attenzione e il suo sguardo, perciò mi affrettai a proseguire il mio discorso ben recitato e studiato - Mi hai letto nel pensiero, volevo parlartene anche io. Credo tu abbia ragione, è meglio fermarsi qui per evitare che l'altro si crei illusioni e false speranze, o che comunque possa soffrire inutilmente per un errore -
- Beh, grandioso! - Tom sorrise, sinceramente sollevato - Allora ci comporteremo come se non fosse mai successo nulla -
Come se non fosse mai successo nulla.
- Sì, è perfetto - fui costretta ad annuire con finta convinzione.
- Rimaniamo amici - concluse il chitarrista, tornando a fumare la sua sigaretta con una serenità che mi disgustò immediatamente. 
Amici.
Automaticamente la mia mano si spostò sul livido violaceo che avevo al lato del collo, il succhiotto fatto da Tom la sera prima alla festa dove avevo deciso di seppellire il mio cervello con involontarie speranze che quel discorso e quelle conclusioni non fossero mai state fatte. Nonostante tutte le consapevolezze e le preparazioni psicologiche che mi ero imposta, avevo sperato di poter diventare qualcosa di più che una semplice amica per il chitarrista, avevo sperato in un futuro nel quale gli avrei insegnato ad amare con tutte le mie forze. L'avevo detto la sera prima a Tom, uno dei due avrebbe perso. 
E a perdere ero stata io.
- Amici -




27 febbraio 2014, 08:30 a.m



Ben presto dovetti fare i conti con la parte razionale di me, quella che mi aveva imposto di ignorare le evidenti avance di Tom e che avevo deciso di seppellire nel mare di illusioni e false speranze in rimasi schiacciata, soffocata e seppellita per un lungo, interminabile ed angosciante periodo di tempo. Venne a darmi il tormento, crudele, creando mille rimpianti e rimorsi che sgretolarono il mio cuore e la mia mente così debole e facilmente influenzabile. 
Passai capodanno in agonia, rinchiusa in casa a piangere insensate ed interminabili lacrime e soffocare violenti singhiozzi sdraiata su un letto che sentivo non appartenermi, sebbene fosse il letto dove avevo dormito da quando avevo deciso di affittare quel desolante appartamento in periferia. Mentre le mie lacrime cariche di emozioni represse e contrastanti scavavano le mie guance, sentivo di appartenere unicamente al letto matrimoniale nel quale avevo fatto sesso quella notte.
Passarono i giorni e settimane completamente identiche tra loro, la mia vita continuò a scorrere monotona e incolore e lentamente le ferite nella mia anima e nel mio cuore si tramutarono in cicatrici. Cicatrici chiuse, ma il dolore che provavo ogni volta che i miei pensieri le sfioravano rimaneva lo stesso, anzi, sembrava amplificarsi ed aumentare col passare dei minuti. 
Nonostante il tempo passasse inesorabilmente, niente riusciva a cancellare il ricordo dei meravigliosi momenti vissuti insieme a Tom, che amplificava il mio desiderio di viverne di altri e ancora più magici. E questo desiderio così sbagliato e segreto mi portò a piangere nuove lacrime e a passare diverse notti insonni per il timore di poter incontrare Tom nei miei sogni, come a volermi dire altre cose che avrebbero potuto ferirmi ulteriormente e gettarmi nella più bassa e sconfinata disperazione. Avrei tanto voluto potergli dire io alcune cose, cose che non ero riuscita a dire al momento giusto per il maledetto orgoglio, cose che non avrei mai potuto dirgli perché lui non c'era più, lui non mi apparteneva. 
Numerosi erano i momenti in cui i miei pensieri venivano affollati dai suoi ricordi, mille espressioni, immagini, situazioni, la sua voce ... Era come se il mio cuore accettasse più la soluzione, come se cercasse di saziare il desiderio di averlo accanto tuffandosi nel passato, ma purtroppo non riuscì a colmare un così grande bisogno.
Perché sì, maledizione, mi ero innamorata di un mezzo sconosciuto. Perché la parte razionale di me aveva ragione, Tom Kaulitz era un mezzo sconosciuto del quale non sapevo assolutamente nulla, era un mezzo sconosciuto che dopo essersi divertito ad illudermi ed usarmi aveva deciso di scappare con la scusa della celata paura di noi ... ma nonostante tutto, mi ritrovai ancora a versai inutili lacrime che non servirono a farlo tornare da me.
Tom Kaulitz continuò a vivere solo nei miei ricordi, come un fantasma. Non venne più al Patrick's, e dato che ormai uscivo di casa unicamente per andare a lavorare, non ebbi nemmeno l'occasione di incontrarlo casualmente in mezzo alla strada. O meglio, tremavo al solo pensiero di incontrarlo. 
Quella mattina il Patrick's era più deserto e desolato del solito, c'era solo qualche anziano mattiniero che si godeva il primo caffè della giornata o qualche uomo in giacca e cravatta che sostava per uno spuntino mattutino prima di andare in ufficio. La mia collega era a casa in malattia, aveva contratto una strana forma di raffreddore e quindi mi ritrovai a dover gestire il locale da sola. Non che fossi particolarmente indispettita o infastidita dalla situazione, perché oltre ad essere abituale trovavo sempre sollevante dover lavorare da sola. In quel periodo cupo della mia vita ero particolarmente suscettibile ed aggressiva, scoppiavo a piangere per una scarpa slacciata o per uno starnuto di troppo. 
Avevo approfittato della calma e dei pochi clienti per ascoltare la mia dose giornaliera di Michael Jackson, l'unica cosa che mi aiutasse e mi spingesse a continuare la giornata con sufficiente grinta per non piangere, ma l'arrivo di un nuovo cliente mi costrinse a mettere in pausa Speed Demon. Abbandonai rapidamente il cellulare su uno scaffale e mi tolsi le cuffie, abbandonandole alla rinfusa nella tasca posteriore dei jeans scoloriti per svolgere il mio dovere di cameriera per il quale venivo pagata, anche se poco. 
- Cosa le porto? - mi voltai sorridendo cordialmente al mio nuovo cliente, ma il sorriso morì sulle mie labbra nello stesso momento il cui gli occhi di quel cliente incontrarono i miei. Il sangue smise di scorrere indisturbato nelle vene, il cuore smise di battere nel petto, il mio cervello si liberò immediatamente di tutti i pensieri che ci vagavano dentro in quel momento. Ogni fibra del mio essere si concentrò su quegli occhi che avevano animato i miei incubi peggiori e disturbato i miei sogni più belli, quegli occhi che non avrei mai pensato di rivedere. La voce morì in gola, riuscii ad esalare un basso sussurro - Ciao, Tom -
Era cambiato davvero tanto dall'ultima volta che lo vidi. Le strette treccine scure erano state sostituite e al loro posto la vera chioma castana e ribelle del chitarrista era stata lasciata libera, senza particolari acconciature. Un accenno di barba corta e curata copriva le guance e il mento, donandogli un aspetto più maturo e mascolino. Era diventato, con mia sorpresa ed amarezza, ancora più bello di quanto già non fosse prima. Era legale che un essere umano fosse in possesso di così tanta bellezza? 
Tom fece un mezzo ed imbarazzato sorriso - Rebecca, è bello rivederti -
Le cicatrici si aprirono dolorosamente, tornarono a sanguinare - Anche per me -
Gli occhi penetranti del chitarrista studiarono rapidi il mio corpo, creando una scossa di interminabili brividi che mi percossero violentemente la schiena come una frusta. Tornò a sorridermi, un sorriso di tirata gentilezza, quella che conviene usare con un conoscente - Ti trovo bene -
Sorrisi, ma riuscire a leggere quella distanza e quel distacco nei suoi occhi e nelle sue labbra frantumò i pochi pezzi rimasti intatti del mio cuore, facendo crollare la debole struttura che lentamente lo stava ricostruendo - Grazie - 
Volevo gridare il mio dolore. Volevo piangere fino a svuotare l'anima, già vuota. Volevo correre per stancare il mio cuore già pieno di lividi e ferite. Volevo, volevo, l'unica cosa che volevo davvero era gridargli quanto l'amavo ... volevo piangere per la gioa di rivederlo, correre, correre tanto per poter arrivare da lui e stringerlo tra le mie braccia. 
- Cosa ti porto? - gli chiesi, non vedevo l'ora che si alzasse da quello sgabello, che sparisse nuovamente dalla mia vita per poi non tornarci mai più. Ero stanca di stare male per quel mezzo sconosciuto, di piangere notti intere pensando al suo corpo sudato sopra al mio, di passare intere notti senza chiudere occhio per timore di poter sognare un futuro insieme a lui, per poi alzarmi la mattina dopo e stare male il doppio. Volevo non soffrire più, tornare indietro e non rifare più lo stesso errore. Volevo che il mondo si fermasse per un istante, chiudere quei sentimenti nel buio dell'immensità.
- Un Martini Dry - rispose automaticamente Tom, senza perdere tempo a riflettere.
Proprio come quella volta.
Gli diedi le spalle, rovistando nel vasto scaffale pieno di bottiglie alcoliche dai liquidi dai colori smorti e dagli odori penetranti. Preparai velocemente la sua ordinazione, proprio come quel giorno, con la differenza che il mio unico desiderio fu quello di vederlo sparire veloce come era arrivato. Dopo un paio di minuti, gli servii il suo Martini Dry senza battere ciglio e senza aggiungere una parola. 
Tom si schiarì la voce con evidente soggezione - Allora, come procede la ricerca per la macchina nuova? -
Proprio come quella volta.
Scrollai le spalle, fingendomi impegnata a grattare via una macchia di sporco dal grembiule immacolato legato sui fianchi - Per adesso non procedono - 
- Come mai? -
- Alcuni problemi economici, ma niente di cui preoccuparsi - liquidai l'argomento, veloce come si era creato. 
Tom annuì semplicemente, portandosi alle labbra il Martini Dry che gli avevo appena preparato. Bevve velocemente, continuai a fingermi interessata alle macchie di sporco inesistenti sul grembiule che mi forniva una valida scusa per non guardarlo negli occhi. 
Lo sentii poggiare bruscamente il bicchiere vuoto sul bancone, alzai automaticamente lo sguardo pensando che fosse finalmente in procinto di andarsene, ma si rivelò una pessima scelta. Quegli occhi scuri ed enormi mi stavano infatti aspettando, tendendomi una trappola in cui sapevo sarei caduta con facilità imbarazzante. Mi scrutarono con attenzione e pietà, quasi riuscisse a trovare i residui delle lacrime di quella notte, quasi riuscisse a leggere dentro le mie iridi color fango la mia sofferenza e il mio disperato bisogno di lui nella mia vita. 
Sospirò pesantemente, continuando a reggere il mio sguardo - Rebecca, per quanto è successo quella sera ... -
Feci un sorriso tirato, interrompendo le sue parole  - Ci abbiamo messo una pietra sopra e siamo andati avanti, quindi non c'è motivo per pensarci - 
Tom riuscì a leggere senza troppa fatica la falsità nel mio sorriso, ma decise di non insistere. Si limitò a scrollare le spalle, i capelli scuri incorniciavano il suo viso dai tratti mascolini e decisi come una cornice racchiude un'opera d'arte di immenso valore, come un angelo possiede la sua aureola dorata - Volevo solo ... -
Negai quell'angelo, quell'opera d'arte - Non voglio parlarne, scusami -
E così chiusi fuori Tom Kaulitz dalla mia vita, lo vidi sparire nuovamente, ma questa volta ero decisa a non rincorrere il fantasma di un amore che sapevo non avremo mai condiviso. Questa volta volevo vederlo sparire per sempre. 
Ma chi volevo prendere in giro?
Il mio desiderio di lui mi stava consumando pian piano ... Volevo solo lui, possibile che non potevo realizzare questo mio unico sogno?




27 febbraio 2014, 03:09 p.m



Calai il berretto nero sulla fronte, la grossa sciarpa del medesimo colore copriva il mio pallido viso lasciando scoperti soltanto gli occhi di quel banale e stupido color fango. . Battei le mani più volte tra di loro, strofinandole ripetutamente nel tentativo di scaldare la mia pelle fredda come quella di un cadavere che era diventata bersaglio della fredda aria invernale, tagliente come carta vetrata. Odiavo l'inverno con tutta me stessa, odiavo l'inevitabile freddo che essa portava e che si insinuava fin sotto le ossa senza darti tregua, odiavo gli alberi nudi, morti e privi di foglie, odiavo l'erba addormentata ricoperta di ghiaccio scivoloso ed odiavo il senso di tristezza e solitudine che questa stagione portava, quell'anno più del solito. 
Sebbene un pallido sole brillasse libero nel cielo di un azzurro intenso e quasi innaturale, i suoi raggi non erano abbastanza forti da riscaldare Los Angeles addormentata nelle prime ore del pomeriggio, dove le strade erano quasi deserte e un pacifico silenzio regnava sulla città, spezzato solo dal rumore delle macchine che passavano incessanti per la strada. Ma le macchine in perenne movimento erano il simbolo di quell'immensa metropoli, dopotutto.
Estrassi tremante le cuffie che erano rimaste incastrate nella tasca posteriore dei jeans scoloriti, sperando di non averle rotte. Avevo bisogno della musica del mio eroe in quel momento più che mai, avevo davvero bisogno di parole confortanti che potessero donarmi un barlume di speranza in cui credere. 
Misi Dangerous ed alzai il volume al massimo, fregandomene della testa che cominciò immediatamente a dolere e della voce di Michael che urlava troppo alta nei miei timpani. Volevo che la musica facesse più rumore dei miei pensieri confusi e del battito del mio cuore, quel silenzio pomeridiano mi induceva solo a pensare. E io ero stanca di pensare. 
Tentai di concentrarmi sulla canzone, di concentrarmi sul mio idolo che venne strappato via da questo mondo quando ancora poteva fare grandi cose. Avevo trovato una panchina isolata nel piccolo parco che c'era a pochi isolati dal Patrick's, posizionata sotto un albero dalla corteccia quasi grigia e dai rami che possenti si diramavano in diverse posizioni, creando una sorta di corona sospesa sopra la mia testa. Qualche vecchietto passeggiava lungo la via polverosa e ricoperta di ciottoli del parco, qualche mamma portava i bambini a giocare e qualche ragazzo aveva deciso di sfidare il freddo per una partita a pallone con gli amici.
Improvvisamente una mano si posò sulla mia spalla facendomi sussultare. Mi voltai e trovai con mia grande sorpresa il volto sorridente di Georg Listing, leggermente arrossato per il freddo e un grande sorriso sulle labbra strette e sottili. Nonostante i capelli spettinati sulle spalle robuste e nonostante gli occhi lucidi per l'aria fredda che non sembrava dare tregua nemmeno lui, riusciva a mantenere il suo fascino e il suo aspetto da orso da strapazzare di coccole.
- Rebecca! - la sua voce allegra e dolce mi salutò - E' dalla serata della festa che non ci vediamo! -
- Ciao, Georg - lo salutai sfilandomi le cuffie dalle orecchie. Mi accorsi solo allora che il bassista non era da solo, in piedi accanto a lui c'era un ragazzo abbastanza basso e dalla corporatura robusta. I capelli biondi corti quasi rasati e un paio di occhiali restavano in equilibrio sul naso rosso per l'inverno, coprendo un paio di occhi piccoli e scuri. Ebbi come l'impressione di averlo già visto da qualche parte, ma non riuscii a ricordare dove.
Georg indicò con un cenno del capo il ragazzo che avevo preso a studiare con interesse, passando alle presentazioni - Lui è Gustav, il batterista dei Tokio Hotel. Gustav, lei è Rebecca, un'amica di Tom - 
L'essere presentata come amica di Tom fu come ricevere un forte calcio nei reni. Mi costrinsi a sorridere amichevolmente a Gustav che mi strinse educatamente la mano, seppellendo un forte senso di nausea e nostalgia che avrei liberato una volta sola. Tentai di cambiare argomento fingendomi di buon umore - Allora, che ci fate qui? -
- Stiamo aspettando Bill e Tom, abbiamo un'intervista tra poco - risponde prontamente Gustav. 
Tom, Tom e ancora Tom, sempre in mezzo!
- Va tutto bene, Reb? - Georg sembrò accorgersi della mia aria afflitta, lo vidi corrugare impercettibilmente la fronte con preoccupazione. Fece rapidamente il giro della panchina, sedendosi accanto a me. 
- Certo, sono solo stanca -
Georg alzò un sopracciglio, evidentemente non mi credeva. Decise allora di provare a colpirmi dritto all'anima, di toccare un nervo scoperto e di premere su un livido particolarmente premuroso - Che è successo la sera della festa? Non ti ho più visto e Tom non ci ha raccontato nulla, non ha più parlato di te -
Non ha più parlato di te.
Cazzo se faceva male.
Sbuffai sonoramente, sconfitta - E' successo un casino -
- Ecco perché l'aria afflitta - indovinò immediatamente Gustav, raggiungendoci sulla panchina e sedendosi accanto a me. Mi ritrovai così seduta tra i due musicisti che cominciarono a fissare con un misto di pietà e curiosità negli occhi, quell'improvviso interesse nei miei confronti mi mise non poca soggezione. 
- Ti va di parlarne? - mi chiese Georg, retorico. 
Naturalmente volevo parlarne.
Dopo un lungo sospiro comincia a raccontare gli avvenimenti che precedettero quella fatidica notte, quella dove avevo venduto l'anima al diavolo. Cominciai con la mattina dove il mio catorcio rottamato decise di spegnersi completamente, lasciandomi su quella strada dove ricevetti il soccorso di Bill Kaulitz che, non intendendosi di motori, chiamò il fratello Tom per un aiuto. Raccontai della mattina dove rincontrai Tom dopo settimane, la mattina dove si era presentato al Patrick's e mi aveva sorpresa in una delle mie esibizioni canore private. Raccontai di come mi invitò alla festa, di quanto fossi perplessa. Raccontai di Amber e della nostra conversazione, dell'ardua preparazione alla festa. Avvampai notevolmente quando cominciai a raccontare del sesso con Tom, tralasciando i particolari ed arrivando direttamente alla mattina dopo, quando il chitarrista mi rivelò che si era trattato di semplice sesso. Raccontai della mia depressione, delle mie lacrime che piangevo ogni sera. Raccontai di quella stessa mattina al Patrick's, quando rividi Tom dopo mesi. 
E il mio racconto terminò.
Gustav fischiò, sgranando leggermente gli occhi scuri - Bel casino -
- Ti sei innamorata? - chiese quindi Georg, le mani giunte davanti al viso come uno psicologo che cerca di fare chiarezza nel complicato intrico delle emozioni e dei sentimenti mai chiariti, come se cercasse di ricomporre i pezzi del mio cuore ormai perduto e cercasse di analizzare il mio cervello manomesso da quel chitarrista.
- Innamorata forse è una parola un po' forte - replicai quasi automaticamente - Forse sono semplicemente attratta da lui -
- Non esiste salvaguardia contro il senso naturale dell'attrazione, purtroppo - sospirò Georg, la schiena poggiata contro lo schienale di legno ruvido della panchina che condivideva con me e l'amico bassista - Quindi oggi hai preferito non affrontare l'argomento con lui. Posso chiederti perché? -
Abbasso il capo, come vergognandomi di me stessa - Perché sarei crollata -
- Gli avresti rivelato i tuoi sentimenti? - indagò Gustav.
Mi limitai ad annuire, nascondendo il viso nella sciarpa ingombrante. Percependo la mia sofferenza e il mio dispiacere, Georg mi circondò le spalle con un braccio e mi strinse affettuosamente a sé. Il suo petto contro la mia guancia e le sue labbra contro la mia nuca furono un antidepressivo potente, il più potente che qualsiasi medico avrebbe mai potuto prescrivere. Nell'abbraccio di Georg trovai tutto l'amore e l'affetto di cui avevo bisogno per superare quel brutto momento della mia vita, quel braccio muscoloso attorno alle mie spalle ossute riuscì a raccogliere le macerie del mio cuore e a spazzarne via la polvere. 
Allora è proprio vero che gli amici sono come angeli dal cielo che decidono di diventare esseri umani. 
Georg sospirò, spezzando il silenzio - Ama, Rebecca, ama perdutamente e se ti dicono che l'amore è peccato, ama il peccato e sarai innocente -
- Non voglio amare qualcuno che non mi ama - replicai duramente, stringendomi al corpo caldo del bassista. Mi sentivo così debole, così insulta ed inutile, una sensazione totalmente sgradevole che incrementò la mia depressione e la mia sofferenza.
- Vuoi che proviamo noi a parlarci? - mi chiese gentilmente Gustav.
Scrollai le spalle con indifferenza ed apatia - Tanto, a che servirebbe? -
- Potremmo aiutarlo a capire quanto si sia comportato da idiota con te, una bella ramanzina fatta come si deve non gli farebbe affatto male. Anzi, magari lo indurrebbe persino a riflettere un po' di più sulle sue azioni -
- Non le voglio le sue scuse - decreto con decisione - Non sarebbero sincere, e io non me ne faccio niente di scuse forzate - 
- Tom ha sempre avuto questo comportamento orribile con le ragazze - Georg strofina affettuosamente la mia spalla con una mano, riscaldandola appena - Mi dispiace solo che tu sia stata solo un'altra delle sue vittime, sei decisamente la migliore che ha varcato la soglia di casa Kaulitz -
Trattenni una debole risata - Cos'è, una sorta di complimento? -
- Considerando che Tom ha sempre portato solo prostitute, sì - annuì ripetutamente il batterista Gustav con decisione. 
- Vorrei solo tornare indietro e cancellare tutto -
- Le regole del tempo e del destino non ci appartengono, noi dobbiamo solo vivere al meglio le stupende occasioni che ci vengono prospettate con pazienza e passione -
Lanciai una rapida occhiata fulminea al bassista che mi abbracciava - Stai dispensando citazioni non tue, Listing! -
- Attimi pieni di passione, ricordi stupendi, canzoni che ricordano bei momenti, ma tutto finisce in un attimo. Che tristezza - sospirò tristemente Gustav, i suoi occhi scuri erano concentrati sulla strada non asfaltata del parco, dove passavano signori in tuta che percorrevano il parco correndo per combattere il freddo opprimente. La frase appena pronunciata dal batterista mi fece riflettere, era dolorosamente vera. Forse correre mi avrebbe aiutata a scaricare tutta la tensione fuori dal mio corpo.
- NON CI POSSO CREDERE! Rebecca, è grandioso rivederti! -
Saltai in piedi spaventata quando Bill Kaulitz, vestito in un completo invernale sui toni del viola e del beije con tanto di cappello bordato di pelliccia leopardata, si materializzò sotto al mio naso con un sorriso a trentadue denti che splendeva più dei piercing sul suo volto.
Il cantante mi abbracciò, stringendomi talmente forte da togliermi il respiro e da soffocarmi. Ricambiai la stretta, battendo qualche leggera pacca sulla schiena magra del ragazzo nella speranza che si staccasse al più presto e mi lasciasse respirare - Anche per me è bello rivederti, Bill - 
Da sopra la spalla del cantante vidi Tom, che mi fissava inespressivo ed apatico pochi metri dietro al fratello gemello. Mi affrettai a distogliere lo sguardo, nascondendo il viso nella spalla del cantante che con la sua stretta stava sbriciolando le mie costole. Ma non ci dieci peso, ero comunque rotta interiormente. 
Bill sciolse finalmente l'abbraccio, sorridendomi radioso - Allora, come stai? -
Decisi di ignorare Tom con un gran sorriso - Bene, e tu? -
- Io alla gra... Oh my gloss! Quello è un coniglio?! - esclamò istericamente Bill, la sua voce si alzò di qualche ottava. Si portò le mani guantate alla bocca, cominciando a saltellare allegramente prima di strattonare Gustav per una spalla verso un punto indefinito parecchi metri distante dalla panchina, la voce incredibilmente acuta - Vieni con me Gus, c'è un  tenero coniglio! Mi ci devo fare un selfie, ORA! -
Gustav emesse un gemito disperato, lasciandosi trascinare dal cantante che saltellava in mezzo all'erba ghiacciata, rischiando più volte di inciampare nei suoi stessi piedi. Trattenni una risata divertita, era uno scenario veramente comico.
Georg alzò gli occhi al cielo prima di posarli dolcemente su di me - Meglio che vada a sostenere Gustav, Bill riesce ad essere veramente estenuante coi suoi selfie - 
Strabuzzai gli occhi, fulminando il bassista. Non poteva lasciarmi sola con Tom, non dopo avergli raccontato l'intera storia della mia depressione crescente, non dopo aver aperto il mio cuore con così tanta sincerità e fragilità. Rimanere sola con Tom equivaleva a rimanere sola col demonio, col diavolo che mi stava lentamente trascinando all'inferno. Adesso ignorarlo sarebbe stato difficile, anzi, impossibile.
Riuscendo a leggere la perplessità nei miei occhi, Georg mi si avvicinò e poggio le sue labbra sottili sul mio orecchio con una delicatezza tale, quasi temesse di spezzarmi con quel semplice gesto - Domani ti chiamo, okay? - 
- Okay - sussurrai.
Il bassista mi posò un rapido bacio sulla guancia e si smaterializzò, lasciandomi sola con Tom rimasto in silenzio fino a questo momento. I capelli castani sciolti e spettinati come quella stessa mattina, gli occhi grandi come pozzi vuoti ed inanimati, gli angoli della bocca piegati impercettibilmente verso il basso, come tentasse di trattenere una smorfia triste. Il suo imbarazzo era grande quasi quanto il mio, e perfettamente palpabile.
- Ciao di nuovo - mi salutò impacciatamente, strofinando la punta della scarpa contro l'erba coperta da un sottile strato di ghiaccio bianco. 
- Ciao - lo salutai a mia volta, accennando un debole ed imbarazzato sorriso. Maledii mentalmente in tutte le lingue conosciute dall'uomo i tre musicisti per avermi abbandonata da sola tra le fauci del lupo cattivo pronto a sbranare ciò che rimaneva di me.
- Come va? -
Scrollai le spalle - Come prima, a te? -
- Già, pure a me - Tom boccheggiò indeciso un paio di volte - Volevo dirti che ... -
- Se è per la scorsa sera ... -  mi affrettai ad interromperlo.
- Lasciami parlare - mi supplicò seccamente Tom, e decisi di accontentarlo. Con un cenno del capo lo incoraggiai a continuare il suo discorso, e dopo un lungo attimo in cui il chitarrista raccolse le idee per formulare un discorso giusto e completo, tornò a parlare - Volevo dirti che mi dispiace, mi dispiace per quella notte. Mi sono comportato da stupido, non avrei mai dovuto approfittare di te -
- Il sesso si fa in due, la colpa è anche mia - dissi con una nota di consapevolezza e amarezza, continuai a sorridere anche se dentro di me il mondo continuava a gravare sulle mie spalle, schiacciandomi nell'abisso più profondo. 
- Ma io ho insistito quando non avrei dovuto -
- Ma io ti ho lasciato fare -
Sembrava quasi una gara a chi aveva commesso il reato peggiore. Tom restò in silenzio quasi secondo, probabilmente aveva esaurito frasi convincenti con le quali ribattere per addossarsi la colpa. Si limitò allora a scuotere il capo con amarezza - Se potessi tornare indietro ... -
- ... cancelleresti tutto? - l'ipotesi mi colpì mortalmente.
Tom rispose senza alcuna esitazione, rendendo il colpo ancora più forte - Sì, assolutamente sì - 





28 febbraio 2014, 07:31 p.m





Do you remember 
when we fell in love?
We were so young 
and innocent then 
Do you remember 
how it all began?
It just seemed like heaven 
so why did it end? 



Michael Jackson fece riaffiorare l'eccitata figura di Tom Kaulitz che mi stringeva tra le sue braccia possenti, baciando ogni centimetro della mia pelle con passione pura. Chiusi gli occhi nel tentativo di scacciare quel ricordo così doloroso, soffocando il viso nel piatto cuscino che da circa due ore mi teneva compagnia nella mia abituale agonia serale. Abbracciai quel vuoto cuscino, stringendomelo al petto sfinita ed esausta. 
- Se solo potessi tornare indietro ... -
- ... cancelleresti tutto? -

Un nuovo giorno era ormai andato via ed ero sola, sempre più sola; sola come quando nacqui, sola quando crebbi, sola come quando amai. Un altro sole stava andando a morire, ed io con lui. 
- Sì, assolutamente sì -


Do you remember the time 
when we fell in love?
Do you remember the time 
when we first met? 
Do you remember the time 
when we fell in love? 
Do you remember the time?



Mi sentivo come rinchiusa in un vicolo cieco nel quale non riuscivo a trovare una via alternativa per uscirne. Mi trovavo rinchiusa nel labirinto delle emozioni e dei ricordi frammentati, e nessuna via sembrava quella corretta per uscirne. Non potevo guardare indietro, avevo il timore di ricordare qualcosa di bello che non sarebbe mai tornato; non potevo guardare avanti, avevo il timore di immaginare qualcosa di bello che non sarebbe mai arrivato. Chiusi stancamente gli occhi, decisa a riaprirli solamente quando avrei avuto la forza di voltarmi senza piangere e guardare avanti sorridendo. Ma sarebbe mai arrivato quel momento? Sarei mai riuscita a pensare al passato, a quei pochi ma importanti momenti di intimità passati con Tom senza versare qualche sincera lacrima di nostalgia? E sarei riuscita a pensare al futuro senza ricorrere a quelle false speranze ed illusioni che mi ero ripromessa più e più volte di non farmi? 


Do you remember 
back in the Spring?
Every morning birds would sing
Do you remember 
those special times? 
They'll just go on and on 
in the back of my mind



Il cellulare prese a vibrare rumoroso nella tasca dei jeans, la vibrazione troppo forte fece tremare convulsamente il mio corpo e mi affrettai a prenderlo tra le mani per rispondere. Controllai il nome della persona che in quel momento mi stava cercando, ma non apparse nessun nome. Apparse un semplice numero di telefono a me sconosciuto, probabilmente un numero che mi ero dimenticata di memorizzare in passato oppure qualcuno che aveva il mio numero e io non ne ero a conoscenza. Odiavo quella situazione, era snervante sapere che qualcuno possedeva il mio numero di cellulare a mia insaputa. 
Pensai immediatamente a Georg, non ricordavo se avessi memorizzato il suo numero oppure no. Probabilmente mi stava chiamando per riferirmi novità riguardanti Tom, probabilmente aveva scoperto qualcosa di importante che pensava fosse meglio riferirmi. Risposi, praticamente certa che si trattasse del bassista - Ho disperatamente bisogno di te, Georg -
La persona dall'altra parte fece un lungo e sostenuto sospiro prima di rivelarsi - Non sono Georg, vado bene lo stesso o devo riattaccare? -
Sussultai, scattando spaventata a sedere e lasciando cadere il cuscino stroppicciato sul pavimento. Doveva essere uno scherzo, non poteva essere realmente lui. Doveva trattarsi sicuramente di uno scherzo, non esisteva alcun valido motivo per il quale lui possedesse il mio numero e nemmeno per chiamarmi. Che il destino si stesse divertendo a prendersi gioco di me fino alla fine, approfittando della mia instabilità mentale ed emotiva? 
La mia voce era un sussurro appena accennato - Tom, sei davvero tu? - 
Lo sentii ridacchiare sommessamente - Già, proprio io -
- Non ti offendere, pensavo davvero tu fossi Georg - 
- Me ne sono accorto -
Esitai qualche istante, il cuore sembrava essersi fermato nel petto per l'emozione, l'incredulità di quella situazione così stramba e l'enorme spavento - Come fai ad avere il mio numero? - 
- Perché invece non mi chiedi perché ti ho chiamata? - mi suggerì beffardamente il chitarrista dall'altro capo del telefono. 
Alzai gli occhi al cielo, ascoltando il suo consiglio - Perché mi hai chiamata? -
Seguirono parecchi attimi di silenzio in cui il mio cuore riprese a battere troppo velocemente, pensai che fosse caduta la linea o che Tom avesse improvvisamente riattaccato. Quando il mio pollice si avvicinò al tasto rosso che avrebbe segnato la fine di quella chiamata, la voce serie ed impacciata di Tom giunse nuovamente alle mie orecchie - E' forse troppo tardi per scusarmi, per dirti che mi manchi? - 
Fu il mio turno di rimanere in silenzio. La domanda del chitarrista mi colse alla sprovvista, temetti di essere intrappolata nel sogno più verosimile nel quale fossi mai sprofondata, temetti di risvegliarmi da un momento all'altro e di tornare alla triste realtà in cui Tom Kaulitz non mi avrebbe mai telefonata per chiedermi scusa. Per dirmi che gli mancavo. Decisi di ridurre ulteriormente la mia sanità e stabilità mentale già bassa, di distruggere ed interrompere il mio cuore in fase di restauro e ristrutturazione - Che cosa? -
- Sto dicendo che mi manchi, Rebecca - l'impaccio e l'imbarazzo di Tom nel ripetere e di esternare tali emozioni era palpabile anche a distanza, quella sua insicurezza mi fece cadere definitivamente nel baratro che portava il suo nome - E so che tu riuscirai a perdonare il mio grosso errore, so che ... -
- No, tu non sai assolutamente nulla! Tu non puoi ... - rimasi completamente senza fiato dopo aver udito il motivo della sua improvvisa chiamata. Un misto di rabbia ed incredulità incrinava leggermente la mia voce - Tu non puoi, non puoi entrare improvvisamente a far parte della mia vita, sedurmi, fare sesso con me per poi chiedere di dimenticarmi tutto e di andare avanti con la mia vita come se non fosse mai successo niente, poi tornare e dirmi che ti manco e che hai bisogno del mio perdono! Ho passato due mesi di totale angoscia perché non riuscivo a dimenticarti, non riuscivo ad odiarti e anche se riuscivo a trovare un briciolo di forza per farlo, riuscivo a perdonarti e ad amarti. Tu mi hai dimenticata, Tom Kaulitz, adesso lascia che sia io a farlo! -
- No, porca troia, io non ti ho dimenticato! - replicò amaramente Tom, la sicurezza nella sua voce mi disarmò completamente - Rebecca, mi ritorna alla mente la notte passata insieme e vorrei riviverla mille e mille volte. Penso agli attimi che non abbiamo ancora vissuto e che forse non vivremo mai ... e mi mancano ancora prima di averli assaporati  -
- E quindi cosa vuoi, scusarti? - chiesi acidamente, ripensando a tutte quelle giornate e quelle settimane passate a piangere ore e intere inseguendo il ricordo di quella notte, ripensando alla mia vita che da quella notte prese a scorrere priva di emozioni e colori che non andassero oltre alla disperazione e alla desolazione. Per giorni pensai che il tempo avrebbe guarito ogni cosa, ma il vuoto che Tom aveva lasciato intorno e dentro a me aumentava ogni giorno di più, non c'era tempo che potesse guarire il vuoto che aveva lasciato dentro al mio cuore. 
- Io voglio te, porco mondo - scandì con rabbia il chitarrista, facendomi rabbrividire - Non mi importa cosa pensi di me, puoi dirmi ciò che vuoi, puoi colpirmi, puoi insultarmi ma io non mi arrenderò mai a ... -
- Le mie orecchie non sono disposte ad ascoltare le tue scuse - lo fermai bruscamente, decisa a mettere fine a quella conversazione così assurda e lacerante. 
- Ma il tuo cuore, Rebecca? Il tuo cuore è disposto ad ascoltarmi, per una volta in vita mia che dico la dannata verità a una donna? -
- Io ... - mi portai automaticamente una mano al petto, quello aveva continuato a battere furiosamente nel mio petto. Il mio corpo urlava furiosamente il bisogno e la necessità di avere Tom vicino, la mia pelle voleva lui, la mia bocca voleva la sua, le mie mani volevano toccarlo, la mia anima voleva unirsi di nuovo alla sua, il mio odore di unirsi al suo, i miei occhi di entrare dentro ai suoi, e io volevo lui dentro di me - Ascolta, Tom, quello che ho vissuto con te è un ricordo indelebile e da un lato vorrei cancellarti dalla mia mente per non soffrire più -
- Rebecca, in vita mia non ho mai telefonato una ragazza per dirle queste cose, non ho mai sentito la nostalgia di una ragazza a tal punto da doverla supplicare a tornare da me, non ho mai confessato i miei sentimenti così apertamente e sai perché? - la dura insistenza nella voce di Tom si affievolì leggermente, ma mantenne comunque una certa strafottenza e severità. Il suo tono di voce era talmente alto che avrei potuto sentirlo tranquillamente posizionando il telefono a kilometri di distanza dal mio orecchio - Perché non ho mai provato sentimenti veri e sinceri nei confronti di una ragazza, sopratutto nei confronti una sconosciuta della quale non so assolutamente nulla - 
- E te ne accorgi solo ora? - sputai con cattiveria e verità.
- So di essere un deficiente, ma ho capito il mio errore - replicò il chitarrista - Non è questa la cosa più importante, che io capisca dove ho sbagliato? Adesso che l'ho capito aiutami a rimediare, se davvero te ne frega qualcosa di me e di noi! -
Con un gesto secco e rabbioso riattaccai, ponendo fine a quella telefonata. Lui aveva sbagliato, lui aveva giocato coi miei sentimenti e col mio corpo, lui voleva persino riaprire l'argomento per dire chissà quale altra cazzata che mi avrebbe fatta stare male il doppio e poi pretese che io l'aiutassi a rimediare? Assolutamente no, se davvero ci teneva a me si ingegnava e trovava un modo per ottenere il mio perdono, se davvero esisteva un modo dopo quello che aveva fatto!
Lanciai il telefono sul letto, decisa a dimenticare quella telefonata. Ma dopo un minuto o forse meno, qualcuno bussò ripetutamente alla porta di legno decadente. Colpi forti e violenti che fecero tremare le pareti abbastanza instabili, e decisi di andare ad aprire prima che lo sconosciuto mi facesse crollare l'appartamento.
- Arrivo, arrivo! - urlai rabbiosa, aprendo la porta di scatto pronta a cogliere l'intruso che avrei certamente preso ad insulti e bestemmie per aver contribuito a rendere quella giornata da dimenticare. Ma gli insulti e le minacce che avevo preparato morirono sulle mie labbra nel momento stesso in cui realizzai che lo sconosciuto che mi stava fronteggiando era Tom Kaulitz.
Gli occhi carichi di rabbia e risentimento, i capelli spettinati sciolti sulle spalle formavano un groviglio informe, la barba cresciuta copriva le guance arrossate per il freddo e per la corsa appena terminata che veniva smaltita tramite il pesante fiatone che agitava il suo petto. Mi superò, entrando in casa mia senza nemmeno una parola e cominciando a percorrere avanti e indietro l'appartamento piccolo e ristretto. Mi affrettai a chiudere la porta, gli occhi ancora sgranati per lo stupore e la sorpresa - Che cosa diamine ci fa qui? -
- Secondo te? - il sarcasmo animò la voce cattiva di Tom. Mi sventolò sotto al naso il suo cellulare, ancora aperto sulla chiamata che io avevo volontariamente interrotto - Non azzardarti mai più a sbattermi il telefono in faccia, mi hai capito? -
- Chi pensi di essere per darmi ordini, eh? -
- Stammi a sentire - i centimetri d'altezza in più di Tom rispetto ai miei mi costrinsero a piegare leggermente la testa all'indietro, i suoi occhi scuri lampeggiavano e brillavano come fulmini e saette - Mi sono scopato altre sei ragazze dopo essere andato a letto con te -
- E cosa vuoi, un applauso? - chiesi, sarcastica.
- Sì perché con nessuna di queste maledette sei ragazze ho provato le stesse cose che ho provato con te, Rebecca! Per la prima volta ho provato del vero amore nei confronti di una donna, per una volta ho dei sentimenti veri che nessuna ragazza mi ha mai fatto provare in vita mia! Per te provo qualcosa di talmente grande e strano da spaventarmi - fece una pausa, quasi volesse riordinare le idee e l'incredibile confusione che sembrava avere in testa. Sospirò, nel tentativo di placare la tempesta che lo stava agitando peggio di un uragano - E' triste non averti, ma è ancora più triste sapere che ci potresti essere ... e che invece non ci sei. Voglio sentirti ed averti in tutti i sensi e con tutti i sensi -
Rimasi senza fiato, come se mi avessero appena tirato un pugno troppo forte nello stomaco. Il respiro di Tom riscaldava la mia fronte e il mio viso, il suo respiro costituiva il mio ossigeno per continuare a vivere. I nostri visi così vicini, tutte le emozioni racchiuse in quel minimo frammento di aria che ci separava, i nostri occhi che comunicavano cose che il linguaggio umano non sarebbe mai stato in grado di esprimere. 
Se la mente mette i limiti, il cuore li spezza.
Reagendo puramente d'istinto, impulsiva, mi alzai sulla punta dei piedi e circondai il collo di Tom con entrambe le braccia, sostenendomi sulle sue spalle larghe coi gomiti. Le nostre labbra si intrecciarono nostalgiche, le nostre lingue si incontrarono immediatamente conoscendo già la strada da percorrere, il gioco con cui intrattenerci ed appagarci. Le mani del chitarrista si posarono immediatamente sulla mia schiena, le sue braccia mi abbracciarono stringendomi con forza contro il suo petto, sollevandomi da terra e facendomi volare tra le sue braccia possenti che sostenevano il mio mondo. Finalmente, quel brutto periodo cupo della mia vita ebbe fine ed improvvisamente tutti i miei problemi e le mie angosce si dissolsero nell'aria come cenere nel vento. 
C'eravamo solo noi, i nostri corpi stretti in un abbraccio che ricongiungeva le nostre anime e i nostri cuori e un bacio ardente come il sole e profondo come la notte. 
- Perché hai deciso di tornare?- soffiai sulle sue labbra, esitante - Perché da me, poi? -
- Puoi cancellare qualcuno dalla tua mente, ma farlo uscire dal cuore è tutta un'altra faccenda - lo sentii espirare forte, quasi a voler fare uscire tutta la rabbia accumulata in quel discorso così serio dalle narici come il fumo di una sigaretta - Lascia che ti ami a modo mio, secondo il mio essere. Farò tutto, lo giuro -
Scossi il capo, riprendendo a baciarlo con trasporto e passione cocente - Non devi fare assolutamente niente, Tom. Solo ... amami -





29 febbraio 2014, 06:00 a.m



La mattina dopo mi svegliai miracolosamente di buon umore, cosa che non era mai accaduta in tutta la mia vita, nemmeno le mattine dei miei compleanni. Quella notte Tom non dormì da me, quindi l'unico testimone della mia notte insonne a causa della felicità e delle farfalle nello stomaco fu solo il mio cuscino che fu costretto a colmare il vuoto del corpo di Tom tra le mie braccia. Quella volta, però, non mi scocciò l'aver passato la notte insonne, forse perché una qualche divinità sconosciuta aveva deciso di mandarmi l'angelo dannato da accudire e sopportare per un indeterminato periodo di tempo- 
Il solo pensiero di essere la prima e forse unica ragazza che Tom Kaulitz avesse mai amato o per la quale avesse mai provato veri ed autentici sentimenti mi faceva sorridere, rendendomi letteralmente euforica. Il solo pensiero che lui fosse unicamente mio, poi, mi faceva quasi commuovere e piangere di felicità. 
Mi vestii rapidamente, infilando un paio di pantaloni neri e una camicia a quadri rossi e neri lunga fino alle ginocchia che nascondeva il mio corpo ossuto ed esile. Rimboccai le maniche fino ai gomiti, lasciando scoperte le braccia pallide. Pettinai i capelli e li lasciai sciolti sulle spalle, la frangetta rettangolare copriva accuratamente la mia fronte come un telo. Nel momento stesso in cui afferrai la borsa per prendere i biglietti della metropolitana e dell'autobus, una breve vibrazione scosse il mio cellulare abbandonato sul letto ancora sfatto, che mi sarei preoccupata di fare la sera tornata a casa. 
Mi era arrivato un messaggio.



Datti una mossa o arriverai tardi a lavoro.


Sospirai, premendo velocemente i tasti virtuali per rispondere :


Ti pagano per farmi da baby-sitter?


La risposta arrivò pochi secondi dopo : 


Se non ci penso io a te, chi ci pensa?
Forza, scendi prima che mi addormenti.



Rilessi il messaggio più volte, aggrottando la fronte perplessa e cercando di cogliere il significato del messaggio. Mi infilai rapidamente il giubbotto, tenendo con una mano il cellulare ancora aperto sulla chat alla quale non avevo ancora risposto. Avevo come un presentimento, un presentimento che mi fece sorridere con ancora più allegria e spensieratezza. 
Chiusi la porta di casa e mi precipitai per le scale, saltando i gradini e rischiando di inciampare provocando abbastanza rumore sui diversi pianerottoli da svegliare l'intero vicinato. Varcai il portone d'ingresso del condominio isolato e lo vidi, fu come vedere i primi raggi di sole dopo un lungo e gelido inverno.
I capelli legati approssimativamente in una crocchia sulla nuca, qualche ciuffo corto e ribelle ricadeva sul collo coperto dal largo collo del giubbotto di jeans chiaro. Gli occhi di scura e calda cioccolata fissavano impazienti ma allo stesso tempo pazienti il portone in attesa del mio arrivo, e quando mi videro riuscii a vedere l'anima del chitarrista riflessa in essi. Era comodamente poggiato col sedere alla portiera macchina rossa fiammante con la quale si era presentato a me al primo incontro, i finestrini completamente abbassati e le dita grosse che giocavano con le chiavi di quel gioiellino. 
Mi sorrise, tra l'ironico e il sincero - Certo che ce ne metti di tempo! -
- Se tu mi avessi avvisata, mi sarei sbrigata - mi giustifico avvicinandomi a grandi passi al chitarrista che mi venne incontro, aiutandomi ad accorciare quella distanza. Mi prese immediatamente il viso tra le mani e catturò le mie labbra tra le sue, stampandomi un lungo bacio che mi tolse completamente il respiro e fece esplodere il mio cuore. Mi lasciai baciare con beata passione, le nostre labbra si salutarono a lungo accarezzandosi a vicenda e le nostre lingue si sfiorarono nel tentativo di mantenere quel bacio nei limiti della castità.
Mi scostai svogliatamente - Arrivo tardi a lavoro - gli ricordai.
Tom sbuffò, lasciando scivolare via le sue mani dal mio corpo - Ci hai messo troppo tempo a prepararti - tornò ad accusarmi.
- Avresti potuto avvisarmi che saresti passato! - 
Salimmo in macchina, e Tom fece girare la chiave della serratura e il motore cominciò a ruggire potente, segno che la macchina era stata accesa e si stava riscaldando lentamente - Ti saresti sperdicata di scuse per non farmi venire -
- Preferisco risparmiarti la mia orrenda versione mattutina - allacciai la cintura, Tom mi osservava coi suoi occhi magnetici ed accattivanti attraverso lo specchietto retrovisore rettangolare. 
Ghignò sommessamente, leccando il piercing nero con la punta della lingua e giocandoci spostandolo leggermente a destra e a sinistra, ripetutamente. Quel gesto così dannatamente sensuale e provocatorio mi faceva letteralmente impazzire - Gentile da parte tua -
- Il tuo sarcasmo mi fa pentire di averti perdonato, Tom -
- Non sai vivere senza di me -
- E tu senza di me -
Tom mi lanciò un'occhiata fugace attraverso lo specchietto, gli feci un lungo ed innocente sorriso che stava a decretare la mia vittoria. La macchina rossa fiammante sfrecciava veloce sulle strade asfaltate e ancora addormentate di Los Angeles, i soli pedoni che passeggiavano allegramente per i marciapiedi erano i padroni di cani dalle diverse taglie e razze.
- Touché - fu costretto ad ammettere infine il chitarrista, sconfitto.
Cominciai ad osservare lo splendido ragazzo che mi sedeva vicino di sottecchi, studiandone ammirata ed affascinata i particolari. Il modo il cui le sue grandi mani tenevano saldamente il volante nero, i suoi grandi occhi scuri che rimanevano concentrati sulla strada quasi deserta, la lingua che spesso inumidiva le labbra rosee ed invitanti. Ogni cosa che faceva, ogni suo movimento, ogni suo gesto, la faceva con sacra disinvoltura e con una tranquillità quasi invidiabile. E poi era così bello, quella bellezza innegabile ed ineguagliabile, quella bellezza che ti fa sospirare di invidia e di ammirazione, quella bellezza della quale non puoi fare a meno di innamorarti, quella bellezza che sogni, quella che viene narrata solo nelle favole e viene mostrata solo nei film. 
- Così mi sciupi, piccola - mormorò piano Tom, riportandomi alla realtà. Mi rivolse un rapido sorriso attraverso lo specchietto retrovisore, spostandolo leggermente con una mano per guardarmi meglio attraverso lo specchio stretto e rettangolare.
Roteai gli occhi, trattenendo una risata. Mi concentrai allora sul paesaggio urbano ancora addormentato che scorreva rapido sotto ai miei occhi, poggiai la fronte sul vetro freddo del finestrino che sembrò congelarmi il cervello. Il cielo cominciava a tingersi lentamente di azzurro, diverse scie rosa lo coloravano seguito da alcune sfumature di giallo che gli donavano una bellezza e una magia mozzafiato. 
- Meraviglioso - sospirai, quasi tra me e me.
Tom seguì il mio sguardo, concentrandosi anche lui per qualche rapido secondo sul cielo dai colori incantevoli. Lo sentii sorridere, e il mio cuore e la mia anima con lui - Uno spettacolo mozzafiato, vero? -
- Vero - annuii - A proposito, finisco alle due oggi -
- Non dirmi che devo venire a prenderti! - protestò fintamente scocciato il chitarrista, strabuzzando gli occhi e spalancando la bocca assumendo una smorfia buffa.
- Posso sempre chiamare Georg, se per te è un problema - proposi innocentemente.
Tom mi lanciò un'occhiata fulminea, incenerendomi all'istante improvvisamente serio - Non ce n'è bisogno - 
- No, non dirmi che sei geloso! - fu il mio turno di strabuzzare gli occhi scocciata.
- L'hai detto tu, non io -
- Sto interpretando la tua reazione -
- Non ho avuto nessuna reazione! -
- Come no, sembrava volessi sbranarmi viva! - 
Tom accostò a pochi metri dalla porta d'ingresso del Patrick's. Mi passai una mano nei capelli ed afferrai la borsa, aprendo la portiera e scendendo in strada. Tom, dall'altro lato, scese sul marciapiede e io lo raggiunsi con svogliata e malinconica lentezza.
- Comunque il problema non si pone - riprese il discorso Tom con decisione - Ti verrò a prendere io -
Catturai le labbra di Tom tra le mie, con l'intenzione di posargli un veloce bacio prima di iniziare il mio turno. Ma nel momento stesso in cui premetti i palmi delle mani sul petto di Tom per staccarmi, le braccia dei chitarrista circondarono le mie spalle intrappolandomi in un abbraccio dal quale sottrarmi era impossibile. Strinse con forza il mio corpo contro il suo, la sua lingua entrò prepotente nella mia bocca con ardente desiderio di approfondire quel bacio dagli inizi casti. Ci baciammo a lungo, ignorando i pedoni che passavano e che ci lanciavano occhiate disprezzanti o curiose, le mani di Tom scivolarono audaci sul mio sedere dove si ancorarono. Mordicchiai il suo labbro inferiore, il mio corpo premuto contro quello del chitarrista quasi a formare un unico corpo. Volammo sulle nostre emozioni, esplorando la nostra fantasia e i nostri respiri di passione crescente si mischiarono in un unico caldo respiro. Tom stava scivolando sempre più in profondità negli abissi del mio cuore. 
E allora capii che l'amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. 
Io ti dico : buttati a capofitto, trova qualcuno da amare alla follia che ti ami alla stessa maniera. 
Come trovarlo? Beh, dimentica il cervello e ascolta il tuo cuore, perché la verità è che non ha senso vivere se manca questo. Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente equivale a non vivere. Ma devi tentare, perché se non hai mai tentato non hai mai vissuto.
Mi staccai lentamente, avvampando - Se faccio tardi mi licenziano, lo sai? -
Tom mugugnò, baciandomi la guancia con passione - Sei in larghissimo anticipo -
Alzai gli occhi al cielo - Sappiamo entrambi che non è così -
- Dovevo fare almeno un tentativo - ghignò colpevole Tom. Mi posò un ultimo, veloce e casto bacio sulle labbra prima di lasciarmi andare. Mi incamminai verso la porta chiusa del Patrick's, ancora rossa in volto. Poggiai la mano sulla fredda maniglia di metallo arrugginito della porta, quando la voce di Tom mi chiamò improvvisamente con insistenza - Rebecca? -
Mi voltai di scatto, sorpresa - Che c'è? -
La lingua di Tom tornò a stuzzicare perversa e provocante il piercing nero all'angolo del labbro, i suoi occhi scuri catturarono i miei ipnotizzandomi ed incantandomi con la loro profondità e la loro impenetrabilità. Fece schioccare la lingua con decisione - Sappi che adesso sei ufficialmente mia -




03 marzo 2014, 11:00 p.m



Ci ritrovammo tutte le sere a casa mia, a passare le ore sdraiati sul mio stretto letto a parlare di tutto ciò che ci passasse per la testa in quel momento. C'erano volte in cui non parlavamo e restavamo semplicemente in silenzio, ognuno immerso nel corso dei propri pensieri, godendo silenziosamente della compagnia dell'altro per non rimanere soli fisicamente oltre che mentalmente. Non c'erano bisogno di sguardi, di parole, di gesti, di contatti : solamente il puro stare insieme. 
Quella sera eravamo entrambi sdraiati sul mio letto sfatto, le schiene contro il materasso scomodo e le nostre spalle che si sfioravano, entrambi assorti nella contemplazione del soffitto macchiato di muffa. Tom aveva posato un posacenere rosso sul suo lato di pavimento, come sempre quando veniva a casa mia. Gli piaceva fumare durante le nostre conversazioni notturne, gli piaceva riempire l'aria circostante con quel odore acre e appiccicoso, a tratti piacevole e a tratti soffocante e nauseante. 
- Mi rilassa - diceva sempre.
Non avevo mai provato a fumare, ma l'eleganza e la disinvoltura con la quale Tom teneva in equilibrio la stretta e lunga sigaretta tra medio ed indice, la gestualità precisa e semplice con la quale se la portava alle labbra, il modo sensuale e secco col quale sputava fuori il fumo dalle labbra carnose e dal naso ... mi sentivo attratta ed affascinata dal modo in cui si rilassava, dal modo in cui sembrava accantonare i suoi problemi con una semplice sigaretta.
Lo sentii scoppiare a ridere, probabilmente mi ero fatta cogliere nella mia contemplazione silenziosa. Tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e me lo porse, riempiendo il silenzio con la sua risata spontanea e sincera - Prendine una! -
Afferrai, impacciatamene. Arrossii lievemente, chinando il capo sul pacchetto rettangolare di carta bianca che presi a rigirarmi tra le mani come se si trattasse di una reliquia antica - Non ho mai provato -
- Allora sei una brava ragazza - ridacchiò sarcasticamente il chitarrista, soffiando fuori dalle sue labbra una nuvola di vapore bianco che si perse subito verso il soffitto sporco. 
Lo fulminai, cogliendo la provocazione. Aprii il pacchetto con un gesto secco ed estrassi una sigaretta, infilandomela tra le labbra ed accettando la sfacciata sfida di Tom. In quel momento il ragazzo tirò fuori pigramente l'accendino e si chinò su di me per accendere e dare avvio alla mia prima sigaretta. Sussultai quando la fiamma si sprigionò improvvisamente dall'oggetto di plastica e metallo, illuminando i nostri visi vicini. La mia reazione fece ridacchiare ancora una volta Tom.
- Aspira quanto fumo riesci e poi butta fuori - mi disse tornando a sdraiarsi.
Ascoltai il suo consiglio, inspirai profondamente e una quantità industriale di fumo si riversò nella mia gola lasciando una fastidiosa scia di bruciore, e quando buttai fuori tossii forte e ripetutamente, il bruciore aumentò. Continuai a tossire, a mano a mano il bruciore si affievolii fino a scomparire.
- All'inizio è normale, poi vedrai che ti piacerà - tornò a parlare con fare saccente ed esperto Tom, che aveva già consumato più della metà della sua sigaretta.
 La finestra aperta lasciava passare la fredda aria della notte dai piccoli buchi delle tapparelle abbassate, ma la pelle bollente di Tom bastava a donarmi il calore necessario per stare bene. Riportai la sigaretta alle labbra con celata riluttanza. Questa volta la scia di bruciore che il fumo lasciò nella mia gola era piacevole, lo soffiai fuori lentamente e mio divertii parecchio a vedere la nuvola bianca e grigiastra condensarsi sotto al mio piccolo naso. Mi affrettai a ricompiere quel gesto, nella speranza di non acquisire il vizio.
- Non mi hai mai raccontato la tua storia - disse improvvisamente Tom, spezzando nuovamente il silenzio. I suoi occhi mi cercarono, osservandomi con improvviso ed acceso interesse.
Quell'affermazione mi fece sbiancare improvvisamente - Cosa vuoi sapere? -
- Per esempio, non dovresti essere all'ultimo anno di liceo? -
Scrollai le spalle apaticamente, evitando il suo sguardo - Dovrei - concordai portandomi la sigaretta alle labbra ed aspirando una grossa quantità di fumo, quello scese rapido nella mia bocca e nei miei polmoni, riscaldandomi interiormente.
- Perchè lavori? -
Non risposi, soffiando fuori il fumo con forza e lasciando sprofondare il capo nella mia parte di vuoto cuscino. Mi concentrai sulle macchie di muffa scura sul soffitto alto, sulle sfumature grigie e nere che lasciavano a chiazze sull'intonaco bianco e vecchio. Avevo trovato uno dei peggiori appartamenti di tutta la periferia della città, ma era l'unico che potevo permettermi dato i miei pochi risparmi. Se fossi stata aiutata economicamente dai miei genitori, adesso vivrei in un appartamento nettamente migliore, ma perlomeno avevo un tetto sulla testa e un letto in cui dormire. L'idea di dormire su una panchina non mi allettava minimamente. 
- Essenzialmente non ho voglia di studiare - minimizzai, trattenendomi nel perdermi nei ricordi e nei sentimenti che tormentavano agitati il mio cuore. Quell'argomento per me era spinoso quanto insignificante, desideravo ardentemente parlarne quanto tacere e seppellire quel pezzo della mia storia nel passato e lasciarlo morire lì, indisturbato. 
- Ma c'è altro - indovinò all'istante Tom, cercando con insistenza il mio sguardo che però continuai ad evitare. Invece, continuai a concentrarmi sul soffitto, silenzioso quanto me. Dopo parecchi istanti in cui l'insistenza negli occhi di Tom sembrò affievolirsi, decise rispettosamente di rinunciare - Se non vuoi parlarne ... -
- No, è okay - mi affrettai a mormorare. Sospirai, chiudendo gli occhi e lasciandomi investire da una serie di immagini incancellabili, talmente vivide da essere ancora dolorose ed angoscianti : il mio aspetto trasandato e trascurato rispetto a quello delle mie compagne di classe, sempre così ben vestite e all'ultima moda; i pomeriggi passati a leggere la saga di Harry Potter invece di studiare per eventuali interrogazioni o compiti in classe; i pessimi e bassissimi voti che portavo a casa con apatia e menefreghismo, scatenando l'ira funesta di mio padre e il disprezzo di mia madre; i commenti sarcastici dei professori ogni volta che dicevano il mio nome; lo scoprire che i miei genitori pagavano profumatamente il preside per promuovermi ogni anno e permettermi di accedere alla classe successiva nonostante i miei terribili voti ... una serie di cose che mi ero promessa di dimenticare, di cancellare. Ma come si cancella il passato?
- I miei genitori pagavano il preside per la mia promozione - esordii - Non riuscivo a spiegarmi per quale assurdo motivo riuscivo ad essere promossa nonostante racimolassi soltanto insufficienze. Quando venni a scoprirlo ... - feci una pausa, come per prendere fiato. Quello era il ricordo più doloroso di tutti - Fu la notte più brutta della mia vita : i miei genitori mi urlarono che ero la figlia peggiore che potesse capitargli, che non valevo niente, che avrei passato la mia vita a marcire e che loro non avrebbero fatto nulla per aiutarmi perché non me lo meritavo; io urlai che erano i genitori peggiori del mondo, che non me ne fregava niente di ereditare la ditta di papà, che non mi interessava di imparare il latino come la mamma. Quella stessa sera feci la borsa e scappai dalla finestra, quando i miei genitori decisero finalmente di andare a dormire dopo avermi picchiata. Abbandonai la scuola e i miei genitori non vennero a cercarmi,  non vollero sapere dove fossi sparita, non misero annunci per la mia scomparsa, non mi chiamarono, non chiesero di me a nessuno, semplicemente decisero di disconoscermi come figlia.  Probabilmente adesso sperano che io sia morta in un fosso, perché questo è quello che secondo loro merito per non essere stata la figlia che loro volevano -
- Reb ... - tentò piano Tom, nei suoi occhi potei leggere la sua incredulità e il suo sbalordimento, probabilmente era mortificato per avermi costretta a tirare fuori il mio passato così tragico. 
- Ti starai chiedendo perché mi ostinassi a prendere voti bassi e perché non mi impegnassi per rendere i miei genitori orgogliosi - lo ignorai - Ebbene, ero esattamente l'opposto dell'alunna modello che risponde prontamente alle domande dei professori. Non mi interessavano i voti, erano solo numeri senza un significato o un valore. Non ho mai fatto progetti sul mio futuro e su una mia eventuale carriera dopo aver ereditato la ditta di papà, non ho mai pensato a che università frequentare dopo il diploma, non cercavo il successo e la ricchezza. A scuola non mi impegnavo, come avrai certamente capito, ma non perché non fossi intelligente o perché fossi mentalmente limitata, semplicemente perché non avevo ragioni per impegnarmi seriamente. Perché avrei dovuto? A me non importava minimamente, andare a scuola era un passatempo come un altro. Non avevo minimamente intenzione di impegnarmi in materie che non mi interessavano, non avevo intenzione di rispettare persone che mi imponevano cose che non volevo. Tuttora è così : non ho progetti, non so cosa farò nella vita. La mia mente è una scatola vuota che non vuole essere riempita con niente, perché la scatola in sé è già abbastanza ingombrante. Non ho ambizioni, non ho sogni o desideri. Può sembrare impossibile ed incredibilmente da sfigati, ma io non voglio niente. Voglio solo vivere - feci una piccola pausa, per riordinare le idee e controllare mentalmente di aver detto tutto ciò che volevo realmente dire. Sospirai, in conclusione - Quindi sono praticamente orfana, mentalmente vuota, svogliata ... uno scarto della società. Questa è la mia storia -
Decisi di spostare coraggiosamente lo sguardo su Tom, per controllare la sua reazione. Non mi era mai successo di raccontare la mia storia in modo così dettagliato e profondo, se non a Amber alla quale non dovetti raccontare praticamente nulla perché coinvolta nella mia realtà quotidiana. Gli occhi scuri di Tom sono pieni di incredulità e sbalordimento, la bocca semiaperta e l'espressione stravolta di chi ha appena visto il film horror più pauroso di tutti i tempi. E pensare che la protagonista dell'horror ero io.
- Sei fottutamente forte, piccola - scandì ogni parola con energia, quasi volesse inciderle profonde nella mia mente. Ma non ce n'era bisogno, ogni suo sguardo, bacio, carezza, parola incidevano sempre il loro calore, la loro passione, la loro profondità nel mio fragile corpo. 
- Forte? - ripetei, sprezzante verso me stessa - Se fossi stata forte non sarei scappata -
- Sei stata costretta a scappare, Reb - replicò duramente Tom, alzando leggermente la voce come a volermi rimproverare per il ribrezzo costante che provavo verso me - Se tu fossi rimasta avresti continuato a vivere una menzogna per il resto della tua vita, avresti continuato a fare cose che non volevi e avresti vissuto con dei genitori che non ti amavano per quello che eri -
Annuii, assimilando con finto interesse la predica del chitarrista. Alzai gli occhi per incontrare i suoi, che ancora severi fissavano la mia magra ed insulsa figura seduta a pochi ed insignificanti metri da lui. Feci la mia domanda, la mia richiesta senza esitare nemmeno un secondo - Qual'è la tua storia? -
Tom scoppio a ridere, sarcastico - Tutti la conoscono -
- Conoscono quella di Tom - fu il mio turno replicare - Io voglio sapere la vera storia. Quella di Thomas -
Gli occhi di Tom mi scrutarono penetranti, vidi la solita scintilla di determinazione nelle sue pupille spegnersi e gettare quel mare scuro di segreti non detti nel buio totale della sua anima. Abbassò il capo, diverse ciocche di capelli scuri caddero sulle guance coperte dallo strato di barba che cominciava ad infoltirsi. Boccheggiò lentamente un paio di volte, riuscii quasi a sentire il complicato marchingegno del suo cervello lavorare e lavorare senza sosta alla ricerca delle giuste parole per iniziare il racconto più sincero che probabilmente avesse mai fatto fino a quel momento - Il mio patrigno trasmise a me e a Bill la passione per la musica, a sei anni imparai a suonare la chitarra. Mi piaceva avere il controllo su un qualcosa di così delicato e allo stesso tempo resistente come la chitarra, mi piaceva essere il creatore di note che messe insieme formavano un qualcosa unicamente mio. Presto suonare la chitarra divenne il mio sfogo, ricordo di aver saltato scuola parecchie volte per concentrarmi sulla stesura delle basi delle canzoni che poi Bill cantava. Ma ogni volta che non andavo a scuola mi sentivo in colpa, non mi piaceva che Bill andasse in quel posto senza di me. Quasi ogni giorno veniva picchiati dai ragazzi più grandi che lo prendevano in giro per i piercing, per i capelli tinti, per il modo di vestire e per lo smalto alle unghie, e come fratello maggiore era mio dovere difenderlo anche a costo della vita. Parecchie volte fui picchiato anche io per aver provato a difendere Bill, e allora cominciai a picchiare anche io. Venni sospeso un paio di volte per alcune risse nei bagni, nel cortile, nelle aule. Ma tutti cominciarono a rispettarmi e a temermi, alle scuole medie ricordo che mandai in ospedale cinque ragazzi che tentarono di stuprare Bill. Al liceo nessuno più osò prendersela con Bill per la sua passione per il suo sogno di diventare un musicista e un cantante famoso, nessuno osò più alzare un dito contro di lui. Bill pensò immediatamente che le cose stessero andando per il verso giusto, che finalmente le persone avessero iniziato ad accertarci per quello che eravamo, ma non sapeva che avevo barattato una buona retta scolastica e una buona reputazione per la sua incolumità. Ma a me andava bene così, finché Bill stava bene stavo bene anche io -
Ascoltai in silenzio il racconto, trattenendo il respiro come per timore di spezzare quell'atmosfera. Dopo parecchi secondi in cui Tom sembrò rivivere ricordo per ricordo come le scene di un film, il racconto riprese - La prima volta che feci sesso avevo ... tredici o quattordici anni, non riesco quasi più a ricordarlo. Ho sempre pensato che non esiste un'età giusta per fare sesso, ho sempre pensato che fosse giusto farlo quando si è pronti. Dopo quella prima volta mi resi conto che mi piaceva avere possesso sulle ragazze, così come adoravo avere il possesso della mia chitarra. Mi piaceva essere la loro dipendenza e la loro fonte di felicità, mi piaceva al contempo essere la fonte delle loro sofferenze e della loro gelosia. Mi piaceva trattarle come se non avessero dei sentimenti, tanto presto si sarebbero affezionate a un altro ragazzo, pensavo che come me cercassero solo un passatempo e divertimento -
- Lo pensi ancora? - chiesi, ma era più un'affermazione che una domanda.
Tom scrollò le spalle, alzando finalmente il viso - Quando si nasce sotto una cattiva stella ... -
- Nessuno è nato sotto una cattiva stella - mi affrettai a ribattere, nel tentativo di risollevare il suo morale che lentamente precipitava verso terra - Ci sono semmai uomini che guardano male il cielo -
Tom scoppiò a ridere, una risata vuota e piatta, una risata forzata che nascondeva un profondo bisogno di vero ed autentico affetto - Quindi è per questo che spesso serenità, felicità e pace interiore mi sfuggono, tanto da credere che la vita sia un faticoso cammino pieno di insidie? Perché non so guardare il cielo? -
Aprii la bocca cercando qualcosa di intelligente con cui replicare, ma non trovai niente e allora decisi di riempire la mia bocca col fumo. Tom aveva dannatamente ragione, la vita a volte sembrava volerti privare dei piaceri della pace e della tranquillità, gettandoti in una vita ricca di angosce e disperazioni con le quali dovevi lottare con le unghie e con i denti per non diventare un baratro vuoto e senza fine. Forse anche per quel motivo scappai dai miei genitori, per non diventare vuota e inanimata. 
Il chitarrista riprese a parlare con amarezza e risentimento - Spesso veniamo amati per ciò che sembriamo, per ciò che fingiamo di essere. E per mantenere l'amore di qualcuno continuiamo a fingere, a recitare una parte ... -
- ... finendo così per rendere la finzione autentica a noi stessi - conclusi soffiando fuori il fumo dalle labbra e dalle narici, chiudendo gli occhi per scacciare il leggero mal di testa che quell'inusuale azione aveva improvvisamente provocato. 
Tom annuì, i suoi occhi così insolitamente vuoti si concentrarono nei miei. Questa volta fu lui a boccheggiare nel tentativo di dire qualcosa di interessante - Ci assomigliamo così tanto, Reb? -
Quella domanda, più simile a un'affermazione, mi fece sorridere - Sì, Thomas - annuii - Credo di sì -
Che si fosse finalmente reso conto che con me lui poteva essere se stesso, quello che voleva? Che sarei sempre stata in grado di accettare ogni sua scelta e decisione? Che con me non era costretto a recitare la parte del ragazzaccio senza cuore e sentimenti? Che io, Annalise Rebecca Lahey, avrei potuto renderlo felice senza mai forzare le sue azioni e i suoi sentimenti, lasciandogli acquisire valore facendolo agire secondo il suo libero arbitrio? 
- Oh, a proposito - avvampai immediatamente, distogliendo il mio sguardo da quello del ragazzo steso accanto a me - Il mio vero nome è Annalise -
Sentii Tom trattenere a fatica una risata - Quindi Rebecca è un nome falso? -
- No, è il mio secondo nome. Lo preferisco al primo, ecco tutto - spiegai.
Tom mi sfilò la sigaretta dalle labbra, posandola insieme alla sua nel posacenere abbandonato a terra. Soffio fuori l'ultima ridotta quantità di fumo che mi è rimasta in bocca, indirizzandola verso il soffitto macchiato ed ammuffito che sembra cadere a pezzi. Feci per protestare contrariata, volevo andare avanti a bearmi del vizio del fumo, ma le labbra carnose di Tom si posarono sulle mie senza lasciarmi il tempo di proferire parola. Le sue braccia robuste circondarono ed avvolsero il mio corpo come una coperta, stringendolo dolcemente al suo in un abbraccio dal quale non mi sarei mai liberata. Le nostre labbra premevano caste e calde, il sigillo dei segreti che avevamo appena confessato. Sapevamo entrambi di fumo, entrambi avevamo l'amaro in bocca a causa delle sigarette, ma il sapore dell'amore annullava e neutralizzava quel marchio così appiccicoso e forte. Abbracciati, innamorati, avvinghiati, come amorevoli edere alla faccia del tempo, dei giorni, di quello che sarà. Sapevo che la mia relazione con Tom non sarebbe mai stata affatto facile e noiosa, anzi, sapevo che avrei dovuto lottare con tutta me stessa per farlo rimanere al mio fianco, forse per tutta la vita. E sinceramente non ne vedevo l'ora, era l'unica cosa che realmente desideravo : dimostrargli quanto fosse importante per me.
Lo strinsi tra le mie braccia, ritrovando il calore e la pace che la mia anima e il mio corpo trovavano solo in lui. Scostai lentamente le mie labbra dalle sue, i nostri nasi si sfioravano e i nostri respiri si mischiavano in un unico sospiro caldo e ricco di emozioni che eravamo stanchi di nascondere.
- Ti amo, Thomas - sussurrai, quasi timidamente.
- Ti amo anche io, Annalise - rispose, senza alcuna esitazione. Senza alcun ripensamento, dubbio, attimo di riflessione o di valutazione. Decretò quel verdetto che per me valeva quanto la mia vita stessa senza alcuna esitazione, e questa cosa fece salire qualche lacrima di commozione e gioa agli angoli dei miei occhi.
Forse mi amava davvero.
Forse era vero che io ero diversa.
I pollici di Tom asciugarono quelle lacrime non ancora nate, accarezzando i miei occhi con lentezza - Basta piangere, hai pianto le lacrime di una vita intera - mi rimproverò senza cattiveria o severità, sembrava una semplice preghiera e supplica - Adesso smettila di pensare e baciami -
E così feci.
Misi in modalità aerea il mio cervello e mi lasciai andare.





Vanisher says :
FINALMENTE L'HO FINITO.
Voi non potete capire quanto tempo e fatica mi abbia portato via questo capitolo, che spero sia venuto bene o quanto meno decentemente. 
Allora, questa è la storia di come Rebecca e Tom si sono conosciuti e messi insieme, che ve ne pare? Vi prego, fatevela piacere perché ci ho messo secoli a scriverla in modo presentabile, e spero non sia venuta una schifezza.
Con le solite 4 recensioni arriva il capitolo, daje una bella recensione per il capitolone e l'impegno della sottoscritta! ;)
   
 
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