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Autore: LaBabi    24/02/2009    1 recensioni
Apro faticosamente gli occhi e osservo dove mi trovo. Non riesco a capirlo, sembra una camera da letto, ma a fianco a me c’è una gruccia con una flebo, il cui tubicino porta al mio braccio. In un ospedale, ecco dove sono; ma che ci faccio qui? Cerco di muovermi, ma il braccio e la gamba destra non riesco a spostarle, sono ingessate. La porta della mia stanza si apre ed ecco entrare un’infermiera grassottella. “Signorina, si è svegliata finalmente. Come si sente?”
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao, questa storia è dedicata alle mie amiche Vale, Elizabeth, Marty e Ile che mi spingono a continuare a scrivere..grazie vi voglio bene.

Leggera e in pace. Ecco, in questo momento come mi sento. Una sensazione strana da spiegare, ma non sono mai stata meglio di così. Cos’è? Una bambina, che carina. Ha i capelli castani ricci che le arrivano alle spalle, gli occhi azzurro cielo, pelle chiara, un viso dolce con due gote rosse e labbra morbide. Osservandola meglio mi pare di conoscerla. Sì, non c’è alcun dubbio è lei, o meglio sono io. Quella bambina sono io da piccola, avrò più o meno sei anni. Sta piangendo. Per quale motivo? Non riesco a comprendere. Si alza un vento gelido che soffiando mi porta un foglio. Lo riconosco subito, è un disegno fatto da me; ci sono disegnate quattro persone, due bambini e due adulti. I due piccoli sono al centro della pagina, mentre gli altri si trovano ai lati opposti del foglio fra loro. Ora capisco il senso del disegno.
Il divorzio dei miei genitori. Sono loro al lato destro e sinistro della pagina, mentre quelli al centro siamo io e mio fratello. Che brutta situazione, ho odiato i miei quando hanno deciso di divorziare, l’unica cosa su cui non hanno mai litigato. Capisco perché la piccola me sta piangendo, lo facevo spesso quando ero bambina, perché mi sentivo in colpa per il divorzio, ero convinta che la colpa fossi io, e lo sono ancora ora. Voglio abbracciare la bambina, voglio consolarla, fare qualcosa per lei, ma non riesco a muovermi. Provo a parlarle ma niente, la mia voce è scomparsa.

Improvvisamente lo scenario cambia, eccomi al mio primo concerto di canto. Ero talmente emozionata che prima della mia esibizione sono svenuta. Mi viene da sorridere ripensandoci. Ma quella ragazzina tredicenne ha i nervi a fior di pelle, sul suo viso si può vedere l’agitazione. Si avvicina tremante al microfono.
Parte la musica e inizia a cantare. E’ bravissima, certo, qualche errore di intonazione ogni tanto. Mentre canta non può fare a meno di sorridere e muoversi sul palco, non riesce a stare ferma, vizio che dopo ben dieci anni non sono riuscita a eliminare. La canzone è vecchia e dura esattamente 3 minuti e 56 secondi, non me lo sarei mai dimenticata. Quando ha finito di cantare trattiene il respiro fino a quando non iniziano gli applausi e lei fa un sospiro di sollievo.

Ecco che la scena muta nuovamente, ora la ragazzina ha diciotto anni ed è il 30 luglio, data indimenticabile. E’ molto diversa da come era da bambina, ora i capelli sono più lunghi e tinti di biondo, gli occhi sono azzurro spento e la sua pelle è olivastra, come se fosse malata.
Sta facendo le valigie e io so benissimo dove vuole andare e quali sono i suoi sogni; solo io, gli altri non l’ hanno mai ascoltata, nemmeno i suoi genitori; l’unica volta che ha provato a parlare di quello che voleva fare gli hanno riso in faccia. Si sentono gli urli di sua madre e suo padre nell’altra stanza, ma lei fa finta di nulla e continua a prendere i suoi abiti dall’armadio e a metterli in valigia, ma dopo poco ha finito, nella sua stanza non è rimasto più nulla se non i mobili e gli scatoloni.
Piano piano, porta quest’ultimi nella sua auto, che si è comprata lavorando part-time al pomeriggio, in modo da poter sia lavorare che terminare le superiori. Ora mancano solo le valigie, così torna in casa e in camera sua, seduta sul letto trova sua madre Ruth, inglese, e in piedi accanto a lei, suo padre, Pietro. Le stanno urlando addosso, ma lei è come se non li sentisse, come se loro non fossero lì. Lei imbraccia le borse e sta per uscire dalla stanza quando suo padre l’afferra per un braccio e con uno strattone la fa cadere a terra.
Lei, facendo finta di niente si rialza e tenta di uscire di nuovo, ma niente da fare, la scena si ripete. So bene cosa accadrà ora. Lei si alzerà nuovamente, ma lui la tirerà verso di sé e le darà uno schiaffo in pieno volto. Infatti, ecco che accade. La ragazza non fa una piega, raccoglie le valigie ed esce dalla porta.
Quando è sul pianerottolo ecco le parole che la marchieranno a vita: “Non farti più vedere, sei morta per noi e qualsiasi cosa ti succederà non ci importerà. Da ora la tua vita si divide da quella di questa famiglia.”
Non una lacrima è stata e verrà versata. Ha pianto troppo in vita sua e non ha più lacrime. Non ho rimpianti per la scelta di essermene andata di casa, l’unico rimorso è quello di non aver salutato mio fratello. Non lo vedo e non lo sento da sei anni. Ormai ha diciannove anni, sarà un ragazzo alto e carino. Chissà se mi pensa ogni tanto, probabilmente no, si sarà dimenticato di me.

Lo scenario cambia di nuovo; ora mi trovo a Miami, in un appartamento, che non posso non riconoscere. Ecco la ragazza, ora ventenne, che si sta preparando per uscire con le coinquiline, Chloe, Georgia e Blair. Indossa un vestito bianco leggero, che le arriva sopra le ginocchia e un paio di sandali con tacchi alti.
Ecco, ora tutte e quattro le ragazze sono pronte e stanno andando al ristorante che dista poco dal loro alloggio. Vedo mentre cenano ed ecco che si avvicina il cameriere con quattro cocktail, che loro non hanno ordinato; ma viene detto loro che sono offerti dai ragazzi che si trovano al tavolo accanto. Le giovani ringraziano sorridendo ai gentiluomini che dimostrano di essere molto felici. A fine serata i quattro ragazzi si avvicinano e chiedono se possono sedersi con le ragazze, che approvano.
Chloe, Georgia e Blair fanno subito amicizia con Fabian, Felix ed Harry, mentre la ragazza riccia e l’altro ragazzo non parlano, si guardano solo. Ad un certo punto entrambi salutano l’altro, in contemporanea; un segno del destino, pensa lei.
Tyler, ecco il nome dello stupendo giovane, è biondo con gli occhi color cioccolato, la pelle dolcemente abbronzata e un sorriso meraviglioso. Iniziano a parlare e scoprono di avere molte cose in comune, tra cui l’amore per la musica e per i libri; così decidono di rivedersi.

Che succede? E’ tutto buio, non vedo più nulla. Improvvisamente le forze, già scarse, diminuiscono e mi sento sempre più leggera, tanto che mi sembra di volare. Ma sono rilassata, calma e tranquilla. “Ti amo” ecco le parole appena sussurrate che sento, ma non riesco a capire da dove provengono e nemmeno da chi, poi improvvisamente, luce.

  
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