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Autore: Alkimia    24/02/2009    2 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRENTUNESIMO

L'odore del mare saliva ruvido dalle narici, seccando la gola e solleticando gli occhi. Erik non lo aveva mai sentito prima di quel momento e aveva sempre immaginato il mare come un deserto ostile di acqua salata e violenti cavalloni di spuma, ma osservando con aria incuriosita lo scorcio del porto di Marsiglia comprese che il mare è come un dono, la natura nella sua forma più vitale e generosa che offre agli uomini risorse indispensabili.

Non ho mai visto il mare

Erik ripeteva quel pensiero all'infinito nella sua testa mentre osservava pigramente quel paesaggio nuovo.
Non era stato facile convincersi a fare quello che aveva fatto: salire su un treno e partire per una città che non aveva mai visto, a cercare qualcuno che non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a trovare.
Vide la gente accalcarsi sulla banchina mentre un mercantile si avvicinava al molo e si preparava alla manovra di attracco, sulla nave c'erano dei marinai aggrappati alle sartie che guardavano verso la terraferma sporgendosi con il busto come per tendersi verso la gioia del ritorno, come se potessero afferrarla in qualche modo in una sorta di abbraccio. Erik sospirò, cercò di immaginare le sensazioni di quegli uomini che erano stati lontani da casa per molto tempo, forse non erano tanto diverse dalle sue, anche lui stava ritornando verso una gioia che aveva solo sfiorato e che per troppo tempo gli era stata negata.
Non gli importata più chiedersi quanto tempo sarebbe durata, non lo spaventava più sapere che prima o poi lui e Diane avrebbero dovuto separarsi di nuovo, perché lei aveva i suoi obblighi e la sua casa verso cui tornare, voleva solo riabbracciarla da uomo libero, voleva guardarla negli occhi e mostrarle che non c'erano più ombre nel suo sguardo. Il dolore della separazione non era un buon motivo per negare a sé stesso un attimo di quella felicità.

Ah, Diane...

Più si avvicinava al porto e alla gente che si era radunata sul molo e più pensava che sarebbe stata una vera impresa riuscire a trovarla.
Erik continuò a camminare mischiandosi alla folla dove tutti erano troppo impegnati a osservare la piccola nave avvicinarsi cautamente alla banchina per notare il suo viso coperto dalla maschera. E in quel momento si sentì davvero un uomo come gli altri, proprio come aveva detto Eloise, proprio come Diane aveva cercato di dimostrargli.
Pensò di trovare qualcuno a cui chiedere informazioni sulla marchesa De Valois, ma forse Diane non era conosciuta con quel nome nella sua città d'origine, e lui non aveva la più pallida idea di quale fosse il suo nome da nubile. Lei gli aveva raccontato brevemente di Marsiglia in uno dei loro rapidi scambi di battute, quando lui aveva frequentato casa sua per dare lezioni di musica a Vivianne. Erik si ritrovò a sorridere pensando ai loro battibecchi ma si intristì subito dopo, riflettendo su quanto tempo aveva sprecato a cercare di tenerla a distanza quando dentro di sé già sentiva che avrebbe solo voluto fermarsi almeno un giorno al suo fianco.
La giornata era limpida e assolata, il cielo terso permetteva di scorgere in lontananza la piccola isola sulla quale era arroccato lo Chateau d'If, la prigione in cui Dumas aveva ambientato alcune delle pagine più tremende della storia del Conte di Montecristo. Lui conosceva quel romanzo, ma quando lo aveva letto da ragazzo lo aveva trovato quasi ridicolo: la vicenda di un uomo tanto sventurato, tradito dai suoi amici, che riceve in dono dalla sorte i mezzi per vendicarsi e una volta compiuta la sua vendetta trova l'amore di una fanciulla per continuare a dare uno scopo alla propria esistenza, gli era sempre sembrata un'idea assurda perché sapeva che il destino non è così generoso e che la vita troppo spesso si basa più sui fallimenti che sulle vittorie. Eppure anche lui ormai era lì, a un passo dal suo tesoro, anche se era convinto che la sua storia non era adatta a diventare un romanzo, spesso gli sembrava solo un terribile incubo...
Erik scosse la testa e allontanò quei pensieri filosofici e romantici, non ci sarebbe stato nessun tesoro se non avesse trovato un modo per rintracciare Diane!
Continuò a camminare senza meta sperando che gli venisse presto qualche buona idea che fosse migliore del progetto di bussare ad ogni porta della città. Raggiunse un mercato brulicante di massaie e domestici intenti a fare la spesa, i mercanti urlavano per attirare i compratori e la gente si accalcava davanti ai banchi per poi allontanarsi con i panieri pieni. Pensò che Marsiglia, come probabilmente ogni città di mare, fosse incredibilmente vivace, forse anche troppo per lui che non era abituato a tutta quella confusione.
Nel trambusto Erik avvertì alle sue spalle il rumore di un paniere che veniva rovesciato seguito da un'esclamazione di stupore,
“Oh mio Dio!”,
l'uomo si voltò perplesso e quando vide chi era alle sue spalle pensò che a volte la fortuna fa  dei dono inattesi.
“Voi, madame...” mormorò con una smorfia che avrebbe voluto essere un sorriso, era contento di trovarsi faccia a faccia con la vecchia domestica di Diane, non si aspettava di trovare anche lei lì, e soprattutto di riuscire a incontrarla in mezzo a quella calca,
“Ma cosa ci fate qui? Voi dovreste essere...”
“Morto, lo so”,
l'uomo si chinò a raccogliere il paniere che Colette aveva lasciato cadere e glielo restituì. Dal canto suo l'anziana donna non sapeva proprio cosa pensare, possibile che lui fosse venuto a Marsiglia a cercare la sua padrona? E come aveva fatto a sapere che lei era lì? Ma soprattutto perché mai avrebbe dovuto essere morto?
Dall'espressione metà sconvolta e metà contrariata di Colette, Erik comprese che lei non aveva minimamente idea di quello che gli era capitato dall'ultima volta che che lo aveva visto in casa dei De Valois, e pensò che forse era meglio così. Allo stesso tempo non fu sorpreso di notare che la donna non sembrava troppo contenta di vederlo, di certo lei pensava che sarebbe potuto nascere uno scandalo se un uomo sconosciuto fosse piombato in casa di una donna sposata mentre lei era lontana dal marito, ma ormai era tardi per pensare anche a quel tipo di conseguenze.
“E' una fortuna avervi incontrato, stavo giusto cercando la casa dove alloggia la vostra padrona” disse l'uomo in tono pacato
“E' quello che temevo... cioè, volevo dire, che è quello che immaginavo” farfugliò Colette rimanendo impalata in mezzo alla piazza del mercato
“Speravo che voi poteste aiutarmi” aggiunse lui dopo alcuni secondi di silenzio in cui la donna non sembrava volersi dare una mossa,
Colette annuì e gli fece cenno di seguirlo, poi si voltò di scatto e si avviò rapidamente verso casa. La palazzina in cui si era trasferita Diane non era molto distante dal mercato, la domestica camminava a passo rapido come se volesse prolungare il meno possibile quella situazione che trovava assolutamente assurda e imbarazzante. Avrebbe voluto fare mille raccomandazioni a quell'uomo e magari anche convincerlo ad andare via senza vedere la sua padrona, ma quello strano musicista le aveva sempre messo soggezione e non si sentiva in grado di affrontare una conversazione con lui.
“Siamo arrivate da una settimana- disse Colette continuando a camminare senza voltarsi- mi state ascoltando? In questi giorni madame sembra aver ritrovato un po' di serenità, ma è stata di cattivo umore nelle settimane passate...”
“Capisco” asserì Erik mentre il cuore gli si stringeva al pensiero delle pene che doveva aver sofferto Diane credendolo morto
“Se proprio non potete fare a meno di vederla, mi raccomando, siate cauto con lei” concluse la domestica, l'uomo le posò una mano sulla spalla e la costrinse a voltarsi verso di lui,
“Non farei mai niente che possa nuocere alla vostra padrona!” esclamò risentito
lei lo guardò da capo a piedi con aria indignata
“Lo avete già fatto, mi pare” rispose sottraendosi a quella stretta e continuando a camminare,
Erik non trovò nulla da rispondere, quella donna non aveva tutti i torti e pensò che forse avrebbe davvero fatto meglio a non essere lì, ma ormai era tardi per tornare indietro.
In pochi minuti raggiunsero la casa di Diane, Colette aprì la porta e fece cenno a Erik di posare in terra il suo bagaglio,
“Vado a chiamare madame, voi aspettate qui” gli disse dirigendosi al piano di sopra.
La domestica trovò Diane nella sua stanza, seduta davanti alla finestra e intenta a scrivere una lettera a Loius in cui lo informava che tutto si era sistemato e che lei e Vivianne stavano bene,
“Madame, avete una visita” disse Colette sentendosi mancare al solo pensiero della reazione che avrebbe avuto la giovane donna quando avrebbe appreso chi era venuto a trovarla,
“Oh no- sbuffò lei- sarà qualche vecchio amico di famiglia che ha saputo del mio ritorno in città. Ora cominceranno a farmi un sacco di domande su come mai mi trovo qui. Colette, ti prego, di' che sono indisposta, trova una scusa, ma non voglio vedere nessuno”
“Ehm... perdonate se insisto madame, ma credo che... credo che sia importante, decisamente importante”
“Oddio, e chi è arrivato?”
La domestica boccheggiò incapace di aggiungere altro. Diane, vedendola in difficoltà, decise di lasciar perdere e andare a vedere chi fosse il suo visitatore, quando uscì dalla stanza la cameriera le corse dietro pronta a cercare di arginare ogni sua possibile reazione,
“Dunque, si può sapere chi è questo ospite importante?” domandò la donna scendendo le scale
“E' meglio che lo vediate da voi, madame...”.
La donna scese le scale e guardò verso l'ingresso, atteggiandosi in uno dei suoi migliori sorrisi. Era così abituata a fingere cortesia quando frequentava l'alta società di Parigi che non sarebbe stato difficile farlo anche in quell'occasione.
“Diane...” Erik non riuscì a fare altro che mormorare il suo nome quando la vice comparire in fondo alle scale. Era anche più bella di quanto ricordasse, con abiti più semplici di quelli con cui era solito vederla e con i capelli non acconciati in una di quelle austere pettinature ma semplicemente legati a coda da un nastro di raso blu.
Fu quella voce a darle la conferma che non si trattava di un sogno, se Diane si fosse affidata esclusivamente ai suoi occhi avrebbe potuto pensare che l'uomo che era in piedi in mezzo all'ingresso non fosse lui. Si aggrappò al corrimano della scala per sorreggersi quando sentì le gambe cedere. Era proprio vero? Lui era vivo ed era lì...
“Vi avevo detto di essere cauto, in nome di Dio!” sussurrò Colette coprendosi il viso con le mani,
Erik fu rapido a raggiungere Diane e a sorreggerla prendendola delicatamente tra le braccia, lei si aggrappò alle ampie maniche della sua camicia e lo guardò a bocca aperta,
“Tu...” sussurrò, mentre il cuore in gola le impediva di aggiungere qualsiasi altra parola,
l'uomo le accarezzò il viso scostandole una ciocca di capelli dalla guancia,
“Una volta mi dicesti che sono una persona a cui piace stupire” le disse divertito ma con la voce che gli tremava,
lei si lasciò scappare una risata acuta che si confuse tra i singhiozzi che la stavano scuotendo,
“Si... stupire... è riduttivo...” farfugliò nascondendo la testa nel suo petto.
Colette aveva assistito alla scena stringendosi il petto con la mano, avrebbe voluto cacciare via quell'uomo a bastonate per il trambusto che aveva creato, ma cercò di immaginare la felicità che stava provando la sua padrona e fu contenta per lei.
“Come hai fatto a...” domandò Diane quando si fu calmata abbastanza da permettere ai suoi pensieri di scorrere e lineari e riuscire ad articolare una frase di senso compiuto,
“Ah, la fortuna aveva in serbo un regalo inaspettato per me- rispose Erik- ma dopo ti racconterò tutto, tu piuttosto, se fossi rimasta a Parigi avresti saputo che ero stato rilasciato, cosa ci fai qui? Stai bene?”
“Oh si, adesso si. Anche io ho delle cose da raccontarti...”
“Erik! Erik! Sei proprio tu!” una voce arrivò squillante da cima alle scale, Vivianne prese a scendere i gradini correndo come una furia,
“Piccola, che bello vederti!” esclamò Erik mentre lui e Diane si staccavano con aria imbarazzata, come se solo in quel momento si fossero accorti di non essere soli,
la bambina saltò dall'ultimo scalino direttamente tra le braccia dell'uomo che la sollevò e la strinse a sé con tenerezza,
“Che bello, sei tornato per salutarmi, pensavo che ti eri dimenticato di me”
“E come avrei potuto? Scusa per non essermi fatto trovare quella sera, come ti avevo promesso”
“Ma ora stai bene? Io pensavo che era successo qualcosa di brutto... ma la mia mamma aveva detto che sei una persona troppo in gamba e a te non succedono cose brutte”
Erik e Diane si lanciarono uno sguardo complice e lui pensò che fare il genitore doveva essere davvero complicato, persino doloroso a volte.
“Vivianne, adesso lascia stare Erik, ha fatto un lungo viaggio e deve riposare” disse la donna,
la piccola strinse ancora di più le braccine attorno al collo dell'uomo e fece una smorfia contrariata,
“Ma adesso che è tornato voglio che sta un po' con me” protestò
“Chissà, potrebbe avere molto tempo per restare con noi” rispose Diane lanciando verso Erik uno sguardo eloquente che lui non capì, non poteva sapere che presto lei sarebbe stata una donna libera.
L'uomo si sedette sul divano dell'ingresso continuando a tenere Vivianne sulle ginocchia, Diane si sistemò accanto a lui e lo osservò per qualche secondo. Era la cosa più meravigliosa che avesse mai visto, le due persone che amava di più erano erano con lei, e forse quella scena era solo l'inizio di un futuro molto simile a quello che aveva sempre sognato.
La donna era ancora troppo sconvolta per pensare lucidamente, si sentiva come se non riuscisse più a controllare le sue emozioni che esplodevano spinte da una gioia indefinibile e le davano la sensazione che il cuore stesse per uscirle dal petto e che l'aria non facesse in tempo a raggiungere i polmoni. Voleva assolutamente sapere come era accaduto quella specie di miracolo e voleva che Erik sapesse che, se solo avesse voluto, avrebbero potuto stare insieme.
“Vivianne, tesoro mio, so che sei contenta, ma ora io e Erik abbiamo bisogno di parlare da soli, avrai tutto il tempo di stare con lui più tardi” disse Diane,
l'uomo accarezzò la testolina della piccola
“Per piacere, lasciami parlare un attimo con la tua mamma, dopo starò con te per tutto il tempo che vorrai” la rassicurò,
Vivianne annuì con aria imbronciata e tornò nella sua stanza, nel frattempo Colette si avvicinò alla sua padrona in attesa che lei desse qualche disposizione per la cena,
“Temo... cioè... spero che monsieur si fermi con noi  a cena” disse serafica
“Naturalmente, vai ad avvisare il cuoco, poi lasciaci soli” rispose Diane con un sorriso raggiante.
“So che può essere compromettente per te il fatto che io sia qui- esordì Erik appena la cameriera se ne fu andata- ma io non potevo non rivederti”
“Non importa, non sai quanto io sia felice di saperti sano e salvo”
“Si... ma non voglio che tu abbia dei guai a causa mia, io... insomma, lo so che dovrò andarmene prima o poi”
“Puoi stare certo che non ne avrò- concluse la donna con un sorriso sarcastico- non più di quanti potrei averne se tornassi a Parigi, e tu... non sei costretto ad andare”
“Cosa vuoi dire? Non tornerai a Parigi?...” domandò Erik perplesso
“No, non ne ho motivo. Tra qualche settimana non sarò più una donna sposata. Louis e io abbiamo deciso di far annullare il nostro matrimonio”
“Oh Diane, è una decisione che si attua solo per cose estremamente gravi...”
“No, non sempre. Quando qualcuno è molto ricco e molto influente può ottenere l'annullamento del matrimonio anche solo per un capriccio, succede molto più spesso di quanto si pensi. Ma qui non si tratta di una cosa futile: mio marito ama un'altra donna, e io sono stata contenta di rinunciare alla nostra unione per dargli la possibilità di essere felice... certo, se avessi saputo che tu...”
Diane si interruppe, il fatto che Erik fosse lì non significava necessariamente che lui avesse intenzione di restare, e non voleva dargli a intendere che lei considerava scontato il fatto che l'avesse cercata per quel motivo.
“Ma dimmi, come è possibile che tu sia qui? Se si scarta l'ipotesi che io sia impazzita, naturalmente” disse la donna, cercando di cambiare argomento e portare la discussione su un'altra questione che le stava a cuore
“Ah, non ci crederai... è stato merito di Raoul De Chagny” rispose Erik divertendosi a veder comparire il più profondo stupore sul volto di Diane prima di raccontarle quanto gli era accaduto.
Quando terminarono di parlare Colette annunciò che era pronta la cena. Martine accompagnò Vivianne a tavola e si ritirò insieme al cuoco nelle stanze della servitù.
Vivianne, sua madre e il loro ospite consumarono la cena in silenzio, quando ebbero finito di mangiare l'uomo si sedette accanto alla bambina e le raccontò molti aneddoti curiosi e divertenti che aveva appreso quando viveva a teatro. Restarono a parlare fino a sera inoltrata, imparando tutti e tre qualcosa in più sul vasti significato della parola “famiglia”, poi Diane decise che era ora che sua figlia andasse a dormire e l'accompagnò di sopra.
“Mamma, Erik resterà con noi per sempre?” domandò Vivianne mentre si infilava sotto le coperte,
sua madre sospirò
“Ho paura a sperarlo, piccola mia” rispose abbassando lo sguardo, poi le baciò la fronte e le diede la buona notte.
Dopo aver messo a letto sua figlia, Diane tornò da Erik che nel frattempo era stato raggiunto da Colette che, con la scusa della tavola da sparecchiare, aveva pensato bene di mettere in chiaro come lui avrebbe passato la notte.
Diane posò la mano su quella di Erik
“E' ora che tu riposi, devi essere molto stanco” disse
“Madame- si intromise Colette con un leggero colpo di tosse- vado a preparare la camera degli ospiti per monsieur”, poi l'anziana domestica lanciò verso l'uomo uno sguardo severo, per chiarire che non avrebbe dovuto nemmeno pensare di dividere la camera da letto con la sua padrona,
Diane annuì con un leggero rossore, intuendo le preoccupazioni della cameriera,
“Molto bene, dunque Erik spero che la camera sarà di tuo gradimento, ti auguro buona notte”
“Certo. Buona notte anche a te- concluse l'uomo cercando di stemperare l'imbarazzo- grazie Colette, siete premurosa e lungimirante come vi ricordavo”
“Il benessere di questa famiglia e dei suoi ospiti è sempre la mia prima preoccupazione, monsieur” rispose la domestica in tono mellifluo, poi si congedò con un cenno del capo e salì al piano superiore a preparare la camera con un ghigno soddisfatto sulle labbra.

*

Erik non riusciva a dormire, e non riusciva nemmeno a pensare. A cosa avrebbe dovuto pensare poi?... Sembrava avere tutto a portata di mano, il giorno dopo sarebbe potuto uscire da quella casa e andare a cercare un lavoro, ormai non aveva più paura del mondo. Sapeva che avrebbe sempre dovuto fare i conti con le occhiate di perplessità lanciate verso la sua maschera, ma dopotutto nessuno avrebbe più potuto fargli del male, e portare una maschera che copriva parte del viso non sarebbe stato poi tanto diverso dal portare una benda su un occhio ferito, come aveva visto fare ad alcuni marinai.
Si alzò dal letto e aprì la finestra, inspirò grandi boccate di aria salmastra, nel silenzio poteva sentire ancora il rumore del mare, lo trovò un suono piuttosto rilassante e pensò che avrebbe potuto tornare a letto e tentare di nuovo ad addormentarsi.
Non finì di formulare questo pensiero che il silenzio fu rotto dal rumore di qualcosa di vetro, o forse di ceramica, che cadeva. C'era qualcun'altro che era rimasto sveglio, che come lui non riusciva a dormire.
Erik aprì la porta della sua stanza e fece capolino nel corridoio, si rese conto che il rumore era venuto da una camera a pochi metri dalla sua. Pensò di accertarsi che tutto fosse a posto, che se c'era qualche vetro rotto non fosse in camera di Vivianne, ma dopo aver fatto pochi passi riconobbe la voce inconfondibile di Diane che borbottava,
“Ah, cielo! Mia madre, Dio l'abbia in gloria, mi starà maledicendo dall'aldilà per aver rotto una delle sue preziosissime porcellane!”
Erik scosse il capo e ridacchiò, quella donna era incredibile!
Bussò piano alla sua camera
“Diane, tutto bene?” domandò,
la donna aprì la porta e accese una lampada ad olio
“Ah, scusa ti ho svegliato? Ho rovesciato la caraffa con l'acqua che era sul comodino- disse mostrando dei cocci che aveva in mano- mi dispiace...”
“No, ero già sveglio” rispose lui,
la donna si sporse nel corridoio e ascoltò con orecchio attento che nessuno si fosse accorto del trambusto che aveva appena provocato,
“Meno male, Vivianne non ha sentito, e immagino nemmeno le cameriere di sotto”
Diane raccolse un altro paio di pezzi di porcellana che erano sul pavimento, mentre Erik era fermo a guardarla dall'uscio della porta. Se ci fosse stata appena un po' di luce in più si sarebbe accorto che il volto della donna stava praticamente andando a fuoco.
Lei, dal canto suo, non sapeva cosa fare. Avrebbe dovuto congedarlo augurandogli la buona notte, ma la sola idea che lui se ne andasse da quella stanza la innervosiva, come, d'altra parte, l'idea di passare la notte con lui.  Accantonò i cocci sul comodino e cercò qualcosa da dire, qualsiasi cosa che non la facesse sembrare una ragazzina sciocca, ma Erik fu più rapido di lei, entrò nella stanza e corse ad abbracciarla, la sollevò prendendola per i fianchi mentre avvicinava il volto al suo per baciarla con un trasporto di cui Diane quasi non avrebbe creduto capace un essere umano.
L'uomo la sentì sussultare tra le sue braccia mentre rispondeva al bacio, si staccò lentamente da lei e la osservò con gli occhi ardenti, poi si concesse un sorriso beffardo,
“Colette potrebbe rimanere molto delusa se scoprisse che tutte le sue precauzioni e i suoi velati ammonimenti si sono rivelati inutili” disse con malizia allungando il braccio per chiudere la porta a chiave.
Diane sentì lo scatto metallico della serratura quasi rimbombare nella sua testa. Aveva sognato quel momento, desiderandolo con ogni fibra del suo essere, ma ora si sentiva smarrita e insicura. Cercò di non pensare a cosa sarebbe accaduto l'indomani e di concentrarsi solo su quegli istanti, sulla sensazione inebriante del sangue che scorreva incandescente e le scioglieva il cuore come se fosse stato di cera. Non ebbe il tempo di bearsi di quelle sensazioni nuove e sconosciute perché Erik tornò nuovamente a catturarle le labbra con le proprie, imprimendovi baci esigenti e impazienti, accarezzandole le braccia che la sottile veste da camera lasciava scoperte.
Le dita di Diane arrivarono a insinuarsi sotto la camicia e presero a percorrere il petto dell'uomo con carezze gentili e timide. Lui emise un sordo mugolio di approvazione per quel dolce contatto che però desiderava approfondire.
Non c'era tempo per la tenerezza e per la calma, non in quel momento, avevano troppa fame l'uno dell'altra.
“Erik!” esclamò lei in un attimo di lucidità, passandogli una mano tra i capelli e costringendolo ad alzare il viso per guardarla negli occhi,
“Cosa c'è?” chiese lui con la voce roca che tradiva una palese impazienza
“Toglila...” sussurrò Diane posando la mano sul bordo della maschera, l'uomo si lasciò sfuggire un sospiro e posò le dita sulle sue come a trattenerle,
“Ti amo, non farebbe alcuna differenza” mormorò lei guardandolo negli occhi,  Erik abbassò la mano con arrendevolezza e lasciò che Diane gli togliesse la maschera. Strinse i denti digrignandoli come se avesse sentito dolore, chiuse gli occhi quasi spaventato dal poter leggere l'orrore nello sguardo della donna che amava, preferendo un attimo di buio piuttosto che la vista di se stesso riflesso negli occhi lucidi di lei,
“Ti voglio” disse la donna in un soffio, accarezzandogli la guancia martoriata.

Ti voglio...

Quella voce e quel tocco strapparono Erik al suo incubo e lo riportarono alla realtà di quella stanza in cui l'amore avrebbe potuto spazzare via ogni ricordo doloroso e ogni dubbio opprimente se solo lui avesse voluto.
Poi non ebbero bisogno di dirsi nulla, ogni parola sarebbe stata superflua.

Il mattino dopo Diane si svegliò per prima, Erik doveva essere davvero molto stanco, tra il viaggio e la notte intensa che avevano trascorso. Lei poggiò i gomiti sul cuscino e lo osservò dormire per alcuni minuti, aveva le labbra atteggiate in un broncio burbero, il viso piegato verso destra con la guancia piagata nascosta in parte dal cuscino.
“Quanto vorrei che restassi con me...” mormorò la donna come se stesse pensando ad alta voce,
il broncio di Erik lasciò il posto ad un sorriso quasi infantile e le palpebre si sollevarono regalando alla donna un meraviglioso lampo di azzurro,
Taht's all I ask of you” le rispose lui con la voce ancora ovattata dal sonno.

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Benissimo... ora potete mettere via le fiale di insulina e tirare un sospiro di sollievo in attesa dell'ultimo capitolo che arriverà a breve, promesso!
Grazie a Monipotty e Rayne per le recensioni.
Alla prossima con l'epilogo.
 I remain, gentleman, your obedient servant.
   
 
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