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Autore: _yulen_    08/11/2015    1 recensioni
Yekaterina Danilenko è una ragazza di origine russe, ma che prima dell'Apocalisse abitava a Fargo, un piccolo paesino in Georgia. Orfana di madre, morta dandola alla luce, è cresciuta con il padre che nonostante la mancanza della moglie, è riuscito ad educarla.
All'età di cinque anni fa la conoscenza dei fratelli Dixon e da lì nasce una profonda amicizia che l'accompagnerà per tutta l'adolescenza, ed è proprio in quel periodo che si innamora di Daryl, il minore dei due fratelli.
Quando i morti iniziano a risorgere, Kate sa che potrebbe morire da un momento all'altro, ma non vuole andarsene senza prima essere riuscita a dichiarare il suo amore.
Tra fughe da orde di vaganti e lotte per sopravvivere, Kate dovrà riuscire a trovare il coraggio di confessare al suo amico di vecchia data i suoi sentimenti e un'altro piccolo segreto che potrebbe distruggere la loro amicizia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Merle Dixon, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo30
 
 
 
 
 
 
 
 Kim non mi calcolò per tutta la giornata, solo quanto tentai di avvicinarla rispose con battute sarcastiche e sagaci e mi sentii in colpa per non averle detto nulla, lei era la mia confidente e avrei dovuto renderla partecipe della mia scoperta, ma aveva un carattere imprevedibile e non sapevo come avrebbe reagito alla notizia. Nemmeno io sapevo bene come comportarmi, ma se volevo avere un quadro della situazione dovevo parlarne con Rick, il quale, lo stesso pomeriggio, qualche ora prima di cena, parlò con Hershel. Non sapevo cosa si fossero detti, ma qualsiasi fosse stato lo scambio di opinioni avvenuto tra i due non ebbe un buon esito, l’ex sceriffo uscì dalla casa dopo mezz’ora con la mascella serrata, le mani strette a pugno e lo sguardo incupito.
Mi avvicinai a lui, ma aspettai che fosse completamente solo prima di parlare, così anche quando il figlio se ne andò saltellando, contento di avere un coltello tutto suo, colsi l’occasione per sapere il responso che avrebbe decretato la nostra sorte.
«Hai parlato con Hershel?» domandai.
Sospirò posando le mani sui fianchi e annuì.
«Sì, e vuole che ce ne andiamo».
«A questo punto lo preferisco. Un fienile pieno di zombie vicino ai nostri letti? Non mi piace».
«Lori è incinta!».
Alzai lo sguardo al cielo esasperata, non fu un modo proprio educato, ma davvero non capii come non potesse vedere un pericolo del genere.
«E se dovessero uscire? Non mi piace fare la cattiva, ma metti caso che riescano a trovare un modo per passare oltre il portone, invadere il campo e addentare qualcuno di noi? E se quella persona fosse proprio Lori? Scusami ma non mi pare che tu stia ragionando a mente aperta».
Rick socchiuse gli occhi fino a rendere invisibili le iridi azzurre, se uno sguardo avesse potuto uccidere, io sarei morta esattamente in quel momento.
«Il capo sei tu, ma pensaci».
Girai sui miei piedi e mi allontanai verso la tenda dove sperai di trovare Kim, ma di lei non c’era traccia. Il suo sacco a pelo era sistemato e le sue cose erano poste al lato del cuscino per non intralciare il passaggio, anche i vestiti erano accuratamente ripiegati vicino al suo zainetto dove erano riposti i suoi stivali.
Maniaca dell’ordine.
Cercai la mia amica per tutto il campo, ma fu Andrea a fermare la mia ricerca quando mi disse che Kim era andata in ricognizione sperando di trovare qualche negozio che non fosse stato svuotato. Rimasi con lei aiutandola a stendere i panni fino a quando ci raggruppammo per mangiare e come feci la sera prima portai la cena a Merle e Daryl trovando anche quella volta il fuoco acceso senza nessun segno di loro due. Lasciai i contenitori vicino alle fiamme per non far raffreddare la cena e tornai alla mia tenda per dormire.
Quella routine si protrasse per altri giorni nei quali la tensione per alcuni di noi si fece sempre più pesante, l’aria era densa e pareva irrespirabile e tutti sembravamo delle molle pronte a scattare al minimo stimolo. Ormai gli altri membri avevano iniziato a capire che c’era qualcosa che puzzava di marcio e non sapevo per quanto a lungo saremmo riusciti a mantenere il segreto.
Il principale motivo che aveva tradito quella calma apparente era il comportamento di Kim nei miei confronti, tutti sapevano quanto unite fossimo e vederci così staccate l’una dall’altra aveva dato modo ai miei compagni di dubitare che tutto fosse sotto controllo, fortunatamente riuscii a risolvere l’intera questione con una classica bisticciata tra amiche. Inutile dire che tutti fuorché Daryl e Merle avevano capito che la mia era una bugia, ma fortunatamente non erano persone così curiose da ficcare il naso nella vita altrui e non avevano indagato oltre. Non era la prima volta che litigavamo, perciò non ci diedi peso e rimandai quel problema quando non avrei avuto altro per la testa.
I miei pensieri erano divisi tra il prendere un fucile per aprire le porte del fienile e abbattere tutti gli zombie o impacchettare tutte le mie cose e andare il più lontano possibile da lì, tutta quella pressione mi stava facendo impazzire.
Glenn quella mattina decise finalmente che a cena avrebbe reso tutti partecipi del fatto che c’erano degli zombie nel fienile e in quel momento gliene fui così grata che fui sul punto di gettarmi su di lui e baciarlo.
Erano da poco passate le due del pomeriggio, Dale era di guardia sul camper insieme a T-Dog, Lori e Carol stavano stendendo i panni, Kim e Glenn erano spariti in città assieme ad Andrea, i due Dixon erano come al solito per i fatti loro, Shane e Rick stavano facendo un giro di perlustrazione del perimetro mentre io, Carl e Sophia stavamo giocando a carte. Una giornata normale insomma, non faceva né caldo né freddo e per una volta mi sentii libera da qualsiasi brutto pensiero, come rinata dopo l’orrenda esperienza, quella pace non fu molto duratura però, perché in un istante quella quiete scivolò via come una goccia di pioggia sul vetro.
Fu Carl ad urlare e a fammi voltare verso il punto che stava guardando, alle mie spalle alcuni vaganti stavano marciando verso noi con i loro movimenti goffi, gli atri tesi e le bocche aperte.
Il fienile!
Cercai la pistola con la mano, ma sentendo solo la stoffa dei jeans mi ricordai della regola di Hershel.
Maledizione!
Sentii degli spari provenire dal camper e qualcuno chiamarmi, quando mi voltai vidi Dale stringere tra le mani il borsone con le armi che mi passò, poi salì di nuovo sul tettuccio da dove aveva una visuale migliore.
Afferrando i due bambini per le braccia mi inginocchiai alla loro altezza per poterli guardare meglio.
«Sai come si usa?» domandai a Carl mostrandogli una pistola.
Il ragazzino annuì e con mani tremanti l’afferrò.
«Entrate nel camper, chiudetevi dentro e non uscite per nessun motivo».
Presi un fucile a pompa e controllai che avesse le cartucce all’interno poi sparai i sei proiettili presenti nel caricatore e ricaricai in fretta, poi sparai nuovamente. Da lontano sentii altre grida e guardando verso la casa di Hershel vidi Beth correre per non farsi prendere da tre non-morti che la stavano inseguendo, con l’arma in mano corsi verso la sua direzione in fretta e quando fui abbastanza vicina a lei premetti il grilletto, ci fu un rumore secco, ma dalla canna non uscì nulla.
Cazzo!
Spinsi lontano la ragazza per non farla raggiungere da quelle mani putrefatte, lasciai giù il fucile e presi il coltello che tenevo per sicurezza nello stivale infilandolo nel cavo dell’orecchio di uno dei tre zombie, raccolsi l’arma e infilai le cartucce nella canna, nella premura l’arma si inceppò e io rimasi disarmata davanti quegli erranti che stavano diventando sempre più vicini.
All’improvviso sentii le mani intorpidirsi e non riuscii più a sentire il freddo del metallo a contatto con la pelle, il fucile cadde a terra e circondata da tutti quei mostri e senza un’arma funzionate da poter usare mi sembrò di tornare indietro fino al mio ultimo giorno nel bosco. Subito il respiro si fermò in gola e tutte le immagini intrise di lacrime e sangue tornarono a galla nonostante cercassi di tenerle in un angolino della mia mente. Mi accorsi di stare tremando solo quando vidi le mani muoversi con irregolarità come se fossero attraversate da migliaia di piccole scosse e alla fine caddi in ginocchio iniziando ad avere serie difficoltà a respirare, era come se qualcuno avesse avvolto le mani attorno al mio collo e allo stesso tempo stesse premendo sullo stomaco, mi sentii debole e avvertii un forte senso di nausea che andò intensificandosi ogni secondo sempre di più.
Non avevo idea di cosa stesse succedendo attorno a me, i miei occhi era offuscati dalle lacrime e i suoni non erano molto limpidi, ma riuscii a sentire altri spari aggiungersi a quelli di prima insieme a delle voci che pregavano di smetterla con quel massacro e quella confusione non fece altro che fomentare il mio stato di shock.
Riprenditi, Kate.
Mi dissi più volte provando a focalizzarmi sui miei respiri, ma fu tutto inutile il dolore al petto non voleva andarsene e anche la testa iniziava ad essere sempre più annebbiata, come avvolta dalle nuvole.
Qualcuno mi trascinò via e sparò un po’ troppo vicino a me perché saltai sul posto e lasciai che un urlo d’angoscia lasciasse la mia gola nonostante fossi sicura non avessi fiato per dire nemmeno mezza sillaba. Tutti quei rumori e quel caos si abbatterono su di me come un fulmine sul tetto di una casa e proprio come in un blackout tutto si fece buio.
 
 
 
 
 
«È stato un attacco di panico» disse qualcuno.
«Non ne ha mai sofferto prima d’ora». Quella era indubbiamente la voce di Kim.
Mi risvegliai quando sentii qualcuno parlare. Ci misi un po’ ad aprire gli occhi, ero molto confusa e non riuscii a ricordare come ci fossi finita su un letto e con le gambe piegate. Alle mie narici giunse un dolce profumo di spezie e la prima reazione fu quella di mettere una mano sullo stomaco che brontolò leggermente, aprii prima una palpebra e guardai il finestrino dal quale proveniva poca luce, segno che era sera o comunque pomeriggio tardi, l’odore nell’aria era quello della cena e il rumore sentito era quello delle posate sui piatti. Sollevai anche l’altra palpebra e voltai il capo verso sinistra dove vidi Hershel e Kim stare in piedi vicino la porta del bagno del camper, ebbi paura di essere scoperta e quindi ritornai alla mia posizione originale restando ferma immobile.
Finsi per tutto il tempo di essere ancora addormentata, non mi andava molto né di mangiare né di parlare con nessuno, non dopo essermi ricordata del perché fossi sul letto del camper e con una forte sensazione di smarrimento. Non volevo vedere i loro guardi di pena su di me come se fossi impazzita del tutto, trattarmi come una svitata non mi avrebbe aiutata.
«Deve essere sotto shock» continuò la mia amica. «È stata una fortuna che Maggie fosse nei paraggi e l’abbia portata via».
«È stata una fortuna che abbia spinto via la mia Bethy, ho sempre creduto che fossero solo malati, a causa della mia illusione Patricia è morta e ho quasi perso una delle mie figlie».
Odiavo me stessa per essere crollata così in una situazione delicata, avevo messo a rischio la mia vita e quella di tutti gli altri con le mie azioni, ma tutti quegli zombie mi erano sembrati un muro di cemento impossibile da abbattere.
Quando Kim ed Hershel uscirono dal camper finalmente aprii gli occhi ma aspettai che il gruppo si disperdesse e andasse a dormire prima di alzarmi, avrei rimandato ogni tipo di confronto al giorno seguente. Sgattaiolai fuori camminando rasente il camper per non farmi vedere da chiunque fosse di guardia, mi nascosi dietro il retro e sbirciai per controllare che nessuno mi avesse vista poi mi nascosi nella mia tenda. Kim ancora non c’era e non so quando venne a dormire, ma quando la mattina mi svegliai, lei era distesa sul suo sacco a pelo, avvolta dalle coperte a mo’ di bozzolo. Si stiracchiò appena e poi si miei a sedere stropicciandosi gli occhi, schioccò la lingua un paio di volte e poi mi guardò. Rimase in quella posizione per un po’ e poi si gettò su di me avvolgendomi con un abbraccio che ricambiai.
«Ma che diavolo ti è successo?» chiese con voce alta.
Mi staccai bruscamente e premetti un dito sulle labbra per chiederle di fare piano, se avessero saputo che ero sveglia non mi avrebbero dato un secondo di pace.
«Non lo so e preferirei non parlarne, almeno per il momento».
Sbuffò spazientita e si mise le mani sui fianchi, sul suo viso un’espressione di rimprovero.
«Kate…» cominciò.
«No, fammi un favore e dimentica che sia successo».
«Non ti farà bene, devi parlarne. Pensa se ti fossi trovata da sola, magari là fuori con un’altra mandria nei paraggi».
Sbottai infastidita dalla sua frase, quello era uno dei principali motivi per cui non volevo affrontare quel discorso.
«Non sono diventata incapace di difendermi e il fatto che tu mi tratti come se fossi pazza non aiuta, quindi fammi un favore e smettila di assillarmi».
Infilai gli stivali ai piedi e uscii senza salutare nessuno, ascoltare le loro prediche mi avrebbe fatto perdere quella poca pazienza che avevo.
Camminai attraversando tutto il campo con spasso spedito, spalle ricurve e mani chiuse a pugno. Dal modo in cui si era comportata Kim sembrava che avesse a che fare con una bambina che bisognava mettere in un box per proteggerla da qualsiasi pericolo quando a me bastava che capisse senza fare domande. Gliene avrei parlato quando e se me la fossi sentita, senza che lei mi obbligasse a farlo.
Sapendo che non avrei trovato un posto in cui stare completamente sola, andrai nell’unico luogo in cui non sarebbero venuti nemmeno se ne fosse dipesa la loro vita: l’accampamento dei Dixon. Non era mia intenzione interferire con qualsiasi attività stessero facendo e per questo motivo mi limitai a restare seduta contro il tronco di un albero a rigirare tra le mani il mio coltello a serramanico. Lì avrei potuto restarmene tranquilla senza essere importunata e infastidita da domande non necessarie e persone che non sapevano restare al loro posto.
Da lontano sentii delle voci arrivare alle mie orecchie e quando alzai lo sguardo vidi Daryl e Carol camminare fianco a fianco e parlare tra loro, non so se fu gelosia quella che provai in quel momento, ma desiderai con tutta me stessa che la donna cadesse e si facesse male, non in modo serio, ma abbastanza da toglierle quel sorriso dalle labbra o da farla rimanere seduta senza possibilità di muoversi per qualche settimana.
«O quel coltello ti ha fatto qualcosa o sembrerebbe che tu sia gelosa».
Alzai la testa di scatto quando vidi Merle in piedi affianco a me, un risolino beffardo sulle sue labbra e un’espressione di sfida nei miei confronti erano disegnati sulla sua faccia.
Per non dargli la soddisfazione di fargli vedere che aveva ragione posai in tasca l’arma con cui prima infilzavo la terra e cercai di mantenere un espressività apatica.
«Non sono gelosa».
Bugiarda.
Tutto dentro di me ribolliva al solo pensiero di quei due insieme e di nuovo quel sentimento da corrodermi il cuore e le viscere si manifestò più forte di prima. Cercai di ignorarlo ma la voce felice di Carol non fece altro che gettare benzina sul fuoco.
«Sai, hanno legato molto mentre tu non c’eri. Daryl era fuori ogni giorno a cercare la ragazzina» disse in modo vago. «Una volta le ha pure riportato un fiore».
Le mie mani si strinsero a pugno e digrignai i denti involontariamente. Sapevo che le sue erano solo provocazioni per vedermi scoppiare e dargli man forte avrebbe danneggiato solo la mia salute mentale, ma le sue parole riuscirono ad entrarmi sotto la pelle e danneggiarmi l’animo.
«Daryl è un uomo adulto, può fare quel che vuole».
Merle si lasciò andare ad una risata bassa e roca e improvvisamente ebbi voglia di prenderlo a pugni.
«Non la penserai più così tra un po’» insinuò allontanandosi.
Non lo penso nemmeno adesso, se è per quello.
Carol non mi aveva mai fatto nulla, sin dal primo giorno in cui la conobbi mi diede l’impressione di una donna pacata e di una madre amorevole. Lei era quella che si assicurava che quando io non riuscivo ad essere presente a pranzo o cena per svariati motivi avessi comunque da mangiare; ogni volta che tornavo in tenda trovavo in un contenitore o frutta o pane e formaggio, le volte in cui in città le ricerche andavano bene riuscivo a trovarvi anche legumi e in una ciotolina a parte del burro d’arachidi. Quando il marito morì non riuscii a dirle quanto dispiaciuta fossi perché avrei mentito, anzi mi sentii sollevata per lei e la bambina perché avrebbero vissuto in un’atmosfera più serena.
«Non sapevo ti fossi trasferita qui».
Daryl era a pochi centimetri da me, ma io troppo assorta nelle mie elucubrazioni non mi ero accorta delle sua vicinanza fino quando la sua voce non mi riportò a terra. Voltai la testa per cercare la donna e quando non la vidi mi sentii sollevata.
«Infatti è così, voglio solo stare per i fatti miei e questo è l’uno posto a cui nessuno si avvicinerebbe» risposi facendo delle buche con le dita e sporcandole con la terra.
Tranne Carol.
Scossi la testa per mettere a tacere quella fastidiosa vocina, mi era bastato Merle, non serviva che ora anche io iniziassi con le fisime.
«Beh, non toccare niente mentre sono via» disse Daryl prendendo la sua balestra.
«E sta lontana da Merle».
Il suo era un avvertimento ma a me per qualche motivo suonò più come un ordine.
«Dove vai?» chiesi.
«A caccia».
Quelle parole mi fecero riscuotere da qualsiasi strano pensiero che mi stesse passando per la testa e colsi la palla al balzo,
«Un attimo!». Mi rialzai togliendo con delle pacche la terra dai pantaloni. «Vengo anche io».
Dovevo fare qualcosa per distrarmi e temetti che se fossi stata dentro la fattoria ancora per molto a lungo avrei perso quel po’ di sanità mentale che mi era rimasta, dopo essere stata reclusa lì durante la mia guarigione e il divieto datomi di lasciare i confini per la mia sicurezza, sentivo un’urgenza così forte di allontanarmi anche solo per poco che mi prudeva la pelle.
Daryl mi guardò per pochi istanti scrutandomi attraverso quegli occhi azzurri che strizzò leggermente per leggere le mie espressioni facciali e capire se stessi dicendo sul serio o se stessi scherzando, poi, senza dire nulla, si voltò dandomi le spalle.
«Avanti, non posso restare qui per sempre» dissi afferrandolo per la mano.
«Sì, se significa che non metterai in pericolo la tua vita, e io non ho tempo da perdere dietro di te».
Mollai la presa che avevo su di lui e lasciai che le mie braccia penzolassero a peso morto lungo i miei fianchi.
«Chi ti dice che dovrai guardare che non finisca in qualche guaio?» domandai.
«Il fatto che per quattro zombie sei svenuta» rispose.
Socchiusi gli occhi e ingoiai quell’amara verità ma non mi arrabbiai. Aveva ragione e anche se odiavo che mi vedesse così inerme, per quella volta non urlai, non gli rinfacciai cose accadute mesi prima, tutt’altro, confermai la sua affermazione.
«È vero, ho avuto un momento di blocco, ma credi che rimanere qui mi faccia bene? Se dovessi trovarmi di nuovo in una situazione del genere non posso permettermi di piangere e gettare ogni arma, andare là fuori è un buon inizio» dissi sperando di convincerlo. «Piccoli passi».
Sbuffò e guardò il bosco, s’incamminò voltandosi di nuovo ed io stavo iniziando a perdere la speranza quando si fermò e girò lievemente il capo per guardarmi.
«Vuoi muoverti? Non ho tempo per aspettare te» brontolò come al suo solito. «E non rallentarmi».











 
*angolo autrice*
Ciao a tutti! No, non sono morta, non mi hanno rapita e non mi hanno venduta al mercato nero. 
Ho avuto dei problemi con il computer e ho dovuto portarlo in assistenza salvo poi sentirmi dire che dovevano ordinare i pezzi dalla Cina, 
sono ritornata in possesso del mio PC solo l'altro ieri e giusto oggi ho finito di riscrivere il trentesimo capitolo.
Il tempo di riscrivere il trentunesimo e pubblicherò anche quello questo stesso mese.
Sul mio quaderno ho tutti i capitoli di questa prima parte di storia quindi una decina di capitoli e inizierò a lavorare sulla seconda parte.
Io credo di aver detto tutto, vi saluto e alla prossima, 

yulen c:
   
 
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