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Autore: Lost In Donbass    08/11/2015    1 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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CAPITOLO QUATTORDICI: VADO ALL’INFERNO, MA TORNO PER CENA.

-Potresti scriverci un libro, sul passato tormentato della tua bambola “Torture cinesi per una geisha dai discutibili gusti in fatto di uomini”. Sarebbe un successo editoriale senza precedenti!
Kalle ridacchiò, evitando con grazia la penna lanciata da Tom e andandosi a sistemare sulla scrivania, fumando con nonchalance una sigaretta. Incredibilmente, tutta la faccenda che Tom aveva appena raccontato lo faceva quasi ridere.
-Smettila di fare ste battute da angiporto di Goteborg.- grugnì Gustav, mangiando felice la vaschetta di pasta al forno che gli aveva portato Claudia.
-E poi, dovete spiegarmi che diavolo ci fate voi tre qui!- sbottò Tom, mettendosi le mani tra i dreadlocks. Quando lui e Georg erano tornati in centrale a riferire, lui con un’espressione da funerale, che si teneva all’amico, quasi sul punto di implodere per via di tutta l’energia negativa, la rabbia, la consapevolezza di essere arrivato sempre troppo tardi, avevano sentito delle urla sconclusionate già dalla strada. E era loro bastato mettere il naso dentro per trovare tutto il Distretto Dieci a soqquadro e i coinquilini di Tom che spadroneggiavano nell’ufficio, facendo rumore, disordinando le pratiche, sconvolgendo i colleghi, buttando tutto all’aria e mettendo la musica a tutto volume. Insomma, il paradosso dei paradossi: anarchia totale nel servizio di Polizia dello Stato. C’erano voluti qualche ululato di Tom insieme a qualche ordine abbaiato da Georg per ristabilire un minimo di dignità in quella stanza rivoltata come un calzino.
-Diciamo che avevamo voglia di vedere come stavi, per prima cosa, siccome non siamo idioti e abbiamo visto che in questi ultimi tempi, se da un lato hai sempre gli occhi a cuore, hai la testa incasinata. E siccome noi siamo la tua famiglia, abbiamo deciso di prendere parte a tutto.- spiegò Claudia, mettendosi le mani sui fianchi in quella posizione che, lo sapevano bene, voleva solo dire “Io questo ho detto e io questo farò, e non sarai di certo tu a fermarmi”.
-E poi, per seconda cosa, volevamo semplicemente fare un saluto al buon, vecchio Anticrimine. Era da tanto che non ci divertivamo così!- esclamò Raghnild riemergendo da una postazione computer.
Tom alzò lo sguardo al cielo, scuotendo la testa, ma gioendo segretamente nel suo cuore del supporto che comunque in ogni occasione gli davano quei tre matti. Ormai non avrebbe più saputo dove sbattere la testa senza averli in casa, con le loro litigate, le loro urla, i loro casini, i loro problemi, semplicemente senza la loro rumorosa e liberatoria presenza.
-Bene, e avete intenzione di invadere il campo in questa maniera?- chiese Georg, osservando incerto i disegni di Kalle aver preso il sopravvento e che strani disegni stile manga stavano invadendo gli schermi dei loro computer di servizio.
-Forse. Non si può mai dire, amico!- Raghnild gli strizzò l’occhio vispo.
-Bando alle ciance, smettetela di fare casino che qui si deve indagare!- esclamarono Gustav e Tom, salvando in extremis alcune pratiche che Claudia stava tentando di usare come carta assorbente da cucina.
-Devo cercare qualcosa su questo pittore dannato?- Raghnild fece un largo sorriso, sistemandosi meglio sulla sedia girevole che aveva già provveduto a svitare.
-Facciamo così- ordinò Tom – Ragh, sì, cercaci qualcosa su questo bastardo e poi riferisci tutto ai G&G e vedete se dovete prendere dei provvedimenti, Georg invece tu cerca qualcosa circa la sua abitazione o perlomeno dove abitava prima dell’incidente. Io devo andare.
-E dove?- i coinquilini lo guardarono straniti, mentre Gus e Georg alzavano gli occhi al cielo.
Tom ritornò dentro giusto in tempo per guardarli con una faccia abbastanza simile a quella che avrebbe potuto fare l’eroe di un qualche romanzo arturiano dimenticato in procinto di salvare la principessa addormentata, e disse
-Vado all’Inferno. Comunque torno per cena.
E si mise a correre il più veloce possibile verso “Chincaglierie e Ammennicoli Vari”, come si era ripromesso. Giusto il suo Inferno personale, dove poter tornare a parlare con July e a sentire indovinelli apparentemente indecifrabili, dove farsi rintronare dalle droghe perennemente aleggianti nell’aria, dove guardare tutte quelle piccole stranezze esotiche, dove sentirsi assurdamente al sicuro in luogo nemico, dove poter semplicemente vedere Bill che contava gli occhi di vetro dei santoni mongoli. Certo che in qualche modo doveva ancora darsi una spiegazione plausibile della sua recentissima mania di fare visita a quel posto. Non gli faceva per niente bene, alla sua mente già troppo eccitabile. E benché meno alla sua sanità mentale, che tanto ormai sembrava già essersene andata a farsi benedire.
Quando arrivò davanti al negozio, aveva il fiatone per la corsa appena fatta. Poteva anche giocarsela da sportivo con la gente, ma proprio sapeva che persona meno atletica di lui non sarebbe potuta esistere. Forse Kalle. Anche se tra tutt’e due se la potevano giocare, visto che passavano tutte le ore libere davanti alla televisione a giocare a qualche stupido videogioco in malese (quindi, incomprensibile. In realtà, stavano ancora cercando di capire come mai quel dannato videogioco si fosse fissato in malese e non ci fosse verso di cambiare lingua. Probabilmente Raghnild ci aveva messo lo zampino) e a mangiare latte condensato direttamente dal tubetto. Chissà perché qualcosa gli diceva che se mai avesse potuto vivere il resto della propria vita con Bill, cosa di cui si augurava, il latte condensato sarebbe stato bandito perennemente dalla loro casa. Uffa.
Si schiarì la voce, prima di aprire la porticina e sentire l’ormai familiare tintinnio delle campanelle sopra lo spigolo. Buio completo dentro l’androne. Tom sentì la porta sbattere dietro la sua schiena e si ritrovò nell’oscurità più assoluta, ancora più cosciente degli sguardi degli antichi mandarini che lo fissavano dalle loro sacrosante posizioni nel Celeste Impero. Deglutì, non sentendo alcun rumore intorno a lui. Un po’ come in un film horror di prima categoria.
-Ehm, Bill, amore … - tentò, rendendosi conto da solo di quanto la sua voce fosse più che un sussurro. Se non fosse che ormai conosceva quasi perfettamente il negozio, sarebbe già fuggito a gambe levate da quel posto inquietante, con le pareti impregnate di incensi talmente forti da far girare la testa. Ma cosa bruciavano in quel benedetto negozio per impestarlo così di droghe e oppi sconosciuti?!
-C’è qualcuno?- ritentò, ancora meno sicuro di prima, indietreggiando verso la porta quasi senza rendersene conto. Comunque fosse, lui era claustrofobico e stare lì proprio ne avrebbe fatto volentieri a meno.
-Ubag, chong bulmyeong-ye ui wangja. Mueos-I dangsin-eul jegonghabnida?
Due vocine dolci e sottili lo fecero sobbalzare di scatto con un urletto mal trattenuto. Guardò verso il bancone della cassa e vide accendersi una lampada cinese che illuminò sinistramente June Mei Rin e May Ran Mao, bellissime e letali, con due sorrisi educati e simili a quelli dei manga, vestite con due completini stile studentesse che lasciavano molto poco all’immaginazione.
-Aehm, ciao, io … - Tom si grattò impacciato una guancia, avvicinandosi con un certo timore alle due ragazze quasi finte nella loro perfezione. – Scusate, non ho capito cosa mi abbiate detto, però sto cercando July e Bill. Sapete dove posso trovarli?
Senza nemmeno rendersene conto, Tom si trovò una ragazza per lato e non poté trattenere un brivido pensando a quello che gli aveva detto Bill, che loro erano le due terrificanti guardie del corpo dello Scorpione. Non andava bene per niente, cavolo! Indubbiamente, quelle due lì gli facevano un po’ paura …
Mentre June gli faceva segno di fare silenzio, May lo spingeva delicatamente verso il corridoio oscuro che aveva percorso la volta precedente. Tom barcollò dietro di loro finché non si fermarono davanti a una tenda blu con fiorellini bianchi ricamati e gli fecero cenno che erano lì dentro.
-Oh, bene, ma … - a quel punto il rasta non era manco più così sicuro di entrare. C’era qualcosa lì che disturbava il suo istinto di sopravvivenza. E non erano solo le due ninja. Si grattò il berretto per prendere tempo, non sapendo che pesci pigliare né come fare a liberarsi dei sorrisi inquietantemente vuoti delle due ragazze.
June allora gli fece cenno di aspettare, sfoderando dai seni il cellulare e cominciando a digitare velocemente, imitata da May. Poi, entrambe sorridendo e in perfetta sincronia, gli mostrarono i due schermi che recavano la traduzione in tedesco su Google Traduttore di una frase in coreano. “Stai tranquillo, Tom-sama: gli amici di nostro fratello sono anche amici nostri. E poi, sappiamo cosa ti lega a Bill-chan. E chi è in grado di far innamorare veramente il nostro fratellino, allora è degno del nostro pieno rispetto”. Tom sorrise, improvvisamente sollevato: quindi, July lo considerava suo amico e di conseguenza non doveva temere le due piccole ninja. E poi quella cosa di Bill. Si trovò a sospirare e sentì il cuore battere appena più forte. Fece un gran sorriso alle due che si produssero in un buffo versetto simile a un “Kyah!!” e corsero velocemente verso il negozio principale, lasciandolo lì, pronto ad affrontare da solo il duo più buffo di tutta Berlino. Prese un gran respiro e si preparò ad entrare, quando percepì chiaramente degli strani rumori sospetti nella stanza dietro la tenda. Si bloccò, appoggiando l’orecchio alla tenda con delicatezza e poté sentire, chiari come l’acqua di fonte, dei singhiozzi rumorosi che potevano essere di una sola persona. Bill. Il suo Bill stava piangendo! Ma non era forse vietato che gli angeli versassero lacrime? Si trattenne dall’entrare di corsa, la parte ragionevole del suo cervello che gli intimava di rimanere dov’era per non peggiorare ancora la situazione che doveva essere evidentemente molto tesa. Ma che diavolo stava succedendo? Aggrottò le sopracciglia, mentre tentava di capire i discorsi dei due ragazzi dietro quella dannata tenda di velluto pesante.
-E’ tornato, July, è tornato … - piangeva Bill, evidentemente continuando a tirare su col naso. Tom si sentì improvvisamente triste, una tristezza che veniva dal cuore, un qualcosa di archetipico che lo avvolse come una coperta.
-Shh, Bill-chan, non devi piangere. Lui non può farti niente, non può ... – la voce di July appariva tesa come una corda di violino, evidentemente nemmeno lui credeva a ciò che stava dicendo. Brutto segno.
-Sì che può!- la voce di Bill si era alzata di un’ottava – Lo sai com’è, me l’aveva detto che mi avrebbe comunque trovato, è tornato per riscattarmi indietro!
-Come può riscattarti se non sei mai stato suo?
-I triangoli, July-chan. I triangoli. Io sono suo, lo sai anche tu, lui è il mio padrone, io il suo schiavo, non posso …
-Smettila!- Tom, ammutolito dallo sconcerto, intuì che July doveva essersi alzato di scatto – Sei quasi più convinto dello stesso Will! Dannazione, Bill, non sei più suo, te ne sei andato! Devi piantarla di credere che lui sia il tuo padrone, non è possibile che dopo due anni tu lo possa anche solo continuare a concepire. Siete due cose diverse, tu e Will, mettitelo in testa.
Bill si mise definitivamente a piangere forte, singhiozzando.
-Ma Will … io … Tom …
Sentendosi chiamato in causa, il ragazzo drizzò ancora di più le orecchie, cercando di raccapezzarsi con tutte le follie che aveva sentito.
-Ecco, Tom.- la voce di July si era raddolcita – Se vuoi essere di qualcuno, tu sei di Tom e di nessun altro. Chi ami di più, Bill-chan? Tom o Will?
-Tom …
L’interessato si trovò a tirare il fiato.
-Appunto. Ed è un agente dell’Anticrimini. Lui ti può proteggere, Bill.
-No, non può! Nessuno può!- urlò Bill – Non contro il demonio. Will è un diavolo, lo sai, non c’è niente che possa salvarmi dalla sua furia.
-Will è un uomo, non è un diavolo. Sei solo tu a doverti convincere.
-Invece sei tu che devi capire, July! Dovunque io vada, lui mi troverà e mi riporterà indietro, mi farà più male di quanto me n’abbia mai fatto in sei anni. Posso anche nascondermi in carcere, ma nemmeno lì sarò al sicuro. Sono morto, morto per sempre!
Vi fu un momento di silenzio terrificante, quando la voce di July annunciò:
-Puoi anche entrare, Tom-sama.
Tom non se lo fece ripetere ed entrò nella saletta fumosa, barcollante, nauseato da quello che sembrava aver preso forma in quell’orrendo maggio. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito.
July, glitterato come al solito, era in piedi, il viso contratto in una smorfia finemente furibonda, mentre Bill era raggomitolato su un divano, arruffato e piangente.
Quando vide entrare Tom, emise un lungo lamento distrutto.
-Ma si può sapere che sta succedendo?- Tom fece vagare lo sguardo prima su Bill e poi su July, per poi ritornare sull’angelo. Era così diverso da come era solito vederlo, un po’ come quando in casa si era messo a piangere dopo aver visto le fotografie. Guardò July, quasi come se aspettasse un gesto che gli desse il permesso di abbracciare quel fagotto sul divano, e vide un impercettibile movimento del capo in assenso. Non sapeva nemmeno lui perché avesse aspettato, comunque si limitò a sedersi e a stringere Bill tra le braccia come se fosse una bambola.
Bill, dal canto suo, continuò a singhiozzare, incapace di pronunciare alcuna parola, stringendosi alla felpa di Tom come se fosse l’unico mezzo per non soffocarsi di pianto, lasciandosi accarezzare i capelli stranamente scompigliati, lasciando il trucco colare sulle guance arrossate.
July li guardava con un’espressione assolutamente indecifrabile sul visino perfetto, congelato in quell’enorme kimono blu con le farfalle ricamate d’oro, come se stesse osservando un quadro che non aveva nulla di interessante ma che anzi, fosse quasi un peso per la vista.
-Fagli bere questo sonnifero, Tom-sama. Lo calmerà.
Tom ricevette in mano una tazzina di finissima porcellana cinese decorata di giallo, contenente un liquido verdognolo, emanante un forte profumo inebriante di ibisco e qualcosa di indecifrabile. Sospirò rumorosamente, facendo controvoglia alzare Bill e sussurrandogli, nel modo più dolce che gli riusciva
-Ehi, piccolo mio, bevi questo.
Bill alzò gli enormi occhi arrossati dal pianto sul viso di Tom, e sembrava così dannatamente fragile e innocente che al rasta venne quasi da piangere. Non sapeva nemmeno lui perché, però sentiva una sorta di magone farsi largo dalle profondità del suo cuore e arrivargli al cervello, fino a pizzicargli gli occhi.
-Cos’è?- lacrime o no, Bill rimaneva comunque di un’inguaribile curiosità.
-Bevilo e basta.
Tom gli diede un bacio sulla fronte e gli portò alle labbra la tazzina. Bill bevve senza commentare, facendo qualche smorfia schifata mente ingoiava la tisana, e pian pianino, nel silenzio religioso che era calato nella stanzetta così simile a quella della volta precedente, Bill sembrò assopirsi dolcemente stretto tra le braccia di Tom.
Il ragazzo non si rese nemmeno conto di quanto tempo passò in quella posizione, immobile nell’attesa che il suo angioletto si addormentasse, la mente talmente vuota da fargli quasi male, consapevole dello sguardo tagliente di July su di sé, il respiro rallentato al massimo, come se fosse sospeso in una specie di dimensione di incoscienza, lontano da tutto e tutti, da solo con Bill e la sua mente stravolta.
-Sta dormendo?- la voce di July lo fece quasi sobbalzare.
Si voltò a osservare il viso addormentato di Bill sul suo grembo, il petto che si alzava regolare, i tratti rilassati nel sonno. Annuì e poi rivolse a July uno sguardo quasi implorante
-Ora mi vorresti spiegare senza indovinelli astrusi che succede? Perché Bill piangeva? Che c’entra Will con lui? Perché è in pericolo?
July sospirò, sedendosi compostamente sul divano dirimpetto al loro, fumando voluttuosamente la sua kiseru, guardandolo con quei grandi occhi contornati di brillantini azzurri.
-Devi capire che ci sono cose che forse avrebbero avuto un loro equilibrio senza che qualcos’altro intervenisse per cambiarle … forse abbiamo solo sbagliato.
-Sbagliato a fare che?- Tom spalancò gli occhi. – July, dannazione, vuoi tentare di essere un po’ più chiaro?! Rispondi semplicemente alla domanda: perché Bill piange!?
-Perché c’è qualcuno che può riscattarlo. Bill è una cosa di proprietà. O meglio, lo era.
-Ti sbagli: Bill non è di nessuno se non di se stesso! Questo è andare contro ai diritti umani.- sbottò Tom, mettendosi le mani tra i dread, cercando di non rompere qualcosa per la rabbia che si stava accumulando dentro di sé.
-I triangoli non tengono conto dei diritti umani. Ma sei occidentale, non mi aspetto che tu capisca questo.
-E allora, se non posso capire, dimmi almeno chi è questo dannatissimo Will. Tutta la gente che me ne ha parlato l’ha dipinto come un demonio.
July sospirò, lisciandosi il kimono, sollevando un leggero cerchio di fumo che roteò nella stanza come una ballerina, e iniziò a raccontare
-Era un segreto, Tom-sama. E i segreti come ben saprai anche tu, non devono mai essere rivelati. Ma questa volta farò una sorta di strappo alla regola, visto che la situazione sta degenerando in maniera piuttosto pericolosa.
Come saprai, Bill è la mia guardia del corpo. Immagino te l’avrà raccontato, no?
Tom annuì e ripensò alla serata splendida che avevano passato. E pensare che era solo la sera prima … sembrava essere passata un’eternità. Accarezzò distrattamente i capelli di Bill, sorridendo impercettibilmente.
-Bene. E ti sei chiesto come sia venuto a conoscenza della mia esistenza?
Tom scosse la testa, imbarazzato. Accidenti, avrebbe dovuto chiederselo in effetti. Stava perdendo troppi colpi, non andava bene.
-Diciamo che mi è stato presentato da Will.
-Cosa?!
-Su, ragiona, Tom-sama. Te lo sei chiesto anche tu, lo sento: come faceva a procurarsi i soldi per gli psicofarmaci se era solo un pittore? Come può possedere una pistola col silenziatore, visto che abbiamo appurato che deve essere lui il serial killer? Come faceva a conoscere così bene tutta la simbologia coreana?
Tom si ritrovò a boccheggiare. In effetti, oramai che aveva capito che il loro S.I. era proprio lui, anche se il movente era ancora sconosciuto, avrebbe dovuto porsi seriamente quelle domande e arrivare da solo alle risposte. Tutti quegli interrogativi che come fantasmi di una vita passata si erano presentati alla sua mente, immediatamente però oscurati da quel sole nero e infernale che era Bill. Lo aveva sviato, per così dire, facendogli perdere il filo dell’indagine che già da solo andava e veniva, come se dovesse tenere un filo in mezzo a un pantano e lui fosse l’alga che si divertiva a tirare sempre più giù il filo, portandolo irrimediabilmente a perdersi e a soffocare nelle sabbia mobili. E lui non aveva fatto nulla per non farsi trascinare giù, al contrario lo aveva anche forse favorito, pronto a sacrificarsi per un angelo divino di cui a stento poteva osservare la luce abbagliante, come un credente che si immola per il proprio dio. E Bill era il suo dio, il suo demonio, la sua luce, la sua ombra. Bill era tutto quello che non aveva mai avuto, e tutto quello che aveva avuto in abbondanza. Bill era semplicemente la persona che si era divorata il suo cuore, come una nuova Tiamat, che si era bevuto i suoi sogni e strafogato con la sua passione. Bill era l’unico che avrebbe potuto dire di aver fatto morire d’amore Tom.
-Ma allora … - Tom alzò lo sguardo su July, come colpito da un’idea particolarmente geniale, tornato di nuovo il Segugio di Berlino – Allora fammi indovinare! Will era anche lui una specie di mercenario, o come vogliamo chiamarlo, insomma qualcuno invischiato in traffici mondiali particolarmente grossi e bollenti. Evidentemente aveva avuto a che fare con te per qualche questione importante, e allora dovevate essere abbastanza in confidenza, così a un certo punto anche se non riesco a immaginare il motivo, ti ha portato Bill. E poi, lui è diventato la tua guardia del corpo come June e May. Un po’ come un matrimonio antico, sancito però dal fattore protezione. Magari per mantenere buoni e fruttuosi i rapporti tra te e lui, ti ha dato il suo fidanzato come protezione speciale e tu in cambio avresti potuto fare qualcosa per lui nei vari traffici che conducevate. Correggimi se sbaglio.
July sorrise, un sorriso sardonico e misterioso, lasciandosi avvolgere dal fumo azzurrino della kiseru. Si alzò e si avvicinò a Tom, accarezzandogli una guancia con quella manina calda dalle lunghissime unghie smaltate di verde foglia con grossi brillantini incastonati. Il rasta venne catturato da quelle iridi simili a perle maledette, sentendo un fastidioso brivido lungo la spina dorsale. Qualcosa di sbagliato ma allo stesso tempo magico. Bill si mosse un po’ nel sonno, interrompendo il loro gioco di sguardi e facendolo ritrarre quasi di scatto.
-Vedo che hai cominciato a ragionare.- July sembrava soddisfatto – Hai detto il vero: Will era uno dei miei goyang-y chaeneol. Tradotto, sarebbe “gatti dei canali”. Sono quegli uomini, o quelle donne, particolarmente astuti, scaltri, senza scrupoli, che formano la mia milizia privata, se così posso dirlo. Sono i miei inviati in giro per il mondo, quelli che fanno molte trattative al mio posto in determinati casi.
-I tuoi scagnozzi, detta brutalmente- semplificò Tom, trovandosi decisamente a disagio a parlare così tranquillamente con lo Scorpione di intenti criminali. Lui, l’integerrimo agente. Com’era caduto in basso.
-No, Tom-sama. I miei gattini. C’è differenza.- July fece una mezza giravolta e tornò a raccontare, guardando con aria quasi sognante un arazzo coreano della prima dinastia – Vedi, Will era uno dei migliori, anzi il migliore. Intelligente, sveglio, bastardo quanto bastava per poterlo mandare anche in un covo di serpi sicuro che ne sarebbe uscito non solo vivo, ma anche vincitore. Quel tipo di persona di cui non ti puoi fidare nemmeno volendolo, volubile, cattivo. Potrei anche dirti che era semplicemente malvagio nel cuore, avvelenato nell’animo.
-Non capisco cosa c’entri con Bill, però.
-Lasciami spiegare. Ho detto che ti avrei dovuto raccontare tutta la storia, quindi ascoltami senza parlare. Proprio perché non mi fidavo minimamente di Will, e lui non si fidava di me ovviamente, decisi di legarlo a me in modo da poterlo sempre avere sotto controllo. Quindi, sapendo che aveva un fidanzato, me lo feci portare e lo studiai per bene. All’epoca Bill aveva sedici anni, era poco più di un anno che stavano insieme. Bill era così innocente all’epoca, completamente plasmato da Will, sembrava una bambola di porcellana in attesa di rompersi in mille pezzi. Però decisi che faceva al caso mio; troppo infantile per poter realizzare qualcosa di malvagio contro di me, troppo intelligente per essere sprecato, e troppo bello per non averlo attorno. Lo feci diventare la mia guardia del corpo, dopo una serie di allenamenti e studi. Così, attraverso di lui, avrei tenuto sotto controllo Will. Erano legati come una collana, quei due. Passarono gli anni, e io e Bill diventammo ottimi amici come hai potuto vedere. Lui è cambiato molto, hai visto come si è trasformato soprattutto in questi due anni in cui è stato disintossicato da Will.
-Aspetta un attimo- interruppe Tom, che non ci stava capendo più nulla – Ma perché prima non mi parlavi quasi e ora mi stai raccontando tutto ciò?
-Perché è successa una cosa imprevista, Tom-sama. Una cosa che forse neppure io sarò in grado di contrastare. Ed è ora di calare le maschere una volta per tutte.
Tom annuì, e fece cenno a July di continuare quello straordinario racconto che avrebbe fatto invidia a un film di 007.
-Tornando a prima, riuscii a studiare il rapporto malato che legava Will e Bill. E ammetto che non mi piaceva; era qualcosa di irrimediabilmente perverso, anche per uno come me. Però non feci nulla.
-E perché?- Tom si mordicchiò nervosamente il piercing all’angolo del labbro, facendolo quasi sanguinare.
-Perché non erano affari miei. Non mi intrometto nelle questioni che non mi riguardano, per principio. Comunque, siccome cominciavo ad affezionarmi al piccolo Bill, cominciai a indagare a fondo sulla loro vita privata e a vedere di quanto squilibrio e crudeltà fosse fatto il loro “amore”. Iniziai a fare qualcosa per convincerlo a mollare Will, ma non ve ne era verso.
-Ma perché?!- ripeté Tom, lanciando un’occhiata disperata al suo angelo addormentato.
-Il carisma, prima di tutto. Il fascino innegabile che aveva. Il carattere così forte, in contrapposizione a quello debole di Bill.
-Bill non è debole!- puntualizzò Tom, sentendosi offeso nell’orgoglio. Se Bill era debole, lui cos’era?
-Non dire cose che non sai.- July lo fulminò – Bill-chan è debole di carattere, non è capace a ragionare di testa propria, non sa fare le cose da solo. Può sembrarti forte, non lo nego, ma è fragilissimo. Al primo vento, stai certo che Bill-chan  si distrugge. È malleabile, plasmabile. Sarà tutto quello che vuoi, ma non ha carattere.
Comunque, dipendeva in tutto e per tutto da Will. E ci ho messo troppo a fargli capire che lo stava semplicemente torturando psicologicamente fisicamente.
-Mi hanno detto che era violento … che … - Tom sentì le parola morirgli in gola – Che lo picchiava …? Ma allora perché non reagiva? Puoi essere debole quanto vuoi, ma se uno ti mena a un certo punto ti renderai pure conto che c’è qualcosa che non va.
-Sì, ma il punto è che Bill era convinto di meritarsi le botte.
Tom rischiò di soffocarsi lì sul momento. Ma in che razza di incubo era finito?
-Tu non sai cosa vuol dire essere deboli, Tom-sama. Lo hai appena dimostrato.
 
  
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