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Autore: WhiteEskimo_    08/11/2015    0 recensioni
“Mi sono ritrovata a pensare a come certe cose vadano, a come due persone si incontrino, a come due rette si incrocino in un punto senza incontrarsi mai più, ma si sono incontrate in quel punto, capisci? E quel punto vorrà dire qualcosa nell’infinità dei punti che compone la vita, no? Oppure non significa niente appunto perché è solo uno dei tanti?”
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E poi Zayn mi guarda, e vedo la rabbia sparire, gli occhi marroni diventare liquidi e le mani aprirsi. Si avvicina piano a me e poi sospira e scuote la testa. Tengo la testa bassa, incapace di sopportare il suo sguardo penetrante, e sento le sue mani posarsi delicatamente sulle mie spalle.
Poi scivolano giù e mi afferra con dolcezza le dita.
“Marie, guardami” mi intima, e i miei occhi blu incontrano i suoi. “Non crederci, nemmeno per un momento, ok?” Mormora, e il suo tono è deciso, fermo.
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Scorgo le mani farsi a pugno, e il mio cuore inizia a battere furiosamente, mentre il sangue mi si gela nelle vene.
“Avevi detto che le donne non le picchiavate “ tento di dire, mentre Scott si avvicina di nuovo a Zayn, che è definitivamente svenuto. O almeno spero.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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#Marie
“Ciao, Penelope” sussurro, avvicinandomi al suo letto.
È sera, saranno le sette. Il sole manda ancora deboli raggi che illuminano flebilmente la camera, facendola sembrare ancora più triste del solito.
Sospiro, poi mi accingo ad accendere la lampada sul comodino a fianco al letto.
La luce si diffonde dolcemente, illuminando quello che è il corpo di mia sorella. Sembra così serena, l’espressione distesa e il petto che si alza e si abbassa delicatamente. Per un attimo ho davvero l’impressione che la mia piccola stia solo dormendo, sognando un mondo come piace a lei.
“Cosa sogni, piccola mia?” Mi ritrovo a sussurrare, sorridendo appena. Con tutto questo tempo passato con gli occhi chiusi, qualcosa dovrà pur sognare, no?
“Stai sognando di ballare in qualche teatro famoso? O stai sognando di sposarti il tuo bel principe azzurro? Chissà cosa sogni, Penelope. Tutto è meglio di quello che c’è qui nel mondo reale, sai” mormoro ancora.
A volte, in preda alla stanchezza, ho pensato che Penelope sarebbe stata meglio nel suo mondo di sogni che nel mondo in cui sono stata catapultata. Cosa ho da offrirle, se mai si risvegli? È puro delirio, certo, ma una cosa vera in tutto quello l’avevo capito: nella nostra vita, mia e di Penelope, quella che aveva più bisogno dell’altra ero io. Ed era strano ammetterlo per me, perché in fondo ero io che procuravo il cibo all’altra, ero io che lavoravo, cercando di tenere fuori Penelope da tutta quella sofferenza che io non ho potuto e non ho saputo evitare.
Ma se penso ad una vita senza Penelope, se penso di non poterla più guardare negli occhi e non poter più sentire la sua voce, il mondo smette di girare, diventa vuoto, opaco come un film in bianco e nero. È come se la forza di gravità non agisse più, e il sole smettesse di esistere e le stelle smettessero di brillare. Sarebbe come pensare di poter vivere senz’acqua, per sempre. Sarebbe come ricevere un pugno allo stomaco, e rimanere senza fiato per troppo tempo.
Non posso perdere Penelope, indipendentemente dal fatto che io possa offrirle una vita stupenda o no: ne va della mia sanità mentale.
Resto ferma a guardarla per quella che mi sembra un’infinità.
Poi avvicino la mia mano al suo corpo e le accarezzo il volto, ed ha un viso fresco e liscio, come i petali di rosa. I mille tubicini che si affollano sulle sue braccia e persino sul volto non riescono comunque a rovinare la sua eterea bellezza.
“Sai, Penelope, ho incontrato questo ragazzo, qualche tempo fa. Niente di speciale, davvero, l’ho solo incontrato. Però a volte mi ritrovo a pensare come certi incontri possano farti riflettere così tanto come ha fatto questo” mi blocco, aggrottando le sopracciglia, sorpresa dalla strana piega che sta prendendo il discorso. Penso al diario di Zayn, ancora nella mia borsa da qualche giorno, ai mille pensieri e dubbi che mi hanno fatto venire. Scuoto la testa, scrollandomi di dosso quegli strani pensieri.
“Mi sono ritrovata a pensare a come certe cose vadano, a come due persone si incontrino, a come due rette si incontrino in un punto senza mai incontrarsi mai più, ma si sono incontrate in quel punto, capisci? E quel punto vorrà dire qualcosa nell’infinità dei punti che compone la vita, no? Oppure non significa niente appunto perché è solo uno dei tanti?” Continuo a parlare. Perfino se so che non può rispondermi, mi sento più a mio agio a parlare con lei che con chiunque altro.
“Non saprei come spiegarlo, lo sai. Non sono mai stata brava a raccogliere tutte le idee e organizzarle in un unico discorso. Però se tu potessi leggermi nella mente, forse lo capiresti” tento di giustificare quelle frasi sconnesse, dopo qualche minuto di silenzio. Guardo fuori dalla finestra, e vedo il giorno morire, un altro giorno svanire e confondersi con la notte, cercando di dare un senso al mio pensiero.
Continuo a raccontarle qualche cosa di particolare che mi era capitata in quei giorni, come discussioni con anziane al bar e lezioni in cui i professori parevano indemoniati, così erano accessi da una passione mai vista prima.
 Quando, dopo quasi un’ora là dentro, l’infermiera viene a dirmi che sarebbe meglio che io andassi a casa, sono così distrutta che non riesco nemmeno a provare a protestare. E così, per quella sera la saluto, e le lascio un bacio sulla fronte, delicato come il battito di una farfalla.
“Ti voglio bene, piccola” sussurro, e poi esco dalla camera.
#
A svegliarmi quella mattina è la suoneria del cellulare appoggiato sopra il comodino.
“Chi è che rompe la mattina?” Penso irritata, mentre mi schiaccio il cuscino sulle orecchie, cercando di riaddormentarmi.
Sono ben decisa a ignorare la chiamata e sospiro sollevata quando il telefono smette di trillare in quel modo infernale. Ma dopo appena due secondi la musica riparte, quindi scaccio in malo modo il cuscino e afferro quel cazzo di telefono. Accetto la chiamata senza neanche vedere chi è.
“Chiunque tu sia, ritieniti morto” sbotto infuriata, mentre cerco di aprire gli occhi. Sento una risata familiare dall’altra parte.
“Ciao anche a te, Marie”. La voce dell’irlandese mi arriva forte e chiara dall’altro lato.
“Solo lui può svegliarsi alle…” guardo distrattamente l’orologio.
“Le 10. Alle 10?” penso sbalordita.
“Ciao Horan” dico, ristendendomi sul letto col telefono all’orecchio. Lui ride di nuovo, probabilmente non ho una gran bella voce la mattina appena sveglia.
“Te la vuoi smettere di ridere e dirmi, per favore, per quale oscuro motivo mi svegli a quest’ora improponibile la mattina, nell’unico giorno in cui posso dormire?” sbotto, parecchio irritata.
 Mai svegliare Marie Dereen. Sono parecchio acida e rispondo in modo poco fine, persino più del solito.
Sento Niall che inizia a tossire nel tentativo di smettere di ridere, poi prende un bel respiro e ricomincia a parlare.
“Ok, ci sono scusa. Ti ho chiamata a <>” dice imitando il mio tono di voce, facendomi scappare un sorriso
“…per chiederti se vuoi per caso uscire con me. C’è anche altra gente e…” si ferma un attimo e tossisce imbarazzato. “…e ti farebbe bene uscire un po’ e non pensare ecco” conclude.
Sto zitta per qualche attimo, pensando alle sue parole. Mi farebbe bene uscire? Certo che sì. Non posso di certo passare tutte le giornate chiusa in casa a studiare. Vero?
Se voglio almeno provare a sorridere, devo uscire e cercare di stare bene.
“Uscire con te implicherebbe alzarsi e vestirsi però” fingo di lamentarmi, per spezzare la tensione formatasi. Lui scoppia a ridere.
“La risata di Niall è sicuramente la più bella del mondo” penso distrattamente, mentre mi scappa un sorriso.
“Dai, vengo a prenderti tra mezz’ora, fatti bella per me” conclude alla fine, non lasciandomi il tempo di replicare. Nonostante tutto, Niall riesce sempre a farmi sorridere.
Sospiro e mi alzo dal letto, ancora intontita. Afferro i primi vestiti che mi capitano sotto mano e mi precipito in bagno a constatare le mie condizioni pessime.
E infatti, eccola là la mia faccia da manicomio: trucco scolato, grosse strisce nere di mascara sotto le guance, occhiaie e capelli aggrovigliati. Ho quasi paura che mi si rompa lo specchio.
La sera prima ero stata all’ospedale fino a tardi, dopo cinque ore di lavoro intenso e avevo i nervi a pezzi. Così mi ero buttata nel letto senza nemmeno cambiarmi.
In questi giorni la mia vita mi sembra un continuo susseguirsi di impegni, solo gli amici riescono a farmi rilassare a volte.
La mattina lavoro, il pomeriggio le lezioni all’università, la sera all’ospedale.
Oppure l’università alla mattina, ospedale, la sera lavoro.
Una continua routine, che spero venga in qualche modo interrotta.  
Mi strucco accuratamente, poi mi lavo la faccia. Passo uno strato di fondotinta sulla faccia, per coprire le occhiaie e la faccia pallida, mi trucco leggermente e infilo i vestiti.
Mi guardo allo specchio, trovandomi decente, poi afferro la borsa con dentro le cose e il cellulare e mi siedo sul letto. Mancano ancora dieci minuti, bene.
Il mio sguardo ricade sul diario di Zayn. Ce l’ho da tre giorni e sono riuscita a non leggerlo.
Sono una persona molto curiosa, e poi quel Zayn ha qualcosa di misterioso che mi intriga.
Ha quegli occhi che sembrano due fanali dorati, attenti e scaltri come quelli di un gatto.
Ma so cosa vuol dire avere un diario, e non vorrei mai che qualcuno leggesse il mio, quindi non lo leggerò. Mi limito a portarmelo ovunque, sperando di incontrarlo per poterglielo ridare e… perché no, parlargli ancora.
Sospiro. No, non mi interessa, punto.
Elimino il moro dai miei pensieri, e qualche minuto dopo arriva Niall, che bussa alla porta tutto entusiasta. Scoppio a ridere quando, aprendo la porta, vedo la sua espressione da bimbo soddisfatto, e lui mi sorride. Poi spalanca le braccia e mi ci tuffo dentro, abbracciandolo.
Con tutti gli impegni che abbiamo avuto, ci siamo visti sì e no tre volte nell’ultimo mese e mi mancava, lo ammetto.
Era il mio vicino di casa quando abitavo a Mullingar. Mio padre si è spostato spesso per lavoro, prima di stabilirci a Bradford.
 Sono stata a Mullingar un anno e mezzo, e quando dovetti partire mi si spezzò il cuore a lasciarlo. Era diventato così importante, uno dei pochi che sempre riusciva a farmi sorridere.
Ci siamo tenuti in contatto con lettere, Facebok, Skype, ma non gli ho mai detto come stavo nei mesi in cui mia madre ci abbandonò. Quando ormai ebbi passato il periodo peggiore, gli dissi cos’era successo.
Non che non mi fidassi di lui, ma conoscendolo avrebbe fatto qualche pazzia, e aveva già una situazione difficile con i genitori. Immaginai che se gli avessi detto quello che mi era successo,non ci avrebbe pensato due volte a scappare da casa, ed io sono sempre stata convinta che prima o poi avrebbe risolto i suoi problemi con i genitori.
Comunque, poi si è trasferito qui a Bradford, e adesso non devo più avere paura che faccia casini con i genitori perché li ha lasciati lì a Mullingar. E adesso, come avevo previsto, ha un buon rapporto con i genitori, nonostante Niall abbia trovato la sua strada lontano da loro.
Niall mi abbraccia stretto e dopo qualche istante mi lascia andare. È bello come sempre, e sono felice di scoprire che non ha perso la sua allegria.
“Ehi finto-biondo, come stai?” gli chiedo, mentre mi chiudo la porta alle spalle. Lui mi dà una spallata giocosa e poi scrolla le spalle.
“Tutto bene, anche se Michelle mi farà impazzire” risponde ridacchiando. Michelle, la sua bellissima ragazza, bionda, occhi verdi, fisico perfetto. Sembrano due modelli, e lo ritengo ingiusto.
“In una coppia ci deve essere almeno uno brutto!”gli avevo detto una volta, indignata, e loro erano scoppiati a ridere.
“E tu, bella mora?”  mi chiede, prendendomi sotto braccio.
Lo guardo, divertita da quel gesto. Scrollo anche io le spalle.
“Tutto bene, come al solito” rispondo, con un sorriso.
Lui mi scruta attentamente, con un’espressione che mi fa scoppiare a ridere.
“E dai Horan, smettila di fissarmi in quel modo, mi metti in suggestione. Sembri un agente dell’FBI!” gli dico, coprendomi la faccia con la mano.
Lui per tutta risposta, si mette gli occhiali da sole e inizia a fare il coglione, imitando un agente segreto.
“Sono Horan, Niall Horan” esordisce, levandosi gli occhiali e lanciandomi con uno sguardo che dovrebbe risultare in qualche modo misterioso, ma che invece lo rende solo più ridicolo.
Scoppio a ridere. “Ma io mi chiedo, si può essere più coglioni di te, biondo?” esclamo, mentre torno a braccetto con lui e lo trascino per la strada. Ride anche lui, poi continuiamo a camminare parlando del più e del meno. È sempre il solito ragazzo, sempre pronto alla battuta e alle risate, almeno questo non è cambiato.
Quando arriviamo al bar, vedo un gruppetto di ragazzi, gli amici di Niall, seduti intorno a un tavolo che ridono e scherzano. 
Alcuni li conosco già, altri di vista, alcuni non li ho proprio mai visti.
“Allora eccoci qua, ragazza mia. Questi…” e indica il gruppo, attirando la loro attenzione “… sono i barboni dei miei amici.” Conclude, sorridendo. Metà dei ragazzi lo guarda male, l’altra metà si lancia in battutine acide del tipo “Parla lui che non ha nemmeno un termosifone a casa sua”.
Sorrido divertita, già mi stanno simpatici.
“Ehi peste!” esclama Michelle venendomi incontro. È radiosa come sempre, e mi abbraccia fortissimo.
“Ciao Michelle, come vanno le cose con l’irlandese?” le chiedo, sorridendole. Lei lancia uno sguardo divertito a Niall, poi va da lui.
“Come vanno le cose tra di noi, Horan?” Lui esita, poi la guarda dubbioso.
“Credo…Bene no?” Risponde, facendomi ridere. Ride anche Michelle, poi gli stampa un bacio.
Sorrido, felice per loro.
“Ehi piccioncini, fateli da un’altra parte i vostri comodi!” esclama una ragazza dietro di me.
È una ragazza bassina, con i capelli rossi e gli occhi castani. Ha l’aria simpatica e graziosa, anche se da come parla non la definirei proprio “graziosa. Si accorge che la sto guardando e mi tende la mano, con un sorriso. “Piacere, Ariel” le stringo la mano.
“Marie, piacere mio. Ariel come la sirena?” chiedo, sorridendo.
Lei ridacchia e annuisce. “A quanto pare ai miei piaceva molto quel film”.
“Marie? Che bel nome!” esordisce un ragazzo moro, con gli occhi neri. Gli sorrido e anche lui mi tende la mano.
“Piacere, David” sorride anche lui e… che sorriso, ragazzi.
Gli amici di Niall ridono sempre, sono spensierati e fanno battutine su tutto. Non hanno mille pensieri come me, non hanno la responsabilità di una sorella da accudire da sola e i turni al lavoro da rispettare. A me è stata tolta la possibilità di essere spensierata.
Andiamo a pranzare tutti insieme, e poi andiamo al cinema, a vedere un nuovo film di fantascienza, solo che con loro in sala è difficile seguire il film. Mi siedo vicino a Ariel e Niall e per tutta la durata del film facciamo battute stupide sugli attori.
Quando usciamo, si sono fatte le cinque del pomeriggio e decidiamo di fare un giro per un parco vicino al cinema. Ci stendiamo lì sull’erba e parliamo.
“Allora Marie, cosa fai nella vita?” mi chiede David, dopo una divertente discussione su di che colore dovessero essere i boxer al primo appuntamento, che mi ha fatto morire dal ridere. Scrollo le spalle. “Lavoro, vado all’università… Solite cose” rispondo, mantenendomi sul vago. Parlare di me mi imbarazza. “Ah sì, lavori? Cosa fai? “ chiede interessato lui, mentre gli altri mi guardando curiosi.
“Beh… Lavoro allo Starbucks, quello in centro, vicino al centro sportivo” rispondo e loro sorridono.
“Allora offri la colazione a tutti domani!” esclama Niall e io rido, scuotendo la testa.
“Speraci Horan” dico, facendogli l’occhiolino. Lui si finge offeso.
“È così che ripaghi anni e anni di amicizia eh?” chiede indignato e io alzo gli occhi al cielo.
“Stai zitto tu, che mi vuoi solo sfruttare per riempire il tuo pozzo senza fondo” ribatto, indicandogli la pancia e, mentre tutti ridono, lui mette il broncio e sbuffa.
“Non ti inviterò più ad uscire con noi” borbotta risentito, e rido anche io.
“Sei adorabile, Niall” gli dico io, dandogli un pizzicotto sulla guancia e lui mantiene il broncio.
“Niall se non la vuoi tu, la prendo io!” esclama Ariel, abbracciandomi.
“Vedi? C’è qualcuno che mi ama qui, non come te” affermo io, facendogli una linguaccia a ricambiando la stretta di Ariel. Niall allora sorride e poi alza gli occhi al cielo.
Parlare con loro mi mette di buon umore e mi dispiace lasciarli quando, alle 6, dico a tutti di dover andare via. “Domani devo lavorare e ho ancora delle cose da fare.” spiego a tutti col sorriso, abbracciandoli.
Ci scambiamo i numeri, e mi fanno promettere di non sparire nel nulla.
“È ora di tornare a casa” penso, mentre mi lascio alle spalle la prima giornata serena che io abbia avuto da molto, molto tempo.

 
  
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