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Autore: gingersnapped    09/11/2015    2 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"Organizzo l'incontro"
 
 


 
A Merida facevano veramente male le mani. Era appesa alla finestra dello studio di Hiccup assieme a Jack, che le aveva appena insegnato come fare, ma mai si sarebbe immaginata che fosse così doloroso. Cercò di trattenere un’imprecazione di dolore, proprio mentre l’amico la rimproverava con lo sguardo. Dovevano fare assolutamente silenzio per sapere esattamente cosa avrebbero detto. Lei era stata esclusa dal padre, che l’aveva malamente cacciata da quel piano, e assieme a Jack sospettava che Hiccup non dicesse loro tutto. Tornava da queste brevi riunioni di strategia estremamente preoccupato, con una piccola ruga sul sopracciglio sinistro ad evidenziare il suo stato d’animo, ma si limitava ogni volta a far cadere il discorso e ritornarsene a lavorare al suo progetto, somigliante sempre più ad un automa, che Astrid faceva trovare sempre ben oleato come voleva lui.
Jack le fece segno di avvicinarsi ancor di più, e la ragazza ne approfittò per poggiare il piede su una sorta di spuntone, sospirando sollevata. Adesso le mani le facevano meno male. Il brunetto accanto a lei le poggiò un dito sulle labbra e poi indicò sopra.  
“Quanti siamo?”, sentirono borbottare il padre della rossa, estremamente chiaro come se parlasse a pochi metri di distanza.
“Dodici senza contare la bambina”, rispose prontamente Stoick, srotolando qualcosa come una pergamena. O forse, pensò Merida, ricordandosi di quando era andata nella sua stanza, è una mappa.
“Bene. Mia figlia, la sua amica bionda e la bambina rimarranno fuori dal conflitto”, disse Fergus con un tono che non ammetteva repliche.
“Ma”, provò a ribattere prontamente Gobber così come la ragazza da sotto la finestra, “Merida è brava a combattere. Potrebbe essere di grande aiuto.”
“No! Rimarrà fuori.”
“Potremmo mettere tutte e tre a governare le mitragliatrici che serviranno da diversivo”, propose Stoick, parlando più a se stesso che non agli altri. Merida provò a cercare di sollevarsi per osservare meglio la stanza, ma non ci riuscì. Credeva di avere molta più forza nelle braccia, che invece sembravano supplicarla di staccarsi da quella finestra e ritornarsene all’officina. Jack le intimò ancora una volta di star ferma, in quanto aveva fatto più rumore di quanto doveva. Si sentì Fergus dirigersi verso la finestra, sospettoso, fin quando Hiccup ne approfittò per parlare finalmente.
“Volete lasciare una bambina con una mitragliatrice da undici canne per fila per un totale di trentatré colpi al minuto?”
Il silenzio cadde nella stanza. Al fianco di Merida, Jack annuì inconsapevolmente, trovandosi d’accordo con il parere dell’amico.
“Gobber, chi è che non sa combattere lì?”, domandò il capitano delle guardie.
“Secondo me”, disse nuovamente il moro, intromettendosi prima che il suo maestro potesse parlare, “è la strategia intera che non funziona.”
“Cosa vuoi dire, ragazzo?”, fece Fergus, avvicinandosi a dove era il giovane. Merida sentiva il rumore della sua gamba di legno risuonare sul pavimento, lenta e pesante come sempre.
“Okay, chi non combatte attacca il palazzo con le mitragliatrici. Voi non mandereste degli uomini a uccidere gli attaccanti?”
“Come hai detto tu sparano trentatré colpi al minuto.”
“Ma non è detto che centrino trentatré bersagli”, disse Hiccup, in tono grave. “Attiriamoli fuori e facciamoli rimanere fuori! Così, pochi di noi si intrufoleranno a palazzo e libereranno la regina e i principini.”
“Ma così non riusciremo mai ad espugnare il castello”, replicò Stoick, carico di frustrazione.
“Non ci riusciremo mai, con così pochi uomini. Ci vuole un’armata, e noi abbiamo poco meno di una decina di ragazzini a disposizione”, commentò Gobber, cercando di far ragionare i due uomini.
“Prima di tutto salviamo la mia famiglia”, proferì Fergus, “e poi penseremo al resto.”
Merida si staccò dalla finestra prima che potesse sentire altro, e giunse a terra con un lieve rumore. Jack la seguì, facendo altrettanto ma con un tonfo sordo, spingendo la ragazza in un luogo sicuro. Stoick, infatti, sentendo il rumore, si era affacciato fuori dalla finestra per verificare se ci fossero intrusi.
“Devi migliorare”, le sussurrò il brunetto, alzandosi e liberando i propri abiti dalla polvere.
“Non è l’unica cosa che devo fare”, disse semplicemente, andando verso l’officina.



(Momenti di noia)



“So che non dovrei dirlo”, disse Rapunzel, parlando più a se stessa che alla piccola Emma che la guardava con degli occhi malinconici, “ma sono stanca di stare qui.”
“A chi lo dici”, accordò la bambina, sospirando lievemente. “Mi sembra di vedere il mio fratellone meno di prima!”
“Già, anche a me”, le diede ragione la bionda, gli occhi verdi sulla figura di Emma, con la testa poggiata sul tavolo. Si somigliavano tanto, lei e Jack. O almeno, pensò lei ridacchiando tra sé e sé, quando Jack non faceva il buffone: quel sorriso malandrino, gli occhi furbi e maliziosi, ogni connotato di Jack che le veniva in mente al primo istante non era altro che la maschera che si era costruito, che gli calzava così dannatamente bene, eppure era al tempo stesso estranea alla sua vera natura. Rapunzel era convinta che Jack avesse uno degli animi più gentili e nobili, nonostante i suoi atti poco nobili, ecco.
“Lady Rapunzel!”, esclamò una voce alle sue spalle, facendo sobbalzare sia lei che Emma. La bionda si girò, notando con sorpresa che la voce apparteneva a Flynn Rider.
“Flynn!”, ricambiò lei, alzandosi. “Lo sai che non devi chiamarmi Lady”, gli disse sorridendo, le gote leggermente rosse dall’imbarazzo. Emma si sporse a vedere meglio la scena, e Rapunzel ne approfittò per presentarla all’uomo.
“Flynn, questa è la sorellina di Jack”, disse la bionda, poggiando le sue mani –come sempre premurose- sulle spalle minute della bambina.
“Davvero? Solo Jack ha una sorella?”
“Smettila di chiamarlo così”, lo rimbeccò Rapunzel, corrucciando leggermente le sopracciglia ma sempre sorridente.
“Va bene, va bene”, si arrese lui, sbuffando non poco. “Ciao piccolina”, la salutò poi, scombinandole i folti capelli castani. La reazione di Emma, secondo la ragazza bionda, fu davvero divertente, degna del titolo di sorella di Jack. In quel primo momento, infatti, la bambina sbatté un paio di volte le lunghe ciglia castane, diffidente, per poi sistemarsi i capelli.
“Tu non mi piaci”, commentò semplicemente, stringendo gli occhi. A Rapunzel veniva da sorridere, proprio pensando che aveva avuto una reazione simile a quella del fratello quando c’era Flynn Rider nelle vicinanze.
Questo non rimase per nulla impressionato dalla reazione della bambina, ma non per questo si risparmiò dal farle una linguaccia.
“Flynn, che ci fai qui?”, chiese la bionda, interrompendo quella piccola faida accarezzando con tocco leggero i capelli di Emma.
“Cercavo te”, rispose lui, ritornando l’uomo affascinante di sempre. “Scappiamo insieme, andiamo a Corona. Sono certo che lì avrai il riconoscimento che meriti.”
“Scappare?”, ripeté lei, sgranando i grandi occhi verdi. “Io non voglio scappare. Io ho già il riconoscimento che merito, qui.”
“Avanti Rapunzel, hai l’aspetto di una principessa molto più della tua amica principessa”, replicò Flynn.
“Merida è una principessa di tutto rispetto”, cercò di giustificarla Rapunzel. “Forse non sarà particolarmente incline agli sfarzi della corte, o alle regole che essa comporta, ma..”
“Vorrei che Merida fosse qui per picchiarti”, la interruppe Emma, lanciando un altro sguardo carico d’odio a Flynn. “E credimi, ti picchierebbe per bene.”
“Emma, perché non vai a controllare se Gobber è ritornato?”, chiese la ragazza, scortandola verso l’altra stanza.
“Flynn, seriamente, io non voglio scappare e non so nemmeno perché insisti così tanto per andare a Corona. Come se, una volta arrivati là, potrebbero darmi tutte le ricchezze del mondo!”
“Ma è così!”, rispose il giovane, annuendo. “Rapunzel, ti fidi di me?”, chiese, porgendole la mano. La risposta sincera e immediata che la ragazza pensò fu un no secco. Non aveva nessun motivo per fidarsi di lui, non lo conosceva in pratica. Lo stesso Jack che gliel’aveva presentato non si fidava di lui, e lei si fidava del parere di Jack. Il brunetto era un suo amico, lui no. Flynn era semplicemente un uomo affascinante che si era avvicinato a lei dicendole di essere pressoché identica alla sovrana di Corona, dimostrandoglielo con un invito al ballo che si sarebbe svolto di lì a poco, solo che una parte di sé si rifiutava di credergli perché era un mascalzone. Avrebbe potuto farselo falsificare, non era difficile dato che si vantava di una certa fama, come ladro e furfante. Però.. purtroppo ogni suo ragionamento aveva un però. Forse anche Flynn, come Jack, era un furfante che operava per il bene. D’altronde aveva anche aiutato Jack e Tuffnut per una commissione di Hiccup senza neanche conoscerlo, e poi era sempre stato così gentile con lei. Rapunzel non si fidava affatto di Flynn, ma decise di dargli lo stesso un’occasione. Tese la mano, un po’ titubante, pronta a toccare quella di Flynn, quando si sentì un tonfo sordo nella stanza ed entrambi si girarono a vedere cosa stesse succedendo.
“Rapunzel!”, esclamò questa figura nell’ombra, quasi come se fosse felice di vederla lì. La bionda si avvicinò lentamente, scrutando con i suoi occhi verdi la figura al buio e sgranandoli per la sorpresa appena la riconobbe.
“Aladdin!”




(Riflessioni inaspettate - parte prima)



Astrid non era mai stata così affascinata da un ragazzo della sua età prima d’ora. Era da un giorno intero che osservava Hiccup, ma in quel momento si chiedeva perché non l’avesse mai fatto prima d’ora, anche solo per qualche minuto. Aveva tratti estremamente fini e delicati, per essere un maschio. Gli occhi, grandi e verdi, non si fermavano mai se non per qualche manciata di secondi così come le mani, le cui dita erano estremamente affusolate ed in qualche modo eleganti. Il naso a patata e le lentiggini sparse sulle guance erano gli unici tratti bambineschi che possedeva e che, in qualche modo, gli appartenevano. La bionda non avrebbe potuto immaginarlo diversamente. Ma non era il suo aspetto fisico, così atipico da quelle parti, quanto invece per il suo carattere che la affascinava. Chino sul tavolo da lavoro, operante direttamente sul casco che gli avrebbe permesso di respirare sott’acqua, con la linea del collo che tirava verso l’altro, Astrid si chiedeva davvero perché davvero non avesse mai impiegato prima qualche minuto per parlargli. Non era uno sbruffone, o un artista arrogante. Era prima di tutto un ragazzo che ancora non credeva in se stesso.
“Astrid?”, la chiamò lui, richiamando la sua attenzione. La bionda si rimise all’attenti, puntando i suoi occhi di ghiaccio su quelli del ragazzo, evitando di distrarsi ancora una volta inutilmente. La sua voce sembrava enormemente stanca, strascicata, come se avesse bisogno di numerose ore di sonno che gli venivano sempre negate, e anche un po’ preoccupata.
“Sì?”
“Vieni con me. Dobbiamo testare quest’invenzione.”
Astrid annuì, sentendo una strana sensazione allo sguardo del ragazzo, che si era soffermato sulla figura della bionda con i suoi occhi verdi. Nuovamente, lei si ritrovò a pensare che non era mai stata affascinata così ad un ragazzo della sua età, né tantomeno avrebbe pensato che ad attirare la sua attenzione sarebbe stato Hiccup, tremendamente magro e ossuto. Non riusciva nemmeno a sollevare un’ascia da guerra da solo! Era impacciato, timido e fisicamente debole, tutto il contrario di lei, però estremamente geniale. Ad ogni problema trovava una soluzione più o meno allo stesso tempo in cui, qualsiasi altro di loro, si sarebbe posto il problema.
“Hai già finito?”, gli chiese, seguendolo. Il suo passo era incerto, e anche molto goffo a causa di quella tuta perfino più grande di lui che trasportava.
“Oh, no”, rispose immediatamente. “Ancora devo riuscire a collegarla alla barca e poi nuovamente testare che funzioni a dovere.”
“Lo sai che hai solo oggi per finire, vero?”, domandò ancora Astrid, non nascondendo un tono decisamente preoccupato.
“Tecnicamente mi rimane tutto oggi e domani visto che andremo di sera, però.. sì, lo so.”
“Allora va bene, mi chiedevo solo.. Hiccup, cosa stai facendo?”
Astrid non poteva fare a meno di rivolgergli anche quella domanda: il ragazzo si era tolto il giacchetto di pelle che aveva solitamente indossava e solo Odino sapeva cosa stava cercando di fare con la tuta gigante.
“Sto cercando di indossarla, non si capiva?”, rispose lui, saltellando su un piede mentre cercava di infilare l’altro nella muta progettata. Purtroppo per il ragazzo, il suo equilibrio era parecchio instabile e il luogo in cui stavano entrambi era piuttosto scivoloso così Hiccup cadde rovinosamente sul laghetto in cui era andato a testare la sua invenzione.
“Aspetta che ti aiuto io”, disse Astrid, fingendo di sbuffare. In realtà, la bionda stava solo cercando di camuffare un sorrisino che le sue labbra non riuscivano a trattenere.




(Conversazioni sospette)



Camminava con passo svelto e deciso, come una qualsiasi persona che aveva un sacco di commissioni da sbrigare, ma quella era la tua tipica camminata. Phil non era di certo qualcuno che aveva del tempo da perdere. Si diresse al mercato, aumentando la velocità. Parecchie guardie stavano ispezionando la piazza dove erano situate le bancarelle ancora colme di prodotti nonostante l’ora tarda. Le poche persone che c’erano avevano la stessa andatura del nano, il quale fece un leggero sospiro intento a completare quello che doveva fare. Doveva assolutamente controllare che stesse andando tutto come doveva procedere.
“Vai di fretta, Phil?”, gli chiese una voce, incitandolo a fermarsi e a voltarsi verso la fonte.
“Sì, Genio”, rispose scorbutico il nano, alzandosi il cappuccio e ricominciando a camminare.
“Come sempre”, fece l’uomo, addentando una mela e seguendolo. “Devo parlarti!”
“Non ho tempo!”
“Penso proprio che riuscirai a trovarlo per me”, gli disse il Genio, posando una mano sulla testa di Phil che divenne rosso dalla rabbia e dall’umiliazione. “Vieni, andiamo in un posto sicuro”, gli bisbigliò, incitandolo a seguirlo in diversi cunicoli. Una volta fermi, Phil ne approfittò per togliersi il cappuccio.
“Cosa vuoi?”
“Stai andando da loro, vero?”, gli domandò sospettoso l’uomo, allisciandosi il pizzetto nero ed estremamente curato. Phil sgranò leggermente gli occhi, per poi rimuovere qualsiasi altro segno di sorpresa dalla sua faccia.
“E se anche fosse?”, ebbe il coraggio di ribattere.
“Avevi promesso! Avevamo tutti promesso che avremmo aspettato che loro sarebbero venuti da noi!”, esclamò il Genio, sempre parlando a voce bassa e guardandosi attorno di tanto in tanto. Il volto del nano divenne di una sfumatura minacciosamente rossa, come se fosse pronto ad esplodere.
“Non dire a me cosa dovevamo fare! Piuttosto, tu che ci fai qui?”
Il Genio sorrise sardonico, estraendo tre buste ancora sigillate dalla mantellina che indossava. “Avevo delle commissioni da ritirare.”
Phil non rispose, diventando ancora più rosso per la vergogna di essere stato umiliato ancora una volta da quel medico da due soldi. Peccato che entrambi sapevano che il Genio era molto più di questo.
“Sono di Merlino, Rafiki e Sebastian?”
“Esattamente.”
“Perché ti sei messo in contatto con loro?”, chiese Phil, aggrottando le sopracciglia. Adesso era il suo turno di sospettare dell’uomo, la cui lealtà era sempre piuttosto controversa.
“Per lo stesso motivo per cui ti ho fermato poco fa.”
“Per disturbarmi?”
Il Genio fece un sorriso sghembo, un suo tratto tipico, posando gli occhi maliziosi sulla figura del nano. Phil era sicuro che stesse per rivolgergli un’altra delle sue battute sfacciate e derisorie quando lo sorprese ancora una volta.
“Secondo me è il momento”, disse semplicemente, in tono piuttosto definitivo. Si soffermò a guardare negli occhi ancora una volta il nano e poi lo lasciò solo, tra quei cunicoli che in quel momento sembravano avere occhi e orecchie.




(Tu bari!)




“Non sei male”, si complimentò Jack alla ragazza con i capelli rossi. “In un’altra vita saresti stata un’ottima criminale.”
“In un’altra vita? Perché non in questa?”, chiese lei, ridacchiando. Da quando avevano assistito –in maniera più o meno legittima- a quella riunione erano rimasti in giro. Il brunetto aveva visto un’ombra scendere sugli occhi della principessa e sapeva benissimo che l’unica cosa da fare in questi casi era distrarsi. Pertanto si trovavano a correre sui tetti delle abitazioni di Dunbroch cercando di non cadere. Quantomeno, era questo quello che avevano fatto prima di mettersi a non fare niente sul tetto dell’officina. Non era certamente al centro di Dunbroch, ma da lì avevano davvero un’ottima visuale del castello che sembrava, ciononostante, grande e sicuro come sempre.
“Credo che la Regina non esiterebbe a tagliarmi la testa se vedesse cosa ti sto facendo fare”, disse Jack, abbozzando un piccolo sorriso. Nonostante tutto quello che era successo, il ragazzo era ancora terrorizzato dalla figura autoritaria della madre di Merida. Poco importava che fosse imprigionata o meno, Elinor era una donna forte che incuteva terrore con un solo sguardo.
“Tranquillo, non hai una cattiva influenza su di me”, replicò Merida,  battendogli dei colpetti affettuosi sulle spalle.
“Davvero? Quand’è stata l’ultima volta che sei salita su un tetto?”
“E quand’è stata l’ultima volta che hai spiato il Re?”
La sorpresa e la paura diventarono protagonisti del volto di Jack. Il ragazzo sgranò gli occhi, le pupille erano talmente dilatate da far sembrare gli occhi quasi interamente neri e la bocca era spalancata in un’espressione di sorpresa.
“Tu bari! Lo fai sembrare come qualcosa di terribile! Noi abbiamo spiato Hiccup.”
Merida rise, sfacciata come sempre. “Ma c’era il Re con lui, quindi è come se avessimo spiato il Re e tecnicamente è qualcosa di terribile. Punibile con la morte, secondo le nostre leggi”, gli disse, non potendo evitare di sorridere.
“Sappi che se cado io, tu cadi con me”, la avvertì Jack, lanciandole un’occhiataccia.
“Correrò il rischio”, ribatté lei, lasciando che il vento la inebriasse. Jack si fermò a guardarla. In quel momento sembrava così normale, così differente dall’essere la figlia dei sovrani di Dunbroch –e pertanto una principessa, aspetto che Jack tendeva sempre a dimenticare quando pensava a lei- o una delle fonti d’odio degli invasori di Drachma. Forse erano gli abiti che indossava a conferirle questo alone di normalità –abiti che Hiccup aveva concesso a lei e alla dolce Rapunzel- , ma Merida non sembrava essere nessun altro se non una ragazza molto sfortunata a cui capitavano decisamente gli eventi più sfortunati che sarebbero mai potuto capitare ad una persona. Jack, in fondo, era sempre cresciuto sapendo di non avere niente: non aveva mai avuto speranza che qualcosa di migliore sarebbe capitato nella sua vita, eppure ogni volta rimaneva sorpreso. Invece la rossa in pochi giorni aveva assistito alla sua inesorabile rovina e più affannosamente cercava di aggrapparsi a quel poco che era rimasto nella sua vita, più la crepa in quel suo castello di vetro si allargava.
“Senti, Merida”, cominciò lui, indeciso su quali parole usare, “n-ne vuoi parlare?”, biascicò semplicemente, come se la sua bocca fosse momentaneamente bloccata e le parole si impastassero tra di loro.
“Cosa?”, fece lei, non avendo capito una singola parola che era uscita dalla bocca dell’amico. Jack stava per rispondere quando una voce sotto di loro –acuta, decisamente di una ragazza- attirò la loro attenzione.
“Aladdin!”
“Cosa è stato?”, chiese Merida, guardandosi attorno.
“Non lo so, ma è meglio che andiamo a vedere”, rispose Jack, quasi volando verso il terreno.




(Commissioni)



“Allora?”, gli chiese frettolosa Astrid, ferma alla riva anche se tecnicamente non era davvero ferma. Si vedeva lontano un miglio che era nervosa ed impaziente, proprio perché, sebbene non si muovesse, non riusciva a stare ferma. La gamba sinistra tremava, la mano destra correva ad aggiustare il ciuffo di capelli che, troppo lungo, le cadeva sugli occhi e proprio questi non avevano smesso di guardare il ragazzo dentro la tuta da quando era entrato in acqua.
Hiccup emerse, dopo quelli che alla bionda erano sembrati minuti interi, e si tolse il casco.
“Non entra acqua, ed è un bene”, disse, tastandosi come se stesse cercando il suo quadernetto. “Devo usare un altro vetro perché non riesco a vedere bene con questo, e ho bisogno di almeno cinque stecche di cannella.”
“Cannella?”, domandò adesso confusa Astrid, aiutando Hiccup a raggiungere la riva e il piccolo molo.
“Sì, la puoi trovare facilmente al mercato”, rispose Hiccup, togliendosi anche il resto della tuta e rimettendosi il suo amato gilet di pelle.
“So dove trovarla ma.. a che ti serve?”
Hiccup non evitò di abbozzare un sorriso divertito, prima di spiegarle il vero motivo. “Sono un pittore, e sono abituato all’odore pungente dei materiali che utilizzo per i miei dipinti ma questa tuta puzza terribilmente di cadavere imputridito di maiale.”
Astrid fece un’espressione alquanto disgustata, che diede il pretesto ad Hiccup di continuare. “E dimentichi la parte migliore! Mi devo immergere nelle fognature.”
“Fortuna che ci vai tu ed apri la strada a tutti noi allora”, disse la ragazza, accompagnando la frase con un sorriso davvero poco convincente, andandosene in direzione del mercato.
“Certo, figurati, lo faccio con piacere”, brontolò lui di rimando, sistemando la tuta e ritornando all’officina.




(Lo straniero)




“Cosa sta succedendo qui?”, chiese Merida, entrando dalla finestra esattamente come aveva fatto Aladdin prima di lei. Jack era entrato immediatamente dopo, osservando immediatamente la stanza per vedere cosa avesse spinto Rapunzel –l’unica presenza femminile della stanza- ad urlare.
“Chi è questo?”, domandò il brunetto, non riconoscendo il ragazzo più basso. Flynn alzò le spalle, abbastanza confuso anche lui, mentre la bionda si mise al centro della stanza con le mani alzate.
“Ehm, scusate, ci sto capendo poco pure io”, cercò di giustificarsi, abbozzando un sorriso e facendo pure una risata abbastanza nervosa. “Lui è Aladdin”, disse Rapunzel, presentando quel ragazzo così atipico. Con quella sua pelle scura, così simile al caramello, e i suoi tratti morbidi e caldi, aveva certamente acceso la curiosità –e il sospetto- della rossa, che sembrava decisamente il suo opposto.
“Chi sei tu, Aladdin?”, domandò, guardandolo meglio come se volesse studiarlo.
“Sono un viaggiatore”, rispose immediatamente lui, ricambiando lo sguardo sorridendo sardonicamente. Gesto che infastidì leggermente la ragazza.
“Lui è il ragazzo che abita insieme all’uomo che mi ha insegnato la medicina”, spiegò Rapunzel al posto suo, avvicinandosi all’amica.
“E da dove vieni?”
“La mia è una terra di fiabe e magie, credo che tu la conosca. I cammelli vanno su e giù, brilla il sole da Sud, soffia il vento da Nord e le notti nella mia terra sono calde, più calde che mai. Tutto il contrario di Dunbroch direi”, disse il ragazzo con i capelli corvini, iniziando a gesticolare con le mani per coinvolgere la rossa. Ed in parte, ci riuscì.
“A Est di Dunbroch c’è il regno di Corona ma..”
“..ma a Corona le persone non sono così”, concluse la sua frase Flynn, intromettendosi nel discorso. Lui e Jack erano rimasti in disparte, non riuscendo ad ingranare bene i meccanismi di quella conversazione. Specialmente il ragazzo più grande che aveva dovuto interrompere il suo discorso importante con Rapunzel.
“Dai.. come si chiama lei?”, fece Aladdin, rivolgendosi a Rapunzel. Questa non riuscì a trattenere un sorriso.
“Stai parlando con Merida, primogenita discendente del clan Dunbroch.”
Gli occhi neri del ragazzo si sgranarono piacevolmente dalla sorpresa, scorrendo dall’amica bionda alla ragazza con i capelli rossi che, in quel momento, aveva un sorriso beffardo stampato sulle labbra. Questa reazione fece divertire molto Jack, che ridacchiò sommessamente per non ricevere uno sguardo torvo proprio da Merida.
“Scusami, non sapevo che fossi proprio tu Merida. Rapunzel mi ha parlato così tanto di te!”, si giustificò lui, facendo un profondo inchino che risultò perfino buffo. “E comunque, principessa, puoi fare meglio di così. Ti ho già dato tutti gli elementi necessari”, disse Aladdin, non utilizzando un benché minimo tono formale stavolta. Merida corrugò le sopracciglia ramate, ripensando alla descrizione che quel ragazzo le aveva dato. Ricordava qualcosa di vagamente simile, forse gliel’aveva raccontato suo nonno in uno dei suoi innumerevoli viaggi ma ciò che le diceva era assurdo. Si trattava di straordinarie avventure con cammelli che camminavano senza sosta, persone che si ritrovavano in galera senza un vero perché, tappeti colorati ed intensi e uomini che bruciavano di passione.
“Vieni dalle Terre d’Oriente?”, chiese sbalordita la ragazza, come se non ci credesse per davvero ma il giovane annuì con un sorriso fiducioso.
“Aladdin, cosa ci fai qui?”, chiese Rapunzel, finalmente. In quel trambusto non era riuscita più a capire niente tranne il fatto che la presenza stessa del corvino fosse alquanto inaspettata.
“Sono venuto a vedere se avevi bisogno di aiuto”, rispose Aladdin, posandole le mani sulle spalle esili. “Ho sentito il proclama della Regina e io e il Genio pensiamo che questo sia davvero un momento pessimo per Dunbroch.”
“A chi lo dici”, borbottò Merida, andando a sedersi in un angolo della stanza accanto a Jack.
“Oh, come siete gentile”, commentò la bionda, leggermente commossa. “A me personalmente non serve aiuto, io mi sto battendo per una causa, ma a Dunbroch..”
“Mi dispiace non dirti immediatamente sì”, cominciò Aladdin, spegnendo ogni possibile speranza dei ragazzi, “ma non sono io a decidere. Avevo chiesto a Genio se potevo aiutarti ma per Dunbroch intera.. di certo io non riuscirò a convincerlo da solo. Serve un rappresentante degno.”
Sentendo quelle parole a Jack si illuminarono gli occhi, alzando immediatamente lo sguardo per quel ragazzo orientale. “E chi meglio della principessa?”, domandò, attirando l’attenzione.
“Io non vorrei offendere nessuno ma soltanto due persone in più non cambierà di molto la situazione”, s’intromise Flynn, estremamente cinico.
“Oh, ma noi non siamo solo in due”, replicò Al, guardando nuovamente Merida. “Il Genio ha altre conoscenze e potrebbe parlare con queste per salvare Dunbroch. Sempre se si possa salvare.”
“Ogni cosa può essere salvata”, disse Rapunzel, con decisione. “Tu parla con il Genio, fallo venire qui il prima possibile. Noi, invece, parleremo con il Re Fergus e..”
“No”, la interruppe Merida, ricambiando stavolta lo sguardo di Aladdin. “Tu vai a parlare con questo genio o quello che è, e organizza un incontro. Parlerò io con lui.”
“Ma Merida”, cercò di farla ragionare l’amica, “tu..”
“Io che cosa? Posso farcela, Punzie, davvero”, ribatté lei, mettendo fine a quella conversazione. Aladdin spostò lo sguardo tra le due ragazze, poi si girò verso la finestra.
“Allora io vado. Stanotte, probabilmente, tornerò con il Genio. A presto!”, salutò, facendo l’occhiolino alle due ragazze e appena un cenno a Jack e Flynn che si guardarono tra di loro.
“Non volevo dire che non puoi farcela”, disse la bionda appena il corvino se ne fu andato, abbassando gli occhi verdi a terra. “Il Re è una figura più autoritaria della principessa e, anche quando tu riuscissi a convincere il Genio, dovresti sempre informare tuo padre di una futura strategia..”
“Mio padre non è il fantastico uomo che tutti crediamo che sia”, commentò Merida, estremamente decisa, uscendo dalla stanza e interrompendo così quella conversazione. A Jack sembrò di inghiottire un rospo, sapendo che la rossa stava dicendo quella frase più a se stessa che alla dolce amica. Rospo che era deciso a sputare proprio in quel momento.
“Punzie, ti dovrei dire una cosa”, la esortò, le mani congiunte e un tono supplicante davanti all’amica. Peccato che in quel momento entrò Gobber nella stanza, seguito da Emma.
“Cos’è successo qui?”, tuonò l’uomo, scrutandoli con i suoi occhi azzurrini. Emma, nel frattempo, si era ancorata alla gamba del fratello maggiore.
“Ho visto la principessa uscire parecchio turbata.. E tu chi sei?”, domandò, guardando Flynn.
“Io..”, iniziò a presentarsi, ma Gobber era deciso a non farlo parlare.
“Non mi interessa, vai a lavorare. Anzi, andate a lavorare tutti! Manca un giorno e abbiamo bisogno di un sacco di armi. Su!”, li incitò, indicando la porta con decisione. “Da quando Hiccup lavora all’altro suo progetto sembra che qui nessuno voglia lavorare!”




(Richieste)



“Genio, Genio!”, chiamò a gran voce il giovane Aladdin, correndo verso la casa dove lui e l’uomo più grande sostavano. Quest’ultimo si affacciò dalla finestra –esattamente come se fosse rimasto tutto il tempo lì, a poltrire come al solito- con aria lievemente annoiata, lisciandosi il suo amato pizzetto nero.
“Sì?”
“Ho avuto una richiesta”, disse compiaciuto, non nascondendo un certo sorrisino. “Ho avuto una richiesta dalla principessa.”
“Immagino quindi che alla nostra Rapunzel non servisse aiuto”, replicò il Genio, sbadigliando sonoramente.
“No, ma serve a Dunbroch il nostro aiuto. Il nostro.. e quello degli altri.”
“Uhm, sì, questo lo vedremo”, commentò l’uomo, invitando il giovane ad entrare nell’abitazione.
“Perché? Non hai sentito cosa ho detto? La principessa vuole organizzare un incontro con te. Con te!”, esclamò Aladdin, mettendosi a giocherellare con la sua tabacchiera.
“Non so se voglio andarci”, borbottò svogliatamente il Genio, girando per la casa alla ricerca di qualcosa che trovò poi appoggiata al caminetto. Erano, in realtà, delle lettere già aperte e prive del loro sigillo.
“Cosa?”, fece Aladdin, abbastanza confuso. “Tu ci andrai!”
“Perché dovrei farlo?”
“Ricordi quei tre favori che mi devi?”, gli rinfrescò la memoria il giovane, lanciandogli la bella lampada d’oro che soleva essere sempre messa dove il Genio potesse vederla e Aladdin potesse ammirarla. Anche quando c’era Rapunzel in quella casa che studiava medicina quella lampada non aveva smesso di attirare l’attenzione, distraendo la bionda dalle lezioni più tediose. L’uomo la prese la volo, con un’espressione seccata.
“Odio questa dannata lampada”, disse semplicemente, posandola sulla mensola più alta ma non meno visibile agli occhi suoi e di Aladdin.
“Quindi lo farai?”
“Ho altra scelta?”
“Organizzo l’incontro”, disse Aladdin, ammiccando all’uomo.




(Riflessioni inaspettate- parte seconda)




Hiccup non si fermò dal masticare la sua stecca di cannella. Doveva assolutamente mantenere la calma. Non aveva ancora finito la sua invenzione, stava lavorando assiduamente sulla barca che avrebbe contenuto il marchingegno che gli avrebbe permesso di respirare ma non riusciva a completarlo. Che ci fossero errori di calcolo? Beh, con tutto il baccano che stavano facendo gli altri non gli sarebbe nemmeno parso fin troppo strano. Sentiva in sottofondo le risate sguaiate di Tuffnut e Snotlout che con ogni probabilità si prendevano gioco di Fishlegs che, di fatto, si lamentava come una femminuccia, Ruffnut sembrava addirittura fare le fusa –di questo Hiccup non poteva essere certo, si era rifiutato categoricamente di alzare la testa- e Jack, Rapunzel e Merida sembravano discutere. Questo era l’unico di quegli avvenimenti che aveva destato la sua attenzione e curiosità, ma sapeva che non poteva abbandonare quel lavoro per aiutare i suoi amici. Finita la stecca alzò finalmente lo sguardo, incontrando la mano di Astrid che gliene offriva prontamente un’altra.
“Oh, grazie”, ringraziò lui, abbozzando un sorriso. E dire che quando erano più piccoli lei- e tutti gli altri amici del cugino- lo picchiava e non mancava mai dal prenderlo in giro!
“Figurati”, ricambiò la bionda, masticando anche lei una stecca di cannella. “Quanto ne hai ancora?”
“Su una scala da uno a dieci direi.. non penso di andare a letto”, rispose lui. “Dovresti riposarti, prima della giornata di domani. Sarai a fianco a fianco con il re e il capo delle guardie”, le raccomandò il moro.
“Oh, ma è bello starti a guardare”, commentò lei, perfettamente seria. Hiccup la guardò stralunato, come se non riuscisse a credere che quelle parole venissero dalla bocca di Astrid. Insomma, Astrid era sempre la bionda ragazza con gli occhi di ghiaccio, l’automa senza sentimenti che era fortissima nel combattimento e che –con ogni probabilità- avrebbe fatto mangiare la polvere perfino ai migliori combattenti, era sempre la bambina spocchiosa che gli tirava i capelli castani –sempre lasciati più lunghetti, in modo da solleticargli la nuca- e che lo spintonava.
“Sembra che niente possa urtare la tua incredibile concentrazione. Poco fa Fishlegs ha nuovamente tirato fuori la storia di qualche maledizione che incombe su tutti noi e Tuffnut e Snotlout non hanno perso un momento per prenderlo in giro, prima di andare a dormire Emma e Jack hanno giocato a rincorrersi, poi il tuo amico ha iniziato a litigare con la principessa e la sua amica bionda e Ruffnut ha cercato tutto il tempo di saltare addosso a quel tizio che ti ha portato la barca.. e tu sei rimasto a lavorare. Non hai alzato lo sguardo neppure per un attimo”, spiegò lei, non nascondendo una certa ammirazione. “Non ho mai visto nessuno così incredibilmente concentrato.”
Hiccup sorrise in modo molto dolce, le guance leggermente rosse, sentendosi in qualche modo lusingato da quell’attenzione non desiderata. “Oh, ehm, grazie.” 




(Litigi)



“Che cosa le hai detto precisamente?”, chiese Merida in tono di accusa, indicando Rapunzel ferma accanto a lei. Era la prima volta che il brunetto vedeva quest’ultima adirata almeno quanto la prima.
“A cosa ti riferisci?”
“Mi riferisco”, iniziò la rossa, avvicinandosi ancor di più all’esile figura del ragazzo, “al fatto che io non sono abbastanza lucida perché sono in collera con mio padre.”
Jack sbarrò gli occhi scuri, spostandoli da Merida alla bionda. “Io non ho detto questo!”, cercò di difendersi, mentre la stessa espressione si dipingeva sul volto di Rapunzel.
“Si che me l’hai detto!”
“Io sono abbastanza lucida!”
“Ti ho detto che lei non ce l’aveva con te, perché quella frase era per se stessa. Ed era per se stessa perché suo padre l’ha esclusa totalmente dal piano di domani. Piano, tra parentesi, da cui anche tu sei esclusa”, disse Jack, spiegandosi meglio.
“Perché?”, domandò Rapunzel, priva della rabbia iniziale. Sembrava delusa, e ferita adesso.
“Perché mio padre pensa che siamo inutili”, commentò Merida, rispondendo lei.
“Vedi che sei in collera con tuo padre?”, fece Jack, facendo digrignare i denti alla principessa. Rapunzel scosse la testa, muovendo con essa i lunghi capelli biondi che in quei giorni erano rimasti sciolti, privi delle acconciature complicate o delle trecce della dolce Emma.
“Basta litigare”, disse semplicemente, posando una mano sulle spalle dei suoi amici. “Abbiamo chiarito.”
“Non c’è stato nessun chiarimento qui”, ribadì Merida, guardando l’amica.
“Già, perché tu dovresti chiarire con tuo padre!”, esclamò Jack.
“Beh, forse avresti dovuto semplicemente parlarmene con me prima di dirlo a Rapunzel.”
“O forse avresti dovuto parlarmene prima tu”, s’intromise Punzie, guardandola tristemente. I tre ragazzi rimasero in silenzio per qualche secondo, ognuno con lo sguardo fisso per terra. Nessuno dei tre riuscì a raccogliere il coraggio per scusarsi.
“Noi.. non abbiamo tempo di litigare al momento”, borbottò Merida, un po’ più tardi dopo una lunga pausa di riflessione. “Dobbiamo parlare con Aladdin e il Genio e poi vedremo cosa fare.”
“Merida?”, la chiamò la bionda, mordendosi il labbro inferiore. “Forse potremmo semplicemente.. parlare”, propose, guardando speranzosa Jack per qualsiasi segno di sostegno.
Merida ricambiò lo sguardo, leggermente stanco e –vagamente- stufo di quella situazione, con un accenno di sorriso. “Dopo. Devo pensare a cosa dire al Genio per convincerlo.”
“Io non voglio litigare”, iniziò il brunetto, mettendo le mani avanti, “ma come pensi di convincerlo delle tue buoni intenzioni, che l’unica cosa che vuoi è salvare la tua famiglia, se escludi proprio questa dai tuoi piani?”
“Perché non è l’unica cosa che voglio”, sussurrò, mantenendo lo sguardo fisso sugli occhi scuri del ragazzo.
   
 
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