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Autore: madelifje    09/11/2015    0 recensioni
Kajdena sapeva che non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere. Una ladra balbuziente esiliata dal popolo ignjs non è fatta per questo genere di cose. La sua vita era già abbastanza miserabile anche senza le spie, i pirati, le leggende, i complotti, le maledizioni, le profezie scomode, le alleanze discutibili e gli omicidi.
Avrebbe dovuto scappare quando ancora poteva farlo.
Prima di finire nel posto sbagliato al momento sbagliato, cercando di scappare dalle schiere della Caccia Selvaggia.
Prima che la sua migliore amica ricevesse l'avvertimento che le avrebbe cambiato la vita.
Prima che uno degli otto consiglieri venisse brutalmente ucciso e Alles finisse sull'orlo della guerra.
Prima, perché adesso è tardi.
-
«Un uomo mi ha seguita, oggi. Come faccio a sapere che non l’hai mandato tu?»
«Lo sai e basta», disse Nioclàs con un sorriso. E il lampo di paura che attraversò gli occhi di quella ragazzina bionda glielo confermò.
-
Kaj deglutì, chiamando a raccolta tutto il poco coraggio che possedeva. La situazione era anche più assurda del previsto. Doveva fuggire, possibilmente in fretta. Perdi tempo
«Q-quest’agenzia non ha un n-nome?»
«Ce l’ha», disse pacatamente Occhi Verdi, «"Agenzia"».
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro – Peryth, Iniziazione



 
Ed è allora che sul corpo compare il simbolo di Peryth. […]
La runa nera, semplice, stilizzata, che dona un’idea di apertura solo apparente. […] Così è superata Peryth,
l’inizio della fine, la prima delle tre fasi, l’Iniziazione.

- da “La desolazione di Arkaydia”, autore sconosciuto;
frammento di una delle pochissime copie ancora esistenti
 
 



 
Osservava la scena dall’alto, mentre il dolore sembrava essersi assopito. Vedeva un corpo grottescamente simile al suo giacere prono su un suolo grigio e arido, spaccato da crepe superficiali. Vedeva creature oscure volare intorno a esso, le loro ali da pipistrello che le mantenevano sospese a mezz’aria e lunghe vesti nere che coprivano gli arti inferiori. Eppure niente, in quel panorama, era nemmeno lontanamente terrificante quanto l’odore di sangue. Si faceva strada attraverso le narici e proseguiva fino alla gola, dando un inspiegabile sapore di viscido e di metallico che le faceva attorcigliare lo stomaco. Non se ne andava, non senza far girare la testa e appannare la vista. 
Era forse suo, quel sangue? Perché allora all’esterno non ve n’era traccia?
«Lo vuoi, non è così?»
Le creature mostruose planarono verso il corpo. Iniziarono a strappare i vestiti, a graffiare la carne pallida con i loro artigli, lanciando grida agghiaccianti.
«So che lo vuoi».
«F-fateli smettere».
Ed ecco il sangue, sgorgare fuori dalle ferite fino a bagnare il terreno grigio. Ai lamenti sempre più atroci si aggiunse un canto. Era una voce maschile, la più bella e melodiosa che avesse mai ascoltato. Dapprima sussurrava, poi gridò parole in una lingua che lei non capiva, formule che sembravano quasi invocazioni, preghiere.
Ma i mostri non smettevano.
«Forza».
«B-b-b-basta, per f-favore!»
La voce gridava, le creature ululavano, quei suoni terribili si disperdevano in un cielo violaceo, sotto lo sguardo atterrito di una ladra.
«Bevi, Kaj».
Apparve una figura. Riuscì a mettere a fuoco solo il polso, olivastro, proteso verso di lei. Un rivolo di sangue lo attraversava in diagonale.
«No!»
«Bevi e tutto si fermerà».
«No, per favore!»
«Stai morendo, Kaj. Bevi».
Uno dei mostri affondò l’artiglio nel petto del corpo della ragazza. Kaj chiuse gli occhi, afferrò l’avambraccio della sconosciuta e bevve.
Se avesse avuto abbastanza coraggio, avrebbe visto un sangue nero come la pece.
Poi tutto tacque.
 
 
***
 
 
«Se lei muore, ti taglio la gola».
«L’hai già detto, crèhl, ben quattro volte».
«Sai com’è, arkaos, voglio assicurarmi che il concetto ti sia ben chiaro».
Il sole tramontava presto sul Mondo degli Elfi. Era già scomparso dietro una montagna altissima, quando Lambert, il pirata e una Kaj priva di conoscenza raggiunsero il bosco. Nicodemus sosteneva che la ragazzina avesse “bisogno di aria”, Lambert temeva solo che volesse portarli in un posto in cui nessuno avrebbe sentito le loro urla.
Come se un elfo si sarebbe mai sprecato ad aiutarli.
«Perché non la pianura, allora?», aveva domandato, sperando di coglierlo in fallo.
«Non voglio dare spettacolo».
Così eccoli lì, in mezzo al fogliame, vigilanti. Si erano sistemati su un tronco caduto, in un piccolo spiazzo tra i cespugli. Lambert si era tolto il mantello per dare a Kaj una sorta di cuscino, mentre Nicodemus fumava. Dal momento del loro arrivo erano passati circa quaranta minuti, durante i quali nessuno aveva aperto bocca.
«Visto che abbiamo tempo da perdere, perché non mi dici finalmente cosa sta succedendo alla mia collega?», sputò, non più in grado di sopportare il silenzio.
«Cosa si dice sul mio popolo, dalle tue parti?» La domanda non sembrava pertinente. Lambert fece per ribattere, ma cambiò idea: cosa sapeva sugli arkaos?
Che erano un popolo nettamente superiore sia a loro che a quei bastardi degli elfi. Che avevano conoscenze scientifiche che gli altri non potevano nemmeno immaginare. Che vivevano molto a lungo. Che non era mai stato visto un essere puro, solo i meticci che si confondevano tra gli umani di Alles e la gente delle Isole; perché non importava quante generazioni passassero: il gene di Arkaydia era sempre dominante.
«Che gli arkaos esistono da molto prima di noi. Che abbiamo cercato una via per il loro mondo per secoli, soprattutto durante la Guerra, ma non l’abbiamo trovata. Che si sono divertiti a guardare gli elfi che ci massacravano, senza prendersi il disturbo di fare qualcosa», disse invece, senza cercare di nascondere il proprio ribrezzo.
«C’è una ragione per tutto, umano. Voi siete semplicemente troppo ottusi per capirlo, ci arriverete solo quando sarà troppo tardi. E, te lo posso assicurare, non manca poi così tanto. C’è una minaccia, molto più grande di quanto possiate immaginare. Proviene dal Mondo Inferiore, noi lo chiamiamo Veleno Nero e questo», accennò a Kaj, «è il peggiore dei suoi effetti. È per proteggerci da esso che abbiamo bloccato ogni via per Arkaydia, per evitare che arrivasse fino alle nostre porte. Voi e gli elfi non siete stati altrettanto furbi e, adesso, ne pagate le conseguenze».
La solita supponenza. Alzò gli occhi al cielo. «Cosa fa il Veleno Nero?»
Nicodemus tacque per un instante, perso in chissà quali pensieri. Iniziò a parlare lentamente, con un’inespressività che inquietò Lambert molto di più di quanto non diede a vedere. 
«La trasformazione si divide in tre fasi. Le puoi riconoscere dai marchi che compaiono nella parte interna dell’avambraccio. La tua amica sta entrando nella prima, Peryth, l’Iniziazione». Guardava in alto. Le sue iridi bianche riflettevano l’oscurità del cielo elfico.
«Verranno poi Othila, la Separazione, e infine Doygaz, la Trasformazione finale. Dopo, ti assicuro che della tua amica non sarà rimasto più nulla. Diventerà in tutto e per tutto una di loro, una Mara’el come tanti demoni del Mondo Inferiore, una belva che non augurerei a nessuno di incontrare. Ti consiglio di ucciderla allora, sempre che non ci abbia già pensato il Veleno nel corso della trasformazione. Prima che tu me lo chieda, non c’è cura».
Mara’el. Le creature demoniache del Mondo Inferiore, che popolavano i racconti dell’orrore e gli improperi della gente di Alles. Rabbrividì.
“Che i Mara’el ti mandino nel Mondo di sotto”, gli diceva sempre Klaus, quando Lambert lo prendeva in giro. “Se non metti in ordine la tua stanza, ti mando dai Mara’el”, lo minacciava sempre sua madre, quando era un bambino. Era sempre stata una beffa, un’offesa tra amici o un’esclamazione. Adesso era ciò che stava uccidendo Kaj.
«Perché salvarla, allora?» Lambert desiderò, per quella che doveva essere la millesima volta della giornata, che al suo posto ci fosse Klaus. Lui semplicemente non era in grado di prendere le decisioni giuste, quella situazione assurda ne era la prova.
Il pirata ignorò la domanda. «Il Veleno ha effetti diversi a seconda della razza che colpisce. Solo noi andiamo incontro alla trasformazione: sugli elfi assume le caratteristiche di un morbo fatale, mentre gli umani muoiono nel giro di poche ore, dilaniati da un dolore lancinante. Ho mandato un mio uomo alla ricerca di un arkaos, affinché la tua amica possa bere poche gocce del suo sangue. Questo le salverà la vita e darà inizio a Peryth. È tutto quello che possiamo fare».
«E perché non il tuo, di sangue?»
«Al momento non ti interessa». Lambert non disse più niente, per non rischiare di farlo incazzare e distruggere l’unica possibilità che aveva di aiutare Kaj. Era assurdo come fossero passati dall’inseguire un pirata per il porto di Eyjan a… quello.
I passaggi erano un po’ confusi: dopo che Kaj era caduta, Lambert ricordava di essersi scagliato contro Nicodemus, il quale – tra una battuta sarcastica e l’altra – aveva fatto capire di poterli aiutare. Ovviamente, aveva specificato, non l’avrebbe fatto per la gloria.
 
 
«Crèhl, la tua amica è stata infettata dal Veleno».
Una frase completamente priva di senso alle orecchie Lambert. Il suo viso dovette trasmettere perplessità, perché gli occhi da arkaos di Nicodemus si assottigliarono con una punta di soddisfazione e disprezzo.
Dio, se solo non fosse stato per Kaj…
«Cosa significa?», domandò invece, spazientito.
«Che sta morendo», fece Nicodemus con voce piatta. «Posso aiutarla e ti dirò tutto quello che so, ma in cambio devi lasciar andare me, i miei uomini e la nostra merce. Devi giurare».
Per quello che ne sapeva lui, il pirata poteva stare bluffando. Se davvero li stava ingannando, Kaj sarebbe morta comunque e Nicodemus sarebbe stato libero. Valeva davvero la pena di rischiare? Si trovò a desiderare più che mai che al suo posto ci fosse Klaus, lui avrebbe sicuramente saputo come comportarsi. La risposta di Lambert a una proposta del genere non era scontata. Non quando implicava affidarsi completamente a un nemico e abbandonare la missione. Si potevano dire tante cose su di lui – quasi nessuna positiva – ma non che fosse un codardo e che non portasse sempre a termine i suoi compiti. Ad ogni costo, soleva dire.
«Non ci posso credere», esclamò Zanna, «ci stai davvero pensando!»
Kaj ruotò dolorosamente la testa e fissò le iridi chiare in quelle di Lambert, tradita. Lambert, quegli occhi, li aveva già visti. Erano di colore diverso e la circostanza era un’altra, ma non se li sarebbe mai dimenticati. Erano con lui quando respirava, mangiava, dormiva. Non poteva permettere che alla lista dei suoi incubi si aggiungessero anche quelli di Kaj
«D’accordo», gridò. «D’accordo!»
«Devi dirlo», disse Nicodemus, tendendogli una mano.
«Se le salvate la vita, stavolta vi lasceremo andare. Giuro».
«Quindi ce l’hai, un cuore».
Si strinsero la mano.
Lambert Kane e Nicodemus il pirata avevano un patto.
 
 
L’occhiata che Kaj gli aveva lanciato continuava a trapanargli il cranio come un’emicrania. Poi lei aveva perso i sensi e Nicodemus se l’era caricata in spalla.
Ed eccoli lì, ad aspettare che un uomo dell’Acquila Reale arrivasse con un arkaos da usare come donatore di sangue. Un pirata che canticchiava, una spia priva di sensi e un'altra che, nonostante tutto, stava morendo di fame. Gli veniva il vomito; ogni volta che gli occhi di ghiaccio cadevano su Kaj, Lambert si sentiva senza cuore.
Lui e la ignjs non erano amici, non esattamente – checché ne dicesse Kalus. Si trattava solo di un’irritante balbuziente che aveva come unico pregio l’essere accettabile nel lavoro che faceva (quando non si faceva infettare da antichi veleni del mondo di sotto) e, in fondo, lo faceva preoccupare. Per Carrày, l’avrebbe presa a pugni. Quella stupida ragazzina era sotto la sua responsabilità, non l’aveva mica autorizzata a farsi ammazzare.
Klaus gli avrebbe dato del cinico. Avrebbe cercato di indovinare cosa gli passasse per la testa – non lo faceva sempre? – per poi ridere delle sue assurde considerazioni. Non l’aveva mai giudicato. Preso a insulti sì, anche piuttosto pesantemente, ma era il solo che avesse saputo guardare oltre la sua maschera. Non si era sentito intimidito da lui. Sin dal primissimo momento aveva intuito che dietro a Lambert Kane c'era di più. Non l’aveva guardato con ammirazione, non aveva pensato che alla base del suo caratteraccio ci fossero stronzate come un’infanzia problematica, no. Klaus era stato l’unico ad averlo accettato esattamente così com’era. Quasi l’unico. Diamine, era una delle due sole persone per cui Lambert Kane avrebbe dato via un rene.
In quel momento, per quanto odiasse ammetterlo, aveva davvero bisogno di lui. Si stava giusto domandando cosa stesse facendo in quel momento, quando udì chiaramente dei passi tra i cespugli. Scattò in piedi, mentre Nicodemus allungava le gambe e faceva scrocchiare le dita delle mani. «Era ora», grugnì.

 
***
 

Se fosse stato per lei, avrebbe già ammazzato l’uomo di guardia da un pezzo.
Sarebbe stato anche un modo per mettersi alla prova, per verificare di essere in grado di centrare in pieno la giugulare anche da quella distanza. Scudo, tuttavia, era di un’altra opinione. C’erano volte in cui si rammaricava di non aver addestrato un cane, al posto di quel giovane dai capelli d’argento.
Doveva ammettere però che, quella sera, non avesse tutti i torti; Caser era stato chiaro: non dovevano dare nell’occhio per nessuna ragione al mondo.
Era stanca e intorpidita. Il suo corpo non funzionava come quello dei normali esseri umani, eppure le gambe iniziavano a formicolare. Il muretto della terrazza dietro al quale si stavano nascondendo li costringeva ad assumere una posizione innaturale, pur offrendo un’ottima visuale su ciò che accadeva svariati metri sotto di loro.
Era passata solo mezz’ora e Scudo dava già segni di nervosismo.
«Che i Mara’el mandino Caser nel mondo di sotto», bofonchiava.
«Probabile che ci sia già stato».
«Sicuro. Sai bene che nessuno è mai tornato dal Mondo Inferiore, R-»
«Quante volte ti ho detto di non usare il mio vero nome? E abbassa la voce, ‘ché non voglio marcire al Lys fino alla fine dei miei giorni». Qualcuno era tornato dal Mondo Inferiore. Scudo, però, non aveva bisogno di saperlo. Ripresero a guardare giù. La guardia faceva avanti e indietro sul ballatoio che conduceva agli appartamenti della Somma Sacerdotessa. Canticchiava una filastrocca che i laekur insegnano ai bambini, con una mano fissa sul fodero della pistola.
Sì, una freccia sarebbe bastata a ucciderlo. Sapeva di essere brava in ciò che faceva. Aveva dalla sua l’esperienza, che le permetteva di offrire i propri servigi ai potenti, tenendo però il coltello 
sempre dalla parte del manico. La Tessitrice.
«Aracnide? Cosa stiamo aspettando?»
Poveri, stupidi, impazienti umani. Fece per rispondere, ma un rumore proveniente dal parco la precedette. Lo sentì anche la guardia, che pensò bene di chiamare a gran voce il nome del compagno addetto a quella zona. Non ottenendo risposta, commise il secondo grande errore della serata: andò a controllare.
Così facile da risultare noioso.
«Tieniti pronto», sibilò Aracnide.
«Da quando usi dei diversivi?»
Gli angoli della bocca si piegarono in una sorta di sorriso. «Ah, Scudo. Non sono stata io, ma lui».
La porta degli appartamenti della Sacerdotessa si aprì, lasciando uscire una sagoma scura chiaramente maschile.
Da te mi aspettavo di meglio, Airlis.
Saltò, dandosi la spinta con il muretto e atterrando proprio davanti all’obiettivo. Nessun umano sarebbe stato in grado di eseguire quella mossa con la stessa eleganza. A giudicare dall’ombra di terrore che attraversò il volto dell’uomo, dovette averlo realizzato anche lui.
«Nottata fresca, trovi?» Questi fece per estrarre la pistola; un gesto della mano e Aracnide si ritrovò a impugnarla, tenendola puntata alla testa di lui. Si chiese perché non dotassero i confratelli di strumenti più avanzati, visti i tempi che correvano.
«Come ti chiami». Lo disse come un'affermazione e il brav'uomo si guardò bene dal rispondere.
Aracnide osservò la pistola. «Carica, molto bene. È anche piuttosto lucida, la tieni bene».
«Stoffel».
«Un bravo confratello di Gaemal, che esce dagli appartamenti della sua Sacerdotessa nel cuore della notte». Stoffel doveva aver capito che non sarebbe morto – non subito – ma non sembrava affatto più tranquillo.
«Ho giurato di proteggere la Signora e tutte le sorelle di Kona», dichiarò, con un’ombra innaturale di spavalderia.
«E sono certa che tu offra gli stessi servigi a tutte le consacrate alla dea...» Passo in avanti. La corporatura del guerriero era imponente, non proprio il tipo della cara Airlis.
Aracnide si rese conto che avrebbe dovuto provare almeno una certa inquietudine.
Invece, il nulla.
«...O è una prerogativa della Signora?» Stoffel non negò. Il loro giuramento di totale onestà rendeva i confratelli di Gaemal estremamente indifesi, da quel punto di vista. «Cosa volete?» Almeno andava subito al punto.
«I nomi», disse Aracnide, altrettanto pragmatica.
«Non ne so niente». Scudo, alle sue spalle, sospirò. La mancanza di pazienza poteva essere un problema nel loro lavoro. Aracnide era sicura che Stoffel avrebbe parlato. Chissà se, finalmente, Caser avrebbe smesso di mettere in discussione i suoi metodi. Avvicinò la pistola alla fronte del guerriero.
«Ti racconto una storia. C’era una volta un giovane confratello di Gaemal il quale, come il suo protettore, voleva essere il consorte di Kona. Dovette però accontentarsi dell’incarnazione della dea, la Somma Sacerdotessa del Monastero di Iride. Questa relazione fece sì che il buon confratello venisse a conoscenza di informazioni riservate, di cui una molto molto importante. Un giorno il comandante dell’ordine ricevette una soffiata. Si trattava di una storiella interessante, a cui però mancava il finale; l’indomani il nostro eroe fu giustiziato. Sai come avrebbe potuto avere salva la vita?» Non ci fu realmente bisogno di una risposta. «Dicendo alla Tessitrice esattamente ciò che voleva sapere».
«Non so a cosa ti riferisca», mormorò, evitando di guardarla direttamente negli occhi.
«Non puoi mentire, Stoffel. Neanche gridare aiuto, perché tu non dovresti essere qui. Lo sai bene, infatti ti sei guardato dal farlo».
Lo vide deglutire. «Il mio confratello tornerà presto».
«Forse non così tanto», intervenne Scudo. Almeno sapeva obbedire agli ordini.
«Adesso i nomi».
«A-Airlis non me li ha mai detti». Naturale. Fino a prova contraria, non era un’idiota.
«Ti permette però di chiamarla per nome. Quindi…», lo incoraggiò.
«Hanno agganciato la laekur», sputò, trasudando disgusto per se stesso.
«Quanto in là si sono spinti?»
«U-un certo Nioclàs l’ha convinta a scappare». Aracnide imprecò mentalmente. «Sa tutto, credo».
Non riuscendo a trattenersi, gli scoppiò a ridere in faccia: ad Alles erano solo in due a sapere tutto. Nemmeno lei faceva parte degli eletti, figuriamoci una bambina del popolo dell’acqua. Il povero Stoffel però ci credeva davvero. Probabilmente pensava anche che Airlis l’amasse – ciò faceva ridere Aracnide ancora di più, se possibile.
«Ho un messaggio per la nostra comune amica, Stoffel. Di’ alla Signora che, se i suoi alleati faranno progressi, per lei sarà impossibile tenere nascosto quel piccolo segreto. Dille che aiutarci è nel suo interesse. Sappiamo che è l’unica a conoscere tutti i nomi». Se il confratello di Gaemal era veramente innamorato di Airlis, gliel’avrebbe riferito. Aracnide ci contava. «Dov’è la laekur?»
«A Frey», rispose senza più opporre resistenza. Aracnide ritirò la pistola.
Fu questione di un attimo, un guizzo, i suoi artigli saettarono sullo zigomo destro di Stoffel, lasciandosi dietro una scia scarlatta e una smorfia di dolore. Un messaggio che sarebbe arrivato forte e chiaro agli occhi del destinatario.
«Bravo, bravo guerriero». Fece un passo indietro. «Di’ ad Airlis che la Tessitrice la saluta, in attesa di incontrarla personalmente».
Con un gesto della mano si dissolse nella notte, ombra tra le ombre.
 
 
***
 

Nicodemus aveva sperato che, tra tutti i purosangue che bazzicavano il Mondo degli Elfi, quell’incompetente di Fabbro non sarebbe andato a scegliere proprio lei. Visti i recenti avvenimenti, Nicodemus avrebbe fatto meglio a evitare di attirare la malasorte con certe speranze inutili. Purtroppo, non imparava facilmente dai propri errori.
Odessa era davanti a lui, accompagnata dal pirata, in tutto il suo splendore. Diede una rapida occhiata al crèhl, per verificare i propri sospetti, e notò con piacere di avere ragione. Quegli occhi di ghiaccio non riuscivano a celare il fascino suscitato da quella donna bellissima. I capelli verde scuro che ricadevano sulle spalle magre in morbide onde, gli occhi rosati, la pelle olivastra e priva di ogni imperfezione… erano solo alcune delle prove evidenti che dimostravano la natura non umana di Odessa.
Il suo sguardo, invece, garantiva il disgusto che provava per quella razza.
«Interessante», esordì. «Questo pirata ha dimenticato e di farmi il tuo nome e di accennare a un’umana. Come dovrei reagire?»
La voce melodiosa e squillante nel corso degli anni si era abbassata di un semitono, l’espressione di Odessa era più matura e i capelli acconciati in una pettinatura diversa. Incredibilmente, a Nicodemus sembrava che quegli anni non fossero mai passati.
«Dipende», si leccò le labbra sottili, «vuoi rendere vano il tuo viaggio fin qui?»
Le occhiate infuocate del crèhl gli trapassavano la schiena. Era tra i più fastidiosi che avesse mai incontrato, sicuramente il più malfidente. Possibile che fosse così barbaro da realizzare che, siccome Nicodemus aveva giurato sul proprio onore, non lo avrebbe tradito? Gli umani avevano davvero una considerazione così bassa delle promesse solenni?
Ma guarda un po’ in che situazione ti sei andato a cacciare. Avresti potuto benissimo lasciarla morire, il crèhl sarebbe stato troppo sconvolto per portare a termine la sua missione.
Sul momento, però, non era riuscito a ideare un piano migliore.
Ormai era comunque troppo tardi per pentirsene.
«Pochi giochi di parole, vecchio amico. Perché stai aiutando una Bandita umana?»
«Ho dato la mia parola». E questo, lo sapeva, sarebbe bastato.
Non gli sarebbe potuto importare di meno della salute della ragazza, era palese. Anzi, Nicodemus non era nemmeno assolutamente certo di farle un favore, aiutandola: al suo posto avrebbe fatto di tutto per evitare una vita del genere.
Immagini si fecero strada nella mente di Nicodemus. Un terremoto. Famiglie terrorizzate che cercavano una via di fuga da un cielo dello stesso colore della cenere. Ed era proprio cenere, quella che si posava sui corpi che giacevano ai lati delle strade, nascondendo gli orribili segni che sfiguravano i loro volti.
Ma non era quello che quel Lambert Kane aveva sperato di sentirsi dire, mentre implorava implicitamente il suo aiuto. Non sapeva niente, lui, credeva ancora che per la sua collega ci fosse una speranza. Era convinto che lei 
ancora esistesse.
Nicodemus aveva visto una persona supplicarlo di porre fine alle sue sofferenze, mentre il marchio sul suo braccio assumeva la forma di Doygaz. Non era stato abbastanza misericordioso da fare come diceva lei e suo fratello era morto.
Un altro aneddoto da non condividere con il crèhl.
«Non voglio prendermi la responsabilità di una simile creatura», tenne a precisare Odessa. Tipico di lei.
«Ovviamente no. Tu farai quello che va fatto e poi ognuno andrà per la sua strada. Non ci vedremo più, nessuno di noi».
«Finalmente una buona notizia», fu il commento acido dell’umano. Nicodemus lo guardò con la coda dell’occhio: il suo sguardo semitrasparente era sempre fisso su Odessa, ma – e questo rese felice il pirata – non v’era traccia di desiderio. Per lei sarebbe stata una disfatta totale.
Il crèhl li esortò a fare in fretta. Odessa annuì, rivolse il polso verso Nicodemus e attese che lui praticasse l’incisione. Dovette procurarle dolore, ma non batté ciglio. Non sarebbe stato degno di un’arkaos. Si avvicinarono dunque alla ragazza, ancora priva di sensi. Mentre Nicodemus le sorreggeva la testa, Odessa avvicinava il polso ferito alle labbra ormai violacee. L'umana dovette percepirne l’odore, perché improvvisamente si irrigidì.
«Come si chiama?», chiese il pirata a Lambert.
«Jo-Kaj. Si chiama Kaj». Per la prima volta da quando era iniziata tutta quella faccenda, sembrava veramente preoccupato. Il pirata si rivolse alla Bandita.
«Bevi, Kaj». Lei si agitò tra le sue braccia.
«No!», rantolò lei. Odessa sospirò.
«Bevi e tutto si fermerà».
«No, per favore!» Poteva solo immaginare cosa il Veleno le stesse mostrando, tuttavia non riusciva a provare né pena né empatia nei suoi confronti. Per lei sarebbe stato molto meglio morire. Comunque, non era affar suo. Nicodemus doveva fare solo in modo che quella faccenda si risolvesse presto.
Strinse la presa sulla ragazza.
«Stai morendo, Kaj. Bevi».
Quello sembrò funzionare. Dopo un tremito, le mani pallide si mossero istintivamente verso il braccio di Odessa.
La ignjs bevve.





 
  
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