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Autore: _Ery1999_    09/11/2015    0 recensioni
Quando la piccola dimora si affaccia alla vista, dall’alto del suo colle bianco, il Guerriero freme e inizia a correre, trattiene un grido in gola, e quando la Dama gli apre la porta, lui si perde nei suoi occhi scuri, piange, stringendosi forte al suo seno. E finalmente, dopo mesi di freddo e sangue, si sente a casa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Dama e il Guerriero


 

La neve punge la pietra delle strade, imbianca i tetti, riveste gli scheletri degli alberi, curvi come vecchi. Nell’aria fredda aleggia un tanfo metallico di Morte e sangue, la Guerra serpeggia fra gli uomini, a cui restano nient’altro che poche consapevolezze: molte altre vite saranno falciate dalla Mietitrice, molte altre mogli piangeranno su lapidi immacolate, a molti altri figli rimarrà soltanto il ricordo di mani grandi e forti.
I gruppi dei soldati che rientrano, che tengono fra le dita il filo di una speranza tremolante, si riuniscono nei vicoli e nelle piazze. Si sentono quasi in colpa di essere vivi, di respirare ancora, di esistere, quando le donne cercano tra loro i volti dei mariti che non torneranno, quando si strappano i capelli e gridano di un urlo brutale, animalesco. Ma loro non parlano dei compagni caduti, non oserebbero. Si limitano a sopravvivere trascinandosi di minuto in minuto, chiacchierano del più e del meno, della neve, dei bambini, della povertà. Quando la sera cala sul borgo, oscurando la vista e risvegliando i fantasmi, i pochi rimasti in strada si disperdono come formiche, entrano nel tepore delle loro case, mangiano pasti caldi, baciano la propria moglie. Soltanto uno rimane ancora nel buio per qualche istante, solo, per assaporare meglio il momento tanto agognato. Si affretta fra i cumuli di neve che si sono formati agli angoli delle strade, scivola sul ghiaccio, inciampa, ma continua a tremare d’impazienza, continua ad aumentare il passo. Quando la piccola dimora si affaccia alla vista, dall’alto del suo colle bianco, il Guerriero freme e inizia a correre, trattiene un grido in gola, e quando la Dama gli apre la porta, lui si perde nei suoi occhi scuri, piange, stringendosi forte al suo seno. E finalmente, dopo mesi di freddo e sangue, si sente a casa.


Era domenica quando si incontrarono per la prima volta. Il paesello brulicava di gente che passeggiava tra le bancarelle del mercato, comprava spezie, contrattava con i mercanti. La Dama, a braccetto con le sue due amiche, rideva armoniosamente e sembrava volteggiare nel suo vestitino rosso. Nella piazza, le fanciulle erano passate a fianco di un gruppo di giovani in armatura, aspiranti soldati, aitanti, coraggiosi. E mentre le sue compagne scambiavano sorrisi ammiccanti con quei perfetti sconosciuti, lo sguardo del Guerriero l’aveva trapassata da parte a parte, le aveva tolto il respiro, e la Dama era stata costretta ad abbassare gli occhi. Lei, sempre così orgogliosa e fiera, aveva ceduto a quei due specchi scuri, neri come la pece.
Tornata a casa, quel nero l’aveva perseguitata sempre più intensamente, e anche la sera, nel letto, togliendole il sonno, e il giorno dopo, e quello successivo, e quello dopo ancora... Alla fine, distrutta e sconfitta, si era decisa a rivolgergli la parola, tremante di rabbia perché non le era mai successo prima che un uomo la stravolgesse così. Il Guerriero le aveva sorriso con compassione, come se comprendesse quella collera stupida, come se conoscesse il suo io così tronfio e borioso. Le aveva parlato di fiori e di stelle, fino a quando il Sole si era addormentato dietro ai monti, e la Dama era rimasta incantata da quelle lunghe ciglia scure, da quegli occhi grandi che non avevano abbandonato nemmeno per un istante il suo viso, non avevano mai ardito soffermarsi sulla piccola scollatura della camicetta o sulle slanciate gambe bianche.
Lei aveva continuato a ricacciare indietro quel vuoto allo stomaco che avvertiva quando era con lui, fino a quando un pomeriggio, sdraiati sull’erba, il Guerriero si era arrotolato attorno al dito una ciocca dei suoi boccoli scuri e le aveva detto “Sei bella”, ghermendole il cuore. La Dama non era bella, non lo era mai stata, eppure attraverso di lui riusciva a sentirsi l’incarnazione di ogni meraviglia esistente nell’universo. Il modo in cui lui la sfiorava, in un misto di rispetto e desiderio bruciante, la facevano fremere vergognosamente, come una foglia secca nel vento.
Anni dopo, quando quel vuoto allo stomaco era diventato infatuazione e l’infatuazione amore, il Guerriero aveva preso nelle sue le mani sottili della Dama, infilandole un anello bianco al dito, e mentre lei gridava un “sì!” abbastanza forte da far tremare la terra, entrambi suggellavano un patto impronunciabile che si erano fatti in quella domenica di Luglio, o che forse era semplicemente scritto nelle stelle, le stesse stelle che lui tanto adorava e decantava.
Quando i mesi erano trascorsi sereni, e loro avevano finalmente tentato di trasformare quell’unione in altra vita, il grembo della Dama, però, era rimasto vuoto, sterile, e il Guerriero le aveva asciugato ogni lacrima con dita tremanti, le aveva baciato la fronte, dolcemente, sussurrandole un “Ti amo” tanto disperato quanto sincero.
Né il rispetto né il desiderio erano stati mai scalfiti dal tempo o dalle incomprensioni, e il loro amore era rimasto incontrastato e incontrastabile, senza ma e senza perché.
Quando lui era partito, più e più volte, per servire la patria che amava sopra ogni altra cosa dopo lei, la Dama non aveva mai incrociato sguardi di altri uomini, mai sperimentato tocchi estranei, mai ricambiato sorrisi peccaminosi: aspettava palpitante il suo ritorno, agognava le sue mani e le sue labbra, di lui e di lui solo. E il Guerriero, quando affondava la lama nella carne di altri padri, e figli, e fratelli, non si arrischiava mai a pensare a lei, perché sarebbe tornato bambino nel ricordo delle sue braccia calde e del suo petto palpitante, avrebbe smesso di combattere, avrebbe avuto pietà di quegli occhi che spegneva, un paio dopo l’altro, e non poteva, semplicemente non poteva. Una volta tornato all’accampamento, il volto dolce della Dama gli appariva d’improvviso, impresso nelle retine, e lui si affrettava a scriverle lettere interminabili che sapeva non avrebbe ricevuto, piangendo,implorando perdono per il mare di sangue che era costretto a spargere. Quando posava la penna, quell’apparizione si apriva in una grazia luminosa, e lui sorrideva. Impregnato del tanfo dei cadaveri, il Guerriero sorrideva.


 

Il fuoco divampa nel camino e sembra allungare le mani incandescenti fra i ceppi che sta divorando, insaziabile. Il rosso delle fiamme inonda il tappeto grigio, schiacciato da due corpi nudi, avvinghiati. E’ sempre così la sera in cui lui ritorna dalla battaglia: la Dama e il Guerriero fanno l’amore sul pavimento, cercano l’uno la pelle dell’altra, si nutrono, si sfamano, e la Luna, affacciata timidamente dal balconcino di pietra, raccoglie i loro sospiri e baci, trasformandoli in altre stelle, e li dissemina in cielo, sparpagliandoli in una ragnatela luminosa. La notte scorre tranquilla, sorprendendo i due amanti addormentati fino al sorgere del Sole, quando il gallo canta e le nuvole si tingono di porpora.
Al mattino il paese è in festa, e perfino le donne col velo nero calato sul capo si affacciano dalle finestre, nella speranza vana che quell’allegria altrui le contagi, anche solo per qualche misero istante. Si gela, ma la gente riempie ugualmente le vie, le risate dei fanciulli che si rincorrono riecheggiano tra le case, le grida di gioia degli uomini si innalzano come polvere verso l’alto. “La Guerra è finita!” esultano, e tutti si abbracciano, si baciano, si stringono, godendo della pace tanto agognata, ringraziando Dio di respirare ancora. La Dama e il Guerriero si fanno strada nella folla, mano nella mano, senza accorgersi che la loro bellezza quasi stona nel popolo, è accecante, imbarazzante. I contadini tolgono il berretto dal capo, abbassando gli occhi sulle scarpe inzaccherate di terra, e sussurrano un “Generale” a mo' di saluto perché pronunciarlo a voce alta sarebbe irrispettoso, e loro hanno troppa stima di quell’uomo per commettere un simile sgarro. Lui è l’eroe del paese, il soldato senza macchia e senza paura, invincibile, dicono alcuni. Una tale reputazione gli fa gonfiare il petto d’orgoglio, ma la Dama non è felice della sua gloria, il Guerriero lo sa, perché tante volte gli ha detto che preferirebbe essere la moglie di uno storpio piuttosto che di un paladino che puntualmente rischia la vita per quella gloria inutile, la lascia sola nell’angoscia. “E se non dovessi tornare?” gli ripete sempre, ma lui a quella domanda non vuole rispondere, non può rinunciare a quel prestigio che finalmente è riuscito a raggiungere, continua a fuggire dalla paura di morire perché si sente invulnerabile in quel fiume di applausi che lo annunciano. E’ incosciente, il Guerriero, e forse anche un po’ egoista, ma lei lo ama, lo rispetta, cosa può farci?
Quando la folla si placa e quel brusio concitato di complimenti sfuma, la coppia riesce a sgusciare fuori dalla realtà, ritagliando un angolino tutto per sé, uno spicchio di mondo che sa di magia e polvere di stelle, e che ha il colore delle fragole e della pece. Così, senza sapere come, la Dama e il Guerriero si ritrovano infinitamente soli, passeggiando in un mare di gente.
Soltanto quando il campanile scandisce dodici rintocchi i mercanti disfano le loro bancarelle, con le tasche appesantite da un magro salario. Dalle finestre si spandono profumi soavi che serpeggiano tra le case, infestano l’aria, si confondono tra loro, e anche la dimora sul colle emana un aroma squisito, di carne e zafferano. Il Guerriero divora tutto con ingordigia, ringrazia con gli occhi la donna seduta di fronte a lui, che lo guarda di sottecchi, divertita. Quando nel piatto non sono rimaste neppure le briciole, quando finalmente, dopo settimane, il fiume della vita sembra aver ripreso un corso banale e perfetto in cui navigare, la Dama può permettersi di tornare bambina, spensierata, e, dopo aver afferrato un cuscino, inizia a giocare come non fa da tanto, troppo tempo. Colpisce il marito alla schiena, lui si volta e la trascina a terra, le fa il solletico, le scompiglia i capelli, e le loro risate rimbalzano sulle pareti, si librano in cortile, coprono ogni paura, ogni pensiero, coprono perfino quel tanfo di Morte che lui si porta dietro, tatuato sulla pelle come un marchio invisibile.
Il Guerriero sta cercando le labbra di lei mentre un rumore alla porta ferma il tempo, divora quella gioia appena sbocciata, stende un velo d’inquietudine sul nero dei suoi occhi, e lui sa che non può ignorarlo, quel rumore, anche se è l’unica cosa che vorrebbe. Si alza e la porta d’ingresso viene spalancata, l’aria frizzante dell’inverno inonda la casa, portando con sé cattivi presagi.
- Per voi, generale – un messaggero porge, esitante, una pergamena accuratamente arrotolata e chiusa dal sigillo reale. Quel cremisi spicca come sangue sulla pelle immacolata di un bambino. La Dama assiste da lontano a quel momento, ancora stesa sul pavimento, con le guance rosse e le lacrime che si impigliano nelle ciglia. Sente altre parole, infinitamente lontane, ovattate, il fruscio della carta che viene srotolata frettolosamente e poi il tonfo del legno che si richiude cigolando. Il silenzio che segue è così assordante che entrambi compiono uno sforzo sovrumano per non scappare via, in un’altra vita, in un altro mondo distante anni luce da quella calma.
- Avevi promesso che sarebbe stata l’ultima volta – la voce flebile e tremante della Dama emerge da quel chiasso inudibile, e il Guerriero non sa cosa rispondere, non sa come scusarsi, come sfuggirle. Semplicemente, non può. Come difendersi da una promessa infranta?
- E’ da parte del re... – e con quella frase, con quella semplice costatazione, ogni speranza che lui possa restare cade, affonda nel vuoto, nell’oblio della paura, dell’angoscia. Il sovrano gli chiede di dirigere le legioni che affronteranno la prossima Guerra, improvvisa e inaspettata, però è scritto chiaramente, in fondo alla missiva, che anche un rifiuto è ben accetto, perché persino il re si rende conto che il Guerriero ha fatto fin troppo per la sua patria. Può scegliere, decidere di restare con lei, a fare l’amore davanti al fuoco, a mangiare pasti caldi e godere della sua risata, ma il nero che ha negli occhi dice altro e la Dama perde, ancora. La stanchezza la pervade e si insinua in ogni anfratto di pelle, nei muscoli, nelle ossa, e quando finalmente capisce che suo marito la sta abbandonando di nuovo, una rabbia cieca che non le è mai appartenuta si impossessa di lei, sconfinando oltre corpo e mente.
Il ciack sonoro dello schiaffo rintrona a lungo nelle camere. Il Guerriero, sconvolto, si volta verso di lei e quasi non la riconosce. Quella che ha davanti è Rabbia, Rabbia personificata e viva, reincarnata in una donna. La sua donna. Quando la guarda negli occhi e vede soltanto braci ardenti, per la prima vera volta nella vita, ha paura. Il soldato, il generale, l’uomo, l’eroe, ogni faccia di lui ha paura di quel viso sfigurato dalla collera e dalla delusione.
La Dama lascia la stanza senza far rumore, e quando raggiunge il letto che la notte prima ha condiviso con suo marito, finalmente le lacrime sono libere di sgorgare.
Per il Guerriero non è facile essere invisibile agli occhi di lei. Quando lo evita, lo scansa, non gli rivolge la parola e neppure uno sguardo, si sente incalcolabilmente piccolo, come un insetto, sporco, insulso, e la cosa peggiore è che lei ha ragione. E lo sanno entrambi. La notte li coglie divisi, per la prima volta dopo anni: lui sul divano, rannicchiato come un feto; lei ancora stesa sul letto, persa in pensieri cupi che le lasciano un sapore di sangue in gola.
Il sonno abbandona entrambi e quando l’alba sorge non c’è più niente da dire che non sia stato già detto. Nient’altro da fare se non soccombere agli eventi, inesorabilmente.
Solo dopo tre giorni di completa indifferenza, la Dama si rende conto che quella è l’ultima volta che lo vedrà, prima che la Guerra finisca. Perché sicuramente quel presentimento che le contorce le budella è solo una sensazione stupida, infondata. Il Guerriero è già tornato e tornerà ancora. Se lo ripete come una mantra, senza sosta, e non smette neppure quando gli rivolge la parola dopo un silenzio interminabile. Lui le accarezza il viso con le sue mani grandi, e si baciano come se fosse la prima volta. O forse l’ultima? Le ore si accavallano, scivolando via una dopo l’altra. La Dama, mentre lo stringe nel buio che la tormenta,vorrebbe poter fermare il tempo, far tacere il corso della Luna e del Sole, per sempre, gridare di disperazione e impotenza, ma sa che non servirebbe, quindi ingoia altre lacrime, lacrime che si mescolano a quel sapore di sangue che non l’abbandona.
Un sentore di Morte non le lascia scampo fino allo sbocciare dell’aurora, fino a quando il Guerriero le fa una carezza sul braccio e abbandona il letto. Si ritrovano in cortile, con una pesantezza strana e nuova ad intorpidirli. Il Guerriero le bacia la fronte bianca e la guarda profondamente negli occhi. “Tornerò” le dice, ma lei stavolta non ci crede, stavolta vede una luce diversa nel nero che ama. Sarebbe disposta a fare qualunque cosa se avesse anche solo un’unica, magra speranza che lui scegliesse di non partire, di mettere lei al primo posto, dopo l’onore, dopo la gloria. Ma sa che non può nulla, quindi resta ferma, immobile, congelata dalla paura e dal rimpianto.
Mentre lo vede salutarla con la mano, incorniciato dai monti e da un Sole ancora addormentato, la Dama avverte un singolo, impercettibile movimento nel grembo. Porta una mano al ventre e subito capisce cos’è quella sensazione di cui non è riuscita a liberarsi.
Una lacrima solitaria le riga la guancia, le attraversa il volto freddo, poi bagna la terra, morta.  

  
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