Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: rossella0806    09/11/2015    3 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

LA VOCE DELLA COSCIENZA



Si trovavano nel bel mezzo di una mossa assai difficile da compiere, forse addirittura vitale: se Philippe avesse mosso proprio quella pedina, avrebbe di sicuro guadagnato un ottimo sorpasso rispetto alla sua avversaria; tuttavia, era da considerare il fatto che, se Vivianne avesse continuato a non accorgersi di quella povera torre, immobile da troppe mosse, forse la vittoria sarebbe stata comunque nelle mani dell’uomo.

Ma anche lei, osservando meglio, non se la stava cavando così male: era in svantaggio di una sola pedina, quindi le sorti della partita si potevano considerare ancora ampiamente aperte …
“Allora, cosa aspetti?!” lo punzecchiò la ragazza, il gomito appoggiato sul bordo del tavolo e il mento sulla mano destra chiusa a pugno.
“Un attimo, accidenti, ho bisogno di concentrazione! Prima mi hai battuto, ma non credere che ti permetterò di bissare, cara la mia furbetta!”
Quel duello a dama li stava incalzando fino allo sfinimento: avevano terminato di cenare da quasi un’ora, ormai, poi Vivianne si era offerta di lavare le poche stoviglie che avevano utilizzato e, esortata da Philippe che la stava tampinando con mille domande a trabocchetto, aveva cominciato a raccontare ciò che era accaduto tra lei e Alexis, l’amministratore delegato di una ditta di costruzioni edili che aveva conosciuto qualche settimana prima durante le sedute di riabilitazione per il braccio fratturato dell’uomo, conseguenza di una rovinosa caduta durante le sue solite avventure estreme di climbing.
Adesso, tra una mossa e l’altra, ne stavano approfittando per gustarsi il terzo bicchiere di vino bianco e i biscotti che Philippe aveva comprato quella sera al supermercato, delle pastefrolle ripiene di scorzette all’arancia e ricoperte di glassa al cioccolato fondente. 
“Senti, finiamola qui …” propose lo psicologo, appoggiando la schiena contro la sedia e massaggiandosi il collo, allontanando la scacchiera.
“Non riesco più a concentrarmi, scusami” continuò, alzandosi e andando a recuperare una bottiglia di acqua frizzante dal frigo.
“Eh già, troppo comodo! Solo perché prima ti ho battuto e adesso siamo praticamente pari, ti vuoi arrendere così?! Se vuoi, possiamo fare una pausa, ma dobbiamo assolutamente concludere la partita, perchè non ho intenzione di andarmene via senza prima aver vinto!”
La donna trangugiò gli ultimi sorsi di vino bianco dal piccolo flȗte di cristallo, per poi versarsi un po’ di sana e naturale acqua.
“Aspetta, ti do un bicchiere pulito …”
“No, non serve” lo bloccò lei, mentre Philippe riprese la sua postazione sulla sedia bianca, di fronte alla fisioterapista.
“Cosa c’è che non va? Ti avviso che non accetto bugie, ma solo la verità!” continuò con fare perentorio la ragazza, ammiccando in maniera cospiratoria.
Lui distolse lo sguardo, cominciando a soffiare ritmicamente con le guance riempite di aria.
“E’ che sono rimasto turbato da quello che mi hai raccontato … insomma, ne sei davvero sicura?! Sei così giovane, Vivianne, avete quindici anni di differenza …”
“Per l’esattezza sono tredici” precisò lei, continuando a versarsi quel liquido chiaro e insapore.
“Beh, sono comunque tanti per due persone che si conoscono da poco. Un mese non basta per …”
“Trentotto giorni domani, sempre se vogliamo essere esatti … ”
“Oh, ma insomma, la smetti di precisare tutto ciò che ti dico?!” sbottò l’uomo, rubandole la bottiglia di acqua frizzante per versarne un po’ anche nel suo bicchiere macchiato di vino bianco.
“Vuoi farmi la morale ed io cerco solo di spiegarti le cose come stanno! E poi, non mi sembra che tu sia nella condizione privilegiata di dirmi cosa sia giusto o sbagliato: dispensare consigli amorosi, proprio in questo periodo della tua vita, Philippe, è una prerogativa che spetterebbe a qualcun altro, credimi …”
L’uomo la fissò con tanto d’occhi e, le labbra incurvate in un mezzo sorriso, ribatté amaro, strappando un sorriso a Vivianne, lo sguardo in fiamme come non glielo aveva mai visto:
Touché, mi arrendo: sai, in realtà mi stupisce molto di più il tuo linguaggio forbito rispetto alle tue sagge parole che, ammetto a malincuore, essere sensate e giuste, però …”
“Senti, lo so che ti preoccupi solo per il mio bene, ma non è che mi sposo domani!" tentò di farlo ragionare, avvicinando la sedia sotto il tavolo.
"Alexis me lo ha semplicemente chiesto, non c’è ancora nulla di deciso! Anzi, mi ha dato persino tutta l’estate per pensarci a fondo, per riflettere sulla sua proposta! Se io accetterò, com’è mia intenzione, il matrimonio non sarà prima dell’anno prossimo, addirittura a maggio o a giugno! Quindi, caro il mio amico preoccupato inutilmente, avrai tutto il tempo per digerire questo affronto!”

Philippe la guardò per qualche secondo, mentre lei recuperava la scacchiera e la riponeva al centro del tavolo, di fronte a loro.
“Allora, pigrone? Vogliamo riprendere a giocare o hai troppa paura di perdere?”
Lo psicologo le prese le mani tra le sue e, la voce seria, così come gli occhi verdi concentrati in quelli azzurri della sua interlocutrice, la redarguì:
“Promettimi che ci penserai, che userai tutta l’estate per rifletterci bene: non fare nulla di affrettato, Vivianne, perché potresti pentirtene. Ti chiedo solo questo …”
La ragazza sbuffò, sciogliendosi da quella sorta di abbraccio: deviò lo sguardo verso un punto imprecisato della parete, poi si morse contrariata le labbra e replicò, cercando di mantenere un tono di voce calmo.
“Ho capito perfettamente che Alexis non ti è mai andato a genio, non ci vuole un indovino per accorgersene. Ma il fatto che a te non piaccia, per chissà quale stupido motivo, non vuol certo dire che anch'io non debba farmelo piacere o che, peggio ancora, rinunci alla mia felicità solo per un tuo scrupolo morale o per un'infondata gelosia! Adesso, se vuoi finire la partita, ne sarei molto felice, altrimenti posso anche andarmene! Intesi?”
L'uomo aprì la bocca per replicare, cercando di non mostrare l'amarezza che la reazione dell'amica gli aveva suscitato; così, decise di capitolare, dimostrando che l’ultimatum aveva sortito l’effetto desiderato:
“D’accordo, scusami se continuo a farti la paternale e mi preoccupo per te, non volevo offenderti. Dov’eravamo rimasti?”



Quella sera, a letto, Philippe non riusciva a dormire: accese la lampada dalle fattezze di ape regina e sbirciò l’orario sulla sveglia di fianco ad essa, sistemata sul comodino.
Sono appena le tre e dieci, constatò sbuffando e alzando gli occhi al soffitto: si era coricato da più di due ore, ma il sonno tardava ad arrivare, snobbandolo senza ritegno.
Si consolò convincendosi che, almeno, non avrebbe dovuto preoccuparsi di come fare l’indomani mattina ad alzarsi, dal momento che era venerdì sera, anzi, ormai sabato mattina e, per questo, non sarebbe dovuto andare al Centre dai suoi ragazzi.
Vivianne aveva ragione, doveva ammetterlo: con quale diritto poteva arrogarsi la moralità di quella scenata che le aveva fatto?
Si era reso ridicolo e inutilmente preoccupato, rischiando di rovinare quella bellissima serata che avevano trascorso insieme.
Obiettivamente e senza troppi giri di parole, lui era l’ultima persona sulla faccia della Terra che avrebbe dovuto permettersi di parlarle in quel modo, di dirle di non sposare Alexis solo perché lui, Philippe, lo aveva sempre ritenuto un borioso fannullone, ricco da fare schifo e geloso della sua effimera bellezza, così simile a quella di una statua greca, altezzosa, ammirata e invidiata da tutti.
Parlo io che dico di amare Liliane, ma in realtà penso ad un’altra, che ha dieci anni più di me ed è la madre di una dei miei ragazzi! Sono davvero uno stupido!
Non sapeva cosa fare, come togliersi da quell’assurda situazione: l’ultima cosa che desiderava era far del male a Liliane; le era affezionato e ormai credeva di amarla, perciò non voleva farla soffrire inutilmente, allo stesso modo di come non avrebbe voluto far soffrire nessun'altra persona.
Aimée, invece, molto presto non l’avrebbe più rivista: martedì sera ci sarebbe stata la cena al Centre per salutare Sophie, che avrebbe lasciato la struttura alla fine della settimana successiva, quando tutte le pratiche burocratiche fossero state finalmente e debitamente compilate e depositate presso il tribunale dei minori.
Philippe era conscio che, molto probabilmente, per non dire sicuramente, non le avrebbe mai più riviste: l’intenzione della donna, infatti, fin da subito era stata
quella di scappare da Versailles e, insieme alla figlia ritrovata, stabilirsi in una città lontana da tutto e da tutti, forse addirittura sarebbe tornata in Senegal, il suo Paese natale, sebbene lo psicologo nutrisse dei dubbi a tal proposito, dal momento che Sophie era sempre vissuta in Francia, parlava benissimo la lingua ed era abituata alla cultura occidentale.
Non dovrò più incontrarla, è la cosa migliore per tutti. Anzi, a questo punto, forse è meglio che non vada neppure alla cena di martedì … sarebbe troppo imbarazzante ritrovarmi faccia a faccia con entrambe.
Il beep del cellulare catapultò nella realtà attuale Philippe: si era dimenticato di spegnere il cellulare, sommerso da tutte quelle preoccupazioni, per questo, in un primo momento, non realizzò subito da dove provenisse e cosa fosse quella vibrazione.
Accese nuovamente l’ape regina e tastò sul comodino, non trovando nulla a conferma di ciò che aveva udito.
Si alzò dal letto e, abbassandosi sul parquet, scorse finalmente il telefonino che era finito, chissà come, quasi sotto il mobile adiacente, un comò sormontato da una specchiera dorata, regalo di sua madre.
Rimessosi in piedi, il cellulare in una mano, ne approfittò per fissare la sua immagine allo specchio: aveva i capelli arruffati e un’espressione preoccupata sul volto in penombra.
Stava sorridendo debolmente, quasi come gesto di auto compatimento, quando l’occhio gli cadde sulla maglietta che gli faceva da pigiama, raffigurante il viso di un ragazzo intento a fare una linguaccia, incredibilmente rossa, i pantaloncini neri che si confondevano con l’oscurità.
Ritornò a concentrarsi sull’oggetto che teneva saldo ma che non aveva il coraggio di guardare: gli venne una strana voglia di scendere le scale, uscire di casa e andare a fare un giro sulla Pegeout rossa, senza meta, senza un vero motivo, solamente per cercare di svuotare la mente, concentrandola sulla guida.
Ma subito abbandonò quel pensiero, perché si ricordò con non troppa difficoltà che odiava spostarsi in macchina, di notte, sebbene quello sarebbe stato un semplice giro a vuoto per le strade della città: si diede dello stupido e persino del pazzo, ripensando all’idea che gli era appena venuta in mente.
Preferì quindi tornare sui suoi passi, non prima di rimettersi a letto; così, si diresse verso la finestra e la aprì leggermente: alzò le veneziane quel tanto che bastasse per permettergli di vedere il retro del giardino e sbirciare fuori.
L’albero di melo, più simile a un arbusto troppo cresciuto che a una vera pianta da frutto, era lì sotto, a pochi metri da lui: le fronde, ricoperte per metà dai frutti ancora immaturi e per l’altra metà dai fiori appena sbocciati, si muovevano impercettibilmente al ritmo della leggera brezza notturna.
Philippe voltò lo sguardo verso destra, dove due anni prima aveva piantato un ciliegio, i cui primi boccioli erano ben visibili sui rami sottili.
Il vialetto d’entrata si trovava dall’altra parte, protetto da una siepe di glicine.
Rimase affacciato al davanzale ancora per qualche secondo, poi abbassò le veneziane e richiuse le imposte.  
Solo allora trovò la forza di ritornare sotto le lenzuola e di affrontare il display del cellulare, la stanza ancora immersa nel buio notturno.
"Scusa per l’ora, ma non riesco a dormire. Vorrei fossi qui con me. Ti aspetto domani a pranzo. Ti amo"
L’uomo deglutì, avvertendo un senso di ansia mentre leggeva il mittente del messaggio: era Liliane, anche lei insonne, ma per un motivo molto diverso dal suo, esattamente l'opposto.
Si sentì di nuovo in colpa per quel doppio sentimento per cui non riusciva a trovare una soluzione; la sua fidanzata -ormai era giusto definirla in quel modo- desiderava solo essergli accanto, voleva Philippe e basta, nessun altro, solo lui.
Gettò il cellulare sul comodino, senza preoccuparsi di danneggiarlo, poi spense la luce e si tirò il cuscino sulla testa.
A pancia in giù, chiuse per l'ennesima volta gli occhi e cominciò a contare, sperando che il sonno arrivasse finalmente a fargli visita.


   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: rossella0806