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Autore: Rin Hisegawa    25/02/2009    1 recensioni
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante. [MAYURI KUROTSUCHI X OC]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Bleeding Saga'
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La Sede del Consiglio era più imponente di come se la era immaginata. In piedi di fronte all’immenso portone di legno scuro, Rin osservava l’edificio a naso all’insù. La parete di intonaco bianco si innalzava per parecchi piani, spiccando nitida contro l’azzurro sereno del cielo. Il tetto, simile a quello di una pagoda cinese, era quasi invisibile sulla sommità: se ne scorgevano solo i bordi di mattoni rossi, che spuntavano ai lati dell’edificio come un orlo sottile.
- Muoviti, Rin. La voce di Kurotsuchi la riportò alla realtà. Con passo incerto, la ragazza seguì l’uomo oltre il portone, dentro al Tribunale. Un turbine di pensieri le affollava la mente. Non era forse una follia, per una probabile ricercata, introdursi così impunemente nel cuore della Seireitei?
Anche se lo fosse stato, la ragazza sapeva bene di non poterci fare nulla. Da tempo ormai aveva scartato l’idea di confessare a Kurotsuchi la propria condizione; inoltre, la gente non aveva ancora cominciato a parlare, e probabilmente il fatto che un’intera famiglia nobile fosse stata sterminata era stato insabbiato dalle autorità. Presumibilmente, il Consiglio ignorava l’identità dell’assassino.
Come se non bastasse, Rin aveva la quieta certezza che, se qualcuno avesse sospettato di lei, sarebbe già venuto a cercarla da tempo. Il fatto di aver potuto vivere fino a quel momento era di per sé una garanzia. Sospirò con scarsa convinzione, chiedendosi se era veramente possibile considerare vantaggiosa tutta quella assurda situazione: cosa le importava, infondo, di vivere o morire?
Al suo fianco, Kurotsuchi si fermò di botto. Erano entrati in un’ampia sala rettangolare, con il pavimento di legno e le pareti spoglie. Una decina di shinigami, fra Capitani e vice-Capitani, parlavano tra loro. Quando i due fecero il loro ingresso, alcuni si voltarono ad osservarli e uno, un uomo mingherlino con i capelli chiarissimi, passando lanciò a Kurotsuchi un’occhiata piena d’odio. Rin si domandò remotamente chi fosse, ma prima che potesse chiederlo a Mayuri l’uomo se n’era già andato.
Intanto, Kurotsuchi aveva attraversato la sala e si era soffermato davanti alla porta situata sul lato opposto, dove due shinigami in divisa nera stavano facendo la guardia. Mayuri chiese qualcosa, che Rin non riuscì ad udire. Uno dei due fece un cenno con la testa.
- Andiamo. - disse Kurotsuchi, voltandosi verso Rin. Lei si affrettò a seguirlo.
La guardia li condusse attraverso un lungo corridoio rivestito di legno, con la parete destra interamente occupata da finestre con il vetro a ghigliottina, attraverso cui la luce entrava prepotentemente riversandosi sul gruppo di passaggio. Rin chiuse gli occhi, assaporando il sole tiepido sulla pelle, e per un attimo sentì di non odiare poi tanto la vita. Kurotsuchi camminava in silenzio qualche passo davanti a lei.
- Dove stiamo andando? - chiese la ragazza.
- Voglio parlare con Urahara prima che cominci il processo.
Rin non replicò. Si limitò a seguire Kurotsuchi, in silenzio, fino alla porta blindata infondo al lungo corridoio. Altri due shinigami, armati di tutto punto, facevano la guardia e, al loro passaggio, si scambiarono uno sguardo severo. Mayuri sembrò non farci neppure caso.
- Aspettate qui. - disse la guardia che li aveva scortati non appena furono nella stanza.
Era un ambiente piuttosto triste, c’erano scure pareti spoglie e un lungo tavolo con tre sedie situato orizzontalmente al centro. Una porta si apriva sulla parete di fronte e, chiaramente visibile, un kekkai attraversava per lungo l’intera stanza impedendo di raggiungere l’altra parte. Rin immaginò che dovesse trattarsi di una qualche misura di sicurezza, e si chiese che genere di criminali fossero rinchiusi nelle prigioni della Soul Society.
Poi, d’improvviso, la porta dall’altro lato della stanza si aprì. Entrarono due shinigami dall’aspetto solenne, che si fermarono quasi immediatamente per lasciare spazio ad un terzo uomo. Questi indossava il kimono bianco dei prigionieri, ed aveva i polsi stretti in un paio di manette, che tintinnavano ad ogni suo passo. Rin, dal suo angolo, notò che sembrava perfettamente tranquillo e a suo agio, nonostante tutto.
Urahara si avvicinò al tavolo, a testa china, e si sedette sulla sedia dal suo lato del kekkai. I capelli biondi e spettinati gli coprivano gli occhi, rendendo impossibile stabilire la sua espressone. Tuttavia, l’angolo sinistro della bocca era piegato in un leggero sorriso.
- Ti ringrazio per la visita, Mayuri-san. - disse. Il suo tono era leggero, come se la situazione non lo riguardasse minimamente. Anche le labbra di Kurotsuchi si piegarono in un ghigno.
- Di niente.
- Ci sono un paio di cose che devo dirti, anche se c’è un po’ troppa gente in questa stanza, - continuò Urahara, accennando alle guardie in piedi davanti alle porte. Poi alzò la testa, e fissò Rin dritta negli occhi. – E poi c’è lei, - disse tranquillamente.
- Puoi parlare, - rispose Kurotsuchi. - Né lei né quelle guardie hanno le basi per capire ciò che non devono sapere, se misuri le parole.
Kisuke rise.
- Beh, direi che hai ragione, Mayuri-san.
Rin osservò il volto rilassato dell’uomo e i suoi occhi verdi, sorridenti e completamente privi di paura, e si chiese se fosse molto saggio o piuttosto molto stupido. Tuttavia, la sua espressione e i suoi gesti ispiravano fiducia; persino Kurotsuchi sembrava più rispettoso verso di lui, ma naturalmente questo poteva essere legato al fatto che Urahara era il suo Capitano.
- Piuttosto, Mayuri-san... - Kisuke si fece serio di colpo. - sembra che diventerai Capitano. Congratulazioni.
Kurotsuchi non rispose.
- Sono lieto di poter lasciare il mio posto ad una persona affidabile... Vorrei che continuassi quei progetti che sono costretto a lasciare a metà, spero che tu capisca.
Una persona affidabile... di che progetti stava parlando? Non erano molte le accezioni in cui si poteva considerare Kurosuchi “una persona affidabile”, almeno nel senso comune del termine. Inoltre, Rin sapeva bene che Urahara era stato messo in carcere per aver compiuto esperimenti illeciti su un Gigai... quanto poteva valere il criterio di giudizio di un uomo simile?
Urahara sembrò cogliere l’espressione scettica di Rin, così si affrettò a cambiare argomento. Era chiaro che di lei, invece, non si fidava per niente.
- Che cosa si dice del processo, là fuori? - chiese.
- Non molto, - disse Kurotsuchi, vago. - Si parla della possibilità di un tuo esilio permanente nel mondo degli umani, in ogni caso. Non è un argomento di cui quegli ipocriti discutono volentieri.
Urahara rise.
- Sei cinico come al solito, eh?
La conversazione proseguì ancora per un po’ su un tono leggero, ma Rin capì che gli argomenti importanti dovevano ancora essere trattati. Sapeva che entrambi gli shinigami stavano aspettando il momento giusto, in modo da potersi scambiare le informazioni senza che le guardie se ne accorgessero.
- Ti trasferirai nelle stanze riservate al Capitano, immagino, - disse ad un tratto Kisuke con leggerezza.
Kurotsuchi fece un cenno con la testa, ma Rin notò il lampo che attraversò il suo sguardo dopo che Urahara ebbe pronunciato quelle parole.
- Spero che sia rimasto qualcosa del laboratorio, visto l’impegno che le guardie hanno dimostrato durante l’ispezione, - replicò Mayuri, sogghignando. Il volto sotto la maschera, però, era contratto per la tensione.
- Diciamo... - Urahara si avvicinò il più possibile al kekkai, per non essere udito dalle guardie. - ... che ci sono ancora cose su cui si può lavorare... una volta trovata la chiave.
Esitò un attimo, lanciando un’occhiata nervosa allo Shinigami dietro di lui poi, con un lampo un po’ inquietante negli occhi chiari, continuò:
- Quello riuscito meglio lo hanno preso, ma ce ne sono altri piuttosto carini, se capisci quello che intendo.
- Dove devo cercare? - lo interruppe Kurotsuchi, la voce ridotta ad un bisbiglio.
- Basta così! - intervenne una guardia, avvicinandosi. Mayuri si voltò, lanciandogli un’occhiata fulminante. Rin si voltò a osservare la scena, tranquilla: le frasi che lui e Urahara si erano scambiati non erano abbastanza per poterne ricavare informazioni utili ad incolpare Kurotsuchi.
Ad ogni buon conto, comunque, l’uomo si voltò per allontanarsi, congedandosi da Kisuke con un cenno del capo. Anche Urahara fu avvicinato dalle guardie, per essere nuovamente scortato nella sua cella. Tuttavia, un attimo prima di scomparire oltre la porta infondo alla stanza, si voltò e puntò l’indice in direzione del pavimento, sorridendo. Rin si accorse di quel gesto, e lanciò a Kurotsuchi un’occhiata perplessa, ma lui la fulminò con lo sguardo e le fece segno di andare via.
Percorsero il corridoio fino alla sala centrale, sempre scortati dalla guardia ed in perfetto silenzio; nella grande stanza, gli altri Shinigami parlavano tra loro aspettando l’inizio del processo. La guardia si allontanò, tornando alle sue mansioni, ma non prima di aver lanciato a Kurotsuchi un’occhiata sospettosa.
L’uomo non sembrò neppure farci caso.
Si avvicinò invece al muro e vi appoggiò la schiena. Rimase così immobile, a braccia incrociate e con gli occhi chiusi, fino al momento in cui un altro shinigami non si affacciò da un portone annunciando che i Capitani potevano cominciare a prendere posto nel tribunale.
Rin, in qualità di semplice Dea della Morte, era costretta ad aspettare fuori la fine del processo. Altri, come lei, erano rimasti nella sala, e chiacchieravano tranquillamente tra loro in un angolo. Rin si sedette al lato opposto della stanza, e ne approfittò per riordinare le idee.
Urahara aveva detto che c’erano cose “su cui si poteva ancora lavorare” nel laboratorio. Era chiaro che si stava riferendo a qualche esperimento lasciato a metà. Tuttavia, la chiave per accedere a questi oggetti, di qualunque cosa si trattasse, era nascosta in un luogo di cui solo Kisuke era a conoscenza. Per finire, prima di allontanarsi lo shinigami aveva indicato il pavimento. Certamente le due cose erano collegate, ma in che modo? Il laboratorio era forse una stanza segreta sotterranea? Oppure la chiave era sepolta da qualche parte?
- Non ti ho mai visto da queste parti. Sei una recluta?
Una voce la riportò bruscamente alla realtà. Rin alzò gli occhi e, in piedi di fronte a lei, scorse una bella ragazza dai folti capelli biondo-rosicci, che le sorrideva.
- Mi chiamo Rin, - si affrettò a rispondere, tendendole la mano e cercando di suonare il più amichevole possibile. Non era facile essere cortesi, e al contempo preoccuparsi di rivelare il meno possibile su di sé.
- Matsumoto Rangiku, molto lieta, - rispose la ragazza, stringendole confidenzialmente la mano.
Sembrava non aver neppure notato il fatto che Rin si era presentata senza dire il proprio cognome; o non le importava, oppure semplicemente lo considerava un comune gesto di prudenza. Si sedette a gambe incrociate accanto a lei, e riprese:
- Dicevo, non ti ho mai visto in giro... di che Divisione sei?
- Ehm... - questa domanda, Rin non se la era mai posta. - Della dodicesima...
Era la soluzione più logica. Visto e considerato che si era presentata al tribunale in compagnia del vice-Capitano. Rangiku le lanciò un’occhiata di sbieco.
- Poverina. - disse, semplicemente. Rin alzò un sopracciglio.
- Perchè dici così?
La sua interlocutrice scoppiò in una risata cristallina prima di rispondere:
- Beh, principalmente perchè Kurotsuchi verrà sicuramente eletto Capitano... Tu sei una matricola, forse non hai ancora avuto a che fare con lui, ma ti assicuro che quando lo avrai conosciuto meglio capirai cosa intendo dire.
Rin dovette concentrarsi per non mettersi a ridere anche lei. Quella affermazione così schietta e sincera, effettivamente, non faceva che confermare l’idea di Mayuri che lei stessa si era costruita. Tuttavia, doveva riconoscere che, a lei personalmente, il vice-Capitano della dodicesima Divisione non aveva mai fatto niente di male. In qualche circostanza, anzi, l’aveva persino aiutata.
- Beh, in realtà l’ho già conosciuto, - rispose, cercando di apparire indifferente. - E’ vero, ogni tanto ha delle uscite un po’ inquietanti... ed è decisamente spregiudicato... però non ho motivo per odiarlo. Lui... è stato buono, con me.
Rangiku si voltò verso di lei, sorridendo.
- Forse non ci crederai, ma capisco perfettamente quello che intendi dire.

- Kurotsuchi- sama.
Mayuri si voltò. Il processo era appena terminato, e gli shinigami presenti avevano cominciato a lasciare la sala. Urahara era stato dichiarato colpevole e, come previsto, condannato all’esilio nel mondo degli umani.
- Gin Ichimaru, quale onore!
L’angolo sinistro della bocca di Kurotsuchi si piegò nel solito sogghigno di scherno. Anche Gin sorrideva, la parte superiore del volto coperta dai folti capelli chiarissimi.
- Potrei dire lo stesso, signor futuro Capitano della dodicesima Divisione... sempre che non salti fuori qualche nuovo scheletro dall’armadio, eh?
- Ognuno ha i suoi scheletri, Gin, solo che a quanto pare alcuni di noi sanno camuffarli meglio di altri.
Gin ridacchiò, avvicinandosi a Kurotsuchi. Si fermò a pochi passi da lui, sempre senza staccargli lo sguardo di dosso. Mayuri rimase immobile, in attesa di una replica.
- Naturalmente. - rispose Gin, tranquillissimo. - Ma adesso non sono qui per raccontarti i fatti miei; era mia intenzione darti un consiglio.
- Parla, Ichimaru. Sai quanto apprezzi i tuoi suggerimenti.
- Sai, Kurotsuchi-san... credo che dovresti scegliere meglio le tue amicizie.
Mayuri rimase un attimo interdetto. Cosa intendeva dire? Ichimaru non perdeva occasione per scatenare un battibecco, ma quell’affermazione sembrava del tutto campata in aria.
- Sto parlando della ragazza che era con te prima del processo. Hai creduto alle sue balle, oppure vuoi farmi pensare che non ti sei neppure informato sulla sua provenienza? Non voglio immaginare che tu abbia deciso di difenderla...
- Non ho idea di che cosa tu stia dicendo, Ichimaru.
- Beh, allora mi spiegherò meglio; lascia che ti dica il cognome della tua amica: Hisegawa. Quella ragazza è Rin Hisegawa.
Hisegawa? Tutti nella Soul Society sapevano che quella era una delle cinque famiglie più antiche del posto; allora perchè la figlia di una casata così influente avrebbe dovuto presentarsi alla sua porta ridotta in quello stato? E soprattutto, perchè nessuno era ancora venuto a cercarla?
Gin sembrò avergli letto nel pensiero.
- Per l’esattezza, Rin è l’unico membro degli Hisegawa ad essere ancora in vita. Per quello che ne sappiamo, a dire il vero, è stata lei ad uccidere tutti gli altri. I corpi sono stati trovati straziati nella residenza di famiglia tre giorni fa, e lei è l’ultima persona ad esser stata vista nelle vicinanze. La tua amica è un’assassina, Kurotsuchi-sama.
Gin sembrava veramente felice di portare simili notizie. Dal canto suo, Kurotsuchi non fece una piega. Rimase in silenzio, aspettandosi una nuova affermazione tagliente di Ichimaru, che puntualmente arrivò.
- La consegnerai al Consiglio dei 46, adesso? Lo avrei fatto io, ma non volevo toglierti la soddisfazione...
Mayuri rise. Una risata assolutamente priva di divertimento.
- Prego, puoi farlo tu se vuoi. La faccenda non mi riguarda affatto.
Si voltò, ed uscì dal Tribunale.
- Hai parlato con qualcuno mentre ero al processo?
- Solo con una certa Rangiku Matsumoto. Mi è sembrata una tipa a posto.
- Misura le parole, quando sei con i membri delle altre Divisioni. Potresti pentirti di esserti lasciata sfuggire più del necessario.
Suonava vagamente come una minaccia. Rin decise di ignorare quella particolare sfumatura della frase, per concentrarsi sull’immediato futuro.
- Dove stiamo andando, Kurotsuchi-san?
- Al laboratorio della dodicesima Divisione. C’è una faccenda che devo risolvere prima che lo faccia qualcun altro, e prima mettiamo le mani su quei Gigai meglio è.
Allora era proprio di Gigai che Urahara stava parlando quando aveva detto che erano rimasti alcuni oggetti nel laboratorio! Rin non aveva mai visto un vero Gigai da vicino, ed era piuttosto incuriosita. Per questo, riusciva a capire anche l’impazienza di Kurotsuchi.
- E’ questa.
La casa di Urahara era un edificio bianco situato al primo piano, nei quartieri della dodicesima Divisione. Vi si accedeva mediante un sistema di terrazzamenti in legno, che fungeva da corridoio lungo tutte le abitazioni. La porta era semi aperta, ma all’interno era tutto buio.
- Entriamo.
Rin seguì con circospezione Kurotsuchi nella stanza immersa nell’oscurità. Gli oggetti si distinguevano a mala pena come ombre fiocamente illuminate dal flebile fascio di luce che attraversava la soglia, e tutto era immobile e silenzioso. Rin rimase in piedi al centro della stanza, incerta sul da farsi. Kurotsuchi, invece, sembrava non avere difficoltà a vedere al buio.
- Dev’essere qui, da qualche parte, - disse.
Il tono della sua voce era nervoso, impaziente. Rin si chiese di che cosa stesse parlando, e immaginò dovesse trattarsi della chiave. Urahara non era riuscito a rivelarne il vero nascondiglio, se si escludeva quel gesto un attimo prima di andarsene: in basso.
Kurotsuchi doveva essere giunto alla stessa conclusione, perchè si chinò ad osservare il pavimento sotto una scrivania in un angolo. Imprecò a mezza voce.
Un rumore nella stanza adiacente fece trasalire Rin, che balzò all’indietro urtando una sedia.
- Chi va là? - fece una voce concitata. Dal buio giunse un rumore di passi.
- Sono guardie. Dannazione!
Kurotsuchi lanciò una gelida occhiata a Rin, prima di prendere a guardarsi intorno in cerca di un nascondiglio. La stanza era decisamente minimalista, e non c’erano punti in cui rifugiarsi. Senza contare il fatto che fuggire dalla porta era fuori discussione, perchè avrebbe significato entrare nel cono di luce, e dunque essere scoperti. Intanto, le guardie si avvicinavano.
- Kuro...
- Stai zitta!
Kurotsuchi afferrò Rin per un polso e la trascinò verso il muro alle sue spalle. Cercando di starsene il più possibile vicina alla parete, Rin sentì il polso che Mayuri stringeva raffreddarsi, come se dentro le sue vene stesse scorrendo dell’acqua gelida. Col passare dei secondi, la sensazione si estese a tutto il corpo, rendendola quasi incapace di respirare. Kurotsuchi, al suo fianco, aveva chiuso gli occhi.
Rimasero lì, immobili, osservando le guardie farsi sempre più visibili a mano a mano che si avvicinavano. Un paio di volte, uno dei due shinigami urlò “chi va là?”, ma poi entrambi rinunciarono e tornarono nell’altra stanza, pensando che l’intruso fosse riuscito a sfuggire.
Quando le guardie furono di nuovo scomparse, Mayuri lasciò il polso di Rin, e le fece segno di uscire. Silenziosamente, sgattaiolarono fuori dalla stanza, nella luce del sole.
- Che cos’era?
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di traverso.
- Che cosa?
- Quella sensazione... prima, quando sono arrivate le guardie.
- Era un sistema utile per non farci scoprire. È la stessa tecnica che usano i camaleonti per nascondersi, solo che, invece di limitarsi al mimetismo, siamo diventati parte dell’oggetto che abbiamo toccato.
- E’ una cosa che si può imparare?
- No che non puoi, - Mayuri sogghignò.- Questo è il risultato di un esperimento.
Rin osservò la schiena dell’uomo, che camminava pochi passi avanti a lei. Un esperimento? Questo voleva forse dire che Kurotsuchi si era servito di se stesso come cavia per le proprie ricerche?
- A quanto pare, per adesso dovremo rinunciare al laboratorio.- La voce di Mayuri era appena udibile a causa della brezza serale che aveva preso a soffiare dietro di loro. - Saremo costretti a rimandare le ricerche a quando sarò diventato Capitano.
Rin annuì con convinzione, anche se Kurotsuchi le dava le spalle e non poteva vederla. Non le importava quello che gli altri shinigami pensavano della dodicesima Divisione: era quello l’unico luogo in cui potesse stare, e per questo avrebbe difeso la sua posizione con le unghie e coi denti. 
  
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