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Autore: albelia    10/11/2015    0 recensioni
"Poi gli anni erano passati, e loro due erano sopravvissuto a tutto. A tutto.
Successo. Successo. Ancora successo. Concerti. Continenti. L’India. Droga. Successo. Ancora droga. Donne. Due matrimoni. Un divorzio.
Erano sempre lì.
Sempre più vecchi, sempre più malandati. Il loro amore si stava trasformando in odio, se ne rendevano conto benissimo. La cosa li divertiva."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paul non è pronto per stupide e inutili e inaspettate dichiarazioni d’amore. Rivelazioni di una notte qualsiasi, in ritardo di un numero così grande di anni da essere sopraffatte e distrutte.
Montagne di fumo li sovrastano. Oceani di incomprensioni e litigate e settimane passate a non parlarsi, mesi trascorsi a odiarsi a morte.
No, te lo giuro, vorrei davvero che morisse; Paul lo giurava a sé stesso con una sorta di vana ostinazione, più volte al giorno.
Cieca disperazione.
È così e basta, lo dico ed è vero, lo dico perché è vero. O forse non è vero, non lo è nemmeno se lo dico ad alta voce, se lo scrivo, se lo infilo a forza in una canzone brutta. Non è vero e basta.
Non occorre dirla, una cosa, per renderla reale. Se lo è, lo è, punto.
In quel caso, non lo è.
Banale e scontato.
E ora, ora che Paul ha raccolto per giorni e ore e pomeriggi e notti interminabili, interminabili, il coraggio necessario per presentarsi e dirgli,
Basta, è andata così, grazie di tutto, grazie di tutta una vita, ma è arrivato il momento. Io, Paul McCartney, rendo te, John Lennon, ufficialmente libero. Libero di amare davvero qualcun altro. Libero di evadere dalla nostra stanza di catene e pregiudizi e mattine assonnate. Libero di essere cosa volevi essere da bambino. Libero di donarti a qualcuno che non sia io. Libero di non doverti più nascondere, di ridere senza nessun artiglio che ti graffia la gola e ti appanna la vista. Ti rendo libero di non chiederti più che cosa sto facendo, a chi sto parlando, che cosa sto mangiando, dove sto dormendo. Ti rendo libero di essere ciò che gli altri si aspettano. Libero. Lo sarò anch’io, da oggi, per sempre. Non so se mi troverò bene. Non so se andrà come avevo immaginato. So solo che sarà reale. Questo mi basta.
Ora che tutto questo, John se ne esce con le sue idiozie.
Ma in fondo, dai.
Forse Paul si sta davvero comportando da ragazzina isterica.
“It’s only love” è solo una stupida canzone. Di un numero imprecisato di estati e inverni prima. Neanche troppo bella. Orecchiabile, niente di più. Uno scarto. Un avanzo di note, un avanzo di parole banali.
Che senso ha, adesso, ritornare indietro sui propri passi. Per un “è così difficile amarti” buttato lì, in mezzo a un “Girl” qualsiasi, un “Imagine” qualunque.
Si sente solo, stanco, disgustato da sé stesso, da tutti quegli anni perduti, da tutte le bugie, la vergogna che lo ha seguito, amica fedele, per tutta una vita. Da John, da quella stanza, da tutte le cose che si erano detti, dai miliardi di cose che Paul non aveva mai detto.
Perché non era il momento, non era giornata, non era il caso.
È sopraffatto dall’ansia e dalla tristezza.
Tutto intorno grava un’atmosfera grave. Come un presagio. C’è qualcosa che li aspetta. Non lontana. Non lontana. C’è, li spia. A volte sorride. Rimane ferma, immobile, nell’ombra, attende.
 
“Potremmo andare via” dice John a un certo punto. Dopo altri chilometri macinati in quella stanza, avanti e indietro, avanti e indietro. Sentieri di discorsi antichi e note stonate.
“Dove?”
Paul è seduto per terra, appoggiato al muro, fumando una Dunhill non sua. C’è qualcosa che lo trattiene lì. Impigliato in quel silenzio fangoso. Non ha la forza o il coraggio o la voglia di muoversi. Non hanno niente da dirsi, pare, eppure non c’è verso che lui riesca a prendere e andare via.
“Via. Lontano. Dove nessuno ha la benché minima idea di chi siamo o chi siamo stati. In una capannina in Nuova Guinea. Da qualche parte. Non mi importa”.
“E perché? John, siamo vecchi. Siamo due vecchi, due antipatici. Non dureremmo cinque minuti”, Paul scuote la testa.
Dice una cosa e ne pensa cento altre.
Gli rimbalza in testa l’ultimo week-end con la sua famiglia. Due giorni stupendi, indimenticabili. Due giorni felici. Galleggiano i volti allegri di Linda e James, il sorriso sdentato di Stella.
E poi? Poi, di nuovo, ancora, senza una minima logica, un minimo senso, pensa che lascerebbe tutto. Neanche il tempo di passare da casa, di prendere altri vestiti, altre sigarette.
Andiamo, non torneremo più, è stato bellissimo finché è durato, con tutti voi. Non vi dimenticherò. Vi amerò fino alla fine dei miei giorni. Ma io non posso, io non voglio…
Si prende la testa tra le mani. Si odia. 
A cosa diavolo sta pensando. Come può anche solo immaginare. Che poi, partire con John è davvero escluso. Escluso. Certe cose si dicono così, senza pensare, per far piacere, per prendere in giro.
Non si fanno, non sono reali.
“Se tu vuoi, per me andiamo anche adesso. Anche ora. Ovunque”.
“John. John, ascoltami un attimo. Ascoltami” balza in piedi. È scosso da brividi di rabbia, anni di rancoroso mutismo si agitano e premono per uscire, per essere liberati.
“Ti ascolto”.
“Ti prego, ora non cadiamo nel ridicolo. Non siamo in un romanzo inglese di Jane Eyre. Ti prego. Abbiamo quarant’anni. Quaranta. Non venti, non trenta. Abbiamo passato un’intera vita insieme. E mai, mai, nemmeno per un solo istante, ho pensato che tu davvero credessi in tutto quello che c’era, che avevamo. Abbiamo vissuto le nostre vite, mettendoci sempre al secondo posto. Perché era più facile, perché così andava bene, perché era la cosa giusta, perché un sacco di altre cazzate. Mai niente di più, mai niente di meno. Ti posso giurare, ti posso giurare, che io partirei anche subito. Perché per me, tu saresti stato sempre davanti al resto. Sempre in cima a tutto. E poi, poi non mi vedevo altro che un muro di incomunicabilità. Di indifferenza. Risatine, ‘non potrai certo pensare che abbandoni tutto per te’, prese in giro. Non dico che tu non mi abbia, amato, che schifo di parola, con te come soggetto e me come complemento oggetto è addirittura ridicola, ma insomma. Ammettiamo, ammettiamo che sia stato così. Per un po’, non sempre. Per un po’. Mai, mai una volta, una dimostrazione. E sì, ebbene sì. Sono una schifo di ragazzina isterica. Un personaggio assurdo di un libro indecente, la dama di compagnia che aspetta alla finestra per decenni. E la cosa bella, l’unica cosa bella, è che nessuno lo ha mai saputo. Nemmeno tu. Nemmeno io, quando mi faceva piacere scordarmelo. Non sono mai stato questo tipo di persona, mai, se non qualche notte passata a cercare di non esistere, di annullarmi. Ma in fondo era quello che sentivo. Che ti ho amato, per davvero, per tutta la vita. Senza niente in cambio. Incondizionatamente. Così come dovrebbe essere. E ora, forse, mi sono stufato. Tutto qui. Nient’altro. Sentirmi chiedere, adesso, di abbandonare tutto, adesso, mi sembra soltanto l’ennesimo atto di egoismo. Una vera cazzata. Te lo giuro. Per un attimo ci ho creduto e ci ho pensato. Poi mi sono ricordato di quello che siamo sempre stati”.
 
John ascolta quello sfogo, in silenzio. Non cerca mai di intervenire, non profferisce una sola parola. È un tutt’uno con la tappezzeria, con il fumo che lo circonda. Si lascia investire, con un senso di liberazione e sollievo. Ecco, tutta la verità.
 
Si mette a cercare tra gli album che si è portato dietro. Se ne porta sempre qualcuno, dietro. Una sorta di deformazione professionale. Un deplorevole spreco di spazio. Un’inutile aggiunta di peso.
È convinto che, prima o poi, potrebbero rendersi utili.
Nella penombra di una stanza sconosciuta, per farsi spazio in un’aria opprimente, per dire cose troppo stupide per essere pronunciate ad alta voce. È sempre stato più facile affidarsi a parole scritte anni e anni prima.
“If I fell in love you
Would you promise to be true
And help me understand
Cause I’ve been in love before
And I’ve found that love is more
That just holding hands”
 
“…perché non potrei sopportare il dolore, e sarei triste, se il nostro nuovo amore fosse invano…” mormora Paul.
Inutile, inutile, inutile.
“Ho cercato di dirtelo in tanti modi. In questi anni. Ma non potevo, non volevo…non potevo venire lì, e dirtelo. E basta. Cercavo la maniera migliore. Cercavo la maniera in cui so farlo meglio. Ma forse tu non ascoltavi”.
 
O forse ascoltavo, e non capivo.
   
 
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