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Autore: vali_    11/11/2015    7 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: Hola a tutti! Terz’ultimo capitolo – piango – di questa storia che sta per giungere al termine. Che dire… se non avete capito niente del caso non vi preoccupate, perché in questo capitolo il tutto avrà più senso logico. Spero solo di non aver fatto un buco nell’acqua *faccina imbarazzata*
Per il resto, sono un pochino perplessa perché le visite – insieme alle recensioni – si sono abbassate notevolmente anche questa settimana. Continuo a dare la colpa agli impegni quotidiani/settimanali che ognuno di voi può avere, ma se non è così ed il motivo è che la storia comincia a non piacervi eccetera non esitate a dirmelo. Io sono qui anche per prendermi delle critiche, non ho paura di voi! *risata malefica* no, davvero, se c’è qualcosa che non vi piace non fatevi problemi a farmelo notare. Non mordo e le vostre puntualizzazioni possono aiutarmi a fare di meglio :)
Detto questo vi lascio al capitolo, sperando di trovarvi più numerosi delle ultime settimane. Un abbraccio, a mercoledì!


Capitolo 26: Pictures of you
 
Pictures of you,
Pictures of me,
Remind us all of what we could have been.
 
(Pictures of you – The Last Goodnight)
 
 
Ferma la sua macchina nel parcheggio e spegne il motore, sospirando irritato. Sì, perché se c’era una cosa di cui Dean era pienamente convinto era il fatto che quella ragazzetta, Amelia Duncan, insieme alla sua amica Jennifer, c’entrasse con tutto ciò che sta capitando, con gli episodi di stregoneria più o meno velati che si stanno succedendo uno dietro l’altro in questa cittadina, ma ora la probabile carnefice è diventata una vittima e tutto si ribalta e Dean comincia davvero ad essere a corto di idee.
 
Le cose sono due: o non c’ha capito un cazzo oppure la faccenda è ancora più intricata di quanto sembrava in precedenza e la verità su questo caso gli sembra sempre più sfuggevole, più lontana.
 
Chiude lo sportello dell’Impala e si avvia alla stazione di polizia della zona dove Daniel Jackson, il ragazzo che ha picchiato quella sedicenne, ha confessato immediatamente ed ora è in custodia lì, in attesa di un qualche giudizio.
 
Nel frattempo, Ellie si è diretta all’ospedale St. Thomas [1] di Westwego, dove invece è momentaneamente ricoverata Amelia; per una volta, è stata una fortuna che Ellie avesse un’automobile per conto suo, così da potersi separare e ridurre i tempi il più possibile. In fondo, c’è ancora un ragazzo che ha bisogno di un aiuto vero e che non hanno la più pallida idea di dove sia, perciò è bene fare più in fretta possibile.
 
Ellie non gli è sembrata proprio entusiasta di andare a parlare con Amelia e Dean ha avuto come l’impressione che non fosse il “compito” da svolgere il problema, ma il luogo, come se l’idea di entrare in un ospedale la mettesse un po’ a disagio. Effettivamente, non è proprio il posto che Dean preferisce al mondo o quello dove la porterebbe a fare una gita, ma purtroppo oggi questo passa il convento.
 
Entra nella stazione di polizia e si guarda intorno, in cerca di un qualche poliziotto a cui mostrare il suo distintivo, così da poter parlare con quel ragazzo.
 
E’ stata la stessa Amelia ad informarlo dell’accaduto. A sentire la sua voce, a Dean è sembrata sull’orlo di una crisi di nervi e non l’ha fatto neanche parlare, snocciolando velocemente tutta la situazione con la voce rotta e tremante.
 
In pratica, era uscita con questo ragazzo per mangiare qualcosa insieme e, quando se ne stavano andando dal locale dove erano stati a cena, lui, di punto in bianco, l’ha aggredita, cominciando a picchiarla.
 
Dopo quella telefonata, a Dean ed Ellie è bastato intercettare la radio della polizia per scoprire che lo stesso tipo era andato di corsa a confessare e questo gli è sembrato piuttosto strano – come un po’ tutta questa dannata storia –; Dean può immaginare le facce dei poliziotti che l’hanno “accolto” alla centrale, magari abituati solitamente a trattare con persone molto più restie ad ammettere i reati commessi.
 
Finalmente un agente lo nota e Dean mette su il suo show, fingendosi uno del Bureau con abilità e facendosi portare dritto nella stanza dove il ragazzo è seduto al tavolo, ammanettato, con la testa bassa, gli occhi fissi sulle sue stesse mani che rigira tra di loro, nervoso. Alza gli occhi solo quando Dean apre la porta e lo vede entrare; a Dean basta un’occhiata per percepire il panico che sente quel ragazzo. Sembra terrorizzato.
 
Si siede di fronte a lui e appoggia le mani sul tavolo, guardandolo negli occhi, e gli sorride sghembo. «Allora… che diavolo ti è saltato in testa, eh? Non si usano più le buone maniere con una signorina?»
Il tipo – anche lui visibilmente giovane, avrà al massimo diciannove o vent’anni – stringe le labbra, gli occhi lucidi «Io so che quello che dirò potrà sembrare folle, ma… ma non sono stato io. Cioè non… non io, non… non ero in me».
Dean ascolta con attenzione, captando in quelle parole qualcosa che potrebbe interessargli. Continua a fissare il ragazzo: sembra una persona pulita, i capelli riccetti ma non troppo lunghi e l’espressione di chi vorrebbe essere in tutt’altro posto, ma che ha confessato perché ci tiene alla sua coscienza, perché non voleva in nessun modo ferire un’altra persona. Dean lo percepisce e per questo si prefigge di non trattarlo troppo male, sebbene generalmente gli stiano sul cazzo quelli che picchiano le donne, a maggior ragione se sono molto giovani come in questo caso.
«Che intendi dire?»
Il ragazzo si inumidisce le labbra, teso «Io… io ed Amy ci conosciamo da tantissimo tempo. Abitiamo nella stessa strada e le nostre famiglie sono sempre state in contatto. Io e lei usciamo insieme ogni tanto… siamo amici».
«Ma tu vorresti di più, non è così?» Dean non fa fatica a capirlo: conosce lo sguardo di chi non si accontenta di un rapporto fine a se stesso, forse perché è la stessa sensazione che sente lui stando a stretto contatto con Ellie. Daniel Jackson annuisce «E quindi cos’hai fatto? Ci hai provato, lei non ci è stata e l’hai picchiata per questo?»
Il ragazzo aggrotta la fronte «Assolutamente no!» il suo tono è fermo, deciso «Non lo farei mai. Non l’avrei mai fatto di mia spontanea volontà» inspira forte, visibilmente scosso «S-siamo usciti dalla pizzeria ed io… io le ho solo messo la mia giacca sulle spalle perché aveva freddo. Lei mi ha sorriso e… e poi non so cosa mi è preso, ma è come se qualcosa si fosse impossessato di me. L’ho sbattuta contro il muro e lei… l-lei mi diceva di non farle male, che le facevo paura, ma era come se le mie mani si muovessero da s-sole mentre… » appoggia i palmi sul viso, nascondendo i suoi occhi «Non sapevo cosa stavo facendo, ero lucido, ma al tempo stesso non riuscivo a smettere».
 
Dean prende un grosso respiro e non ha bisogno di fargli altre domande per sapere che è sincero, che è davvero innocente sebbene i fatti dicano il contrario e sa solo che questa dannata storia deve finire. Sono coinvolti in troppi e sono tutti collegati ad un’unica persona. Quello che sfugge a Dean è, però, il perché Jennifer Hamford voglia fare del male anche alla sua amica.
 
Si alza dalla sedia e Daniel lo guarda ancora, lo sguardo perso «So che suona come qualcosa di assurdo, ma… io non volevo farle del male». Dean tira le labbra in una linea sottile e annuisce, sospirando appena, e dopo quel gesto gli occhi nocciola del ragazzo che ha di fronte si accendono, diventando visibilmente più brillanti «Lei… lei crede che—»
«Sì, ma questo non ti aiuterà ad uscire dai guai. Hai comunque commesso un reato e… e non penso sarà tanto facile spiegare alla tua amica quello che hai detto a me».
 
Fa per uscire, la mano sulla maniglia della porta, ma la voce di Daniel Jackson lo trattiene ancora per qualche istante. «Come… come farò a spiegare ad Amy che non sono stato davvero io quando sono state le mie mani a farle del male? Come faccio a… a riconquistare la sua fiducia?»
Dean stringe le spalle e volta appena la testa, giusto per guardare quel ragazzo che gli sembra la versione più disperata di se stesso e, proprio perché conosce troppo bene la sensazione, non sa neanche cosa dirgli.
Solitamente non è uno che spartisce consigli, anzi, fatica a farlo anche quando qualcuno gliene chiede esplicitamente uno, ma prova tenerezza per quel tipo, incastrato in una storia più grande di lui. Sorride amaro «Credo di essere la persona meno adatta per questo tipo di cose, ma credo che se vorrà ascoltarti, saprai dirle tutto quello che vuole sapere».
 
Esce dalla stazione con le idee sempre più ingarbugliate, ma l’assoluta certezza che quel ragazzo è assolutamente innocente. Il motivo per cui qualcun altro abbia cercato di incastrarlo, però, gli è oscuro.
 
Sfila il cellulare dalla tasca della giacca grigia e lo apre: Ellie gli ha mandato un messaggio per dirgli di raggiungerla nella sua stanza una volta finito con l’interrogatorio al ragazzo. Non c’è nient’altro: nessuna chiamata persa, nessun avviso della segreteria che gli è sfuggito, niente. Suo padre continua a giocare a nascondino e Dean è sempre più preoccupato: ormai sono quasi tre settimane [2] che non si fa vivo e sta cominciando a pensare che dovrà andarlo a cercare di persona molto presto.
 
Sta seriamente considerando l’idea di mettere al corrente Sam di tutta questa storia, anche se non ne è affatto certo. Non è sicuro di un cazzo. Chiamarlo sarebbe totalmente inutile, perché Sam sicuramente si rifiuterebbe di rispondere e, comunque sia, rimane il fatto che anche andare lì e parlargliene a quattr’occhi – per quanto avrebbe tanta voglia di farlo – vorrebbe dire mandargli tutto all’aria, distruggere quello che Sammy ha costruito con tanta fatica e sacrificio perché se c’è uno che lotta per ottenere quello che vuole è proprio suo fratello. E’ sempre stato così. E proprio adesso che se l’è andato a prendere – sfidando papà e lasciando Dean da solo a combattere i suoi fantasmi – non sa se è giusto presentarsi e riportare la guerra nella sua vita, ora che è riuscito a lasciarsela alle spalle.
 
Si avvia al motel intenzionato a non pensarci, sapendo perfettamente che anche lì lo aspetta un problema a cui sembra non riuscire a trovare soluzione.
 
Al contrario di come gli sembrava all’inizio, Ellie è distaccata, pare sia lì solo ed esclusivamente per dovere e, a volte, gli sembra fatichi anche a guardarlo in faccia. Capisce che è delusa ma, ogni volta che Dean prova a tirare fuori il discorso, lei trova un modo di chiuderlo bruscamente e non riesce mai ad avere il tempo di spiegarle niente, per una volta che crede di avere tanto da dire. Non sa neanche se gli conviene arrendersi, gettare le armi e far finta che quella notte che ha passato insieme a lei sia stata solo una parentesi felice nel loro rapporto, prima che tutto finisse a rotoli per un maledetto malinteso, oppure stringere i denti e sopportare ancora, non smettere di tentare di appianare questa situazione del cazzo.
 
Se l’è chiesto anche ieri sera, mentre la osservava dormire appoggiata al finestrino dell’Impala. Se sentisse qualcosa di vagamente diverso per lei da quando l’ha ritrovata, se fosse leggermente… affievolito quello che prova, getterebbe la spugna senza pensarci un attimo, ma la verità è che è tutto dannatamente uguale: niente di quello che è successo ha cambiato le cose, neanche l’anno che hanno trascorso lontani l’uno dall’altra, neanche tutte le donne che si è fatto aspettando il suo ritorno. E questo gli dice che, inconsciamente, ha già deciso cosa fare.
 
Parcheggia l’Impala fuori dal motel e, dopo essersi cambiato velocemente d’abito – il completo lo fa sempre sentire troppo damerino e non ci si trova mai a suo agio –, bussa alla porta di Ellie; lei apre poco dopo e sembra un po’ sconvolta, come se avesse visto qualcosa di terribile. Lo lascia entrare e lo fa accomodare su una sedia, proprio davanti al computer acceso sopra il tavolo.
 
Ellie rimane in piedi e si mette alla sua sinistra; prende fiato e gli racconta quello che ha visto da Amelia, di com’era ridotta: il suo viso, prima pulito e innocente, era ricoperto di lividi; gli occhi celesti stravolti dal pianto e lo zigomo destro violaceo, scuro. Aveva una fasciatura a sostenerle il braccio, i capelli scarmigliati e così diversi da come li portava a scuola, lisci e ordinati; da come la descrive, è come se, più che ad una “piccola” aggressione, sembrava aver scampato uno stupro o comunque una violenza fisica pesante.
 
Ellie sembra abbastanza toccata mentre gli racconta tutto ciò e, incrociando quello che le ha riferito lei con il racconto del ragazzo, le due storie coincidono: Amelia Duncan e Daniel Jackson sono usciti insieme per mangiare una pizza e, quando si sono allontanati dal locale, lui è improvvisamente impazzito, mettendola contro il muro e cominciando a picchiarla. Quello che ha aggiunto rispetto a lui è che, ad ogni colpo, Daniel aveva gli occhi sgranati, come se non credesse a quello che stava facendo, e le chiedeva continuamente scusa, totalmente incapace di controllarsi.
 
Dean si passa le dita sugli occhi stanchi «Alla fine, tutto ricade su quella Jennifer, ma sembravano unite quando ci abbiamo parlato, non vedo perché debba accanirsi anche con lei».
Ellie storce la bocca «Magari perché ha scoperto qualcosa anche lei, come può essere successo a Kevin Dion? Non lo so, io… non sono riuscita ad ottenere più informazioni. Però mi ha dato la sensazione che volesse dirmi di più, che volesse parlarmi di qualcos’altro. Ho cercato di farle domande più precise possibili, ma non è stato semplice, anche perché era sotto shock. Non volevo infierire più di tanto». Dean annuisce; in fondo non c’è da stupirsi, può solo immaginare in che condizioni fosse quella ragazza. «Però mi è venuta un’idea su quello che può essere successo a Daniel Jackson, del perché l’abbia aggredita» si piega un po’ in avanti, verso il computer, per mostrare una pagina di internet a Dean che legge incuriosito.
«Bamboline voodoo?»
«Beh… è un rito orribile e più vecchio del mondo, ma non mi stupirebbe scoprire che in questa città di matti qualcuno nel bel mezzo della notte si sia divertito a giocare con queste cose. In fondo servono per controllare le persone a distanza».
Dean ci riflette un secondo «Jennifer è andata a letto presto, magari nel buio… io ho solo visto che dormiva, non sono mica andato a sbirciare sotto le coperte».
Ellie stringe le spalle «Per me continua a non avere senso. Insomma, io non lo farei mai ad una mia amica».
Dean la osserva per un attimo e gli sembra un po’ meno a disagio del solito, ma forse è solo una sensazione. Lei si volta «Vado un attimo in bagno, torno subito… se vuoi leggi meglio di questa storia».
 
Annuisce pensieroso ascoltando in lontananza il rumore della porta del bagno chiudersi e, prima di puntare gli occhi sullo schermo del laptop, un altro oggetto che non aveva notato in precedenza attira la sua attenzione. E’ sull’angolo opposto del tavolo, chiuso, e Dean lo riconosce immediatamente: è il taccuino che Ellie gli ha mostrato ormai più di un anno fa, quello che lei dovrebbe considerare come una specie di diario e che racchiude le foto della sua infanzia.
 
Dean allunga un braccio e lo afferra; è un po’ più “gonfio” di come se lo ricordava. Ellie deve averci inserito altre fotografie e disegni, ma per il resto è esattamente lo stesso.
 
Ha capito che non sta con nessuno adesso, che al più c’è solo un gatto col pelo rosso nella sua vita, ma Dean ha sempre la sensazione che gli nasconda qualcosa, che la sua delusione non sia l’unico motivo per cui lo tiene a distanza e forse qui dentro potrebbe trovare la spiegazione, potrebbe saperne qualcosa di più senza chiederle nulla, perché ormai non è più sicuro che fare domande sia il mezzo più giusto per ottenere risposte da lei: è troppo schiva, troppo distaccata.
 
Cerca di comportarsi per bene e di resistere alla tentazione di dare una sbirciata, perché sarebbe tremendamente scorretto nei confronti di Ellie, ma la curiosità è troppo forte e, alla fine, cede: apre quel quaderno ed i suoi occhi scorrono su quelle immagini, sui disegni della madre di Ellie e le fotografie di loro due insieme quando lei era una bambina.
 
Come aveva previsto, Ellie ha aggiunto delle foto che la ritraggono insieme ad una ragazza castana dagli occhi vivaci. Seduta su un divanetto in pelle – tipico delle tavole calde –, Ellie sorride insieme a lei che la abbraccia e sembra volerle davvero bene a giudicare da come lo fa; probabilmente è Janis, anche se, dalla descrizione che Ellie gli aveva fatto quando gliene ha parlato per la prima volta, è molto diversa, meno… punk. Forse è cambiata nel tempo, o forse era lui ad immaginarsela così.
 
Sorride a quell’immagine di una Ellie spensierata, nonostante i suoi occhi sembrino tristi, spenti, così simili a quelli che ha anche adesso, e quando alza il quaderno per girare pagina e vedere meglio, un foglietto gli cade a terra. Si abbassa subito a raccoglierlo: è stropicciato e sembra essere stato accartocciato e poi rimesso in ordine; sta per riporlo al suo posto quando quello che vi è disegnato attira la sua attenzione. Si tratta di una coppia, due ragazzi che si abbracciano e Dean riconosce se stesso in quel disegno a matita, il suo stesso taglio di capelli e tante piccole lentiggini sulle guance e sul naso – forse qualcuna in più di quante ne ha realmente. Stringe una ragazza che immagina essere Ellie e sorridono felici, gli occhi rivolti all’osservatore, come se fossero immortalati in una qualche fotografia, e Dean si chiede se Ellie l’abbia fatto prima o dopo quell’immenso casino.
 
Forse aveva atteso tanto che Dean si accorgesse di lei, forse ha cercato di reprimere quello che sentiva dentro di sé per non rovinare tutto – un po’ come ha provato a fare lui –, o forse… Dean non sa che pensare, si sente solo un immenso idiota, ogni giorno che passa sempre di più. Le cose sarebbero potute andare diversamente se solo si fosse sforzato di più, se le avesse telefonato anziché attendere l’ultimo minuto per parlarle e capire cosa stava succedendo e non fa in tempo a concludere quel pensiero che Ellie esce dal bagno, cogliendolo in flagrante. Deglutisce e lei lo guarda accigliata – la fronte aggrottata e gli occhi ad indagare su quello che Dean ha in mano – e non ci prova neanche a difendersi; farebbe solo più danni.
 
Lei rimane in piedi accanto alla porta del bagno, le mani strette a pugno «Tienilo pure quel disegno. Io non lo voglio». Dean si umetta le labbra e sospira; se voleva una reazione di questo tipo forse avrebbe dovuto comportarsi così molto prima «Sta lì solo perché non ho avuto il coraggio di buttarlo, quindi se lo vuoi prendilo». Non è sicuro che stia dicendo la verità – o almeno non totalmente –, ma scuote appena la testa e lo appoggia sul tavolo, senza nessuna intenzione di portarlo via. Non sarebbe giusto. «Solo non… non toccare più le mie cose».
Dean sospira ancora «Non ho cercato niente di proposito, era lì sopra e—»
«Non m’importa» lo sguardo di Ellie è duro e non ammette repliche «Non devi toccare la mia roba» stringe un po’ di più i pugni; è visibilmente incazzata «Mettiamo in chiaro una cosa una volta per tutte: io non ho niente di prezioso, né gioielli o cose di valore ma… » indica quel taccuino con l’indice, facendo qualche passo verso Dean «In quel quaderno c’è tutto quello che ho di più caro al mondo, ci sono tutte le cose belle che… che ho vissuto e tu… tu eri una di queste finché non hai rovinato tutto» Dean la ascolta in silenzio, il cuore stretto in una morsa, ma la lascia parlare perché almeno adesso lo fa e preferisce che gli butti addosso tutta la rabbia che sente in questo momento – quella che, forse, non ha mai messo da parte – che sopportare ancora i suoi silenzi. Anzi, preferisce di gran lunga le urla a questo punto, almeno può capire cosa cazzo le passa per la testa. «Te l’ho mostrato quando volevo farti vedere la mamma, ma questo non ti dà il diritto di ficcanasarci adesso».

Dean scuote la testa, la rabbia che comincia a salirgli in corpo. Chiude il taccuino con un gesto secco e si alza in piedi, afferrando il bordo della sedia, le braccia a sostenere il peso del suo corpo. Si schiarisce la voce e parla stavolta, guardandola negli occhi. «Senti, mi… mi dispiace per quello che è successo». Ellie sta ferma, le braccia lungo i fianchi «Non era mia intenzione ferirti né tantomeno usarti. Ho semplicemente capito male e volevo… volevo chiarire tutto a voce, ma evidentemente era troppo tardi. Poi ci si è messo in mezzo il casino con mio padre e… va beh, il succo è che non volevo farti del male. Mi dispiace che per un cazzo di malinteso sia andato tutto a rotoli, io non volevo questo».
 
Ellie scuote la testa e stringe le braccia al petto, come se volesse difendersi da qualcosa «E’ da quando sono arrivata che non fai altro che curiosare nella mia vita. Se vuoi sapere se sono cambiate le cose, se… se vuoi chiedermi qualcosa, fallo. Non frugare tra la mia roba, però, perché questo non te lo permetto».
Dean stringe le labbra tra i denti, nervoso «E’ quello che ho cercato di fare finora, ma ogni volta che ho provato a iniziare questo discorso, non hai fatto altro che sbraitare».
«Ma cosa cazzo pretendi? Che sia felice di parlarne? Insomma cosa… cosa diavolo vuoi da me?»
«Che torni tutto come prima» non c’è incertezza nella sua voce mentre lo dice, nessuna inflessione, nessun ripensamento, perché non sta facendo altro che dirle la più sincera e completa verità «Che mettiamo a posto le cose e ci lasciamo alle spalle tutto questo casino. Non voglio nient’altro».
Ellie scuote la testa «Questo non sarà mai possibile».
«Perché no? Voglio dire, sei qui, vorrà pur dire qualcosa».
«Perché non mi fido!» Ellie fa un grosso sospiro, gli occhi pieni di rabbia «Non… non mi fido più» scuote la testa decisa e abbassa lo sguardo, stringendo forte le palpebre «Ascolta, io… io so di doverti delle scuse» rialza gli occhi e Dean la guarda perplesso; sembra molto più tranquilla di qualche minuto fa, inspiegabilmente «In fondo è anche colpa mia. Ma questo non cambia il fatto che… che non mi sono mai sentita tanto tradita e… e ferita come quando tuo padre ha detto quelle cose su di me».
«Ma questo non c’entra niente con me, io—»
«Sì, invece. C’entra perché tu non hai fatto niente per farmi pensare il contrario, tu… tu non mi hai dato fiducia ed io non aspettavo altro che sperare di sbagliarmi, di aver fatto bene a far affidamento su di te, di… di smetterla di pensare che tu fossi tanto meschino» rigira le dita tra di loro, gli occhi lucidi «Ci ho riflettuto a lungo, ho… ho pensato a quello che avevamo passato insieme, a tutte le cose che ci siamo detti e… e alla fine ho capito perché non è andata. Non è per tuo padre, o per come tu tratti le donne o tutto quello che c’è stato di sbagliato in quella storia» Dean la ascolta in silenzio, paralizzato dalla sua calma «La verità è che non abbiamo niente in comune, perciò anche volendo non potrebbe mai funzionare» stringe i denti; non sa perché ma si sente tremendamente offeso e amareggiato da quello che Ellie gli sta dicendo «Perché eravamo solo due persone sole che passavano del tempo insieme quando i loro padri avevano di meglio da fare che badare a loro e, a guardarci adesso, non è cambiato niente, perciò credo che sia l’unica cosa che ci lega veramente» Dean si limita a guardarla con gli occhi più piccoli e le sopracciglia aggrottate e deglutisce in silenzio, senza riuscire a dire nulla. Per qualche strano motivo è convinto che Ellie menta, che non pensi davvero tutte queste cazzate, ma è passato tanto tempo e forse non riesce a leggerle dentro come faceva prima. «Non voglio offenderti, ma hai insistito tanto per sapere cosa pensavo e… beh, è tutto qui».
 
Dean stringe i pugni, sentendo il sangue schizzargli nelle vene dalla rabbia. Anche se lo pensasse davvero, Dean crede che stia minimizzando quello che c’è stato tra loro, tutte le confidenze e il sostegno che si sono dati a vicenda e questo non può accettarlo, perciò proprio non riesce a trattenersi «Sai che sei una stronza? Sono tutte stronzate».
«Non è così».
«Invece sì, perché la verità è che non vuoi metterti in gioco. E lo capisco, insomma, ce l’hai ancora con mio padre per quello che ha detto e sei incazzata con me e va bene, ma le due cose non sono collegate perché io non l’ho mai pensata come lui».
«Però tu—»
«Fammi parlare!» urla, fuori di sé dalla rabbia «Quella sera ho rischiato grosso perché sentivo che le cose stavano cambiando e… e non ero sicuro che per te fosse lo stesso, ma mi sono buttato ugualmente ed è stato diverso perché c’ho messo tutto me stesso. Con te è sempre stato così, fin dal principio» fa una pausa e la guarda con attenzione «Ti ho detto cose che non avevo confidato a nessuno, mi sono… mi sono aperto con te nel momento in cui non c’era nessun altro che potesse ascoltarmi e tu l’hai fatto e non per tutte quelle cazzate che hai detto, perché volevi farlo» china il capo per un istante e scuote appena la testa, deciso ad abbassare un pochino il tono della voce «Quando ti ho vista qui davanti ho pensato che avremmo potuto chiarire le cose, che avevo finalmente l’occasione di spiegarti, ma se per te tutto questo non vuol dire niente, se… se pensi ancora che avrei mandato tutto all’aria per una scopata allora… allora sei tu quella che non ha capito proprio un cazzo di me».
 
Ellie lo guarda intensamente, ma Dean non ha più voglia di ascoltare quello che ha da dire e semplicemente si volta, apre la porta e la sbatte forte dietro di sé andandosene, ignorando i suoi richiami. Si allontana a passo svelto raggiungendo l’Impala; avrebbe tanta voglia di farci un giro ed andare il più lontano possibile, ma in fondo quello di cui ha bisogno davvero adesso è solo di prendere un po’ d’aria e calmarsi, perché quello che ha appena sentito gli fa così male da togliergli il respiro.
 
Sapeva che non sarebbe stato facile, che volersela riprendere era una follia, ma ci sperava così tanto che l’illusione che forse alla fine tutto sarebbe andato per il meglio, che l’avrebbe perdonato, era più forte di tutto il resto, invece adesso in mano non ha che un pugno di mosche e la convinzione assoluta che invece no, non ce la farà mai a riconquistarla, a farle cambiare idea, perché la delusione di Ellie è troppo profonda.
 
Magari non era neanche pienamente convinta di quello che ha detto, ma era troppo calma e distaccata e questo gli fa pensare che, almeno un po’, lo pensava.
 
Appoggia le mani aperte sulla carrozzeria scura e lucida dell’Impala, ripensando al disegno che ha trovato in quel quaderno. Probabilmente ne avrebbe riso se l’avesse trovato tra le cose di un’altra ragazza, perché gli sarebbe sembrata una cosa troppo romantica e sdolcinata, di quelle che gli fanno storcere la bocca, ma sa che il disegno è il modo in cui Ellie ricorda le cose a cui tiene e poi sembra che l’abbia conservato come il cimelio di una cosa importante, come qualcosa che conta. Per questo non capisce perché sia stata tanto dura e severa, perché non sia disposta ad ascoltare le sue ragioni, a provare a perdonarlo.
 
Ripensa alla sua immagine che, come quella di Ellie, in quel disegno era quella di una persona felice, sorridente e spensierata; nessuna maschera da indossare ogni giorno e nessun peso sulle spalle ed è sempre più convinto che non assomiglierà mai a quel ragazzo, per una marea di motivi. Si rende conto, però, che l’unica volta in cui ci è andato vicino era quando Ellie era insieme a lui, quando ogni giorno portava un po’ di gioia nella sua vita. Adesso, così distante e lontana, gli ricorda solo quello che è diventato senza lei e Sammy: l’ombra di se stesso.
 
Sospira forte, le palpebre strette, e sente il telefono vibrargli nella tasca della giacca di pelle; tira su col naso e preme il tasto verde per poi appoggiarlo all’orecchio. Una voce familiare – che non si aspettava minimamente di sentire – lo distoglie da quei pensieri e Dean ascolta in silenzio quello che ha da dirgli, concordando un appuntamento proprio qui, al motel. Chiude la chiamata e prende un bel respiro; non è tranquillo come vorrebbe essere, ma ora che ha questo impegno deve rispettarlo e si avvicina alla sua stanza con passo lento per darsi una rinfrescata e provare a rilassarsi.
 
Toglie dalla tasca della giacca la chiave della stanza per infilarla nella serratura e avverte una presenza al suo fianco, qualcuno che gli si è avvicinato un po’ troppo velocemente; si volta per chiedere allo sconosciuto che diavolo vuole ma non fa in tempo neanche a formulare una domanda, perché una forte botta su una tempia lo stordisce al punto di fargli perdere completamente i sensi.
 
*
 
L’acqua fuoriesce veloce dal rubinetto, impetuosa. Ellie, le mani attaccate saldamente al lavabo e le braccia a sostenere il peso del suo corpo, fissa il suo riflesso allo specchio, gli occhi fermi sulla sua immagine stanca e arrabbiata.
 
Non ha idea di quanto tempo sia passato da quando Dean è uscito da quella porta, da quanto sta così, ferma a contemplare il suo viso, come se da quell’azione potesse riuscire a realizzare qualcosa di importante. Sospira forte e si passa una mano sugli occhi stanchi, coprendoli con le dita per un lungo istante.
 
Non è cambiato. In questi giorni, Ellie l’ha osservato attenta, fissando i tratti del suo viso ed i suoi occhi, soprattutto quelli perché è lì che è nascosta la sua verità e no, non è cambiato affatto.
 
Non è cambiato il modo in cui la guarda, quel voler scrutare nei suoi occhi per sapere se sta dicendo la verità, se lo osserva nello stesso modo sincero con cui lo faceva fino a un anno fa, quando ha deciso che tagliare i ponti con lui era la cosa giusta da fare per non soffrire più. Ellie, però, non gli ha mai mentito da che l’ha ritrovato, neanche qualche minuto fa. E’ stata un po’ brusca a volte, questo sì, ma l’ha fatto per tenerlo lontano, perché non è cambiato neanche quello che sente quando le è vicino, non è cambiato niente nonostante la lontananza e il rancore che Ellie ormai non credeva di provare più e questo le fa paura più di ogni altra cosa al mondo.
 
Il terrore di ricascarci ancora, di finire di nuovo tra le sue braccia e lasciarsi andare come solo con lui è riuscita a fare da che respira è più vivo e bruciante che mai, più della prima volta in cui si è immaginata al suo fianco in un modo nuovo, quando ha capito che forse poteva esserci qualcosa di diverso, che poteva essere tutto ancora più bello e profondo. Era una sensazione così sbagliata ma al contempo così bella da spingerla a viaggiare con la mente fino a disegnarsi insieme a lui, stretta tra le sue braccia come in una fotografia di quelle che si fanno le coppie sorridenti e innamorate. Lo rigirava tra le dita quando lui era lontano con la speranza di essere ricambiata, che prima o poi si sarebbero ritrovati ad assomigliare a quel disegno a matita, stretti l’una tra le braccia dell’altro con gli angoli delle labbra all’insù e gli occhi felici.

Ricorda la rabbia con cui ha trattato quel foglio di carta dopo, quando ha capito che aveva dato tutta se stessa alla persona sbagliata, che si era approfittato di lei e di quel sentimento puro e ingenuo che era nato per lui e che Ellie aveva nutrito con forza nonostante l’incertezza ed i segnali confusi, lottando per tenerlo in vita. Sa di essercisi accanita abbastanza e poi di averlo lasciato appallottolato in fondo al suo borsone per mesi, sapendo perfettamente che fosse lì ma evitandolo con cura, per non ripiombare nella stupida illusione di essersi sbagliata, che forse – forse – in fondo a tutto quel casino la verità era che aveva esagerato e si era fatta trasportare dalla rabbia, da quella furia cieca che l’aveva travolta.

Quando ha ritrovato quella palla di carta e l’ha aperta di nuovo, ritrovando quel volto, era a Buckley, nel suo appartamento. Stava mettendo a posto le sue cose – sebbene non fossero molte – dopo il trasloco e sa di essersi presa una pausa per guardare quel foglio a lungo, di aver chiuso gli occhi e di essersi lasciata andare al pianto, all’idea più dolorosa di tutte: quella di averlo perso, di aver rinunciato al suo affetto e al suo sguardo rassicurante, ai suoi occhi buoni e gentili, quelli che non le hanno mai mentito. Ed è così che ha finito con l’allisciare quel foglio stropicciato con le dita e guardarlo ancora fisso per qualche istante prima di inserirlo nel quaderno pieno di foto e altri disegni, di tenerlo come ricordo di una cosa bella. Perché in fondo Dean è sempre stato questo e, nonostante avrebbe tanto voluto che fosse andata diversamente, sapeva che anche lui, in un modo tutto suo, le aveva dato tanto.
 
E’ vero, ha violato la sua riservatezza sbirciando in quel quaderno, cercando chissà cosa tra quelle pagine che raccontano solo una parte della vita di Ellie, quella più bella e felice, ed è altrettanto vero che l’idea la fa infuriare, ma quel che è peggio è che con tutti questi discorsi, con tutta la sua voglia di chiarire le cose – qualcosa che Ellie ha chiaramente letto nei suoi occhi e che era tanto decisa a voler ignorare per non cascarci ancora – ha riaperto una ferita che Ellie voleva seppellire per sempre, una delusione a cui non voleva pensare più. 
 
Non si può dimenticare una persona da un giorno all’altro. Non si può smettere di pensarla solo perché ti ha fatto del male, questo Ellie lo sa fin troppo bene. L’ha provato sulla sua pelle sia per suo padre che per Dean. La differenza, però, è che mentre con suo padre non era mai riuscita ad instaurare un rapporto vero, uno che si avvicinasse un minimo alla sua idea, a quello che le sarebbe piaciuto avere con lui, con Dean c’è sempre stato un legame, qualcosa di inspiegabile che si era creato nel tempo, scavalcando diversità e tutto quello che c’è di incompatibile tra di loro. Perché è assolutamente vero quello che gli ha detto: lei e Dean non hanno niente in comune, solo la voglia di piacere ai propri padri e di sentirsi adatti, compresi. Era per questo che riuscivano a capirsi, che in un modo o nell’altro le loro differenze si incastravano alla perfezione creando un collante, qualcosa che, nonostante tutto quello che è successo, li ha tenuti uniti – sebbene fossero lontani e incazzati l’una con l’altro – a tal punto da spingerla a prendere la macchina e farsi non sa quanti mila chilometri per raggiungerlo e aiutarlo.
 
Credeva di aver voglia di partire perché era giusto così, perché nonostante tutto gli vuole ancora bene, perciò le sembrava naturale pensare di mollare la sua nuova vita per qualche giorno e andare a dargli una mano. Solo che ha finito col capacitarsi del fatto che non è solo questo il motivo.
 
Ellie si è resa conto nel tempo che la ragione per cui voleva stare con Dean era che lui la comprendeva, che aveva un modo naturale di guardarla negli occhi e spingerla a parlare dei suoi problemi, delle sue perplessità. Lo faceva senza rendersene conto, in maniera del tutto spontanea, ed era proprio per questo che Ellie si trovava tanto bene con lui ed era addirittura arrivata a pensare che fosse lui quello giusto, quello con cui avrebbe voluto condividere le sue cose più intime perché con lui riusciva a parlare di qualsiasi cosa, ad essere se stessa.
 
Non riusciva a togliersi quell’idea dalla testa, neanche mesi dopo quel litigio, come se avesse qualcosa che la teneva comunque ancorata a lui, nonostante tutto.
 
Aveva persino chiesto il parere di Janis in merito, una volta, nel modo più discreto possibile. «Ti è mai successo di litigare tanto con qualcuno ed averlo lontano per tanto tempo e sentirne comunque la mancanza?»
La sua amica ci aveva riflettuto per un attimo e poi le aveva sorriso «Sì… sì, mi è successo. Credo sia perché certi legami non si possono spezzare. Neanche con il peggiore dei litigi».
Ed Ellie ci aveva pensato tanto, poi, chiedendosi se fosse davvero così che funzionava per lei e Dean, se c’era qualcosa di tanto forte tra di loro. Da parte sua, almeno, perché non era sicura che per lui fosse lo stesso.
Aveva sviato le domande successive, però, attenta a non rivelare niente su di lui a Janis. Quello che avevano passato, tutto ciò che avevano condiviso, per Ellie era un segreto prezioso, qualcosa che custodiva gelosamente nel cuore.
 
Per questo ha bisogno di tenerlo a distanza adesso, perché nonostante ci sia qualcosa nel suo cuore che le suggerisce di buttarsi di nuovo, che è totalmente sincero quando le chiede di riprovarci, di tentare e lasciarsi alle spalle quella storia, qualcos’altro la frena, dicendole che, facendo così, finirebbe solo per illudersi un’altra volta e nient’altro.
 
Passa entrambe le mani sotto il getto freddo dell’acqua e se le porta sul viso, per poi chiudere il rubinetto ed inspirare forte. Si passa un asciugamano sul volto e si guarda ancora allo specchio per un istante, per poi uscire dal bagno e avvicinarsi al tavolo dove il suo laptop è ancora aperto.
 
Apre il suo taccuino e rigira quel disegno tra le dita ancora una volta, osservando i contorni della sua immagine, così differente da com’è lei oggi; la stessa cosa vale per Dean.
 
Deve riconoscere di essere stata molto egoista con lui in questi giorni… troppo. Era così presa dall’evitare di affrontare quel discorso – cosa che, alla fine, hanno fatto comunque – e a cercare di concentrarsi sul caso per non pensare a tutte le altre cose che aveva per la testa – il lavoro e quello che aveva lasciato a Buckley, l’idea che tutto sarebbe tornato com’era per lei e che avrebbe solo finito per farsi male un’altra volta – che non gli è stata vicino come probabilmente lui avrebbe voluto.
Tra lui ed Ellie non c’è un gran feeling – non c’è mai stato, a dire la verità –, ma John è comunque il padre di Dean che è preoccupato ed Ellie non gli ha dato l’appoggio che forse si sarebbe aspettato da lei. Di questo si pente molto, perché se uno orgoglioso e testardo come lui l’ha chiamata dopo un intero anno di silenzio – a parte le telefonate post-litigio che lei ha volontariamente ignorato – non è solo per farsi aiutare in un caso che, con tutta la sua esperienza, in un modo o nell’altro sarebbe stato comunque in grado di risolvere. C’era dell’altro, ma Ellie l’ha capito solo adesso.
 
Scuote appena la testa seguendo il filo dei suoi pensieri. Sapeva che sarebbe andata a finire così, che alla fine avrebbe abbandonato l’ascia di guerra e provato almeno a chiarire la faccenda con lui. Non le è mai piaciuto lasciare le cose a metà ed ora che ha l’occasione di rimettere un po’ a posto tutto quanto, non vuole lasciarsela sfuggire. Su questo Dean ha ragione ed è disposta pure a lottare con la paura che sente pur di riprovare a far funzionare il loro rapporto. Magari non com’era arrivato ad essere poco prima di quel grosso litigio, ma potrebbero tornare ad essere amici… più o meno. Perlomeno provarci. Prima, però, devono mettere da parte le loro discussioni e risolvere questo maledetto caso, sennò non ne usciranno più.
 
Vuole andargli a dire tutto questo proprio adesso ed inspira forte, convincendosi che è la cosa più giusta da fare; appoggia il disegno sopra al taccuino aperto e poi lo richiude velocemente, infila la giacca verde sopra la camicia color carta da zucchero ed apre la porta della sua stanza, dirigendosi verso quella di Dean.
 
Quello a cui non è affatto preparata è che, proprio lì davanti, c’è una ragazzina, che ha visibilmente tra i sedici e i diciassette anni, che sta bussando insistentemente; è pallida in volto e sembra avere una gran fretta di trovare qualcuno – in questo caso Dean, visto che è sulla sua porta che sta battendo le nocche della mano in quel modo. Ellie le si avvicina piano e allarga gli occhi quando la riconosce: è quella simpaticona di Jennifer Hamford che, quando si accorge della sua presenza, la guarda con gli occhi sgranati.
 
«Io… io stavo cercando il suo collega, ma non… non mi risponde» Ellie si inumidisce le labbra, seria. E’ vero che era nero quando è uscito dalla sua stanza e probabilmente potrebbe essere chissà dove a sbollire la rabbia, ma le pare strano che l’abbia fatto proprio adesso che sono vicini alla soluzione di un caso che l’ha fatto dannare per settimane. Se cercava qualcuno con cui accanirsi, bastava rimanere nella sua stanza.
 
Si guarda intorno: l’Impala è parcheggiata al suo posto, accanto alla Volvo rossa di Bobby, com’è sempre stato in questi giorni e questo rende tutto ciò ancora più strano, perché se Dean avesse voluto andare da qualche parte avrebbe di certo preso la sua macchina.
 
Bussa un paio di volte, cercando di tenere sotto controllo quella ragazzina, quando il suo sguardo si sofferma su qualcosa di luccicante caduto a terra, tra il bordo inferiore della porta e il pavimento, e si abbassa di riflesso a raccoglierlo. Afferra quell’oggetto in mano e lo riconosce immediatamente: sono le chiavi della stanza di Dean che, a questo punto, non è andato a farsi nessun giro – neanche a piedi, per quanto fosse comunque improbabile – per sbollire nulla.
Se non è nella sua stanza, vuol dire che qualcuno l’ha aggredito o chissà e quella che monta dentro Ellie è una rabbia così grande che di scatto si alza e prende per il collo quella ragazzina, sbattendola contro il muro con forza. Lei si dimena, stringendo la sua mano tra le sue, cercando di allentare la sua presa e la fissa incredula.
«Dov’è Dean? Che gli hai fatto?» Jennifer, rossa in viso, tenta invano di divincolarsi «Dimmelo subito, altrimenti ti lego da qualche parte, ti faccio parlare e poi ti lascio a marcire, piccola strega bastarda».
La ragazza sgrana gli occhi «Io non… non so-sono una strega, mi-mia z-zia lo è». Ellie lascia la presa e la guarda; Jennifer tiene entrambe le mani intorno al collo, cercando di regolarizzare il respiro. «E’ per questo che s-sono qui».
 
*
 
Ellie mal sopporta gli adolescenti, perché molto spesso sono solo dei bambocci viziati che non riescono a tenere a freno gli ormoni e la voglia di libertà che cominciano a sentire quando si avvicinano ai diciotto anni. Non capiscono, però, che essere in una fase di transizione tra l’infanzia e l’età adulta non è una buona giustificazione per combinare cazzate.
 
In piedi e pronta a qualsiasi confessione, fissa con lo sguardo di fuoco Jennifer Hamford che è di fronte a lei, seduta su una sedia della sua stanza. Non è sicura di riuscire a tenere le mani a posto in caso si accorga che sta dicendo qualche bugia, però. E’ stufa di farsi prendere in giro.
«Allora?» La ragazza la guarda ed è visibilmente impaurita, ma Ellie non ha nessuna intenzione di abbassare il tono o addolcirsi per tenerla buona. Ha avuto fin troppa pazienza. «Non dovresti essere a scuola? Che diavolo stavi andando a fare da Dean?»
«Non ci sono andata stamattina, perché ho… ho telefonato all’agente Malcolm o come diavolo si chiama per dirgli che non… io… »
«Lavoriamo insieme, perciò sputa il rospo a me. E non si chiama in quel modo».
Jennifer si morde il labbro, nervosa «Ecco, infatti io… io credo di aver capito che non siete dell’FBI».
«Certo che no. Non siamo neanche imparentati con quei pomposi stronzi».
Jennifer si morde il labbro e annuisce «Lo immaginavo. Non… non ne avete l’aspetto».
Ellie aggrotta la fronte «Da quando bisogna avere una certa faccia per essere dell’FBI?»
«No, è che… siete giovani. Un po’ troppo, soprattutto tu» Ellie storce la bocca, l’espressione di chi è stanco di queste divagazioni e vuole passare al sodo «Comunque, io l’ho contattato perché ho bisogno di aiuto. Volevo dirgli la verità». Ellie ascolta attenta, mordendosi la lingua per non risponderle a traverso. «Questa storia è colpa mia ed è arrivato il momento che io paghi per tutto quello che è successo. Non… non avrei mai creduto che sarebbe diventato qualcosa di così oscuro, che avrebbe fatto del male a così tante persone».
Ellie si siede lì accanto, scrutando nei suoi occhi; non sta mentendo, ne è sicura, e questo è un punto a suo favore. «Stai parlando di tua zia?»
La ragazza annuisce «Vivo con lei da ormai qualche mese. I miei hanno sempre detto che era una persona strana, solitaria e taciturna, che si circondava solo di gatti come le streghe cattive, ma non avevano nessun altro a cui lasciarmi quando sono partiti. Quando mi sono trasferita a casa sua, ho scoperto che aveva davvero dei libri di magia, dei volumi particolari, antichi. All’inizio non rispondeva alle mie domande, poi… ho continuato a giocare con il fuoco e le ho detto che volevo provare a vedere se gli incantesimi che c’erano in quei libri funzionavano davvero, se avevano effetto» scuote la testa, sviando lo sguardo per qualche istante «Quella richiesta, ha innescato una specie di meccanismo in lei, come un… un vecchio desiderio che è tornato a galla».
Ellie riflette per un attimo sulle sue parole «Era veramente una strega».
Lei annuisce «E’ potente. E un po’ schizzata, ma questo l’ho capito solo dopo» sorride amara «In fondo non… non l’avevo mai conosciuta per bene. Ho imparato a farlo solo in questi mesi, ma non avevo intuito quanto fosse vendicativa» si gratta dietro la nuca «All’inizio, ho provato a farle fare degli incantesimi per me, per migliorare i miei voti a scuola. Era una figata: ad ogni compito, anche se non avevo studiato nulla, prendevo un voto più bello dell’altro. Era una bella sensazione, così ho… »
«Hai chiesto qualcos’altro, anche per i tuoi amici».
«Sì. George aveva sempre desiderato di entrare alla Pacific [3] ed io volevo aiutarlo a realizzare il suo sogno. Poi Kevin, lui… lui mi è sempre piaciuto, per questo non mi sono fatta aiutare dalla zia per la matematica… non volevo che smettesse di darmi delle ripetizioni» sorride furba e, per la prima volta da che è entrata in quella stanza, anche Ellie lo fa. E’ qualcosa che, più o meno, hanno fatto tutte quante ai tempi del liceo per passare un po’ di tempo con il ragazzo di turno per cui si erano prese una cotta; anche Ellie l’ha fatto con Ben, il suo ex ragazzo, perché era bravo in tutte le materie e per i compiti in classe poteva darle una mano «Volevo che avesse quello che meritava: dei soldi per ricostruire la sua vita, per la sua famiglia. E’ la cosa a cui tiene di più al mondo».
«E Amelia?»
Jennifer stringe le spalle «Amy si accontentava dei voti buoni e della squadra delle cheerleader. Era l’unica a sapere il mio segreto. E’ la mia migliore amica e… ed è speciale. Non so come fa, ma vede il meglio di me e sa tutto, qualsiasi cosa, perché non riesco mai a nasconderle nulla. Quando avevo capito di avere un potere così grande tra le mani, non potevo tenerlo per me».
 
Ellie la osserva e adesso capisce molte cose, tranne una. «E allora perché è finita in ospedale?»
Jennifer abbassa lo sguardo; sembra sentirsi colpevole «Perché, come ho detto, mia zia è la persona più vendicativa che io conosca. Sono stata io a consigliare a Daniel di portare Amy in quel ristorante. E’ sempre stato un po’ cotto di lei e volevo… volevo aiutarlo a far andare bene quell’appuntamento, perché ci teneva e magari Amy ha solo bisogno di una piccola spinta per capire che anche lei è cotta marcia di Dan. Volevo solo questo, invece… invece è andato tutto in modo diverso» sospira forte e si stropiccia gli occhi con le dita, rigirandole poi tra di loro «Il problema è che la zia è arrivata ad un punto in cui non… non riesce più a fermarsi, è come… assetata da un potere sempre più grande. Quando ho visto che le cose stavano degenerando, le ho chiesto di smetterla, di tornare alla vita di sempre. Il problema è che io so vivere senza magia, ma lei no» sospira afflitta, passandosi una mano sulla fronte «Pensavo che dicendole che avrei raccontato tutto alla polizia o a qualcuno avrebbe smesso, che l’avrebbe preso come avvertimento, invece ho ottenuto l’effetto contrario».
Ellie sospira, collegando lentamente tutti i tasselli del puzzle. «Prima ha rapito Kevin per farti capire che faceva sul serio. Poi… »
«Poi ha scoperto che Amy sapeva tutto e si è accanita con lei, sapendo quanto siamo legate e… non lo so, è come se mi seguisse sempre, come se avessi una sua microspia addosso e sapesse tutto quello che faccio».
«Quindi potrebbe sapere che sei qui».
Jennifer fa spallucce «Non lo so, può darsi. Ho chiamato quel ragazzo, quel… Dean per dire tutto a lui ed ora è sparito ed io non… »
 
Ellie allunga una mano nella sua direzione, come colta da un’illuminazione «E’ il tuo telefono. Lo controlla in qualche modo, devi… devi distruggerlo».
Jennifer la guarda storto «Cosa? Hai idea di quanto costa?»
«Oh andiamo, ne ricomprerai un altro. Devi liberartene».
 
La ragazza sbuffa e le consegna quel piccolo marchingegno con non poca incertezza. Ellie lo prende e lo scompone velocemente, buttandolo poi a terra e schiacciandone i pezzi sotto il tacchetto dei suoi stivali.
Sorride soddisfatta, anche se Jennifer non è esattamente dello stesso avviso ed ha una smorfia poco contenta in volto.
 
«Ora… hai una vaga idea di dove possa nascondere Kevin?»
Jennifer stringe le spalle «Frugando nel ripostiglio, quando ho trovato quei libri, ho scoperto che possiede un magazzino in periferia, isolato… ma non ho idea di dove possa essere esattamente».
Ellie annuisce «Bene, allora andiamo a scoprire dove si trova di preciso. Sicuramente è il suo nascondiglio» si alza in piedi ed apre l’armadio, rovistando tra i vestiti per trovare la sua pistola. La infila nel retro dei jeans e prende un paio di coltelli che mette dentro le scarpe, in caso possano esserle utili. Si volta verso Jennifer che la guarda allucinata, visibilmente stravolta. «Che… che cosa ci vuoi fare con quelli?»
Le si avvicina a passo svelto «Ascolta, so che si tratta di tua zia e che sicuramente le vuoi bene, nonostante tutto quello che ha fatto ai tuoi amici, ma è una strega e va fermata».
«E’ questo che fai? Uccidere le streghe?»
Ellie scuote la testa «No, è Dean che lo fa, è una… una parte del suo lavoro. Io sono solo un’aiutante però… spero che riusciremo a cavarcela anche senza di lui. La cosa importante, Jennifer, è non avere paura. Capisco che non è facile, ma sei venuta qui per parlare di quello che è successo perché vuoi aiutare i tuoi amici, quindi beh… questa è l’occasione che hai per farlo, per rimettere a posto le cose. E’ questo che vuoi, no?»
Jennifer stringe forte il labbro inferiore tra i denti ed annuisce, sebbene sembri poco decisa «Ecco. Allora prova a fidarti. Qualunque cosa accada, rimani al mio fianco e fai ciò che ti dico, intesi?» lei annuisce, nonostante sia ancora visibilmente titubante, ma Ellie non può biasimarla per questo «Non torcerò un capello a tua zia se non sarà strettamente necessario, te lo prometto. La cosa importante è che tu nasconda la tua paura il più possibile e ti faccia forza. Riporteremo tutti a casa, ne sono sicura».
 
La ragazzina abbozza un sorriso e stavolta annuisce più decisa, muovendo appena la testa per dirle che è d’accordo. Ellie le sorride appena ed apre la porta, sospirando forte prima di farla uscire.
 
Stavolta dovrà essere lei a salvare Dean. Lui l’ha fatto milioni di volte, perciò glielo deve e… e non è solo per dovere che lo fa. Non è mai stato solo questo, Ellie, in fondo, ne è sempre stata consapevole, ma l’unica cosa che conta davvero adesso è riportarlo indietro sano e salvo. 
 
[1] Dando uno sguardo alla cartina di Westwego, non ho trovato neanche mezzo ospedale (anche se sono assolutamente certa che almeno uno ne esista XD) se non quello per animali. Così, ho utilizzato il primo nome che mi è venuto in mente, che è quello di Charming (California), la cittadina fittizia dove si svolge Sons of Anarchy.
[2] Nel “Pilot”, Dean afferma di non vedere o sentire suo padre da tre settimane.
[3] Anche qui, il nome della scuola è una mia invenzione: proviene da The O.C. ed era uno degli istituti privati frequentati dai ricconi.

 
  
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