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Autore: Fiamma Drakon    25/02/2009    1 recensioni
Un alchimista... un demone devastatore... legati per la vita da una profezia annunziata secoli prima. Riuscirà Edward Elric ad impedirgli di stendere un velo di morte sul mondo?
Genere: Malinconico, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2_Elizabeth La luce smorta del mattino illuminò la camera dove i fratelli Elric alloggiavano, destando Edward dal suo tormentato sonno. Il biondo si sedette sul bordo del letto e spostò gradualmente lo sguardo verso suo fratello, addormentato su una sedia posizionata accanto a lui.
Edward lo fissò per qualche istante, domandandosi quanto lo avesse fatto soffrire la sera prima, quanta preoccupazione gli avesse dato. Non era sua intenzione, assolutamente, ma non era riuscito a frenarsi. Avrebbe preferito strapparsi il cuore con un paio pinze arroventate piuttosto che veder Alphonse soffrire ancora, più di quanto non potesse sopportare. Gli aveva già inflitto dolore a sufficienza.
L’alchimista si alzò dal letto e, legandosi i capelli dorati nella solita treccia, iniziò a vestirsi silenziosamente.
Un nuovo giorno. Una nuova guerra contro se stesso. Era inevitabile che vivesse la sua adolescenza da prigioniero. Prigioniero in una bolla di vetro che nessuno mai avrebbe potuto infrangere. Prigioniero della sua missione, del suo obiettivo: impedire a Elizabeth di evadere.
Elizabeth, quello era il suo nome. Non era umanamente possibile che rabbia, odio, rancore e vendetta potessero fondersi assieme e creare una creatura autonoma e pensante, con un nome e uno scopo primario nella sua esistenza.
Eppure, quando da bambino l’aveva vista per la primissima volta nello specchio di casa sua, lei si era presentata. Aveva detto di chiamarsi Elizabeth. Aveva detto che non sarebbe stata sua nemica, aveva detto che l’avrebbe aiutato. L’avrebbe aiutato a distruggere il mondo.
In quell’attimo Edward capì che non poteva e non doveva uscire. Non doveva esistere. Era un errore innaturale. Qualcosa di irrimediabilmente storto in lui. E da quel momento aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per tenerla nascosta ad Alphonse, cosa che si era rivelata più semplice, dato che solo lui la vedeva riflessa ogni qualvolta si guardava in uno specchio.
E così aveva passato l’infanzia. Un’infanzia da inferno cercando di farla morire. Aveva spinto il suo corpo fino quasi alla morte pur di trovare qualcosa che potesse ucciderla. E lei gli aveva semplicemente detto che se la voleva morta, anche lui sarebbe dovuto morire. E da quel momento aveva rinunciato. Aveva smesso di tentare il suicidio ogni volta che se ne presentava l’occasione. Aveva smesso di digiunare, di non bere. Aveva smesso di infliggersi dolore. Aveva smesso di desiderare la morte.
Edward, una volta vestitosi, uscì in silenzio dalla stanza, lasciando Alphonse da solo.
Uscì dall’albergo e iniziò a girovagare per East City, senza badare a dove le sue gambe lo stavano portando.
A dodici anni lui e suo fratello avevano bruciato la loro casa e iniziato il loro viaggio. Ed Elizabeth continuava a bramare crudeltà nell’inconscio di Edward. Attendeva l’occasione di uscire, aspettava l’ora nella quale avrebbe finalmente visto la luce. Ma quell’ora non era ancora giunta a distanza di tre anni.
Ormai quindicenne, Edward sapeva fin troppo bene che una simile mostruosità non avrebbe mai dovuto emergere da dentro di lui. Non avrebbe mai dovuto vedere la luce del giorno. Perché sarebbe rimasta per sempre ingabbiata in lui, volente o nolente, fino alla fine dei suoi giorni.
Il ragazzo si fermò e alzò lo sguardo dal lastricato sotto i suoi piedi: era in piazza. Lui e Alphonse c’erano passati talmente tante volte che ormai le sue gambe si indirizzavano lì automaticamente. Il biondo, sovrappensiero, si sedette sul bordo della grande fontana posta proprio al centro della piazza.
E lì rimase seduto.
Non immaginava che in quel luogo così conosciuto, così familiare, si sarebbe realizzato il suo peggior timore.
- Ehi tu! Torna indietro! - urlò qualcuno alle spalle dell’alchimista, che si voltò di scatto.
Un ladro. Non si aspettava niente di più, ovviamente in un città come East City, tenuta sotto strettissima sorveglianza dall’esercito.
Edward si alzò e bloccò la strada all’uomo.
- Togliti di torno, ragazzino! - gli intimò il ladro, puntandogli contro una pistola.
- Avanti, ammazzami - lo provocò il biondo. Se proprio doveva morire, almeno avrebbe portato con sé Elizabeth.
Un colpo inaspettato precedette quello del ladro, che fu colpito in pieno cuore da una serie di proiettili sparati da un punto fuori visuale.
L’uomo si accasciò a terra in un lago di sangue, morto.
Edward rimase lì, perfettamente immobile.
Un battito cardiaco riecheggiò nel suo petto dieci volte più forte, quasi volesse uscire dalla cassa toracica. Il biondo impallidì, mentre una fitta di emozioni negative di inaudita potenza vibrava, rimbombando, in lui. Per un istante, sembrò non avere più alcun controllo sul proprio corpo. Rimase lì immobile, gli occhi sgranati per la sorpresa e il dolore, la bocca semiaperta. Ma più di tutto, provava terrore. Terrore per ciò che si stava agitando dentro di lui, per quella cosa che si dibatteva per conquistare la libertà che mai Edward gli avrebbe concesso senza combattere. Il petto iniziò a tremargli, mentre i battiti cardiaci aumentavano frequenza e intensità.
- Edward! -.
Una voce femminile riecheggiò lontanissima, quasi inudibile se confrontata all’accelerazione forsennata del palpitare frenetico del suo cuore. Le fitte di emozioni negative, quasi alla stregua di lance, gli dilaniavano l’inconscio, rendendolo emotivamente sempre più debole. Il petto non accennava a fermarsi. Gli occhi, venati di terrore, paura e disgusto, non riuscivano a staccarsi dall’uomo accasciato a terra morto, e dalla pozza di sangue fresco sotto di lui.
Era pronto a vedere il proprio petto esplodere sotto i colpi martellanti del proprio cuore. I muscoli non rispondevano più, i polmoni continuavano meccanicamente a dilatarsi e restringersi, nonostante Edward si sentisse lacerare dalla mancanza di ossigeno.
Poi, qualcosa di potente lo scosse, assestandogli il colpo definitivo. Le ginocchia del ragazzo cedettero.
Piegato in avanti, gli occhi dilatati all’estremo, quasi del tutto privo di fiato, Edward spalancò la bocca, dalla quale uscì un fiume di sangue, che andò a chiazzare il lastricato e i suoi vestiti. E da quel sangue caldo, lei prese forma.
Dinanzi ai suoi occhi, nei quali le venature erano quasi del tutto svanite per la mancanza di sangue e ossigeno, apparve colei che aveva strenuamente lottato per quindici anni per la libertà. Colei che aveva rovinato la vita di Edward. Colei la cui vita aveva il solo scopo di portare dolore, morte e distruzione dovunque andasse. Era libera. Elizabeth era libera.
Per quanto Edward avesse cercato di frenarla, lei era riuscita a sconfiggerlo.
Era identica a lui, per quanto diversa: i capelli dorati lunghi e lisci le scendevano fino alle spalle, il braccio destro e la gamba sinistra erano in auto-mail. La carnagione chiara era quasi marmorea. La fronte era coperta da una spettinata frangia, al di sotto della quale si intravedevano le sottili sopracciglia bionde. Il viso idilliaco e innocente era reso demoniaco dagli occhi di brace iniettati di sangue che fissavano Edward con superiorità, mentre le labbra si increspavano a formare un sorriso malvagio, scoprendo due file di acuminati denti bianchissimi.
- Finalmente la luce. Edward... siamo ancora legati... ma ora non ho più bisogno del tuo misero corpo -
Edward la fissava, distante, gli occhi vitrei puntati su di lei.
- Edward Elric... sono certa che ci rivedremo... -.
Svanì come trasportata da un invisibile soffio di vento.
- Edward... Edward! - esclamò la tenente Hawkeye, correndo al fianco del biondo.
Non riusciva a crederci. Non voleva crederci. Era riuscita a fuggire. Era riuscita ad uscire. Ed ora il mondo era condannato a causa sua e della sua stupidità. Avrebbe dovuto decidersi prima. Avrebbe dovuto capire che l’unica soluzione possibile era farla finita. Avrebbe dovuto uccidersi finché ne aveva avuto l’occasione. Ormai era troppo tardi.
- Fratellone! FRATELLONE! - il grido preoccupato di Alphonse sovrastò i discorsi delle persone che attorniavano la scena.
Facendosi largo a spintoni fra la folla, l’armatura arrivò immediatamente al fianco di Edward e si chinò su di lui.
- Tenente... cos’è successo? - domandò, prendendo fra le braccia Edward, che fremeva.
- Non lo so... solo tuo fratello potrà spiegarcelo... - rispose Riza, togliendosi la giacca e avvolgendola attorno al corpo del biondo.
- Fratellone... che cosa? -
Il biondo rigurgitò ancora altro sangue.
- M-mi dis-piace... - mormorò flebilmente, accoccolandosi fra le braccia di Alphonse.
- Ti dispiace? Per cosa? -
- M-mi dispiace... tan... tanto... -
- Non penso che sia nelle condizioni adatte per rispondere. Sembra traumatizzato. Meglio farlo riposare - consigliò la tenente.
Alphonse, tenendo saldamente fra le braccia il fratello, ripercorse la strada verso l’albergo.
   
 
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