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Autore: Eneri_Mess    13/11/2015    2 recensioni
Ma il fatto che Zoro fosse lì ad aspettare che aprisse bocca non significava che avrebbe accolto quel momento di sconforto. Non aveva intenzione di lasciarsi impensierire, di cedere a quella punta di panico simile a un arcolaio, e poi farsi consolare. Era passato, era una cosa sua, di tanto, troppo tempo prima. Era qualcosa che era sempre stato più grande di lei, più indelebile di qualsiasi sorriso o mano amica. Ed era finito, più di due anni prima, seppellito sotto le macerie di un parco di divertimenti a forma di castello che di spassoso non aveva un bel niente. Probabilmente proprio perché era solo un ricordo era più vivido che mai e ancorato alla sua anima.
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La memoria non è solo dell'anima, ma anche del corpo. [ZoroxChild!Nami]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota: la storia si svolge durante un’ipotetica notte prima dello scontro contro Z, ambientata nel film “One Piece Z”! Non è indispensabile averlo visto, ma serve un particolare per leggere questa storia: Nami è stata riportata all’età di 8 anni circa dal potere del frutto Modo Modo no Mi di Ain.
Buona lettura!

 

 
 
 
Kintsukuroi
I know, you’re gold
 
 
 
I’m like one of those Japanese bowls
I was made long ago
I have some cracks you can see
See how they shine of gold.
 
[Japanese Bowl - Peter Mayer]
 
 
 
 
Quella notte di pioggia si stava insinuando prepotente nella sua mente, e questo Nami non voleva permetterlo. Si umettò le labbra, gli occhi chiusi, immobile sulla stuoia sostitutiva del letto in una posizione somigliante a un gatto acciambellato… ma inevitabilmente strinse le dita tra loro, pregando che smettesse.
Si irrigidì. Nell’ombra delle sue palpebre serrate, la superfice che reggeva in equilibrio i suoi pensieri si inclinò improvvisamente verso l’angolo più buio dei ricordi.
L’odore acre dello sparo che si mescolava alla fragranza dei mandarini, schiacciati e inquinati dal sangue in macchie via via più estese sulla polvere del terreno. Prima che potesse mettere a fuoco la scena spalancò gli occhi nocciola, riempiendoli di qualsiasi cosa ci fosse intorno a lei.
« Ohi »
Sbatté le palpebre una, due volte, tre, per essere sicura che qualcos’altro non si sbilanciasse dentro di lei e le facesse perdere l’appiglio con la realtà.
« Ohi, Nami »
« Smettila, ci sono, ti sento » tagliò corto con quella vocina acuta, sfumata di fragilità, che fin troppo bene riconosceva sua. Dove l’inflessione irritata si addiceva molto poco alle note fanciullesche.
Da prona, si tirò su a sedere, guardando di sottecchi lo spadaccino paratosi di fronte. Lasciò che i lunghi capelli sciolti le cascassero disordinatamente su schiena e petto, celandole appena il viso come le cortine che un tempo velavano le dame di corte. Una spallina del semplice vestitino bianco le scivolò giù scoprendo parte del corpo acerbo. L’angolo della bocca si incurvò appena in una provocazione più che voluta.
Zoro la ricambiò dall’alto verso il basso, accovacciato di fianco a lei. La fissava sempre così per gli inevitabili centimetri che li differenziavano, ma quella notte c’era molto di più in mezzo a loro.
« Sei impossibile » sibilò a denti stretti, scoccandole un’occhiata esasperata. « E scandalosa » aggiunse. Allungò una mano per risistemarle l’abitino. La navigatrice gliela schiaffeggiò mentre nei suoi occhi passava un dardo infuocato e lui sogghignò.
Per quanto ci fosse una patina di ostentata irritazione sul suo viso, quei suoi scarsi otto anni la tradivano senza pietà. Aveva lineamenti troppo delicati per trasmettere emozioni negative senza suscitare ilarità.
Nami dovette intuire il suo pensiero, perché volse il capo di lato con uno sbuffo. Si sfogò sprimacciando il cuscino di fortuna, trovato nella baracca dove stavano passando le poche ore che li separavano dall’alba e da una potenziale fine molto cruenta per mano di Z. Una prospettiva che non la sfiorava minimamente, avendo pensieri più assillanti da tenere a bada.
« Allora, che cosa vuoi? Perché mi hai svegliata? »
« Svegliata? » riecheggiò sardonico lo spadaccino.
La sua voce roca le provocò un brivido e si augurò che i lunghi capelli nascondessero il lieve tremore.
Si era reso conto che non dormiva.
Con un sorriso ammorbidito tra sé e sé, la rossa si domandò da quanto si fosse accorto che qualosa non andasse.
In fondo, per quanto provasse a negarlo strenuamente e nei modi più sciocchi, una porta dentro di lei stava cigolando sui cardini. Una di quelle che avrebbe voluto chiudere per sempre, ma era una porta senza serratura, talvolta trasparente come vetro. Una gran fregatura se uno voleva tenere lontane le ombre che vi albergavano al di là.
E la combinazione di quella situazione ai limiti del paranormale e dell’acqua che il cielo versava con una frequenza più simile al pianto, non l’avevano per niente aiutata a impedire a quell’uscio di schiudersi, piano, lasciando che lingue buie di memoria le picchiettassero beffarde sulle spalle, invitandola a voltarsi e non ignorarle.
Ma il fatto che Zoro fosse lì ad aspettare che aprisse bocca non significava che avrebbe accolto quel momento di sconforto. Non aveva intenzione di lasciarsi impensierire, di cedere a quella punta di panico simile a un arcolaio, e poi farsi consolare. Era passato, era una cosa sua, di tanto, troppo tempo prima. Era qualcosa che era sempre stato più grande di lei, più indelebile di qualsiasi sorriso o mano amica. Ed era finito, più di due anni prima, seppellito sotto le macerie di un parco di divertimenti a forma di castello che di spassoso non aveva un bel niente. Probabilmente proprio perché era solo un ricordo era più vivido che mai e ancorato alla sua anima.
Realizzò tardi di aver posato uno sguardo vacuo sulla propria spalla sinistra, dove la girandola e il mandarino avevano perso il loro significato e i loro contorni curvilinei erano mere linee di inchiostro. Una lapide sopra una cicatrice. A poco a poco concretizzò quanto pericoloso fosse osservare in quella maniera il tatuaggio, quanto le spire della sua memoria stessero mutando in catene cigolanti.
Due mani grandi le cinsero la vita piatta e senza curve. Con un sobbalzo tornò in sé, ma non abbastanza da capire cosa stesse succedendo se non quando le pareti della baracca smisero di rovesciarsi e lei si ritrovò col naso schiacciato contro una pelle calda.
Sussultò un’ultima volta – annotandosi che gliel’avrebbe fatta pagare – e si districò dai palmi possessivi.
« Che diavolo ti salta in mente!? » soffiò, maledicendo la sua attuale ugola che trasformava le sue parole nella sfuriata di un gattino messo all’angolo.
E Zoro colse di nuovo e volontariamente soltanto quel lato ironico, mettendosi comodo con un braccio ripiegato dietro la testa, una gamba accavallata sull’altra come a creare il giusto trono per una piccola bisbetica, secondo la sua personale visione.
Sbadigliò, se possibile mandandola ancora più in bestia, ma la navigatrice mignon non si mosse, serrando i pugni.
Nami avrebbe voluto esibire una qualsiasi espressione che gli facesse capire quanto non fosse aria per certi atteggiamenti. Non aveva davvero nessuna intenzione di farsi coccolare. Non in quel momento. Non conciata in quella maniera.
Era ridicola. Da qualsiasi punto cercasse di vedere la situazione, questa si piegava su di lei sghignazzante. Le sue gambe, più somiglianti a due zucchine particolarmente longilinee, arrivavano a malapena oltre il petto dello spadaccino, con le dita dei piedi che sfioravano il legno del pavimento neanche fosse stata su una bicicletta troppo alta.
L’ultima volta se l’era goduta quell’ampiezza appena abbronzata tutta muscoli e cicatrici, cingendola tra le proprie cosce. Ora era fortunata se qua e là sulle ossa aveva un po’ di carne.
In un limbo di depressione desiderò riavere i suoi novant’otto centimetri di seno per soffocarci Zoro una volta per tutte. Ci si doveva mettere anche lui a giocherellare col suo umore?
« Quando hai finito di avvilirti mettiti a dormire » la punzecchiò il ragazzo. « O tornerai adulta per tutte le rughe che ti farai venire »
« Ah-ah, che simpatico » sibilò lei caustica.
I capelli sciolti erano talmente folti e vividi anche nella fioca luce notturna che Zoro temette ci sarebbe sparita in mezzo e lui non se ne sarebbe accorto. Per questo gliene tolse qualcuno dalle gote rosee, portandoli dietro l’orecchio in un gesto così fuori luogo per entrambi che si scrutarono immobili alla ricerca di qualcosa che nemmeno loro sapevano cosa fosse.
« Ti faccio tenerezza? » chiese lei dopo un po’, senza un tono in particolare. Sembrava una domanda accademica, come se lui fosse lì a sostenere un esame non programmato.
« Sei una dittatrice anche con queste dimensioni » ironizzò, non riuscendo a vederla davvero diversa da quella che conosceva.
Ma il sorriso amaro e triste sulle sue labbra gli fece intuire tutt’altro. Non aggiunse nulla, né per correggere quello che aveva detto, né per spronarla a parlare.
Una delle piccole mani di Nami percorse la cicatrice lasciatagli da Mihawk. Gli occhi nocciola marcarono le dita, adombrandosi centimetro dopo centimetro di una beffa crudele, figlia di un ragionamento che lui non poteva comprendere anche se gli indizi urlavano di guardare in una direzione precisa.
Il momento culminò in una smorfia di autocommiserazione della navigatrice ben lungi dall’essere apprezzata dallo spadaccino.
« Col corpo ridotto così non possiamo neanche divertirci e ingannare il tempo » sussurrò la rossa come se il problema fosse tutto lì. L’inflessione della voce sarebbe dovuta suonare dispiaciuta e rassegnata, ma entrambi la avvertirono densa e incerta, solo che lei l’ignorò volutamente coronando l’uscita con un’alzata di spalle.
Nessuna consolazione, ribadì tra sé. Era finito, era morto… tutto di allora non era che cenere e sprazzi di ricordi volutamente confusi.
« Stai pensando al passato? » se ne uscì Zoro, centrando il punto in poche semplici parole.
Nami gli graffiò appena la pelle, serrando le dita e distogliendo lo sguardo.
Perché riavvolgere i suoi ricordi fino a vedere Arlong’s Park di nuovo svettante verso il cielo, imponente su di lei? Perché far vibrare nelle orecchie promesse e risate smorzatesi negli anni?
« Valutavo la possibilità di farti sanare il tuo debito in natura » svicolò lei maliziosa, ma non le riuscì di sogghignare leggera, non curante. Non le riuscì minimamente di essere disinvolta e meno spaventata. La smorfia con cui voleva declassare la faccenda ad argomento noioso sfiorì in un sorriso triste in cui si morse il labbro.
In silenzio, lo spadaccino non perse nessuno di quei gesti. Non c’era biasimo, preoccupazione, dolcezze in agguato.
C’era lui, nel suo podio su cui lei ogni tanto lo sistemava per tenerlo lontano, per fargli capire che non aveva bisogno delle attenzioni di un tipo tanto bravo nel gestire le emozioni. E lui, ogni volta, aspettava senza fretta che fosse la rossa stessa a demolire quelle convinzioni, lasciandogli la possibilità di mettersi al suo fianco.
« Domani potresti morire, hai tutta questa voglia di deprimerti? » la stuzzicò ancora.
« Parla per te »
La verità era che Nami credeva che lui avesse tutte le risposte. O meglio, che lui sapesse senza esitazioni come liberarsi delle preoccupazioni, delle aspettative, dei ricordi brucianti. E questa idea si era più volte messa in mezzo a loro, solida e prepotente.
C’erano state volte in cui la navigatrice era andata a cercarlo per spogliarlo e farsi sbattere contro qualche parete, tenendo per sé la convinzione che lui avesse la chiave per chiudere certe porte nella sua testa. Sembrava che col sesso avesse potuto metterci le mani sopra, rubargliela, stare meglio.
Zoro non l’aveva capito subito, non le prime volte. Lei rimaneva una gatta enigmatica e lui cedeva alle carezze e alle parole, al desiderio che quella donna bellissima e sfuggente animava in lui. C’era cascato, ingenuamente.
Ma quando se ne era accorto non si era arrabbiato. Non aveva provato pietà, o chiesto cosa le passasse per la testa bacata.
Le aveva fatto capire con un sorrisetto che ci stava. Che se voleva dannarsi a cercare qualcosa che lei stessa si era inventata, lui era lì. Se tuttavia credeva che sarebbe rimasto con le mani in mano, si sbagliava di grosso.
L’avrebbe baciata fino a toglierle il fiato. L’avrebbe fatta sua pensando solo a lei, senza riserve. L’avrebbe apostrofata per com’era realmente e non avrebbe fatto dietro-front quando lei si fosse irritata. Se Nami voleva rubargli qualcosa doveva tenere a mente che Zoro non l’avrebbe lasciata fare senza reagire.
Sarebbe diventato ciò che di più reale lei avesse mai potuto trovare, soppiantando le sue fantasie.
Come in quella capanna bislacca. Come in quel momento che la rossa stava vivendo senza le redini dei propri pensieri e delle proprie emozioni, credendo di essere di nuovo senza appigli, sola.
Le sue labbra si schiusero, da prima mute. I suoi occhi fissavano quelli dello spadaccino, quieti, stanchi di cercare.
« La notte dopo che Arlong mi marchiò col tatuaggio della sua banda… iniziò a piovere, come adesso » sussurrò.
Le parole le scivolarono fuori tentennanti. Poteva sentire sulla pelle la distesa di schegge di vetro su cui si apprestava a camminare. « Sembrava che il cielo volesse piangere più forte di quanto stessi facendo io. Io che in un giorno avevo perso la mia madre adottiva, avevo fatto una promessa più grande e stupida di me e, non contenta, mi ero attirata l’odio delle persone che volevo salvare… »
Stava tremando per una morsa all’altezza dello sterno. Non aveva distolto lo sguardo, ma una patina le dava l’impressione che la realtà non avesse tratti distinti. Ritrasse le mani di scatto intorno al petto, avvertendo per la prima volta quanto il suo corpo fosse minuscolo, senza possibilità di sopravvivere a una burrasca.
Come faceva a essere lì, dopo tutti quegli anni? si chiese smarrita.
Come aveva fatto? Perché non se lo ricordava? Perché la memoria la stava punzecchiando tanto da farla sanguinare di nuovo?
Dita ruvide e callose sciolsero il suo abbraccio frenetico, senza forzarla. Una sola mano sarebbe bastata a stringere le sue, ma Zoro non si risparmiò.
Si fissarono, come prima, ma Nami non poté più tenerlo lontano. Non voleva.
« Questo corpo mi ricorda la mia impotenza… tutte le cose che Arlong mi ha portato via e quanto si sia inciso nella mia pelle… probabilmente molto di quella che sono lo devo a lui »
« Una taccagna ruffiana? »
Sul viso di Nami si aprì un sorrisino, sul malgrado. Qualcosa si incrinò e si saldò nello stesso momento.
Non capiva perché, ma fissò Zoro, adagiandosi contro le sue gambe a sorreggerla, e le spine nella sua mente fecero meno male. La porta dei suoi ricordi cigolò un’ultima volta.
« Quella fu la notte più brutta che abbia mai vissuto. Il momento in cui tutto quello che ho perso si è concretizzato. Per lunghe ore una parte di me ha creduto che dormendo il giorno dopo l’incubo sarebbe finito… » si voltò a guardare fuori dalla porta con la tenda strappata a metà e zuppa che gocciolava sull’ingresso. Immaginò facesse freddo, ma i palmi di Zoro sulle sue braccia le davano un sottile tepore, più insinuante delle gocce del temporale. « Fu solo l’inizio… l’inizio di otto lunghi anni » concluse con un sospiro. Concluse aspettando che lo stomaco si rimescolasse, che la bile, la tristezza, la paura le salissero tutte insieme di prepotenza lungo la gola, riempiendole la bocca di amaro. Che il cuore cedesse.
Non accadde.
Le macerie rimasero macerie. Nessun Arlong rise nelle sue orecchie, nessun mostro le portò via di nuovo il sorriso e il profumo di Bellmere.
Le corse un brivido sulla pelle pallida, fragile e delicata, quando le labbra di Zoro si posarono sulla sua tempia. Stava ancora fissando qualcosa di invisibile sull’uscio per accorgersi di come lo spadaccino la stesse stringendo tra il petto e le gambe, in una gabbia di calore che le svuotò la mente.
Fuori, il temporale rumoreggiò cupo. La pioggia cambiò ritmo, più intensa, più uniforme, come una cascata che trascina tutto via inesorabile.
Rimase zitta, aggrappandosi con le piccole mani alla stoffa della camicia aperta indossata dallo spadaccino, chiudendo gli occhi. Non si rimproverò, non lo respinse. Andava bene così, pensò con una stanchezza priva di quelle ombre ottenebranti.
« Voglio tornare sulla Sunny… » sussurrò impastata, affondando ancora di più il visino nel suo petto e cedendo al sonno.
Zoro rise appena, di gola, contemplandola.
Che Nami avesse vent’anni oppure otto non aveva importanza: rimaneva la donna più in gamba e con le cicatrici più belle che lui avesse mai potuto trovare.
 
 
 
 
'cause what you got is
Gold
I know you're gold
Oh oh oh
I know, I know
I don't need the stars in the night
I found my treasure
All I need is you by my side
So shine forever
Gold
I know you're gold
Oh oh oh
I know you're gold
 
[Gold – City Owl]
 




 
 
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Il kintsugi (金継ぎ), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente "riparare con l'oro", è una pratica giapponese che consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere d'oro per la riparazione di oggetti in ceramica (in genere vasellame), usando il prezioso metallo per saldare assieme i frammenti. La tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia dal punto di vista economico (per via della presenza di metalli preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed ovviamente irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall'idea che dall'imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.
 
 
Potevo scriverla molto meglio, sigh.
Potevo renderla molto meglio, sigh sigh.
‘Sera (‘notte?)… credo che con questa shot posso proprio dichiararmi una NON ZoNami… mi piacciono, sono carini… ma non riesco a renderli come coppia. Il tema che ho trovato (il Kintsukuroi) è perfetto per Nami, è bello in sé, ma non mi sembra di averlo scritto appieno, non penso si capisca tutto il sotteso che ho in testa. Grazie a City Owl per aver praticamente dato voce ai pensieri di Zoro perché bho, mi spiace, Zoro non pensa, e se lui non pensa io non so che scrivere! *cade in crisi* Non lo so interpretare. Ho fallito T-T
Per tirare le somme… quando ho visto One Piece Z sono stata folgorata da questa possibilità di dialogo tra Nami e Zoro (perché c’è una scena iniziale dove lei tenta di liberarlo dalle piante del tizio ninja e niente, la mia testa ha vagato). Soprattutto volevo esplorare il background della navigatrice, cosa potesse significare per lei tornare a essere “debole”, smarrire per un attimo la forza di carattere che la contraddistingue.
E quindi niente, è nata questa OS, anche grazie a una chiacchieratina di qualche mese fa con Alexiel Mihawk che mi fece balzare in testa l’idea accantonata (forse era meglio restasse lì ç_ç). Eee… avrò anche rispettato i punti “no mocciosa” e “no odio”, ma ho svarionato comunque. Zigh.
Quel “Voglio tornare sulla Sunny…” era il mio scarso modo di voler dire “non vedo l’ora di essere di nuovo a casa, la mia casa con tutti voi”… e Zoro boh, è un homo erectus, poco sapiens.
Detta quest’ultima cavolata, mi dileguo.  
 
 
Nene
   
 
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