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Autore: Fenio394Sparrow    13/11/2015    3 recensioni
{Lo Hobbit|| OC|| Arya!Centric || Movieverse|| Long|| Prequel! Winter is Coming}
{«State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.}
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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they were made for each other





The seas be ours and by the power, where we will,

We’ll roam

 
 
Che bello essere rinchiusi in prigione. Davvero. Che meraviglia.

Era l’unica cosa che non aveva spuntato sulla sua lista di Cose Da Fare Se Per Caso Finissi in una Terra Magica e Non Sapessi Come Passare il Tempo: farsi rincorrere dagli orchi – fatto! Scappare dai ragni giganti – fatto! Dare la mano a Thorin – fatto! Scappare (ancora una volta) da mannari/orchi/Azog/inserire qui nome della creatura indesiderata – fatto! Adesso poteva spuntare la sezione Finire in Cella. «Fantastico!» borbottò Arya. «Davvero fantastico.»

«Poteva andarci peggio» esclamò Bofur, ma sembrava aver perso anche lui la sua vena ottimista. Li avevano rinchiusi in celle più lunghe che larghe, molto strette – l’ideale per dei nani – e la maggior parte di loro era privo di compagno, anche se avevano avuto la grazia di mettere Ori con suo fratello. Poggiò la testa nello spazio fra le sbarre di ferro, facendo scorrere lo sguardo sulle celle e sui sotterranei, cercando una qualche via di fuga. Non ne trovò alcuna, e sbuffò contrariata. Non restava nient’altro da fare che confidare in Bilbo. L’elfa dai capelli rossi e Legolas stavano discutendo nella loro lingua, e nonostante la sua vena impicciona la obbligò ad ascoltare gli scambi di battute, non capì una sola parola. C’era una cosa, però, che non le era sfuggita. Kili stava tenendo gli occhi puntati sull’elfa, anche lui stava origliando, però la ragazza era piuttosto certa che non stesse capendo un bel niente proprio come lei. Quando la guardia se ne andò e Legolas rimase solo, Kili perse completamente interesse e si sedette per terra, rigirandosi una pietra fra le mani, ma all’occhio attento della ragazza non sfuggì l’occhiataccia che l’elfo gli rivolse, né lo sguardo disgustato che ebbe nell’osservarli tutti, né la sorpresa quando i suoi magnifici occhi si posarono su di lei. Erano bellissimi, senza dubbio, ma Arya si ritrovò a paragonare l’azzurro liquido delle sue iridi a quello di ghiaccio di qualcuno di sua conoscenza, e sorrise sconsolata all’elfo, che se ne andò lasciandoli soli.
Non appena l’eco dei suoi passi si perse nell’aria, i nani cominciarono i loro efficaci tentativi di fuga, caricando le sbarre come se fossero degli arieti.

Ovviamente non funzionò, ma Arya non disse niente, anzi, approfittò del fracasso generale per parlare con Kili, chiuso nella cella davanti alla sua. «Psst!» lo chiamò: «Kili!»
Il nano si girò verso di lei, la guardò e un sorriso automatico gli spuntò in volto, sicuramente per rispondere a quello canzonatorio che Arya aveva sfoderato: «Che c’è?»
Arya inarcò un sopracciglio, continuando a sorridere.
«Che c’è?» ripetè lui, angelico.
«”Potrei avere di tutto nei pantaloni”» lo scimmiottò, in un’evidente riproduzione della battuta che aveva dato all’elfa dai capelli rossi pochi minuti prima. «Ma sei serio? Cioè, tu flirti davvero così?»
«Fino ad oggi ha sempre funzionato» rispose orgoglioso.
Arya alzò gli occhi al cielo. «I maschi sono uguali dappertutto.»
Kili rise proprio nel momento in cui Balin diceva: «Nessuno se ne va via da qui, se non con il consenso del Re.»

«Una prospettiva davvero confortante» mormorò Arya, perdendo improvvisamente tutto il suo entusiasmo. Si accasciò lungo la parete pietrosa della cella, con il capo poggiato ad una delle sbarre di ferro, cominciando a canticchiare il primo motivetto che le venne in mente, di cui purtroppo aveva dimenticato il nome esatto. Aveva solo una vaga sensazione, ma era sicura che avesse a che fare con quella leggenda che le piaceva tanto sulle guerre stellari, sui cavalieri … Jemi? Jedi? E il lato oscuro della Forza. Che cosa volesse dire Arya proprio se ne era dimenticata, e questo fece precipitare il suo umore ancora più in basso. Continuò a canticchiarlo – ovviamente protestarono e ovviamente non diede loro peso – e riflettè, per l’ennesima volta, sulla sua situazione attuale.
Gandalf erano settimane che non lo vedevano. Bilbo era scomparso nel mezzo di un’imboscata di elfi e ragni. Era piuttosto sicura che si aggirasse indisturbato per il Reame Boscoso con il suo Anello – perché Arya lo sapeva, se lo ricordava, lo aveva letto nel libro che era tutta colpa di un anello – a cercare una via di fuga. Tuttavia Bilbo rimaneva sempre un grande punto interrogativo, visto che poteva benissimo essere stato divorato da un ragno gigante. Prospettiva alla quale Arya si rifiutava di pensare. Altro grosso problema: la sua memoria stava facendo cilecca. E non nel senso “oh, mi sono dimenticata cosa ho mangiato ieri” oppure “non mi ricordo in quali giorni davo ripetizioni” – no, non era quel genere di amnesia. Suo padre … che aspetto aveva? E sua madre? Arianna? Persino le loro personalità stavano sfumando nella sua mente, mentre l’unica che rimaneva intatta era la memoria di sua sorella, perfettamente integra e allegra come suo solito. Mai avrebbe pensato di avere lei come unico appiglio alla realtà. E soprattutto … perché ricordava le storie che aveva letto o visto? Tutte quelle leggende … sapeva che erano del proprio mondo, e allora perché la maggior parte di loro era chiara e limpida? Perché, fino a qualche notte prima, continuava a raccontarle attorno al fuoco, come faceva da mesi a quella parte?

Aveva smesso di cantare già da un po’. Sentì di avere gli occhi lucidi e pur di impedire alle lacrime di solcarle le guance, seppellì il viso fra le ginocchia, subito dopo essersi allontanata dalle sbarre e di essersi nascosta dalla luce. Soppresse qualche singhiozzo, ma nel giro di qualche minuto riuscì a ricomporsi e a ragionare lucidamente, e le venne un’idea. Gli elfi li avevano spogliati dei loro abiti, lasciandoli senza armi e senza effetti personali, ma Arya era stata più furba di loro, e mentre nessuno badava a lei perché si era fatta piccola piccola fra Bofur e Dori, aveva ripescato dalla sua casacca cose che non aveva lasciato nemmeno a Granburrone, cose che erano sue e solo sue, che non si era fidata a lasciare nemmeno in mano degli elfi. O forse proprio perché erano elfi, chissà. Si sarebbe sentita molto più sicura nel lasciare ogni suo ninnolo al più scapestrato della Compagnia che a Lord Elrond in persona. Perciò, mentre nessuno guardava, aveva nascosto quegli oggetti nel proprio reggiseno – le aveva fregate le sue ancelle, ahah! Credevano che avesse messo quel coso che equivaleva ad un capo intimo e voilà, lo aveva nascosto sotto il letto – e facendo in quel modo, aveva potuto salvare qualcosa. Certo, non era stato facile, visto che era sotto gli occhi di tutti e aveva dovuto operare contro strati e strati di vestiti, e sì, era vero che erano mesi che aveva lo stesso reggiseno, ma che colpa ne aveva lei? Alla fine, era servito a qualcosa.

Perciò estrasse da lì un ritratto abbastanza vissuto, di piccole dimensioni e fatto su una carta strana, , un ciondolino – un portachiavi, forse? –  e una tessera rigida, con sopra scritto “Cinema”. Che cosa fosse un cinema, per Arya restava un mistero.
Per prima cosa, osservò  il ritratto, stupendosi di quanto i tratti fossero realistici e colori vividi, senza alcuna sbavatura fuori dal margine. Ritraeva due persone, un ragazzo e una ragazza – lei stessa – sorridenti e che sollevavano insieme quello che doveva essere un trofeo d’argento, con una sfera posta in cima. La targhetta d’ottone in basso diceva “Secondo classificato – Trofeo Regionale Scuola Calcio” e a seguire il nome di quella che doveva essere una squadra calcistica. Questo spiegava gli abiti sgargianti del ragazzo e la fascia che portava sul braccio, gialla con una grande C blu disegnata sopra. La ragazza accanto a lui doveva essere per forza lei. Il viso scialbo e il fisico passabile si salvavano solo grazie all’ampio sorriso che illuminava il volto, incredibilmente pulito e infantile. Il ragazzo, invece, era davvero carino. Ne accarezzò la figura col pollice, pensierosa. Aveva la pelle olivastra, un po’ più scura di quella di Arya, gli occhi verde oliva e una zazzera di capelli castani che se ne andavano per la tangente. Un bel neo sulla guancia destra alterava la simmetria dei suoi lineamenti. Sorrideva felice anche lui, e portava dei grandi occhiali blu. Arya non provò niente nel vederlo, né lo riconobbe. Un moto di tristezza le oscurò il cuore, e voltò l’immagine per leggere ciò che vi era scritto. La grafia non era la sua – era troppo ordinata per esserlo – ed era scritto nella propria lingua natia. La tradusse all’istante: Grazie per esserci stata, il rigore l’ho dedicato a te. – Leo

La “o” di Leo era a forma di cuore, e questo la fece sentire ancora più in colpa. Un’altra lacrima le rigò il viso, l’asciugò con rabbia, e ripose il ritratto dentro una tasca. Basta piangere, pensò infastidita, non sei una pappamolle come tua sorella. Ma pensare a lei la riempì di nostalgia e fece scendere un’altra lacrima. Prese il ciondolino e se lo rigirò fra le dita, cercando di capire di che materiale fosse fatto. Era un pesciolino a righe bianche e arancioni, striato di nero, e su un lato c’era scritto “Nemo”. Chi era questo Nemo? Il suo pesce? Lei era convinta di possedere un cane … Passò all’ultimo ninnolo, quella tessera del cinema. Si arrovellò il cervello per un bel po’ di tempo per cercare di ricordare cosa fosse esattamente un cinema, ma alla fine fu costretta a rinunciare. Thorin ancora non si vedeva da nessuna parte.
Si riaffacciò alla luce delle torce, ma vide che la situazione non era cambiata. Bofur accanto a lei, provò ad affacciarsi a sua volta, ma tutto ciò che riuscì ad affacciarsi furono i suoi baffi. «Tutto bene, Uccellino?»
Ha sentito tutto. Arya lo sapeva che l’aveva udita. E se l’aveva fatto lui, quanti altri? «Tutto bene» mormorò in risposta, stringendo le sbarre fra le mani. «Sto aspettando Thorin. Da quanto è via?»
«Oh, lo so che aspetti Thorin» Bofur sorrise con quel suo sorriso da gatto che ha beccato la sua preda, e Arya non seppe cosa rispondergli. «Tu aspetti sempre Thorin.»
 
«Qualcuno immaginerebbe che una nobile impresa sia imminente.» La voce del Re sembrava annoiata, ed era fredda, quasi noncurante di ciò che stesse dicendo. «Un’impresa per riavere una terra natia … e annientare un Drago. Personalmente, sospetto un motivo molto più prosaico. Tentativo di furto, o qualcosa di quel genere.» Si abbassò su di lui, colmando la notevole differenza di altezza che c’era fra i due. «Hai trovato una via entrare. Cerchi quello che farebbe convergere su di te il diritto di regnare. Il gioiello del Re, l’Arkengemma! E’ preziosa per te oltre ogni misura; lo capisco questo: ci sono gemme nella Montagna che  anch’io desidero: gemme bianche, di pure luce stellare … »
E Thorin ben sapeva a quali gemme si riferisse. Non aveva mai odiato nessuno così tanto come aveva odiato il Re degli Elfi del Reame Boscoso, Thranduil, figlio di Oropher. Mai aveva augurato così tanta sventura a qualcuno come per lui, l’essere più infido e velenoso che la Terra di Mezzo avesse mai visto, colui che abbandonava gli amici alla più grande calamità che il mondo avesse mai visto. E anche lì, in quell’istante, mentre lo osservava con tutta la dignità che solo un Re poteva avere, mentre taceva e gli permetteva di mandare avanti il suo teatrino,  pregava Mahal affinchè facesse sprofondare il rovina il suo nemico.
«Io ti offro il mio aiuto.»
Immagino che le gemme siano il prezzo. «Ti ascolto.»
«Ti lascerò andare … solamente se mi restituisci ciò che è mio»
Thorin sorrise fra sé e sé, dando le spalle al sovrano. «Favore per favore»
«Hai la mia parola» gli assicurò Thranduil «Da un Re, a un altro.»
Quelle parole colpirono Thorin più di quanto avrebbe voluto, e lo riempirono di una rabbia antica, a lungo covata nelle notti di peregrinazione, quando il pianto dei bambini si spegneva per il freddo e quello delle madri non si placava per giorni interi, quando dovevano decidere chi salvare e chi lasciare indietro per salvarne di più, quando sua sorella aveva rischiato di perdere la vita nel dare alla luce il suo primogenito, senza le cure di cui aveva bisogno, quella rabbia lo fece esplodere – la stessa rabbia che lui avrebbe potuto evitare, se solo avesse voluto: «Io non mi fiderei che Thranduil, il grande Re, onori la sua parola, dovesse la fine dei giorni incombere su di noi.»

Si girò con furia verso di lui, urlandogli contro: «Tu! Sei privo di ogni onore! Ho visto come tratti i tuoi amici! Siamo venuti da te, una volta, affamati, senza dimora, a cercare il tuo aiuto, ma tu ci hai voltato le spalle! Tu ti sei allontanato dalla sofferenza del mio popolo, e dall’inferno che ci ha distrutti! Imrid arham dursul!»
«Non parlami del fuoco del Drago!» sibilò avvicinandosi all’improvviso: «Conosco la sua rabbia e la sua rovina! Io ho affrontato i grandi serpenti del Nord!»
Si allontanò e lo guardò disgustato, sguardo che Thorin ricambiò senza esitazione alcuna.
«Misi in guardia tuo nonno su ciò che la sua avidità avrebbe raccolto … ma lui non mi ascoltò. Tu sei proprio come lui.» Risalì le scale del suo trono e fece un pigro gesto con la mano. Subito le guardie accorsero, lo presero e lo immobilizzarono.    
«Resta qui, se vuoi, e marcisci. Centro anni sono un mero battito di palpebre nella vita di elfo. Io sono paziente. Posso attendere.»
«Anche per noi cento anni sono poca cosa!» ringhiò Thorin ancora immobilizzato dalle guardie: «Non parleremo mai, nemmeno in cento anni!»
Thranduil sorrise, e qualcosa nel suo sguardo inquietò l’animo di Thorin. «Voi no, e nemmeno la vostra amica, immagino. Forse perché lei in cento anni sarà morta.»
 
Arya lo capì subito quando Thorin sarebbe arrivato – non dalla sua figura, non riusciva a vedere niente chiusa lì dentro, ma dal suono delle sue dolci imprecazioni. Non riusciva a capire cosa stesse dicendo, ma dalla faccia scandalizzata di Dori dovevano essere parole pesanti. Lo chiusero nella cella adiacente a quella di Balin, nel livello inferiore, perciò Arya aveva una buona visuale su di lui. Non si era accorta di essersi aggrappata alle sbarre fino a che non sentì le mani dolerle, ma era troppo concentrata su di lui per preoccuparsene.
«Ti ha offerto un accordo?» domandò subito Balin.
«Lo ha fatto» rispose Thorin. «Gli ho detto che poteva andare ish kakhfe ai-‘d dur-rugnu! Lui e tutta la sua stirpe!»
Arya scoppiò a ridere, ma Balin scosse la testa sconsolato. «Non c’è niente da ridere, bambina. Un accordo era la nostra sola speranza.»
No, non la nostra sola speranza. C’è Bilbo. Arya non osò esprimere la propria speranza ad alta voce, per non allarmare le guardie e metterle sull’attenti, ma se anche Thorin aveva dissentito sull’ultima frase di Balin, allora significava che anche lui credeva nel mezz’uomo. Thorin alzò lo sguardo verso di lei e la guardò preoccupato. Arya gli sorrise, per rassicurarlo, ma lui distolse lo sguardo e si allontanò dalle sbarre. Non sapendo cosa pensare, Arya si lasciò scivolare sulla pietra, e si sedette per terra. Restò comunque vicino all’entrata, in modo da avere la visuale delle celle, e non di una in particolare, sotto gli occhi. E così passarono i giorni.

Non c’era assassina peggiore della noia. Moriva, letteralmente, di noia. Dapprima se l’era cavata bene. L’unico segno di energia repressa era il ticchettare delle dita sulle ginocchia, ma all’inizio quella pausa inaspettata era stata presa con gioia, dopotutto lei guardava al lato positivo della situazione. E così aveva fatto. Si era sistemata più o meno comodamente, aveva poggiato la testa al muro – tanto più sporca di così non poteva essere – e aveva chiuso gli occhi, godendosi quel riposo inaspettato. Aveva dormito per davvero tanto tempo: non si era mai sentita così fresca a riposata in vita sua. Si era ritrovata sdraiata sul pavimento, in una posizione più comoda, e con una ciotola piena di cibo accanto a sé. Cominciò a riconsiderare gli elfi, che a quanto pareva non lesinavano sul cibo, perciò stavano acquistando parecchi punti. E i primi due giorni passarono così, con Arya che mangiava e dormiva a intermittenza e recuperava il sonno perduto. Si accorse  che avevano preso Fili per parlare col Re quando lo riportarono in cella, più furioso che mai. Legolas, nel risalire, la guardò e le sorrise: «Vedo che ci siamo svegliate.»
«Già» Arya sorrise a sua volta, lasciva. «Tu sai quando usciremo di qui?»
«Non appena qualcuno di voi parlerà.»
La ragazza si sforzò di non far sfumare quel sorriso. «Capisco.»
 
Dal terzo giorno in poi, fu una tortura vera e propria. Aveva recuperato il sonno perso, questo era vero, ma così aveva un sacco di energia inutilizzata e non poteva fare niente per sfogarla. Allora cominciarono i guai. Cambiava posizione ogni due per tre. Provava a cantare, ma veniva brutalmente zittita da Dwalin, perciò non poteva insistere più di tanto. Provava a conversare con i nani, ma nessuno aveva voglia di parlare. Provò perfino ad attaccare bottone con le guardie, ma niente, non aprirono bocca nemmeno una volta. Il non fare niente la portava a pensare, e lei non voleva pensare, non voleva ascoltarsi, e cercava disperatamente un modo per passare il tempo. Ogni giorno, di primo pomeriggio – o comunque credeva che fosse pomeriggio, il suo orologio diceva così – prendevano un nano e lo facevano interrogare dal Re, e puntualmente il nano in questione tornava in gabbia senza che nessuno di loro venisse liberato. L’unica consolazione in quella noia totale era la sera, quando veniva il tempo delle storie attorno al fuoco. Non avevano un fuoco, ma su quello potevano sorvolare.
«E così, il malvagio pirata Davy Jones realizzò che qualcuno era riuscito a rubare il suo cuore dal Forziere, e che alla fine, Jack Sparrow, aveva davvero aggirato il diavolo.»
«Wow» commentò Ori, ammirato. «La leggenda finisce così?»
«No, affatto. Jack non è morto. E’ stato mandato in un luogo di punizione eterna. Il fato peggiore a cui un essere vivente può essere condannato.»
Una voce inaspettata s’intromise. «Io non ho capito la storia fra la dea Calypso e Davy Jones.» Arya si voltò e vide l’elfa dai capelli rossi sorriderle con gentilezza. «Sono arrivata per ascoltare le fine della storia, quando lui si cavò il cuore dal petto. Me la puoi raccontare, per favore?»
I nani si erano rifugiati all’interno delle proprie celle, imprecando disgustati, ma la guardia non ci prestò molta attenzione, ancora ferma a sorriderle con gentilezza.
«Perdonali» disse Arya con un sorriso di scuse. «Di solito sono più educati di così. In realtà ti siamo grati per aver salvato Kili, non è vero?»
«Verissimo» confermò lui dall’altra cella, ma gli altri risposero in Khuzdul parole che Arya preferì ignorare.
«Lavoro di ordinaria amministrazione» rispose lei. «Me la racconti, allora, la storia?»

«Certo.» rispose Arya. «Allora. Tantissimo tempo fa, il mare non era dominato dagli uomini. Era una dea a detenere il potere: crudele, e volubile, e indomabile come il mare. Davy Jones non è sempre stato l’uomo spietato che è oggi. Un lupo di mare, ecco cos’era: abile marinaio, un Capitano più che giusto, e un uomo sempre desideroso di oltrepassare il limite, per vedere cosa c’è più in là. Finchè non è incappato in ciò che fa tribolare gli uomini.»
«Una donna» dissero in coro.
Arya sorrise. «Esatto. Alcune versioni dicono che è del mare che si sia innamorato, ma ognuna di queste è esatta. Questa donna teneva il suo cuore in pugno. Questa donna era il mare, Calipso stessa. Gli assegnò il compito di traghettare dall’altra parte le anime di coloro che sono morti in mare, ed ogni dieci anni sbarcare a terra per un giorno, per vedere colei che lo ama. Per dieci anni Davy Jones fece ciò che gli era stato ordinato di fare, dieci anni passati a vegliare su coloro che sono morti in mare, e quando finalmente potevano stare insieme … lei non c’era. Allora Jones rivelò al Primo Consiglio della Fratellanza il modo in cui intrappolarla nella sua forma umana. »
«E poi …?» domandò l’elfa, gli occhi spalancati dalla curiosità. Le labbra di Arya si arricciarono in un sorriso soddisfatto: lei amava lasciare le persone col fiato sospeso. «E poi … il dolore patito era troppo per continuare a vivere … ma non abbastanza da poter morire. E così … si cavò il cuore dal petto! E lo rinchiuse in forziere che nascose al resto del mondo. La chiave la tiene sempre stretta a sé … e dopo questo terribile atto di disperazione la nave, e la sua ciurma, vennero maledette. Davy Jones e l’Olandese Volante solcano i Sette Mari depredando e razziando chiunque si metta sulla sua strada. E’ il diavolo del mare, che va a stipulare accordi con chi è abbastanza sveglio da evitare la morte, o di unirsi alla sua ciurma. E con la sua bestiolina, il kraken, si assicura che i debiti vengano saldati.»
«Ma Jack Sparrow è riuscito ad imbrogliarlo» commentò l’elfa.
«Ma Jack Sparrow è riuscito ad imbrogliarlo.» ripetè Arya. «Come ti chiami?»
«Tauriel. E tu?»
«Arya Sparrow, piacere.»
«Sparrow? Come Jack?» domandò Tauriel.
«Esatto. L’ironia, eh? Lui riesce a sfuggire al diavolo, e io me ne sto in cella ad ammazzare la noia parlando con te.» Arya rise, e anche Tauriel si concesse un sorriso. Era bello poterle dare un nome. Certo, era ancora l’elfa schifosamente alta e bella di prima, ma almeno poteva smetterla di pensare a lei come “l’elfa”. Lei le sorrise e se ne andò, lodando la sua capacità di narratrice di storie. Kili, da dietro le sbarre, la seguì con lo sguardo fino a che non scomparve dalla vista.  
Arya sorrise soddisfatta. «Ecco come flirtiamo noi italiani.»
«Ah, ma stai zitta.» rispose Kili, sorridendo sotto baffi.
 
Diversi giorni – e storie – dopo, toccò ad Arya essere portata davanti al Re. Quasi la commosse l’ira generale che sconvolse i nani, ma fece loro cenno di stare tranquilli, anche se percepiva il proprio battito cardiaco accelerare man mano che si allontanava da loro. Thorin urlò: «Non aver paura, Arya!» appena prima che svoltasse e scomparisse dalla sua vista, ma quell’avvertimento la fece sentire meglio.
 
Quando vide Thranduil per la prima volta, Arya quasi rischiò di morire di vergogna.
Fu improvvisamente consapevole di quanto fosse sporca e brutta e cominciò a sentirsi davvero gnoma. Era abituata a vedere le persone dal basso verso l’alto, ma il Re degli Elfi sembrava essere davvero più alto del normale. Forse erano stati tutti quei mesi in mezzo ai nani, ma Arya si era abituata a sentirsi normale, quasi alta, ma la realtà le piombò addosso come un macigno. Non desiderava far altro che sprofondare.
«E quindi … tu sei l’amica dei nani.» La sua voce era fredda, proprio come il suo aspetto: i capelli, biondissimi, erano lunghi, incorniciati da una magnifica corona di frutti d’autunno, e gli abiti erano l’unica cosa che sembrava rendere onore alla sua presenza regale. Arya aveva l’impressone che anche vestito di stracci sarebbe apparso bellissimo. Lo guardò negli occhi, sostenendo il suo sguardo, ma ciò che vide la riempì di delusione: i suoi occhi, per quanto fossero azzurri, non somigliavano affatto al colore che stava cercando lei. Sembravano quasi sbiaditi, come se tutti i millenni che pesavano sulle sue spalle avessero inciso sul suo sguardo, rendendolo molto più simile a quello di una statua che di un essere umano.
«Io sono l’amica dei nani.» confermò Arya con voce cordiale.
«Mi domando come abbia fatto una donna umana – una bambina – a finire in una Compagnia di nani, e quale sia il suo ruolo all’interno di essa. Tu e i nani siete … intimi, per così dire?»

E tanti saluti alla cordialità. «No» ringhiò Arya. Possibile che in quel posto una donna potesse avventurarsi con un gruppo di uomini solo per quel motivo? «Non siamo intimi. Mi sono persa e mi hanno aiutato a trovare la strada. Sono la mia famiglia, concetto che a quanto pare ti è difficile da capire, Sire Thranduil.»
«Combattiva» commentò con un sorriso il Re. «Adesso capisco perché piaci a Scudodiquercia. Sai, a vederti così, non avrei mai detto che sotto tutto quel lerciume ci sia un fuoco che arde così vivido. Ma sarà un bene? Le fiamme più vivide sono quelle che si consumano più velocemente.»
«Che cosa volete?» domandò Arya, ignorando ogni possibile implicazione della frase. Era sicura di starlo fulminando con lo sguardo, e aveva la mascella così contratta dalla rabbia che si meravigliava che i denti non scricchiolassero.
«Niente di che, cara, te lo assicuro» rispose il Re con un sorriso gelido, da serpente. Seduto sul suo trono, sembrava l’essere più alto e potente del mondo. «Solo delle informazioni. Anzi, voglio farti un’offerta.»
La ragazza tentò di ragionare con lucidità. Meglio farlo  parlare. «Che offerta?»
Il suo sorriso si allargò di più. «Vi lascerò andare per la vostra via. In cambio, voglio sapere ogni cosa riguardo Scudodiquercia, e voglio ottenere la sua collaborazione per gli anni futuri. Purtroppo ci sono state delle divergenze fra di noi, e credo di aver bisogno di un intermediario. Ovviamente, se hai qualcosa da chiedere sarò ben lieto di concedertela.»
Arya lo fissò scioccata. «Voi .. voi volete che io mi venda per comprare la nostra libertà? E’ questo che mi state offrendo, Re Thranduil? La mia libertà e quella dei miei amici per diventare una doppiogiochista?»
Thranduil alzò un sopracciglio. «Se scegli di vederla da questa prospettiva … »

«E ci lascereste liberi» lo interruppe Arya. «Promesso?»
Il sorriso del Re non poteva essere più subdolo di così. «Hai la mia parola.»
Ma voi non avete la mia. «State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.
«E quali sono i tuoi servigi, io questo mi domando» rispose Thranduil, abbassandosi per guardarla.
Arya si erse in tutta la sua altezza, sostenne il suo sguardo senza esitazione alcuna e parlò con freddezza, scandendo per bene le parole, affinchè Re Monociglio afferrasse il concetto: «Thorin Scudodiquercia è il mio Re, e qualsiasi servigio lui mi chiederà di fare sarà da me eseguito. La Compagnia è la mia famiglia, e non li venderò, nemmeno per tutto l’oro della Montagna.»
«Quanta lealtà, per una degli uomini. Non credevo vi interessasse altro a parte il potere. Nemmeno per tutto l’oro della Montagna, dici? Ricorda le mie parole: sarà l’oro stesso a smentire le tua parole, bambina, e per quanto mi riguarda puoi benissimo finire i tuoi brevi anni di vita in cella. Portatela via.»
«E’ stato un piacere!» Arya rise mentre le guardie la trascinavano giù in cella, celando l’inquietudine che montava nel suo cuore. Che cosa voleva dire che la Montagna avrebbe messo alla prova le sue parole?
 
E così passarono … bè, altri lunghissimi e interminabili giorni. L’ultimo di prigionia fu il più esilarante, perché, a posteriori, Arya aveva esaminato la conversazione e le era parso che un po’ troppo ardore fosse trapelato dalle sue parole, ardore che poteva benissimo essere frainteso. Con la testa poggiata alle sbarre, osservò la cella sotto di sé, dove Thorin stava fischiettando un motivetto a lei familiare. Anzi, lei quella canzoncina la conosceva proprio. Si alzò, impietrita, mentre la consapevolezza la faceva arrossire di vergogna. Quella melodia … lei la fischiettava quando si faceva un bagno. Solo una volta era capitato che si fossero lavati, in quel lunghissimo viaggio, e i nani e Bilbo si erano allontanati per concederle un po’ di privacy, e lei aveva sguazzato felice come un pesciolino – come Nemo! – nell’acqua. Ma aveva anche fischiettato quella canzone. La canzone che Thorin stava ripetendo con tanta precisione e impegno, senza sbagliare una nota che fosse una. Arya era a bocca aperta. Mi ha … mi ha vista? Non sapeva se la cosa le facesse piacere o meno, ma realizzò, arrossendo fino alla punta dei capelli, che le faceva decisamente piacere e che anzi, si sentiva invidiosa perché lei non aveva avuto l’opportunità di farlo a parti invertite.
«Che effetto mi fai» mormorò alle sue ginocchia, guardando con un sorriso il nano sotto di sé.

«Che ore sono?» chiese qualcuno.
«Scommetto che il sole sta sorgendo» rispose esasperato Bofur. «Deve essere quasi l’alba.»
Ori era sconsolato: «Non raggiungeremo mai la Montagna, non è vero?»
Se c’era una cosa che Arya non poteva sopportare, era vedere Ori triste e senza speranza. «No, no, Ori, tranquillo, certo che …»
«Non chiusi qui dentro di certo!» esclamò una voce assai gradita, facendo tintinnare un mazzo di chiavi nella sua mano.
«BILBO!» esclamarono tutti in coro.
Lo hobbit cominciò ad aprire le porte e a far segno di star zitti. «Sh!»
Aprì la sua cella e Arya lo soffocò in un abbraccio: «Ti ho mai detto che ti amo?»
 
Yo – ho, thieves and beggars, never shall we die!
All togher, hoist the colours high!

Angolo di Feniah <3
Ma buonsalve, amici miei, sono tornata! Questa settimana c'è stata occupazione e ho deciso di portarmi avanti con tutto il lavoro. Sono uscita con la tipa che mi piace, ho visto Star Wars, mi sono anticipata i compiti, ho fatto appassionare mia madre a Doctor Who e ho battuto al pc il capitolo! Vi piace?
La canzone è quella di Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo, in lingua originale. A parte per la leggenda, l'ho messa perchè è un invito a prendere le armi contro il comune nemico, in questo caso Thranduil, e ad essere fedeli gli uni agli altri, come un vera famiglia <3 *coccola i suoi amichetti*
Che ne pensate? Arya e la sua amnesia, i sentimenti di Thorin e di Ariuccia - tra parentesi, il nome della ship è Sparrenshield, meravigliosamente coniato da Foxy che saluto - e del capitolo in generale? Personalmente, Arya mi sta diventando troppo Sassy, diventerà l'erede di Donna Noble.
Ah, la canzoncina che Thorin fischietta è la colonna sonora di Jurassic Park. Esatto. Arya canta Jurassic Park quando se ducha.
Thorin che fischietta Jurassic Park >>>> Mondo.
Ma vabb, buona serata a tutti, che domani vado alla fabbrica di cioccolato!
Feniah <3
   
 
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