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Autore: lilac_sky    13/11/2015    1 recensioni
A Galway certe vite sono fatte per intrecciarsi tra loro.
Thelma ha vent'anni e anche i piedi abbastanza per terra.
La sua vita non è mai stata troppo noiosa, e non lo diventerá certo adesso che Agnes ha compiuto vent'anni anche lei, Luke si rivela sempre più ansioso, Calum è come se le rivolgesse la parola per la prima volta e Ashton riesce ad affascinare anche solo stando in silenzio.
No, a Thelma non sono mai piaciute le situazioni complicate: eppure ha la netta sensazione che ci si ritroverà in mezzo, da un momento all'altro.
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Consiglio la lettura delle OS dedicate ai singoli personaggi
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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non sei mio padre, non puoi dirmi cosa devo fare in ogni momento.

 

Ma tuo padre non c'è, maledizione!

 

 

Luke apre gli occhi di scatto.

Guarda l’ora, sono le quattro del pomeriggio: di solito non dorme dopo pranzo, lui. Che poi quando è tornato da scuola nemmeno ha mangiato, a dire il vero.

Si strofina la faccia con entrambe le mani, sospirando così piano che persino lui fatica a sentirsi, e si tasta le guance: da quanto tempo non si rasa? Forse da una settimana, forse meno, chi lo sa. Eppure ogni mattina, appena sveglio, gli passava la voglia di prendere in mano schiuma da barba e rasoio: adesso pensa che forse avrebbe bisogno di una sistemata, ma subito questo pensiero viene scacciato da un altro.

Si alza dal divano, guarda la giacca che ha buttato a terra appena entrato in casa e la montagna di temi da correggere sparsi sul tavolino. Si piega a recuperare un paio di converse da sotto il divano per mettersele ai piedi, dopodiché afferra la giacca di pelle e le chiavi di casa, ed esce sbattendosi la porta d’ingresso alle spalle.

Andare al Murray Centre per parlare con Agnes, ecco quello che deve fare.

 

L’edificio che gli si presenta davanti agli occhi è a dir poco enorme, e il parco intorno lo fa apparire ancora più grande. Si sente quasi a disagio, mentre sposta di poco il cancello per entrare e percorrere la lunga strada lastricata che fa arrivare al portone d’ingresso in legno.

Cammina lentamente, mentre continua a guardarsi intorno, circondato da distese di foglie color arancio e rosso, cadute dai rami degli alberi spogli che sembrano seguirlo passo dopo passo con sguardi immaginari, minacciosi.

Un rumore sinistro, quello dei rametti e delle foglie secche che si spezzano sotto i suoi piedi, ed è quel rumore che gli fa pensare di stare commettendo un delitto: come se le foglie piangessero, un pianto straziante, ad ogni passo. Come se fosse lui, la causa della fine della loro vita.

Un dolore alla testa lo fa tornare con la testa sulle spalle, facendogli percorrere gli ultimi metri del vialetto quasi di corsa.

«Cerchi qualcuno?»

Luke si porta una mano sul petto, girandosi di scatto verso la voce che l’ha fatto spaventare così tanto: una ragazza con i capelli color arancio carota e un bambino in braccio lo sta guardando con aria palesemente divertita, anche se un po’ curiosa. Di lì non passano molti ragazzi, ne è certo.

«Io…sì, ecco, sto cercando Agnes…Hemmings, la conosci?»

«Certo che la conosco» esclama come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Perché la cerchi?» chiede e sì, Luke si sente parecchio a disagio a parlare con quella strana ragazza.

«Beh, io sono…sono suo fratello» mormora stringendosi di più nella giacca, come se quella potesse proteggerlo dallo sguardo pungente della tipa davanti a lui.

«E io sono Rose, carino: Agnes mi ha parlato di te» gli dice con un mezzo sorriso, mentre di Luke non si vedono ormai che gli occhi: il colletto della giacca lo copre fin sul naso.

«Lucas?»

Eccola lì, Agnes, sempre bellissima anche con i capelli spettinati e le occhiaie dovute alla stanchezza: eccola lì che lo guarda confusa, con una penna dietro un orecchio e dei fogli tra le mani. Luke sente ancora quel senso di colpa roderlo ancora dall’interno, e gli viene quasi da piangere.

«Ehi Agnes» sussurra «Volevo parlarti un momento, ma solo…solo se non ti disturbo»

«Devo finire di fare alcune cose, puoi…venire di là nell’ufficio, se vuoi»

Sono così impacciati, loro due che erano visti da tutti come il fratello e la sorella più affiatati del mondo: come un anatroccolo che segue la sua mamma, Luke cammina dietro Agnes, fino a quando entrano in una stanza in fondo al lungo corridoio che hanno percorso. E no, non avrebbe mai immaginato che i pomeriggi che sua sorella passa in quel centro potessero considerarsi un vero e proprio lavoro: eppure, guardandosi intorno, pensa di aver sottovalutato troppo le capacità di Agnes.

«Allora?» gli chiede appoggiandosi al bordo della scrivania, mentre gira e rigira una ciocca di capelli tra le dita. Luke sospira, specchiandosi in quegli occhi così uguali ai suoi, e per un attimo dimentica il vero motivo per cui sia andato lì.

«Io…volevo chiederti scusa, Agnes» dice tutto d’un fiato, ma non si sofferma troppo sulla fronte corrucciata della sorella «Sono stato un idiota, non avrei mai dovuto alzare la voce con te e dire…quelle cose» mormora «È stata una reazione improvvisa e non avrei mai voluto che succedesse, e so che sei arrabbiata con me, ma non riesco a stare in casa con te senza poterti parlare: mi sento un mostro, Agnes, dovrei prendermi cura di te e credo di non poterci riuscire»

«Lucas» sussurra scuotendo la testa: non dice niente, solo si fionda tra le sue braccia, che subito la stringono. Quando alza lo sguardo, con le guance bagnate dalle lacrime, un senso di leggerezza nel petto la fa sorridere «Non sono mai stata arrabbiata con te, Luke»

«Ma io pensavo…pensavo che non volessi più parlarmi» dice asciugandole gli occhi con un lembo della sua maglietta.

«E io pensavo che tu non volessi più parlarmi» dice con una risata, una risata dolce che arriva alle orecchie di Luke come il suono più bello sulla faccia della terra.

«Sei quello che resta della famiglia, Agnes»

«Ti voglio così bene, Lucas»

E in quell’abbraccio silenzioso capiscono ancora una volta che sono l’uno la famiglia dell’altra, e che ora come ora non desiderano altro che trascorrere le loro vite insieme.

Il più a lungo possibile.

 

Luke si è dovuto ricredere sul Murray Centre: l’entusiasmo e l’impegno che Agnes mette nel suo lavoro gli fanno capire che dovrebbe imparare a fidarsi di più di sua sorella.

Non era mai stato pienamente convinto che quei lunghi pomeriggi trascorsi lì dentro, Agnes potesse superarli: eppure, ancora una volta è riuscita a stupirlo.

Dopo qualche altro minuto passato in quel piccolo “ufficio”, decide che è arrivato il momento di andarsene e lasciarla al suo lavoro lì.

È arrivato alla fine del vialetto che attraversa il giardino, si stringe nella giacca di pelle e sistema meglio il cappello di lana: sta per uscire dal pesante cancello in ferro battuto con in testa l’unico pensiero di dover preparare la lezione di inglese per la mattina seguente una volta arrivato a casa, quando qualcosa – o meglio, qualcuno - urta dolorosamente contro di lui.

Non ci vuole molto a capire che è finito a scontrarsi con una ragazza, come un idiota: abbassa lo sguardo, con già pronto sulla lingua intorpidita dal freddo un mare di scuse, ma due occhi avvolgenti e caldi non riescono a farlo parlare.

«Sc-scusami, n-non volevo» sussurra indietreggiando di scatto. Come scottata. Luke la guarda, incapace di dire anche una sola parola, ma subito scuote impercettibilmente la testa, aggrottando le sopracciglia.

«No, no, sono io che non ti ho vista, scusami»

Qualche occhiata dallo sguardo sfuggente di lei e da quello incantato di lui. Un attimo di incertezza mista ad imbarazzo, a cui segue un fruscio di vestiti: solo dopo Luke si accorge di un bambino che fa capolino da dietro la ragazza davanti a lui.

«È tuo…» comincia, passando l’indice da lei al bambino, senza però essere capace di continuare. Chissà perché. Lei sembra comunque decisa a non voler rispondere.

«Chi sei?» chiede invece quel fagottino sorridente, sporgendo timidamente il visino dalle guance paffute. La ragazza lo prende per mano.

«Jim, non fare domande a questo ragazzo» dice, ma Luke la ignora completamente e si abbassa sulle ginocchia per poter guardare meglio in faccia quel bambino.

«Ti chiami Jim, eh? Io mi chiamo Luke»

Jim sorride soddisfatto, ma si nasconde di nuovo dietro le gambe sottili della mamma, costringendo Luke a tornare in piedi.

«Tuo figlio è…molto bello, sai?» le dice, ma a questo punto lo sguardo della ragazza torna a farsi sospettoso e quasi spaventato. Prende il bambino in braccio, mentre con una mano trascina la valigia che ha con sé: cammina verso l’entrata del Murray, senza dire una parola. Solo Jim muove la manina per salutare il povero Luke, rimasto con troppe domande in testa davanti a quel cancello freddo: ricambia il saluto, con un lieve sorriso sulle labbra screpolate.

Li segue con lo sguardo fino a quando non intravede Agnes che li abbraccia calorosamente: la ragazza gira la testa verso dietro, avvolgendolo un’ultima volta con il suo sguardo misterioso.

E a quel punto Luke se ne va.

 

Sbatte i quaderni sul tavolo, infastidito. Non riesce proprio a non pensare a quella ragazza incontrata neanche due ore prima.

Dopo aver appurato che la lattina di birra è ormai vuota, sbuffa sonoramente passando più volte le mani sul viso: dovrebbe concentrarsi sul lavoro. La mattina seguente, a scuola, dovrà riportare ai suoi alunni tutti i quaderni con tanto di esercizi corretti, ma il problema è che la sua mente riesce a rimanere concentrata solo pochi minuti.

Perché il pensiero dell'incontro con quella ragazza torna sempre a galla, e non riesce a fargli porre l'attenzione su altro.

Si alza con un sospiro per andare in cucina a bere un bicchiere d'acqua fredda, ma i suoi occhi si posano sulla porta socchiusa dello studio: rimane un po' a guardarla, in piedi, indeciso sul da farsi. Scuote la testa, le gambe lo riportano lì dentro: la luce accesa della lampada all'angolo a destra illumina lo stato di soqquadro di quella stanza, con fogli sparsi a terra, la poltrona rovesciata, i dischi fuori dagli scaffali.

È quasi scoraggiante per Luke essere circondato dalla confusione, quella stessa confusione che regna ovunque, anche nella sua testa.

Non si piega a raccogliere i fogli, non mette di nuovo la poltrona vicino alla parete, non sistema i dischi in ordine di genere o autore. Prende la vecchia chitarra del padre, rimasta appesa al chiodo di un muro per troppo tempo: si siede al centro della stanza, su tutti quei fogli stropicciati, non curandosene minimamente.

E suona.

Dopo anni, suona. Di nuovo. I primi accordi che riesce a suonare con gli occhi chiusi.

Gli fanno un po' male i polpastrelli della mano sinistra, sì, perché i calli ormai se ne sono andati via da tempo, eppure riesce ancora a ricordarsi quella canzone. No, non canta. Semplicemente non ci riesce. Le parole di Green Eyes, poi, neanche le ha mai imparate sul serio: solo la musica, quella sì, perché è stata la prima che abbia mai imparato. E ha fatto tutto da solo.

"Tanto ho dovuto sempre fare tutto da solo", pensa. Ma di nuovo il viso di quella ragazza gli appare davanti agli occhi opachi.

E nonostante tutto sorride, perché il suo cuore sembra essere tornato a funzionare di nuovo.

 

 










ALLORA.

Ormai il mio “allora” all'inizio di tutto è diventato una garanzia. Anyway.

 

Non so davvero da dove iniziare, non credo mi sia mai successo – escludendo tutte le volte che ho idee in testa per una storia, mi pianto davanti alla pagina di word e non scrivo un bel niente.

Forse è perchè sono successe così tante cose e queste ultime settimane sembravano non finire mai per tutta una serie di cose. La scuola mi impegna parecchio quest'anno, devo ammetterlo.

Ma non parliamo di scuola perchè su efp non si parla di queste cose brutte! Sorridiamo.

Ed esultiamo, anche perchè eccomi tornata, con un mare di ritardo, con il sesto capitolo di questa storia. Non sono sicura che ci sia più tanta gente con tanto coraggio da mettersi a leggerla dal primo capitolo, sapete, l'autostima cala un po'. Anche perchè modifico e riscrivo le cose così tante volte che non sono mai sicura della loro riuscita. E come vedete è passato un secolo prima che pubblicassi questo coso che avete letto – se l'avete letto -

COMUNQUE.

Come avete potuto ben vedere, ecco un capitolo su Lucas Robert Hemmings: è un personaggio che mi piace particolarmente (e sì, sono abbastanza patetica perchè ammiro i miei stessi personaggi). Ho voluto dedicare a lui tutto questo capitolo perchè il litigio con Agnes era rimasto in sospeso, e non potevo lasciare in aria una situazione del genere: quindi ecco a voi Luke che va fino al Murray Centre per scusarsi con la sorella. Vorreste avere un fratellone come lui, eh? Ammetetelo eheh

Per chi non si ricordasse, Rose è la ragazza che ho inserito tre capitoli fa, una di quelle che stanno nel centro.

Dopo chiarimenti e cose molto varie, poi, SBAM. Un bello scontro con chi? Con la NEW ENTRY della storia, ovvio! Ladies and gentlemen, ecco a voi X, la sconosciuta di cui scoprirete il nome non so quando (ho trovato la persona perfetta per impersonarla ancora prima di pubblicare il primo capitolo, pensate un po'). E non ci vuole molto a capire che anche lei è una ragazza madre, mhm.

 

Beh, io spero davvero che non vi stiate annoiando troppo: se avete consigli da dare, critiche, belle parole da dirmi, non esitate a lasciare una recensione, anche se piccola. Scusatemi se pubblico capitoli dopo giorni e giorni e giorni che mi sembrano secoli, ma davvero, non sempre riesco a trovare il tempo o la concentrazione per riuscire a portarmi avanti con i capitoli.

Stay tuned, però, perchè il prossimo capitolo sarà un po' diverso rispetto agli altri: non vi svelo niente, lascio a voi la curiosità di passare al prossimo aggiornamento (se avrete curiosità, è ovvio)

 

Vi voglio bene, fanciulle. Grazie se siete arrivate fin qua sotto, scusatemi se sembro una depressa in questo space author ma cavolo, sono felice per così tante cose che neanche riesco a trasmettere la mia felicità in questo momento a livelli improponibili.

Forse perchè non mi sono ancora ripresa dalla performance dei ragazzi a x factor, ieri sera: compresi i pantaloni di Calum che NO, non sono più skinny jeans che gli schiacciano le palle. E sta benissimo così.

Inutile dirvi quanto io lo adori. Non aspetto altro che il concerto di maggio a Roma per poterlo vedere: anche perchè il settore A9 è stato scelto appositamente perchè dal suo lato.

 

Vi voglio bene, di nuovo. Complimenti se siete sopravvissute ai miei sproloqui!

Tani bacini,

elena

  
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