Part I
Chapter VI
Incontri forzati
“Durante la sua vita, un uomo incontra moltissime persone.
Se cammina per la strada, in un brevissimo lasso di tempo
può incontrare centinaia di persone che gli passano accanto. In ognuna
di esse c'è vita. Il fatto di incrociarle è un evento che
coinvolge tutta la nostra esistenza.”
Black Jack
Anastasia e Diane si
guardarono. Il cuore della prima tonfava all’interno del suo petto come
l’eco impazzita dei colpi bussati alla porta, ma cercò di
mantenere la calma.
Malcolm Wilford. Chissà perché voleva stringere un
rapporto di amicizia con lei. Che fosse cambiato? E lei, era cambiata?
Deglutì.
Si udì il rumore
dei passi di Ashley che echeggiavano nell’altro atrio, poi lo stridore
metallico del pesante portone che veniva aperto,
seguito da un brusio di voci.
Anastasia drizzò le
orecchie. Non sembrava la voce di Malcolm. Probabilmente dovevano essere gli
altri invitati.
«Oh, è
arrivato Felix!», esclamò Diane. «È da tanto tempo
che non ci vediamo, vado a salutarlo».
«Un attimo,
cosa?», Anastasia le afferrò l’avambraccio la tirò
con una discreta brutalità verso di sé. «Chi sarebbe
Felix?».
«Come, “chi sarebbe”? È quel tipo
che sta sempre appiccicato a Mal all’Old Denver’s Tales!».
La rossa mollò la
presa, assumendo un’espressione pensierosa, e all’improvviso il suo
viso gravò una smorfia quasi disgustata.
«Quel tizio strano
che si è tinto i capelli di quell’azzurro orribile?».
«Io penso che i suoi capelli siano una figata. Comunque sì, è lui».
«Aspetta,
quindi…».
Però la bruna era sparita, e stava già scendendo
a grandi falcate i gradini. Si udì la sua voce fluttuare su per la
tromba delle scale.
«Ehi, ma guarda chi c’è, Diane la mia geek-hipster
preferita! Alla fine sei venuta».
Ehi, ma guarda chi c’è, Diane la mia geek-hipster preferita! Alla fine sei venuta. Non si trattava certo di Malcolm Wilford. Anastasia tirò un profondo respiro e
seguì Diane giù nell’ingresso.
Per prima cosa vide il
gruppetto dall’alto. Accanto al portone c’era un ragazzo di colore
alto almeno due metri, con dei capelli afro abbastanza corti: Tyler McKibben, presumibilmente. Sorrideva e annuiva per qualcosa
che Ashley gli aveva detto, ma nel frattempo stava distrattamente
giocherellando con il touch screen
del suo smartphone.
Il ragazzo di fianco a lui
doveva essere per forza Felix Albert Burgress. Era
appoggiato alla sua valigia Burberry, aveva i capelli
tinti di azzurro e gli occhi del medesimo colore. Indossava una camicia di un
bianco immacolato che di sicuro arrivava dalla tintoria – in casa non si
potevano certo ottenere delle maniche dalla piega tanto perfetta – ed un paio di pantaloni grigi strappati che dovevano essere
per forza di Paul Smith*, Anastasia lo capì
all’istante. Notò successivamente che
attorno al collo possedeva delle grandi cuffie gialle. Che fosse un
appassionato di musica come Diane?
Udendo i suoi passi sulle
scale, il ragazzo alzò lo sguardo e sorrise.
«Cavolo, Anastasia Hamilton in persona! Diane e Mal
mi hanno parlato di te. Ti ho vista diverse volte al locale,
ma a quanto pare non c’è stata mai occasione di presentarci.
Comunque io sono Felix Albert Burgress, sicuramente
hai sentito parlare di me».
«Felix, Felix, Felix…ehm, no, direi di no. Mai
sentito nominare», si limitò a proferire
la rossa in tono altezzoso, ricevendo un’occhiataccia da Diane, ma la
ragazza la ignorò prontamente. Scese gli ultimi gradini e gli tese la
mano, sorridendo ironica, quasi divertita nel vedere l’espressione del
ragazzo diventare forzata.
Nonostante gli avesse
spudoratamente mentito, il viso di quel ragazzo aveva
qualcosa di incredibilmente familiare. Era sicura di averlo visto da qualche
parte oltre che al suo pub preferito. Cercò di capire di cosa si
trattasse mentre stringeva la sua mano, ma non ci riuscì. A quel punto
si girò verso il ragazzo di colore. «E tu devi
essere…Tyler?».
«Uhm, ciao,
sì», alzò lo sguardo e le rivolse un sorriso nervoso. «Scusate, è solo che…ho lasciato il mio
bimbo di sei mesi a casa con il mio fidanzato. È la prima volta che lo
faccio, e veramente volevo telefonargli per sapere come vanno le cose. Qui non
c’è campo?».
«Non proprio»,
rispose Ashley in tono di scusa. Era rossa in volto, anche se non si capiva se
ciò fosse dovuto al nervosismo o all’entusiasmo. «Mi dispiace. A volte si riesce ad avere un po’
di campo in fondo al giardino oppure sui balconi, dipende dal tuo gestore. Però in soggiorno c’è un telefono fisso,
ora te lo mostro».
Gli fece
strada e Anastasia si girò nuovamente verso Felix. Aveva ancora la
strana sensazione di averlo già visto da qualche altra parte…
«Dove hai conosciuto
Wilford?», gli chiese fingendosi poco
interessata, mentre si guardava le unghie laccate.
«Oh, beh, sai, l’ho conosciuto nel mio studio,
all’incirca quattro mesi prima che si mettesse con Diane. Ad essere sinceri è stato un primo incontro parecchio
bizzarro. Credevo che fosse venuto per chiedermi un appuntamento di lavoro,
considerata la mia estrema bravura…», a quel punto Anastasia
– approfittandosi del fatto che il ragazzo fosse girato –
lanciò un’occhiata a Diane, per poi alzare il dito medio dietro le
spalle di lui e sussurrare appena, ma facendo in modo
che l’amica sentisse: “che
pallone gonfiato di merda”. In tutta risposta Diane le lanciò
un furioso cipiglio per poi ricomporsi vedendo l’espressione perplessa di
lui.
«Scusaci. Continua, ti prego»,
disse Anastasia con tono serio.
«Comunque, è entrato nel mio studio con fare
disinvolto, si è seduto di fronte a me spaparanzandosi e ha detto
semplicemente “senti, bello, non
è che hai qualche modella sexy da presentarmi?”.
All’inizio ero praticamente rimasto sconvolto,
ma mi piacque fin da subito la sua sfacciataggine», concluse, per poi
ridere appena.
«Sei un
modello?», domandò a quel punto la rossa.
«No, io fotografo i
modelli».
Ad Anastasia faceva sempre
uno strano effetto conoscere un fotografo di modelli. Si creava una sorta di
cameratismo. Quasi un legame massonico. Chissà se uno scrittore provasse
la stessa cosa, incontrando i suoi lettori, o se i registi e gli attori si
scambiassero segretamente cenni del capo…
«Ana
è una modella», si intromise Diane. Li
squadrò entrambi come se stesse sguinzagliando due pesi gallo pronti a
darsele di santa ragione sul ring.
«Oh, ma
davvero?», Felix la guardò come se si accorgesse della bellezza
della rossa solo in quel momento. «E sei una modella da passerella o da
servizi fotografici?».
Uffa.
Quella era la domanda che odiava di più. Parlare della sua carriera come
modella non la metteva a suo agio. Aveva sempre lavorato per servizi
fotografici, dove alla fine nelle riviste compariva sempre
photoshoppata. Aveva domandato più volte di
andare in qualche sfilata importante, ma era stata sempre rifiutata. Era come
se volessero dirle “non sei abbastanza bella per
andare su un palco”.
«Uhm…da
servizi fotografici», rispose vaga.
«Davvero? Ma dài,
allora qualche volta puoi posare per me!»,
all’improvviso il suo tono diventò pieno di entusiasmo e assunse
un sorriso infantile, mostrando denti perfetti e di un bianco innaturale. La
ragazza si domandò se per caso non se li fosse
fatti incapsulare di ceramica.
«Allora?»,
insistette. Tutto quell’ardore finirono per far
arrossire leggermente la modella.
«No, grazie. Ho già tanti fotografi
eccellenti che lavorano per me», si
limitò a rispondere con un tono di voce discretamente innervosito,
voltandosi dall’altra parte.
«Se lo dici
tu…ma vedrai, appena tiro fuori dalla valigia la mia macchina fotografica
professionale e ti mostro le foto salvate, cambierai subito idea».
Anastasia stava per fare
una battuta sarcastica quando si udì un “ding”
dal soggiorno, dove Tyler stava mettendo giù il telefono. Felix si
girò per guardare da dove provenisse quel suono, e qualcosa della sua
testa, o nella sua espressione, fece capire alla rossa di colpo
dove lo avesse già visto.
Foto.
Ricordava di averlo già visto taggato in una
foto di Facebook. Ma non ricordava chi
gliel’avesse scattata, tantomeno il profilo dove
fosse stata inserita. Doveva averla vista parecchi anni fa.
Stava ancora elaborando la
novità quando Tyler tornò sorridendo.
«Oh, meno male, sono riuscito a parlare con Joseph.
A casa tutto bene. Scusate se ero un po’ distratto…non ero mai
stato via per la notte, prima d’ora, e in effetti
è stato un po’ un salto nel buio. Non voglio dire che Joseph non
possa farcela da solo, sono sicuro che se la caverà,
però…oh, adesso basta, devo smetterla di annoiarvi. Tu sei
Anastasia, giusto?».
«Passate nel
soggiorno!», chiamò a gran voce Ashley dalla cucina. «Sto
preparando il tè».
Il gruppo si
trasferì obbediente nel posto detto dalla bionda, e Anastasia stette ad osservare Felix e Tyler che prendevano in esame
l’enorme stanza con la sua lunga parete di vetro.
«La vista qui
è proprio spettacolare, no?», commentò alla fine Felix.
«Già, perfetto
per una fotografia», Diane guardò fuori dal bosco. Si stava
facendo buio e, per effetto delle tenebre, sembrava che tutti gli alberi
avessero fatto un passo insieme verso la casa, unendo le proprie cime per
escludere il cielo. «Ci si sente un po’
esposti, non vi sembra? Credo che sia per l’assenza delle tende».
«Un po’ come
quando ti si incastra la maglia nelle mutande!»,
disse inaspettatamente Tyler, che poi scoppiò a ridere.
«A me piace»,
soggiunse Felix. «Sembra di stare in un palcoscenico».
«E noi saremmo il
pubblico?», domandò Tyler. «Allora
questa produzione deve essere una gran barba. Gli attori sono piuttosto
legnosi!», indicò con il dito gli alberi.
«L’avete capita? Alberi, legno…».
«L’abbiamo
capita», tagliò corto Anastasia, aspra. «Ma
non credo fosse questo che Fabian intendeva dire,
vero?».
«Felix», la
corresse lui, con una punta di fastidio nella voce, mentre assottigliava gli
occhi cercando di capire se la ragazza avesse sbagliato il suo nome appositamente per farlo innervosire. «Comunque
sì, intendevo dire il contrario, gli attori siamo noi», si
girò verso la parete di vetro. «Mentre il
pubblico…il pubblico è là fuori. Forse nascosto dietro gli
alberi».
Per qualche motivo le sue
parole fecero rabbrividire la modella. Forse per via dei
tronchi degli alberi, simili a muti guardiani nel buio sempre più fitto.
O magari a causa della folata di freddo che Tyler e Felix si erano portati da
fuori, e che aleggiava ancora nell’aria. Oppure era dovuto a quel
“nascosto dietro gli alberi”. Che intendesse dire che tra gli
alberi ci fossero delle persone desiderose di spiarli? In un caso o
nell’altro, al momento di partire da Denver era ancora autunno, mentre in
quel posto, più a nord, si aveva la sensazione che stesse arrivando
all’improvviso l’inverno. Non era solo per i pini che escludevano
la luce con le loro fitte fronde di aghi, né per l’aria frizzante
con la sua promessa di gelo. Via via che la notte si
avvicinava, la casa faceva sempre più l’effetto di una gabbia di
vetro che spandeva ciecamente la sua luce nel crepuscolo, o di una lanterna in
mezzo alle tenebre. Si immaginò un migliaio di
falene che le giravano attorno, infreddolite e inesorabilmente attratte dal suo
chiarore, salvo poi finire schiantate contro il vetro gelido ed inospitale.
«Ho
freddo», disse la rossa per cambiare discorso.
«Anche
io», concordò Diane sfregandosi le braccia.
Allora Anastasia
ricominciò a parlare, più sicura. «Secondo
voi si può mettere in funzione quella specie di stufa? È a gas?».
Tyler si
inginocchiò di fronte all’aggeggio.
«A legna»,
armeggiò con la maniglia finché non si aprì di colpo uno
sportello sul davanti. «Ne ho una simile a casa
mia. Ash!»,
gridò per farsi sentire fino in cucina. «C’è qualche
problema se accendiamo la stufa?».
«No,
figurati!», gridò di rimando Ashley. «Ci
sono delle esche per il fuoco sulla mensola del caminetto. Dentro un vaso. Se
non ce la fate da soli, arrivo io tra un
minuto».
Felix si avvicinò
al caminetto e cominciò a sbirciare dentro i pochi vasi minimalisti, ma
poi si fermò, gli occhi fissi sullo stesso oggetto che aveva fatto
trasalire Anastasia poco tempo prima.
«Porca
puttana!», era il fucile, appollaiato sui suoi sostegni di legno poco
più sopra. «Che non abbiano mai sentito parlare di Čechov**,
da queste parti?».
«Čechov?»,
domandò una voce dal corridoio. Era Ashley, che faceva lentamente il suo
ingresso nel soggiorno con un vassoio in mano. «Il
tizio russo? Non preoccupatevi, è caricato a salve***. Mia zia lo tiene
lì per scacciare i conigli che si mangiano i bulbi e che scavano buche
nel giardino. Gli spara addosso dalle porte-finestre».
«Una
cosa un po’…texana, non vi pare?», commentò
Felix, affrettandosi verso la bionda per aiutarla con il vassoio. «Vi
dirò, non è che io non apprezzi uno stile di vita un po’
western, ma avere un fucile proprio davanti agli occhi è un po’
sconcertante per quelli di noi che preferiscono stare il
più possibile alla larga dai pensieri morbosi».
«Capisco cosa vuoi
dire», rispose Ashley. «Probabilmente mia
zia dovrebbe tenerlo riposto in un armadietto o qualcosa del genere. Però apparteneva a mio nonno, perciò è
una specie di cimelio di famiglia. E l’orto è giusto là
fuori, oltre quelle porte – beh, per lo meno d’estate –
quindi è più pratico averlo a portata di mano».
Tyler accese il fuoco,
Ashley versò il tè e offrì i biscotti, e la conversazione
si spostò su altri argomenti. Le multe quando metti la macchina in
seconda fila, il costo degli affitti… se mettere il latte prima di
versare il tè. Diane taceva, penosa.
«Un po’ di
tè?».
Per qualche istante la
bruna rimase immobile, senza risponderle. Poi Ashley la picchiettò sulla
spalla.
«Vuoi un po’
di tè, Didì?».
«Diane»,
rispose. Si sforzò di sorriderle. «Comunque sì, grazie
mille».
«E tu, Ana?», chiese alla rossa, che stava giocando con una
ciocca di capelli.
Il viso della modella si
corrugò in una smorfia nauseata. «Ehm…bleah. Senti, per caso hai del caffè? Avrei dovuto
dirtelo prima, il tè mi fa abbastanza
schifo».
Ashley assunse
un’espressione desolata.
«Mi dispiace tanto. Forse ho…no. Non lo
abbiamo. Probabilmente adesso è troppo tardi per poter
comprare qualsiasi cosa: Denver si trova ad una quarantina di minuti e ormai i
negozi saranno chiusi. Perdonami, davvero, il fatto è che pensavo a Mal,
mentre facevo la spesa, e so che a lui il tè piace da matti…non ho
proprio pensato che…».
«Ok, ho
capito», la interruppe la rossa brusca. Prese la tazza offerta e ne bevve
un sorso. Era ustionante e aveva il solito sapore disgustoso del
tè…disgustoso come il latte bollito e la
salsa rosa sopra il salmone.
«Il festeggiato
dovrebbe arrivare tra poco», disse Ashley con un’occhiata
all’orologio. «Volete che diamo un’occhiata
alle attività in programma, in modo da sapere cosa ci
aspetta?».
Annuirono tutti quanti e
l’organizzatrice tirò fuori una lista. Diane percepì,
più che udirlo, il sospirone di Anastasia.
«Dunque,
Mal dovrebbe essere qui alle sei, ora in cui pensavo che potremmo berci qualcosina – ho dello champagne in frigo, e
c’è anche l’occorrente per preparare dei mojito,
dei margarita e via dicendo – e poi,
anziché disturbarci a sederci a tavola per una cena vera e propria»,
quella notizia Anastasia si rabbuiò visibilmente. «Ho
preso delle pizze e un po’ di salsine e stuzzichini, possiamo piazzarli
lì sul tavolo e darci dentro. Nel frattempo si potrebbe fare qualche
gioco per cominciare a conoscersi un po’. Mal sapete tutti chi è,
ovvio, ma forse è meglio che prendiate confidenza anche tra di
voi…giusto? Anzi, credo che sia meglio che ognuno inizi con una rapida
presentazione di sé prima dell’arrivo di
Mal, che ne dite?».
«Non sarebbe meglio
aspettare Emily?», intervenne Diane. La modella cercò di
nascondere un sussulto. Si era completamente scordata di lei, chissà
perché era così in ritardo. Forse non riusciva a trovare la
strada per arrivare, forse aveva avuto un piccolo contrattempo.
O forse…
Si girò, osservando
per brevi istanti quegli enormi pini che sembravano quasi volerla attaccare da
un momento all’altro. Si affrettò a rigirarsi.
No, no, no! Ma cosa diamine andava a pensare? Era tutta colpa di quella
dannata casa e della dannata foresta che la circondava se stava diventando
così paranoica! Emily sarebbe arrivata da un momento all’altro, ne
era più che certa.
«Mh, a questo punto non serve più aspettarla.
Su, su, cominciate! Poi lei si arrangerà».
Gli altri si guardarono
tutti a vicenda come per farsi un’idea di chi avessero
di fronte, domandandosi chi avrebbe avuto il coraggio
di parlare per primo. Per la prima volta Anastasia si sforzò di capire
quale ruolo avessero Felix, Tyler e Ashley nella vita
di Malcolm, e non fu per niente facile.
Nel caso di Felix era
abbastanza evidente: con i suoi abiti costosi ed il
suo lavoro, non era difficile comprendere che cosa Malcolm cercasse da lui. Era
un amante delle belle ragazze e voleva sempre conoscere gente nuova, gente interessante. E Felix probabilmente era una bella
porta per chi desiderasse un’ampia vita sociale.
Ashley e Tyler erano
più un mistero, al riguardo. Sembravano persone troppo buone per frequentare uno come
Malcolm Wilford. Un accenno fatto da Tyler nei suoi
messaggi precedenti sul gruppo di Whatsapp le aveva
indotto a pensare che facesse l’avvocato, o forse il commercialista, e in effetti aveva vagamente l’aria di una persona che
si sarebbe sentita più a suo agio in giacca e cravatta. Nonostante le
scarpe ed il maglione firmati, i jeans che aveva
indosso erano quelli che Anastasia avrebbe definito “stile papà”:
di un blu anonimo, erano un modello che non donava affatto alla figura,
sembravano quasi premaman****.
I jeans di Ashley erano
invece di marca, ma sembravano più maschili che femminili ed era come se
lei non si sentisse a suo agio nell’indossarli, e nel complesso sembrava
che tutto il suo abbigliamento fosse stato acquistato ai saldi di fine stagione
senza curarsi che valorizzassero il suo corpo. La rossa la osservò
mentre si tirava goffamente giù la maglia nel tentativo di nascondere la
morbida protuberanza grassoccia sopra la cintura troppo stretta dei pantaloni:
era il genere di indumento che Malcolm avrebbe scelto
per sé, però solo una persona crudele avrebbe potuto suggerirlo
ad Ashley.
Nell’insieme, Ashley
e Tyler rappresentavano uno strano contrasto con Felix. Era difficile
immaginare il Malcolm che conosceva insieme
all’uno o all’altra: che fossero solo amici della scuola superiore,
rimasti in contatto anche in seguito per una sorta di inerzia? Conosceva quel
tipo di amicizie: quelle che nascono verso l’inizio del tuo primo anno di
liceo e poi, col passare del tempo, ti accorgi di non avere niente in comune a
parte la condivisione delle stesse aule, e ciò nonostante continui, per
qualche strano motivo, a scambiarti con i loro biglietti d’auguri e i
“mi piace” su Facebook. Però
bisognava dire che non scambiava veri dialoghi con Malcolm da
all’incirca un anno. Chissà se adesso il
Malcolm che non conosceva era quello amico di Ashley e Tyler?
Mentre osservava le
persone sedute in cerchio si rese conto che loro
facevano lo stesso con lei: soppesavano gli ospiti che non conoscevano e
cercavano di conciliarli con l’immagine mentale che avevano di Malcolm Wilford. La modella sorprese Felix a fissarla con una
curiosità che sembrava quasi sconfinare nell’attrazione, per poi
abbassare di colpo gli occhi a terra. Nessuno voleva iniziare per primo. Il
silenzio si prolungò a tal punto da rischiare di diventare decisamente scomodo.
«Comincio io»,
disse Tyler. Si passò una mano tra i capelli corti e giocherellò
con una catenina che portava al collo, dove vi era
infilata una piccolissima croce d’argento, di quelle che si ricevono in
regalo ai battesimi. «Mi chiamo Tyler McKibben. All’università frequentavo alcuni
corsi con Ashley e la incontravo spesso nei corridoi. È stata lei a
farmi conoscere Malcolm. Questo inverno l’ha invitato a Boulder e ci siamo conosciuti per la prima volta. Si
è creata subito una certa chimica tra di noi e abbiamo legato subito.
Comunque credo di essere io il più grande tra di voi, ho ventisette anni. Felix, tu invece quanti anni hai?».
«Io ventidue»,
replicò il ragazzo, scuotendosi i capelli tinti.
«Allora sono l’anziano del gruppo. Sono omosessuale,
ho un fidanzato e ho appena adottato un bambino, beh, è da tre settimane
che sta nel nostro stesso tetto», fece una breve
pausa, mentre Anastasia – dietro le sue spalle – strabuzzava gli
occhi e mimava il gesto di strozzarsi da sola. Diane distolse
lo sguardo, rifiutandosi di stare al gioco.
«Uhm…che altro? Vivo ancora a Boulder, faccio l’avvocato, però da quando
è arrivato il mio angelo in casa mi sono preso una pausa; oggi sarà il mio fidanzato
ad occuparsi di Lukas. Lukas
è il nostro bimbo. È…oh, d’accordo, forse non avete
voglia che io la faccia troppo lunga sull’argomento. Diciamo solo che è
un bambino adorabile».
Un gran sorriso gli
illuminò il volto alquanto preoccupato, e nelle sue guance si formarono
due profonde fossette. Anastasia ebbe una fitta al cuore. Non si trattava del
desiderio di un bambino tutto suo – non avrebbe voluto
assolutamente restare incinta, per nessun motivo – bensì solo una
strana invidia per quell’amore e quella felicità completa e senza
complicazioni. Dovevano essere una famiglia davvero
felice.
«Su, avanti,
mostraci una foto», la esortò Diane. Tyler sorrise di nuovo con le
sue fossette e tirò fuori lo smartphone.
«Vabbé,
se proprio insistete… Ecco, in questa qui era appena arrivato a
casa».
C’era l’immagine di lui seduto sui cuscini di un divano bianco.
Aveva gli occhi lucidi ed emozionati e sorrideva felice verso il fagotto bianco
tra le sue braccia.
Anastasia distolse lo
sguardo, e notò Felix fare lo stesso.
«Qui invece c’è lui che mi
sorride… Non era il primo sorriso che mi ha fatto, quello non sono
riuscito a fotografarlo, ma siccome Joseph era a Dubai per lavoro, ho cercato
di scattargli comunque una foto per potergliela inviare via Whatsapp.
Quest’altra foto è più recente: solo che non si vede bene
in faccia, si è messo la scodella in testa, che
buffo!».
Era irriconoscibile, rispetto
a quello della prima foto: qui si vedeva una creatura grassottella e ridente,
il visetto paffuto semioscurato da una ciotola di
plastica arancione e da chissà quale tipo di sbobba verdognola che gli
colava giù per le guance rotonde.
«Buffo
davvero!», esclamò Ashley. «Anche se è vostro figlio
adottivo, in questa foto assomiglia stranamente a Joseph, non trovi?».
«Oddio santo», commentò Felix, divertito e inorridito al
tempo stesso. «Benvenuti nella categoria dei
genitori. Siete pregati di lasciare gli abiti da lavare a secco fuori dalla
porta».
Tyler mise via il
telefonino, con il sorriso ancora sulle labbra.
«Sì, in effetti funziona un po’ così. Però è incredibile quanto in fretta ci si
abitui. Ora mi sembra normale controllarmi i capelli e i vestiti in cerca di
grumi di pappa, prima di uscire. Comunque basta parlare di lui. Ho già
abbastanza nostalgia di casa per conto mio, non vorrei aggravarla ancora di
più. Perché non ci racconti qualcosa su di te, Diane? Da quello
che so sei l’ex del festeggiato, ma nonostante
ciò avete mantenuto ottimi rapporti», si voltò verso il
punto in cui la bruna era seduta, accanto alla stufa, le braccia strette
intorno alle ginocchia. «Ricordo di aver sentito
la tua voce…forse qualche mese fa, mentre ero a telefono con Malcolm, non
è vero? Oppure me lo sono immaginato?».
«No, hai ragione, infatti anche a me la tua voce all’inizio mi era
sembrata vagamente familiare. Se non sbaglio è successo intorno agli
inizi di maggio… Ti risulta?».
Tyler annuì.
«Per chi non lo
sapesse, io sono Diane, l’ex di Mal e una compagna di classe di Anastasia
Hamilton», indicò la sua amica con l’indice della mano
destra, per poi continuare. «Ho diciotto anni e
mi piacciono tante cose. La musica rock, la fotografia, i cortei, le
rivoluzioni», dopo aver pronunciato l’ultima parola, le si illuminarono per un attimo gli occhi. «Ho incontrato Mal due anni fa, durante uno sciopero,
ed è stato quasi amore a prima
vista. Comunque, in teoria avrei dovuto finire il liceo l’anno scorso*****,
ma sono stata bocciata il primo anno. Anche se…diciamo che sono stata
bocciata perché ho avuto dei problemi personali. Sapete, sono nata e
vissuta a Newark, in Ohio. Poi, dopo…l’esperienza,
diciamo, del primo anno, io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a
Denver…».
Si passò
le mani sul viso e Anastasia notò una leggera incrinatura nella sua
corazza da ragazza alternativa e rivoluzionaria. Sapeva che il suo primo anno
di liceo l’aveva colpita nel profondo, ma nonostante ciò non aveva
mai voluto parlarne, se non per fare qualche battuta sul cibo. La rossa si era sentita
spesso arrabbiata: era la sua migliore amica, no? E allora perché si
ostinava a non raccontarle quell’episodio?
Ma d’altronde, la poteva comprendere da una
parte. Nemmeno Diane conosceva tutta
la sua storia. Nemmeno lei.
«Comunque»,
riprese con un sorriso forzato. «Ora tocca a te, Felix».
«Sì…»,
disse il ragazzo dai capelli tinti di blu con un’occhiata leggermente
pensierosa. «Beh, tanto per cominciare, la prima
cosa che dovete sapere di me è che mi chiamo Felix, non Fabian. Felix Albert Burgress. Ho origini tedesche e sono un fotografo, o
meglio, un Fashion Photographer.
Pur non godendo di immensa fama, ho fatto parecchi
scatti importanti a dei modelli e ho vinto un paio di premi. Sono un
grandissimo amante della musica, ma soprattutto della fotografia. Il mio
fotografo preferito è probabilmente Robert Capa…
Avete mai sentito parlare di lui?». Ci fu una pausa. Anastasia scosse
subito la testa con fare menefreghista. Felix spostò gli occhi su tutti
sperando in un cenno di assenso, finché il suo sguardo non si
posò speranzoso su Diane. A malincuore, la bruna scrollò
leggermente le spalle, provando un senso di vergogna.
Una fotografa che non conosce Robert Capa, chissà che figura di merda che ho fatto!, pensò mordicchiandosi il labbro inferiore.
Il ragazzo emise un
piccolo sospiro. «Oh, beh, immagino che chi non
abbia fatto un’accademia privata specializzata in fotografia, non faccia
granché caso a chi abbia scattato una determinata foto. Comunque ho
conosciuto Mal nel mio studio, è stato un incontro parecchio buffo a
dire il vero, ma ci è voluto davvero poco per
diventare inseparabili… Oh, già, la mia passione per la fotografia
è nata a sei anni, quando vidi la famosa foto che scattò
l’astronauta Michael Collins».
«Michael
Collins», gli fece eco Ashley, annuendo tutta seria. Vista la precedente
ammissione di ignoranza di Diane, pensò che
poteva almeno fingere di conoscere quella foto, così annuì a sua
volta, forse con un filo di entusiasmo di troppo, tanto è vero che le
scivolò via il fermaglio per i capelli. Anastasia sbadigliò
annoiata e si alzò per uscire dalla stanza senza dire una parola.
«Vediamo…ho ventidue anni e abito in un
quartiere abbastanza grazioso di Denver… Ho un cane di nome Spartacus, Sparky per gli amici.
È un labrador di due anni, assolutamente adorabile ma probabilmente non
proprio l’ideale per un maniaco del lavoro come me che viaggia di
continuo. Per fortuna ho una dogsitter eccezionale.
Io sono vegetariano… Che altro dirvi? Oddio, non
è terribile? Sto parlando di me da due minuti soltanto e ho già
finito gli argomenti interessanti. Ah, sì, ho un tatuaggio sulla
scapola. Tutto qui».
Dopo una trentina di
secondi tornò Anastasia e si risedette al suo posto
silenziosa. Aveva in mano la borsa del tabacco e si stava rollando una
sigaretta con una mano sola.
Felix sorrise, per poi
domandarle: «E tu, Ana, cosa ci
racconti?».
Per qualche insondabile
motivo – forse dovuto ai suoi grandi occhi azzurri che la fissavano, o
per il suo sorriso allegro che sembrava genuinamente sincero – la rossa avvampò
e le sfuggì di mano la sigaretta, cosicché si rovesciò un
po’ di tabacco sul ginocchio. Dopo aver raccolto la sigaretta tra
l’indice e il pollice, alzò lo sguardo notando gli occhi di tutti
addosso, soprattutto quelli di Felix, che in quel momento trovò
particolarmente affascinanti.
Si costrinse a parlare.
«Non ho molto da dire. Ho sedici anni, quasi
diciassette. I miei genitori sono divorziati da quando ne avevo quattro. Mio
padre è un petroliere americano e mia madre è un’attrice
irlandese. Per questo ho i capelli rossi», si
sforzò di ridere, nonostante non ci fosse niente di divertente nelle sue
parole. «Io…uhm…ho conosciuto
Malcolm grazie a Diane. Lui…».
Lui ha sparso voci false sulla persona che amavo.
Lui ha messo in cattiva luce la persona che amavo.
Lui è riuscito a far credere a tutta la
città che la persona che amavo fosse un assassino.
Ed io non so perché sono qui.
Non so perché sono qui.
Deglutì il groppo
che aveva in gola.
«Lui ed
io…cioè, noi…ci siamo persi di vista dopo che si è
lasciato con Diane, credo», si sentiva la faccia tutta rossa e calda, la
stufa stava cominciando a buttar fuori calore sul serio. Si sistemò una
ciocca di capelli dietro le orecchie, palpandosi il cuoio capelluto caldo e
umido al di sotto. «Sono una modella, ho posato
per molte riviste di moda e di bellezza. Il mio successo più grande
è stato posare per la rivista Vanity Fair. Oh, sì, e anche per pubblicizzare il nuovo
profumo di Dior. Mi piace molto fare shopping, rilassarmi e andare in
discoteca».
«E riesci a mantenerti
completamente solo facendo servizi fotografici?», Felix le diede una
pacca amichevole sulla spalla. «Complimenti!»
Anastasia notò per
un attimo il sorrisetto di Diane e i suoi occhi color caffè che si
spostavano velocemente da lui a lei, e viceversa. Che li stesse vedendo come
una possibile coppia? Ma cosa diamine le saltava in
mente?
La sedicenne si
affrettò a spostare lo sguardo di nuovo verso il fotografo. «Beh, non completamente.
Vivo ancora con mio padre, che mi dà ancora la paghetta».
«E sentiamo, una
bella ragazza come te avrà sicuramente un fidanzatino», intervenne all’improvviso Ashley, con il
tono di una che stava parlando ad una bambina di tre
anni. «O almeno, immagino che ti piaccia qualcuno, no?»,
fissò i suoi occhi chiari sulla modella, e questa si sentì
arrossire. Che razza di domanda era, quella? Cosa gliene importava a lei della
sua vita sentimentale? Sollevò di nuovo la mano per sistemarsi una
ciocca, ma si fermò a metà. Se lo stava immaginando, oppure le
era parso di scorgere una punta di malizia nei suoi occhi? Che fosse al corrente di qualcosa?
Si sforzò per
qualche istante di trovare una risposta, ma non era sicura che non le sarebbe uscita di bocca una bugia bella e buona, come
era solita a fare. L’amore era un tema davvero difficile per lei. Mentre annaspava in cerca di qualcosa da
dire, in un silenzio che diventava sempre più scomodo a ogni secondo che
passava, si rese di nuovo conto di quanto tutta quella situazione fosse
sbagliata. Che diavolo ci stava facendo lei in quel posto? Perché stava
festeggiando uno sporco bastardo come Malcolm Wilford?
Malcolm Wilford!
«Credo che non tutti
possiamo avere un lieto fine come Tyler»,
commentò alla fine Diane, interrompendo il silenzio e facendo cenno al
ragazzo di colore. «O almeno, io in amore ho sempre avuto una sfiga da far paura».
Anastasia la guardò
con gratitudine e l’amica le fece l’occhiolino.
«Ma
ancora non capisco», commentò Ashley, insistente. «Se lavori come modella, sicuramente avrai tanti
spasimanti dietro. Perché non mettersi con qualcuno?».
La rossa la guardò
di nuovo, stavolta con freddezza. Perché non lasciava cadere
l’argomento, accidenti a lei? Comunque non c’era niente da dire,
almeno non senza avere l’aria da pazza.
«Non lo so. Forse non credo nell’amore e basta», rispose finalmente, cercando di mantenere un tono
di voce piacevole, tuttavia si rese conto di quanto fosse tirato il suo
sorriso. Poteva solo pregare che la sua espressione non fosse completamente
finta come la sentiva lei.
«Quindi
nessun fortunato nella tua vita?», domandò Tyler, con un sorriso
sereno alquanto contagioso.
«Soltanto il mio
gatto ciccione Muffin», il suo obbiettivo era di
suscitare una risata, cosa che in effetti avvenne, ma si trattò di un
riso esile e poco brillante, con una nota pietosa in sottofondo.
«E tu,
Ashley?», domandò la modella, alzando un sopracciglio e
cercò di trasformare la sua espressione infastidita in una falsamente curiosa.
Ma come si era permessa di farle una domanda del
genere davanti a tutti? «Parlaci un po’ di te», aggiunse con
un tono estremamente mieloso.
Adesso tocca a me smerdarti,
grassona di merda.
«Beh, io ho conosciuto Mal il primo anno delle scuole medie. Frequentavamo lo stesso corso di matematica.
Quando entrai in classe lo trovai lì, seduto di
fronte al professore, intento a succhiarsi una ciocca di capelli: avete
presente quanto è buffo quando si attorciglia i suoi capelli neri sul
dito e poi si mette a mordicchiarli? Tenerissimo».
Diane cercò
di rammentare se il suo ex avesse mai fatto una cosa del genere. Sembrava
proprio disgustoso. Le tornò alla mente un vago ricordo: Malcolm,
davanti al cancello del suo liceo, ad aspettarla mentre si attorcigliava
i capelli neri sul dito. Quindi magari era vero.
«Aveva indosso quel
berretto nero…forse anche adesso ce l’ha,
chissà come fa ad entrargli ancora? La mia testa si è molto
ingigantita, dai tempi delle medie! Comunque mi avvicino per salutarlo e lui mi
fa: “oh, carino il tuo foulard”, e da
quel momento siamo diventati amici per la pelle, e lo siamo tuttora. È
che io…insomma, lui è proprio fantastico, sapete? È stato
sempre di grande ispirazione per me, di grande
sostegno. Non sono in tanti che…», si interruppe,
la voce strozzata, e con grande orrore Anastasia si accorse che aveva gli occhi
lucidi. «Beh, lasciamo perdere. Scusatemi. Comunque
Mal è la mia roccia, e farei qualsiasi cosa per lui. Davvero qualsiasi
cosa. Perciò voglio che questo sia il miglior compleanno della storia, d’accordo? Voglio che sia
perfetto. Significa tantissimo per
me. È…è l’ultima cosa, diciamo, che posso fare per
lui. Mi capite?».
Aveva le lacrime agli
occhi e parlava con un’intensità tale da risultare
quasi terrificante. Guardandosi attorno la modella si
accorse che non era l’unica ad essere sorpresa: Felix sembrava
decisamente allarmato, e le sopracciglia di Diane erano sparite sotto la sua
frangetta volutamente scompigliata. Solo Tyler appariva del tutto
imperturbabile, come se fosse normale mostrare questo livello di
emotività parlando del proprio migliore amico.
«Guarda che sta per
compiere ventiquattro anni, non per andare di
nuovo in prigione», commentò secca Anastasia,
ma Ashley non la sentì, oppure ignorò il suo commento,
limitandosi a tossire e ad asciugarsi le lacrime.
«Scusate. Oddio, sono una tale sentimentalona!
Guardate in che stato mi sono ridotta!».
«E…Ehm,
comunque tu che cosa fai nella vita?», le domandò cortesemente Felix. Mentre lo diceva Anastasia
si rese conto che Ashley aveva parlato solo di Malcolm, senza raccontare nulla
di sé.
«Oh», la
bionda abbassò lo sguardo a terra. «Beh,
insomma, un po’ di questo e un po’ di quello. Io…mi sono
presa un po’ di tempo dopo l’università. Non mi trovavo in
una bella situazione. Mal è stato eccezionale. Quando io…beh,
lasciamo stare. Il fatto è che lui è…voglio dire, è
il miglior amico che si possa avere, sul serio. Oddio, ma perché mi
comporto così?», si soffiò il naso
e si alzò in piedi. «Qualcuno vuole dell’altro tè?».
Scossero tutti la testa e
lei, ripreso in mano il vassoio, si diresse verso la cucina. Tyler tirò
fuori il telefono e controllò nuovamente il segnale.
«Che stranezza,
però», commentò la modella di punto in bianco.
«Che cosa?»,
Tyler alzò lo sguardo.
«Ashley e, aperte
virgolette, il compleanno perfetto, chiuse virgolette»,
scandì Anastasia. «Non vi sembra che sia stata un po’
troppo…intensa?».
«Beh», fece Tyler. Lanciò uno sguardo fuori dalla
porta che dava in cucina, e abbassò la voce. «Sentite,
non so se dovrei raccontarvelo, ma non mi sembra nemmeno il caso di girarci
troppo attorno. Ashley ha avuto una specie di esaurimento nervoso, il terzo
anno di università. Non ho idea di cosa sia successo esattamente, fatto
sta che ha abbandonato gli studi prima degli esami finali, e che io sappia non
si è più laureata. Ecco perché è un po’, come
dire, sensibile riguardo a quel periodo. In
realtà non le piace parlarne».
«Ah, okay»,
rispose Anastasia. Però Diane sapeva a cosa
stesse pensando. Ciò che aveva allarmato le due
amiche non era stata la riservatezza di Ashley in merito a quanto era accaduto
dopo l’università: quella era la parte meno bizzarra
dell’intera faccenda. Era tutto il resto ad
essere inquietante.
«Comunque,
dov’è andata a finire questa Emily?», chiese
all’improvviso Felix, mettendo entrambe le mani dietro la testa. Anche se
lo disse in tono scherzoso, la frase che susseguì fece trasalire
Anastasia Hamilton.
«Spero non sia stata ammazzata!»
Note dell’autrice: Finalmente. Finalmente.
Dopo dieci, dieci pagine di Windows ho finito anche il sesto capitolo. Sono molto contenta del
risultato, anche se sono abbastanza sicura di aver commesso qualche errorino qua e là, quindi in caso notaste qualche svista vi pregherei di avvisarmi.
Sinceramente non mi va di
divulgarmi troppo, perché sono abbastanza stanca, però ammetto
che mi piacerebbe tantissimo ricevere la vostra opinione su questo capitolo,
perché ci ho messo davvero l’anima!
Bah, cosa sarà
successo ad Emily Crownover?
Oh, e tanto per dircelo,
spero che gli altri personaggi della casa(?) vi
piacciano, o almeno vi incuriosiscano. Eheh, ma la
sottoscritta non ha intenzione di spoilerare proprio
un bel niente.
Aspetto con ansia i vostri
pareri.
Au revoir,
Coffee Pie.
*Paul Smith: stilista
britannico il quale vende capi firmati molto costosi.
** Čechov: “Il Fucile di Cechov” è la tecnica letteraria nella quale un
elemento viene introdotto subito nella storia, e la
cui funzione viene svelata solo in seguito. Una frase famosa è –
appunto – questa: “se nel primo capitolo dici
che c'è un fucile appeso al muro, nel secondo o terzo capitolo devi
assolutamente farlo sparare. Se il fucile non viene
usato, non dovrebbe neanche starsene lì appeso.”
***…caricato a salve: Lo sparo a salve
può essere di due tipi: uno caratterizzato
dalla struttura di un'intera pistola dalla canna otturata (in cui possono
essere inserite cartucce fatte apposta per il modello di arma da fuoco), che
dunque riproduce l'esplosione delle polveri interna alla pistola; il secondo
(del quale è stata vietata la vendita a causa della
pericolosità), caratterizzato invece da semplici proiettili progettati
apposta per esplodere in microscopiche schegge appena fuoriusciti dalla canna
(queste munizioni sono utilizzabili anche in pistole progettate per recare
danno). Entrambi i tipi non sono in grado di danneggiare ed
hanno solo la funzione di riprodurre il suono di una pistola "vera".
(Wikipedia)
****premaman: intende dei jeans che di solito vengono usati dalle donne in gravidanza.
*****in teoria avrei dovuto finire il liceo
l’anno scorso: in America la scuola superiore dura quattro anni, non
cinque.