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Autore: Heartless_18    14/11/2015    4 recensioni
Lei: Samantha Jackson, denominata psicopatica disadattata.
Lui: Sven Clark, denominato stronzo di professione.
L'apparenza inganna, e Sam lo sa bene.
Un angelo.
E' questo l'aggettivo che gli ha affibbiato la prima volta che i suoi occhi si sono puntati su di lui.
Peccato che poi questo angelo abbia aperto bocca, rivelando la sua natura da demonio.
Il problema? Per Sam è già troppo tardi, anche se cercherà invano di combattere contro la forza dell'attrazione che la spinge irrimediabilmente verso di lui.
Ma anche Sam sa di non essere un angioletto, quindi quale coppia più perfetta di due diavoli che indossano maschere da angeli?
“Tutto il mio cuore è suo; Gli appartiene e con lui rimarrebbe, anche se il fato destinasse il resto di me a stargli per sempre lontano.”
-Charlotte Brontё, Jane Eye.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Mi sentivo svuotata di ogni tipo di emozione, e il tempo fuori dalla finestra si abbinava al mio stato d’animo.
Temporale. Un violento temporale che oscurava il cielo con le sue nubi grigie.
Il clima e la mia depressione andavano in sincrono.
Non avevo voglia di alzarmi dal letto, non avevo voglia di guardarmi allo specchio, non avevo voglia di fare niente.
Insomma, ero pateticamente patetica.
Emisi un ringhio addolorato e allungai la mano sul comodino per raccattare il cellulare.
Non potevo essere egoista in un momento del genere, c’era una persona a cui tenevo che doveva stare mille volte peggio di me.
Composi il numero di Trent e mi portai il cellulare all’orecchio.
Volevo sapere come stava Amy, ma chiederlo a lei e ricordargli quanto accaduto non mi sembrava una buona idea.
Si era trasferita da Trent a tempo indeterminato, decidendo di staccare dalla sua vita per non dover ripercorrere il sentiero dei ricordi in una casa dove, ogni foto, le ricordasse dei momenti felici che non sarebbero più ritornati.
“Sam.” Rispose Trent ,e la sua voce era sfinita.
“Ehi Trent..lei come sta?”
Seguirono istanti di silenzio in cui mi resi conto della mia domanda insensata.
“Ok, cambio di domanda.. tu come stai?”
“Sono a pezzi. Non so cosa fare..penso che ogni cosa che possa dire o fare risulti completamente inutile.”
Non avevo mai sentito il mio migliore amico così scoraggiato.
Dovevano essere tempi difficili per tutti..ma che difficili, proprio di merda!
“Credo che a lei basti tu per stare un po’ meglio..non puoi pensare che non apprezzi che, la persona della quale è innamorata, le stia affianco.”
Lo sentii sospirare. “Già, forse hai ragione..”
Seguirono altri attimi di silenzio.
Avrei voluto dire qualcosa, ma al momento non mi veniva in mente nulla.
Stavo troppo male per poter fare una ragionamento logico.
“E tu come stai?” Domandò.
Bella domanda Trent, bella domanda!
Ispirai a fondo, buttando fuori le parole prima che avessi espirato completamente.
“Gli ho detto che lo amo.”
“Da come me l’hai detto capisco che neanche a te le cose siano andate bene. Quindi non ti chiederò ulteriormente come ti senti.” Ridacchiò.
“Apprezzo il gesto.”
“Mi dispiace Sam, ma non credo di potermi presentare a casa tua con dei ravioli questa volta.” Cercò di sdrammatizzare.
Risi, appoggiandomi con la schiena alla tastiera del letto. “Accidenti, le tue parole mi hanno ferito a morte. Stai tranquillo, credo di avere ancora la forza per andare a fare la spesa da sola.”
“Guai a te se compri due tonnellate di gelato e di schifezze varie..anzi, ripensandoci fallo. Dicono che il cibo sia consolatorio..”
Mi scappò un sorriso. “Allora mi sa che entro una settimana avrò la pancia come lo zio Bill.”
Lo feci ridere. “Guarda che poi tua madre potrebbe pensare che tu sia incinta. Già me la vedo, a comprare i vestitini per il suo futuro nipotino.”
Parlare con lui mi aveva sempre fatto bene, e ci riuscì anche in quel momento a farmi sentire meglio.
“Grazie Trent..” Glielo dissi sinceramente perché spesso mi ero chiesta che fine avessi fatto se lui non mi fosse stato vicino. Il solo pensiero mi fece accapponare la pelle.
“Sam, ricorda: io e te verso l’infinito..?”
“E oltre.” Conclusi la frase al posto suo, sorridendo.
 
Dovevo aver del tutto perso la ragione se avevo accettato di andare a fare shopping con mia madre. Tanto per intenderci, era peggio di Dee.
Non solo si limitava a fermarsi davanti ogni vetrina, ma trovava anche il bisogno di entrarci.
Nel giro di un’ora eravamo entrate in venti negozi diversi e avevo acquistato solo tre magliette.
Io non potevo lamentarmi se voleva ispezionare ogni boutique esistente, ma se invece io volevo farlo con ogni caffetteria che incontravo..era tutta un’altra storia.
Quando mi lamentai per l’ennesima volta, dopo che mi ebbe obbligato a snobbare due bar con dei pasticcini davvero allettanti esposti in vetrina, cedette quando ne incontrammo un terzo.
“Guarda che non ti fa bene mangiare tutti questi dolci! Poi ti sale il colesterolo alle stelle! Non ti lamentare se poi diventi obesa e non riesci più a camminare sulle tue gambe, perché io non te la spingo la carrozzella!”
Erano pressoché quelle le parole che continuava a ripetere, e che ormai avevo imparato a memoria.
Quando però capì che fosse solo uno sfogo per aiutarmi a superare la depressione, fece un sospiro e si rivolse al barista.
“Un frappé al cioccolato e..cosa sono quelle cose là?”
Indicò dei dolcetti riposti in un piattino dentro la teca di vetro.
“Strudel di mele.” Rispose il barista.
Mia mamma fece una smorfia, sapendo quanto poco ne andasse ghiotta.
Si girò in mia direzione e sospirò. “Mi dia anche un muffin al cioccolato e uno alla vaniglia. Ah, e ci aggiunga anche cinque meringhe!”
Amavo la mia mamma.
Mi guardò mangiare in silenzio, mentre mi abbuffavo con la stessa eleganza di un camionista e imprecavo quando un pezzo di muffin mi andava di traverso.
Dopo che ebbi finito, prendemmo a passeggiare per le vie del centro concedendoci una pausa.
“Tesoro, comincio a essere un po’vecchiotta, ti dispiace se ci sediamo da qualche parte?” Mi domandò poi, arrestando il passo.
Mi guardai attorno, notando una panchina libera che le indicai.
Posammo le buste ai nostri piedi e ci sedemmo con un sospiro stanco.
Lei aveva la scusa che gli anni cominciavano a farsi sentire, mentre io.. Beh, ero una persona pigra per natura, quindi potevo affermare di aver già fatto troppo per i miei standard.
Quando però i miei muscoli cominciarono a sciogliersi, ebbi un ripensamento.
Stare ferma mi costringeva a pensare, e a me non serviva farlo.
Stavo cercando di distrarmi per non assomigliare a una zitella acida e frustrata,ma era più difficile di quanto avessi mai immaginato.
Ma avevo paura di dirlo a mia mamma perché se no mi avrebbe riservato la solita storiella:
‘Chi troppo ha, nulla apprezza; ci sono persone molto più sfortunate di te a questo mondo. C’è chi è nato senza una gamba, chi è cieco, chi è sordo, e vanno avanti nella vita con un sorriso gigante stampato in faccia.  Tu hai il cuore solo un po’ ammaccato e sembri prossima a salire sul patibolo.’
Che bambina capricciosa che ero.
Fu per quella ragione che rimasi in silenzio, cercando di fare finta di niente.
“Avanti, a che stai pensando?” Mi chiese.
Ah no, non sarei caduta nella sua trappola!
Non mi facevo ingannare da quel sorriso materno, per poi sentirmi ripetere le solite parole e farmi venire i sensi di colpa perché avevo una vita meno schifosa rispetto ad altri. Che poi, sempre di schifo si trattava.
“A niente.” Risposi quindi.
Mi guardò in tralice, avvicinando il viso al mio.
Indietreggiai d’istinto, intimorita dalle sue intenzioni.
Mia madre non era una donna con tutte le rotelle al posto giusto, ma da qualcuno dovevo pur aver preso, no?
“Samantha Jackson, non mi inganni. Spara!” Magari potessi farlo..
Sospirai e mi arresi, capendo che tanto non mi avrebbe lasciata facilmente.
“Ok, mi stavo commiserando! Stavo pensando che è tutto finito, e che io non ero pronta per lasciarlo andare. Ora fai pure, inizia a ricordarmi di quanti bambini ci siano al mondo che soffrono la fame, che sono messi peggio di me ma che sorridono lo stesso apprezzando quello che la vita gli dona e..”
“Ti ho mai raccontato la storia mia e di tuo padre?” Rispose invece, stupendomi.
La guardai come si fissa un orso camminare sui tacchi.
Una visuale improbabile, ma del resto anche la reazione di mia madre lo era.
“No..” Risposi.
Mi sorrise, prima di appoggiarsi allo schienale della panchina e alzare gli occhi a fissare il cielo, perdendosi nei ricordi.
“Tuo padre era un ragazzo antipatico e pieno di sé, arrogante e insensibile fino al midollo. Lo conobbi a scuola e cominciammo a uscire nella stessa comitiva. Eravamo un continuo litigare, e un continuo tenerci testa. Lui non accettava che una ragazzina gli rispondesse per le rime, e io non accettavo di farmi schiavizzare come le restanti femminucce con cui era abituato a girare..”
Mmh, l’inizio della storia non era invitante calcolando che assomigliava alla mia.
“A quei tempi avevo già vent’anni ed uscivo con un ragazzo. Ero ancora giovane, ma ero convinta che fosse l’uomo della mia vita e, se pensavo al futuro, mi immaginavo lui come il padre dei miei figli. Era gentile, dolce, premuroso.. sapeva come amare una donna e come farla sentire amata. Faceva il fioraio di mestiere, un lavoro umile come del resto era anche lui. Ogni giorno, quando ci vedevamo, mi portava sempre un mazzo di fiori, i miei preferiti..” Sorrise al ricordo.
“Poi un giorno il destino giocò con la mia vita e decise di capovolgerla e scombussolarla totalmente. Quel giorno ero irrequieta, come se dentro di me sentissi già che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto. Andai al nostro appuntamento, nel solito luogo, ma lui non si presentò. Aspettai un’ora, poi due, e alla fine tornai a casa confusa. La sera mi chiamò la madre, dicendo che era caduto vittima di un incidente mentre trasportava dei fiori fuori dal camion per portarli in negozio. Non aveva visto un camion che stava arrivando e.. lascio a te l’immaginazione sul seguito.” Mi guardò tristemente, prima di schiarirsi la voce e riprendere il racconto con il solito sorriso.
“Ma poi successe qualcosa di inaspettato. Ero a pezzi moralmente e fisicamente, e fu proprio quel famoso stronzo arrogante a movimentarmi le giornate e a darmi altri stimoli. Tornavo a casa arrabbiata per colpa sua, ma di tanto in tanto ero anche felice. E alla fine..mi innamorai dell’ultima persona di cui avrei creduto fosse possibile innamorarmi.” Le brillavano gli occhi, e dovetti ammettere di non averle mai visto un sorriso più bello. Si vedeva quanto amasse papà, i suoi occhi lo esprimevano chiaramente.
Si girò in mia direzione e mi prese la mano, stringendola tra la sua.
“Questo, mia piccola Sam, è per farti capire che la vita è imprevedibile. Ci saranno momenti in cui sentirai il mondo crollarti addosso, ma arriverà qualcosa che saprà alleggerirti quel peso un giorno. Non perdere mai la speranza tesoro mio, il destino è meschino, ma non sempre riserve brutte sorprese. Non smettere mai di lottare per un domani migliore.” Mi lasciò un bacio sulla fronte affettuosamente, facendomi chiudere gli occhi per godermi quell’istante.
Mia madre..era quella donna che aveva sempre pronte delle parole per ogni circostanza.
Due minuti prima ero intenta a piangermi addosso, mentre due minuti dopo stavo sorridendo.
“Grazie mamma..” La abbracciai, lasciandola interdetta.
Non ero tipo da dimostrare il mio affetto, ma forse era vero che mi stavo rammollendo. In ogni caso sentii di aver fatto la cosa giusta e non me ne pentii, quando mi strinse a sua volta.
Rimasi ancorata a lei, cercando di farmi trasmettere la sua positività.
Riaprii gli occhi e fissai lo sguardo alle mie spalle solo quando avvertii una strana sensazione. Era come se qualcuno mi stesse fissando, ma quando mi girai non vidi nessuno di familiare.
Scossi la testa ridendo: stavo diventando troppo paranoica.
 
Mi riportò a casa verso le cinque del pomeriggio, propinandomi le solite raccomandazioni materne.
“Mangia sano, se hai bisogno chiamami e sarò subito da te. Non fare sciocchezze, smettila di commiserarti, sei troppo giovane per chiuderti in casa come una zitella! In merito a questo..che non ti venga in mente di comprarti un gatto, perché si inizia con uno, poi diventato due, e tre e..”
“Sì mamma ho capito, e grazie per la similitudine con la zitella!” La interruppi, scendendo dalla macchina con un gemito esasperato.
Abbassò il finestrino affinché potesse continuare a parlarmi.
“Ti voglio bene tesoro.” Mi disse.
“Anche io.”
Mi girai e camminai per il vialetto, entrando in casa.
Guardai dalla finestra la macchina di mia madre che ripartiva, prima di dirigermi verso il divano e lasciarmi cadere sopra di esso con un ringhio stanco.
Mi stropicciai il volto con le mani, prima di guardarmi attorno.
Silenzio di tomba. L’unica cosa che si sentiva erano le lancette dell’orologio, e le urla dei vicini psicopatici.
“Fatela finita!” Urlai con quanto più fiato avessi in corpo, fregandomene del fatto che avessero potuto sentirmi. Se avessero suonato al campanello di casa mia per darmi una lezione sulla mia impertinenza, ben venga. Avevo un po’ di rabbia repressa da sfogare.
Sbuffai e mi alzai per dirigermi in cucina. Aprii il frigo e impallidii.
Mi portai istintivamente una mano ad accarezzarmi la pancia.
Shh pancino, non piangere. Ora andiamo a comprare tante cose buone! Lo rassicurai.
Richiusi il frigo vuoto e mi diressi verso il tavolino del soggiorno per recuperare le chiavi. Mi misi in tasca un po’ di banconote e uscii di casa.
Cominciai a camminare per le strade, semi deserte a causa del tempo poco promettente.
Alzai uno sguardo verso il cielo. Mi auguravo di non essere sorpresa da nessun temporale, dato il fatto che fossi sprovvista di ombrello.
Non nutrii però speranze in merito ,anche perché ero sicura che la mia sfiga non avrebbe mai perso occasione per farsi sentire. Meglio non provocarla.
Non appena raggiunsi il supermercato mi affrettai a recuperare un carrello, prima di fare il mio ingresso al suo interno.
Cominciai a vagare per le corsie e buttai al suo interno cose a caso, di prima e seconda necessità. Altre erano del tutto superflue, ma non per me.
Presi tra le mani un sacchetto con delle stecche di liquirizia e lo osservai.
Non ne andavo pazza ma..chi se ne fregava! Lo buttai nel carrello e proseguii con il mio giretto. Per ogni cosa che buttavo nel carrello, mi sentivo meglio.
Sapere che avrei potuto ingozzarmi allegramente mentre facevo la nerd davanti al computer, era allettante.
Sì, come no..
Dopo essermi assicurata di aver preso abbastanza schifezze per poter campare a vita, feci per dirigermi alla cassa.
Mi fermai però in mezzo ad una corsia quando mi accorsi di aver dimenticato i gelati.
Mi spalmai una mano sulla fronte, scuotendo la testa.
Imperdonabile, ero imperdonabile!
Sterzai bruscamente con il carrello, rischiando quasi di far cadere a terra tutto il contenuto.
Per fortuna non successe, e lo spinsi correndo fino al banco frigorifero dei gelati.
Passai in rassegna i vari gusti e i vari formati.
Lessi su un contenitore: triplo cioccolato.
Doveva essere mio! Lo presi e lo buttai all’interno del carrello.
Continuai a vagare con lo sguardo alla ricerca di altre cose che mi potessero ispirare.
I coni non mi entusiasmavano così tanto, ma quei biscotto-gelati si!
Aprii il frigo e buttai dentro anche quelli.
Con espressione gongolante presi a guardarmi attorno.
Per altri poteva ritenersi già abbastanza, ma non per me!
Vaschetta col gelato all’amarena, alla vaniglia, alla nocciola..
Notai una vaschetta gigante e la presi rigirandomela tra le mani.
Lessi sul coperchio: 6 gusti.
Si preannunciava bene!
Lessi i gusti presenti: fior di latte, stracciatella -non mi facevano impazzire ma pazienza, poi proseguii- nocciola, pistacchio- Sì, c’era il pistacchio dannazione!-
Menta e cioccolato fondente..
Sentii il mondo gelarsi, e rimasi immobile con in mano quella maledetta vaschetta gelato.
Erano i suoi gusti preferiti, e non mi potei impedire di pensarci.
Avevo cercato di non farlo tutto il giorno, e poi arrivava una cazzo di vaschetta gelato a farmelo ricordare.
Mi appoggiai al bancone e ispirai chiudendo gli occhi.
Mi mancava, mi mancava dannatamente..
Era passato solo un giorno da quando l’avevo visto l’ultima volta, ma era proprio la consapevolezza che fosse stata l’ultima a colpirmi maggiormente.
Se avessi avuto tra le mani una macchina del tempo, l’avrei usata per ritornare indietro.
Ma non per cambiare i momenti che avevamo vissuto insieme, ma per godermeli a pieno con la consapevolezza che sarebbero stati gli ultimi.
Se avessi saputo che sarebbe finita così, mi sarei impegnata per farlo innamorare di me.
Ma invece non l’avevo fatto. Avevo fatto l’errore di affidarmi al destino e di guardare passivamente il tempo che scorreva davanti ai miei occhi, senza fare niente per acciuffarlo e sfruttarlo al meglio.
Avvertivo già la mancanza dei suoi sorrisetti maliziosi, delle sue frasi arroganti, della sua aria provocatoria e incantatrice.
Mi mancavano i momenti in cui rimanevano sdraiati insieme sul letto, dopo aver fatto l’amore..sì, l’amore.
Magari per lui poteva non essere così, ma per me non era mai stato solo del buon sesso. Come avrei mai potuto fare solo del miserabile sesso, con quei due occhi che si ritrovava? Era inevitabile farci l’amore fino a perdere la ragione.
E io avevo lasciato che accadesse, avevo lasciato che mi facessero impazzire letteralmente. Per lui.
Sganciai un sospiro e chiusi gli occhi.
Mi aveva ridotto il cuore in mille pezzi, ma nutrivo ancora l’insana speranza che potesse anche ricostruirmelo.
Risi. Aveva ragione mia madre..bizzarro il destino.
Aveva fatto in modo che mettesse piede nella mia vita senza preavviso, e poi l’aveva calpestata senza ritegno. L’aveva fatto entrare nella mia vita, mi aveva fatto innamorare di lui. Mi aveva fatto innamorare per la prima volta e aveva lasciato che si prendesse tutto di me.
E ora? Ora rimanevo solo un corpo vuoto senza un cuore, perché quello l’avevo lasciato a lui.
Strizzai gli occhi quando cominciarono a bruciarmi ed iniziai ad avere il presentimento di star per piangere. Quando li riaprii una lacrima sfuggì al mio controllo, ma la riacciuffai velocemente e cancellai le sue tracce.
Buttai quella dannata vaschetta gelato nel carrello e mi diressi alla cassa, riempiendo poi rapidamente le buste.
Tirai fuori le banconote che avevo in tasca e me ne andai senza neanche aspettare che mi desse il resto.
Sospirai di sollievo non appena l’aria fresca mi sferzò il viso, e chiusi gli occhi per ispirare a fondo e riempirmene i polmoni.
Sentii il rumore di un tuono squarciare il cielo e mi affrettai a tornare a casa.
Il parcheggio era già deserto, segno che anche altri avessero avuto la mia stessa idea.
Mi appoggiai ad una panchina per sistemare meglio la roba all’interno delle buste, in modo che non rischiassi di perdere qualcosa per strada.
Tirai fuori una confezione di patatine per sistemarla meglio, ma questa mi cadde di mano quando avvertii qualcuno strattonarmi da un braccio.
Sussultai e, spaventata, feci per girarmi in sua direzione.
Ma una mano mi circondò il collo prima che potessi farlo, e mi appoggiò un fazzoletto davanti alla bocca.
Non appena respirai per incanalare ossigeno, la vista cominciò a farsi appannata e sentii le ginocchia cedere.
L’ultima cosa che vidi fu il terreno sempre più vicino al mio viso, prima di sprofondare nel buio.

 

Ciao ragazzi!
Siete carichi? Perchè così vi voglio dato che.. beh su questo capitolo non c'è molto da dire ma sul prossimo..attenzione!
Non vi faccio spoiler sul prossimo capitolo in quanto tanto lo scoprirete nel pomeriggio. Quel che posso dirvi e di preparare i nervi e tenerli a bada.. perché vi servirà. E vi prego non uccidetemi!  Vi ho sempre amato e sempre vi amerò!
Con questa premessa.. un bacione a tutti e un abbraccio forte!
Xoxo. Heartless.
  
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