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Autore: Tallis    26/02/2009    1 recensioni
Un protagonista un po' inconsueto vi narrerà il suo punto di vista su avvenimenti molto drammatici e controversi dell'ultimo secolo di Sangue e Ferro. Buon tormento...
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Novecento/Dittature
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Resurrezione

Testimone

Una volta fu il fuoco. E il fumo, e le scintille, e facce di uomini che erano emanazioni di carbone ed acciaio. Occhi azzurri brillavano nei volti neri, di tanto in tanto. Spesso, gocce di sudore aprivano una via bianca nella polvere.

Fuori, il gelo, la grandeur, i monumenti di marmo e torce e fiaccole. Io nacqui per una nuova epoca, di angoli retti, di uomini retti. Io nacqui per uomini nuovi. Perché si liberassero di quelli vecchi. Sotto un cielo terso ed impassibile, nacqui. Molto più in basso, improbabile emule del sole, una croce uncinata sventolava.

Il cielo era terso anche sopra un paesino, qualche anno dopo. La montagna pesava sul paese, e il paese annegava nei boschi. Andavo a fare quello per cui ero nata.

Alcuni urlavano, a volte. Donne in nero, di solito dimesse, si trasformavano in grovigli di stoffa, occhi, voce acuta, bocca aperta.

Chi comandava si fermò per un attimo, davanti a una bambina che non aveva capito nulla. Prima, c’era stata la tempia di un vecchio.

Oltre la bambina, oltre la casa, oltre il bosco. Alle pendici della montagna, una sera, la mano che mi stringeva si contrasse, poi si allentò lasciandomi cadere a terra. Dopo alcune ore, un’altra mano mi risollevò.

Cambio di padrone.

Furono giorni di boschi e di montagne, di luce filtrata tra le foglie e di rombi lontani. Non mi tenevano più tanto spesso in mano. Stavo su una coscia, o sotto una coperta; certe volte, sentivo i pensieri: sogni, pane, donne, sigarette. La complessità è cosa per altri tempi. Sudore acre, paura, esaltazione, vendetta. Fuochi notturni dietro finestre oscurate, ed intorno le discussioni, le canzoni: parole rozze in una lingua dolce, idee troppo grandi per chi le cerca e le trova. La pace, la libertà, un esercito rosso che doveva venire, un nuovo ordine che non arrivava mai.

Ci furono altre persone. Per lo più uomini nuovi con la croce uncinata, o altri bruti dalla lingua armoniosa, ma vestiti di nero. A volte, però, erano esseri miserevoli che sudavano e chiedevano pietà, piangevano innocenza e morivano come colpevoli, a faccia in giù nelle fosse. Non mi domandavo la verità: non è il mio mestiere.

Un giorno, il nuovo ordine arrivò, quando nessuno se lo aspettava. Fui portata in trionfo, questa volta, in alto sulla folla. Proprio come voleva chi mi aveva creata. O forse, non esattamente. E giù dai boschi, per le strade e tra le case da cui fuoriusciva una moltitudine in festa, ma stracciata , con gli occhi di fuori dalla felicità e dalla fame. Per essere il nuovo ordine, era considerevolmente disordinato.

E fui posata e messa da parte. Sembrava che nessuno pensasse più a me, a usarmi; anzi, qualcuno mi disse: "Amica mia, non voglio più vederti finché campo". Ma altri lo dissuasero; l’indomani c’era da fare la rivoluzione, non poteva lasciarmi. Dovevo essere nascosta.

Ogni tanto venivano a guardarmi, rigirarmi tra le mani, ripulire. Sentivo quel che c’era in quelle mani: amore e disgusto, tensione e speranza, delusione. L’indomani non arrivò mai. Le visite si diradarono; rimasi al buio.

Le stesse mani, ma più anziane, mi tirarono fuori. C’era cautela e rinnovata familiarità; non mi si scorda tanto facilmente. Ma per quanti anni quelle mani avevano solo lavorato? Abituate alla terra, alle piante, avevano dato tutto, avevano perduto tutto. Nessuna tensione, solo durezza, risentimento stratificato nei calli, ed amarezza. Fra noi non poteva esserci più nulla.

Ma ecco, un nuovo passaggio, e mani nuove. Di nuovo giovani, di nuovo tese. La rivoluzione era di nuovo domani.

Buio. Un borsone, il cofano di un’auto. Non vidi mai più il bosco, né la campagna. Nelle città, così diceva chi mi teneva adesso, si giocava il futuro di tutti. Dalle periferie di questi luoghi tristi e grigi, uomini prima ridotti a poveri strumenti avrebbero preso d’assalto i palazzi del potere. Finalmente, il nuovo ordine sarebbe stato davvero nuovo; quasi quasi ci credevo anch’io. Coloro che mi avevano creato, quelle stesse emanazioni di carbone e acciaio, potevano ben essere in grado di forgiare il mondo.

Fu molto diverso dal passato. Il terrore era continuo, onnipresente, non si esauriva con la battaglia. Niente più chiacchiere intorno al fuoco, niente più certezze, solo parole cupe: necessità, coerenza, coscienza. Il terrore era in chi mi teneva, ma anche in quelli che, ignari, gli passavano accanto. Eppure, resisteva ancora la determinazione a stare con me.

Questi ragazzi non erano come gli uomini nuovi dalla svastica, che uccidevano con gioia o per automatismo; non erano nemmeno come quegli uomini semplici delle montagne, di cui pure condividevano la lingua armoniosa. Non erano in guerra, quella non era una guerra; aveva un altro nome, ma l’ho scordato.

Odiavano uccidere, lo sentivo dalle loro mani. Non decidevano volta per volta, non ne avrebbero sostenuto il peso. La loro decisione era già stata presa una volta per tutte. Sapevano che si doveva fare, agivano e ricacciavano tutto in fondo, come polvere sotto il tappeto. Non sempre era semplice: la prima volta che fui usata, quello di loro che l’aveva fatto vomitò per ore e rifiutò di parlare per molto di più.

Finì, e non fu spettacolare. Nel buio di un appartamento, uomini armati fino ai denti e vestiti in modo ridicolo irruppero ad arrestare i ragazzi della rivoluzione. Forse non si aspettavano di trovarli simili a se stessi, forse gli parvero indifesi come sembravano a me, disperati e in catene mentre cercavano di restare impenetrabili. O forse nella loro mente non c’era spazio per pensieri di questo tipo, magari erano davvero troppo diversi. Anche queste furono domande che non mi feci.

Ero ben nascosta, ed anche se erano molto bravi a cercare, nessuno di loro mi trovò. Non so quanto tempo sia passato, ma devono essere molti anni, perché gli ultimi echi dei sentimenti che mi avevano portata qui si sono spenti da un pezzo. Divento vecchia, e non sento più nulla; nessuno si occupa di me. Chiaramente non ne soffro; io non ho emozioni, a rigor di termini non sono nemmeno viva. In tanti anni non ho scelto, non ho domandato, non ho parteggiato. Non sono umana, io. Ma se gli uomini lo sono ancora, torneranno a cercarmi; torneranno la giovinezza e la tensione. So che qualcuno teme questo momento, e magari qualcun altro ha già proclamato la fine della storia; che ciò non abbia senso, posso dirvelo persino io.

Torneranno a cercarmi, ed io sarò qui. Se sarà troppo tardi, non avrà alcuna importanza. Io aspetto. Non muoio, non mi stanco. Io non sono umana.

 

Note a "Testimone"

Come spesso avviene per le mie originali storiche, ho cercato di mantenermi nell'ambito del plausibile, ma non in modo maniacale, anche per mancanza di tempo (già così, la storia ha richiesto 3 mesi, tra aggiustamenti, revisione sintassi ed esami universitari mangia-tempo...). Ho letto molti libri sul terrorismo di sinistra, abbastanza da farmi un'idea di cosa poteva provare chi ne faceva parte, ma i sentimenti non sono uguali per tutti, e potrei sempre aver frainteso alla grande, o smielato. Di questo chiedo venia; se l'ho fatto, non è per leggerezza o mancanza di rispetto. C'è anche qualche falla di tipo "pratico" (ad es. le armi venivano cambiate il più possibile, non era frequente la riutilizzazione in diverse "operazioni", e non ricordo dove venissero conservate), ma come sempre mi appello alla vostra pazienza.

Al solito, vi prego di recensire e segnalare eventuali errori, e vi ringrazio per essere arrivati in fondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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