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Autore: Isandre    14/11/2015    1 recensioni
Isabel non era mai stata un’esperta di musica.
Certo le piaceva come piaceva a tutti, e aveva i suoi generi e suoi artisti preferiti, ma ben lungi da considerarla una vera e propria passione, spesso ascoltava la musica che le capitava e a volte, se era abbastanza fortunata, c’era una canzone che sembrava parlasse di lei.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'ultima canzone





Isabel non era mai stata un’esperta di musica.
Certo le piaceva come piaceva a tutti, e aveva i suoi generi e suoi artisti preferiti, ma ben lungi da considerarla una vera e propria passione, spesso ascoltava la musica che le capitava e a volte, se era abbastanza fortunata, c’era una canzone che sembrava parlasse di lei.

Isabel non seguiva la musica, era la Musica a seguire lei, e quando trovava quella canzone giusta poteva ascoltarla in loop per ore, senza stancarsi mai, senza desiderare altro. Molti dicono che la Musica salvi la vita, Isabel invece ha sempre pensato che al massimo poteva fare da sottofondo e che, in ultima analisi, la vita ce la salviamo da soli.

Di canzoni che fanno da sottofondo ai suoi sogni, ai suoi dolori e alle sue piccole vittorie, Isabel aveva riempito scaffali, memorie e quaderni. Alcune più fortunate, o forse semplicemente più vere, salutavano la ragazza dal muro a cui erano state appese, ogni volta che lei vagava con lo sguardo nella sua stanza. Altre erano state meteore. Sempre presenti in un determinato periodo della sua vita, con le loro parole confortanti e a volte banali, l’avevano accompagnata per un po’ e ora erano diventate un motivo per sorridere ogni volta che ne coglieva le note.
Erano diventate la musica dei ricordi, nostalgica e ingenua come un’adolescente che rimpiange quello che non è più e quello che non è ancora.

Isabel amava la musica, ma un po’ come per tutte le altre cose, non era mai stata coerente con le sue scelte. Se le avessero chiesto quale genere preferisse avrebbe risposto «Rock!», senza esitare un momento. Che cosa poi volesse dire quella risposta era tutto un altro paio di maniche. Perché in tutti i generi che detestava riusciva sempre a trovare un’eccezione, e tutti i cantanti che aveva amato e a cui aveva affidato i suoi momenti più intimi, l’avevano tradita un paio di album dopo.
Ma Isabel, alla fine, li perdonava sempre.
Crescendo, la Musica le aveva insegnato che l’unico “per sempre” stava in quelle parole urlate dall’altro lato di uno stereo, e che non poteva certo biasimare chi aveva dato loro voce se poi, alla fine, crescendo avevano cambiato idea anche loro.

C’erano artisti che Isabel amava più di altri, canzoni che le mettevano allegria e altre capaci di ridurre il suo cuore in mille pezzi, se solo si fosse soffermata troppo sul significato delle parole. C’erano cantanti che avevano sempre saputo quale sfumatura dare a un verso, e musicisti che l’avevano incalzata, inseguita, cullata, e che semplicemente conoscevano il ritmo della sua vita.

Isabel aveva una bizzarra passione per le canzoni tristi.
Ma non quelle malinconiche che ascolta chi è in un periodo un po’ blu. Lei amava quelle canzoni che avevano il potere di spezzarti e farti sentire perduto, quelle canzoni che facevano male solo a pensarci e che ti gettavano nella completa disperazione. Amava indossare le cuffie e perdersi in quelle parole, sentire ogni stilla del dolore che volevano trasmettere.
Una cosa di cui Isabel non aveva mai avuto paura era di soffrire.
Secondo una sua personale teoria, sviluppata e perfezionata duranti i suoi 24 anni di vita, se eri ancora in grado di soffrire voleva dire che, in un modo o nell’altro, eri ancora vivo, e questa, di per sé, era già da considerarsi una vittoria.

Isabel non era appassionata di musica.
Lei amava le emozioni, quelle limpide e perfette che solo l’immaginazione ti può dare. Lei amava le emozioni portatili, quelle che potevi vivere e mettere da parte non appena la situazione lo richiedeva.

A volte, però, Isabel lo poteva ammettere.

Quando il mondo si dimenticava di lei per un secondo e la lasciava ad ascoltarlo andare avanti mentre lei si prendeva una pausa, allora Isabel poteva ammettere che c’era una canzone che le piaceva ma che non osava mai ascoltare se non quando era sicura di essere completamente sola. Una canzone che amava con la stessa forza con cui la odiava, con la stessa contraddizione che ci concediamo quando si tratta di amare noi stessi. Era una canzone che non riusciva mai a sentire senza versare almeno una lacrima, una di quelle che ogni volta che ne ripercorreva le parole nella sua testa quelle avrebbero liberato una parte di lei che cercava di tenere nascosta da sempre a tutti, e a se stessa in particolare.

Quella canzone era la musica delle sue paure, dei dubbi ai quali non voleva dare risposta, perché sapeva che se l’avesse trovata non le sarebbe piaciuta per niente. Quella era la canzone che le presentava davanti tutti i conti che, prima o poi, avrebbe dovuto pagare per le scelte e i successi della sua vita e lei sapeva di essere ancora troppo giovane per scoprire se aveva fatto o no un buon affare.

E sapeva di essere troppo vecchia per tornare indietro e fare reclamo.

Così solo ogni tanto, quando il mondo la faceva scendere da quella eterna giostra, osava dare un’occhiata ai suoi debiti e ammetteva, per quella manciata di minuti che è la durata della canzone, di aver sempre saputo quale moneta l’universo avrebbe preteso in cambio.
E allora concedeva all’universo il suo pagamento, solo per poi riprenderselo subito non appena il mondo la faceva risalire, che a certe cose poteva rinunciare volontariamente solo quando era fuori a guardare, che quando era lì dentro a vivere avrebbe lottano fino all’ultimo brandello di pazzia pur di fingere di essere ancora in tempo.

Il problema che la musica aveva con Isabel era che sapeva che lei non l’amava per sé stessa, ma la usava come mezzo per dare voce ai versi, come canale per le emozioni. La musica poi era secondaria, solo un orpello per abbellire la poesia, per tenere a mente le parole.
Per Isabel era solo un sottofondo, e la Musica allora le metteva davanti tutte quelle cose che lei non voleva vedere; che se qualcosa ha il potere di salvare, può distruggere con la stessa facilità. E tutte quelle cose a cui Isabel faticava a dare nome, le aveva trovate spiegate nei 3 minuti e 50 secondi di quella sola canzone, quasi la Musica volesse vendicarsi perché Isabel non le aveva dato un posto più importante nella sua vita.

E come in un gioco di forza tra due guerrieri che non avevano nessuna intenzione di arrendersi, la Musica suonava quelle parole per lei, quell’unica strofa che sapeva essere il suo destino. E Isabel, testarda, la relegava ancora una volta a sottofondo di un futuro possibile ma non certo.

Perché secondo la sua personale teoria, sviluppata e perfezionata nel corso dei suoi 24 anni, Isabel sapeva che  non importava quanto fosse tardi.
C’era sempre tempo per suonare un’ultima canzone.

   
 
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