Questa
fanfiction ha vinto il premio per la miglior canzone nel NejiTen
song-fic
contest indetto dal NejiTen Love Fan Forum per festeggiare il suo primo
anno di
vita.
La canzone
appartiene ai divini Within Temptation, i personaggi a Masashi
Kishimoto. Mi
sono permessa di utilizzarli solo per rendere loro omaggio e non ho
alcuno
scopo di lucro.
Per
te, Pho, come promesso.
Perché
Sharon è il nostro angelo. ^^
(E
perché resti l’unico che riesce a reggere
ore e ore di conversazione come me. xD)
«È un addio, dunque?»
Tra le sue
mani,
un’eredità intera di ricordi di quei sei anni,
ricordi di loro, che lei gli
aveva lasciato, palpitava silenziosa e discreta.
OUR FAREWELL
In
my hands
a legacy of memories
I
can hear
you say my name
I
can
almost see your smile
Feel
the
warmth of your embrace
But
there’s
nothing but silence now
Around
the
one I loved
Is
this our
farewell?
Non aveva mai saputo spiegarsi
perché di colpo Tenten si
fosse allontanata da lui e dal loro Team, prendendo ad allenarsi
forsennatamente
da sola o in compagnia di Ino o Sakura, senza peraltro stringere con
loro
legami particolari a livello non professionale. Svolgeva i suoi doveri
di
compagna, lo allenava, compivano insieme le missioni, e appena poteva
lei si
svincolava, fuggiva.
«La
nostra Tenten è cresciuta. È normale che abbia
voglia di stare con le altre
ragazze.» aveva notato malinconicamente Gai dopo le prime
avvisaglie, ma Neji
sapeva che non si trattava di quello.
Altre volte la giovane aveva sentito
il bisogno di riavvicinarsi
alle altre kunoichi, ma non era durato mai più di qualche
giorno. In nome di
quella coerenza che rappresentava per lei una priorità
assoluta, ogni volta
aveva lasciato perdere. Non era in nessun caso disposta a nascondere o
mutare
se stessa in nome della propria presunta femminilità,
né tanto meno a forzarsi
per questa ad atteggiamenti che le apparivano innaturali e restrittivi
per la
propria personalità.
Neji lo sapeva, era forse
l’unica cosa che poteva dire di
aver capito con certezza in tutti quegli anni passati fianco a fianco,
l’unico
punto davvero fermo, persino ora, persino dopo che lei, con poche frasi
e il
solito comportamento disinvolto, aveva distrutto ogni altra sua
certezza.
«L’Hokagesama mi ha incaricata delle
ambasciate a Suna! Parto tra due settimane.»
Era fiera di
sé,
eccome se lo era: aveva ottenuto un incarico di primaria importanza, ed
era jonin
da nemmeno due anni!
«Ma…mio prezioso fiore, dovrai stare via
per
molto tempo!»
esclamò Gai, tentando
di stritolarla in un abbraccio comunque pieno di orgoglio, dal quale
lei si
divincolò agilmente. Si limitò a fare un gesto
vago con le mani.
«Beh, il primo viaggio sarà piuttosto lungo: dovrò
mettere a posto tutte le
pratiche, presenziare a cerimonie e prendere contatto con il fratello
del
Kazekage e di Temarisan: sarà lui la mia guida, a quanto
pare.»
«“Piuttosto lungo” come?»
Tenten si
voltò,
sorpresa all’udire la sua voce dietro di sé, e la
domanda la lasciò interdetta.
«Non lo so ancora. Qualche mese di sicuro,
poi credo che dipenderà dagli eventi. Vi ricordate quanto
stava qui Temarisan,
già all’inizio…»
Si
sforzò di
continuare a parlare a tutti i suoi compagni, di non rivolgersi
esclusivamente
a Neji, ma, per come la sentiva lei, quella questione era tutta fra
loro due. E
immaginava che per lo Hyuuga non fosse diverso, non del tutto, almeno:
anche se
non aveva mai dimostrato un particolare attaccamento nei suoi
confronti, lei
era la persona su cui poteva contare. Tenten aveva combattuto per
essere
stimata tanto da lui, ed era consapevole di avergli fatto una
spiacevole
sorpresa, con la sua partenza. Ma confidava che capisse: aveva bisogno
di
sicurezza, di riconoscimenti. Non poteva essere sempre
l’elemento debole della
squadra.
L’importante,
in quel
momento, era non lasciarsi scappare troppo,
nell’allontanarsi da lui.
Poteva rievocare ogni dettaglio di
lei, ogni tic, ogni
abitudine. Poteva quasi vedere il suo sorriso, concentrandosi; sentire,
malgrado i mesi, l’esatta inflessione della sua voce quando
lo chiamava per
nome.
Nonostante questo, non
l’aveva mai sentita così evanescente,
sfuggevole, ambigua. Lontana.
E lo era, fisicamente lontana da lui
giorni e giorni, ad
inseguire il suo sogno.
Era partita da un paio di mesi,
ormai, e, in quel periodo,
Neji era stato soprattutto disorientato e infastidito dalla sua
assenza. Senza
preavviso alcuno, senza che lei lo avvertisse prima degli altri, era
tornato ad
essere fondamentalmente solo.
Aveva Lee, Gai, Hinata e Hiashi nella
sua vita, certo, che
trascorrevano con lui del tempo, sostituivano Tenten
nell’allenamento e
rivestivano grosso modo il ruolo che, a livello ufficiale, la compagna
solitamente aveva nelle sue giornate.
Ma non capivano i suoi silenzi:
quando gli chiedevano
qualcosa, era costretto a rispondere. Non rispettavano i suoi momenti
di
riflessione, né gli orari cui amava attenersi.
Malgrado gli fossero indubbiamente
vicini, non lo conoscevano come lo
conosceva lei.
Questa constatazione non lo rese particolarmente felice: rendeva
innegabile ciò
che lui aveva sempre bollato come pettegolezzo, menzogna, inutile e
fastidiosa
ingerenza di altri nei suoi affari e fantasia di adolescenti dalla
bocca troppo
larga. Lei era il perno attorno al quale ruotavano le sue giornate. A
cominciare dal tempo che trascorrevano insieme, fino ad arrivare a
ciò che il
sostegno della ragazza aveva significato per lui in tutti quegli anni.
Lei, che se ne era andata quasi a
tradimento, lasciandolo
solo, immerso nella loro stramba routine giornaliera allacciata,
improvvisamente trasformatasi in ricordo.
Lei, che lo conosceva al di
là della facciata che presentava
al mondo, che lo accettava senza mai forzarlo a comportamenti che non
gli
appartenevano e lo stimava malgrado gli innumerevoli e marcati difetti.
Lei, che partendo non aveva risposto
alla sua domanda.
«Tenten.»
Pronunciò il suo nome con lentezza, cercando il modo di
chiederglielo
senza far trapelare il motivo della sua inusuale richiesta.
La kunoichi
si voltò a
guardarlo, proteso inconsciamente verso di lei, e in cuor suo
sussultò. Si
sforzò, come di consueto, di non darlo a vedere.
«È un addio, dunque?»
Lo
disse con il consueto tono piatto, ma
Tenten capì ugualmente che non era all’imminente
viaggio che quelle parole si
riferivano. Neji stava parlando del loro rapporto, di quella strana
simbiosi
che avevano sviluppato con gli anni, e dalla quale, con questo nuovo
incarico,
lei si era bruscamente staccata.
Spiazzata da
quella
domanda, che aveva il suono di un’indagine profonda e di una
sfida, la ragazza
distolse lo sguardo, scrollando in silenzio le spalle.
«Non lo so, Neji.»
borbottò, storcendo la bocca in una smorfia che avrebbe
dovuto
nascondere il disagio.
Non lo so.
Era tutto ciò che gli
aveva lasciato prima di partire. Quel
“non lo so”, e tutti i momenti trascorsi insieme,
di colpo divenuti piacevoli
memorie che era assurdamente doloroso rievocare. Non lo sapeva, non lo
poteva
sapere, quanto sarebbe durato quel viaggio che gliela stava portando
via, e la
sua era stata una domanda sciocca e inutile, anche un po’
infantile.
Non si aspettava di sentirsi dire:
“tornerò presto, e sarò
sempre tua” o cose del genere. Non era da lei, e non
c’era stato nulla tra
loro, tale da rendere necessaria una rassicurazione di quel genere.
Ovviamente,
Tenten
avrebbe potuto anche restare a Suna per anni. Avrebbe potuto
innamorarsi di
qualcuno di là e restarci, come aveva fatto Temari con la
sua ambasciata di pace
divenuta una stabile, seppure turbolenta, convivenza. Sarebbe stato
comprensibile, e a lui non sarebbe dovuto importare, non
così…
L’assenza di lei, stava
mandando all’aria tutto il suo
mondo, tutto ciò che fino ad allora, senza rendersi conto
della propria
fortuna, aveva dato per scontato. Tutti i vuoti che Tenten era solita
riempire,
e che ora stavano riprendendo ad espandersi, come durante gli anni
dell’Accademia.
E, malgrado tutto,
l’orgoglio ancora lo bloccava, gli
impediva di esporsi anche solo quel tanto da chiedere notizie a
qualcuno che lo
potesse sapere, che gli potesse dire che stava bene, e stava tornando.
Che le
mancava il suo Paese.
No, Tenten non doveva sapere della
sua confusione, della sua
debolezza. Avrebbe aspettato il suo ritorno per cercare di chiarire
ogni cosa,
senza rischiare di compromettere la sua reputazione se la voce si fosse
sparsa
e soprattutto senza essere costretto ad esporsi per spiegare i propri
sentimenti. In ogni caso, non avrebbe mostrato a nessuno quella parte
di sé.
Tanto meno a lei.
Era assolutamente certo della
correttezza della sua
decisione e del vantaggio che ne sarebbe derivato in termini di
salvaguardia
della propria immagine; per questo inorridì, quando Rock Lee
arrivò al campo
d’allenamento anche più entusiasta ed esaltato del
solito, farneticando di una
lettera fatta inviare a Suna attraverso Sakura, allegata ad una
comunicazione
di lavoro.
«Le
ho mandato i nostri saluti, le ho detto che stiamo bene.
Basta!» rispose
frettolosamente lo shinobi in calzamaglia, alle sue pressioni per
essere
informato del contenuto del messaggio. Fatta eccezione per un
“e Neji è anche
più scorbutico del solito”, casualmente omesso,
glielo riferì puntualmente.
Forse si rese conto della tensione di
Neji, che perdurò per
alcuni giorni, forse semplicemente gli sfuggì,
impercettibile come era la
traccia che questa lasciava sul volto dello Hyuuga. Si accorse,
però, del suo
sollievo, quando una settimana dopo arrivò la risposta,
indirizzata a lui.
“Mi
dispiace di non
poterti salvare dagli allenamenti con Gaisensei e Lee, e mi dispiace di
averti
piantato così, senza preavviso. Visto che questo viaggio ha
stravolto i tuoi
piani di allenamento, avrei dovuto dirtelo prima. Spero che non mi
serberai
rancore per questo. In ogni caso, cerca di resistere: non
durerà per sempre.
Neji, ovvio
che questo
non è il nostro addio.”
So
sorry your world is tumbling down
I’ll
watch you through this nights
Rest
your head and go to sleep
‘Cause
my child, this is not our farewell
This
is not our farewell