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Autore: The Writer Of The Stars    16/11/2015    2 recensioni
“Grazie.” Le disse solamente, indicando distrattamente la custodia in terra. Sakura abbassò lo sguardo, farfugliando qualcosa che alle sue orecchie risultò come un vago “figurati” e il ragazzo si scoprì stranamente divertito da quella ragazzina con i capelli rosa.
“Sei davvero bravo, non avevo mai visto nessuno suonare così.” Riuscì ad esclamare imbarazzata Sakura dopo un paio di secondi di imbarazzante silenzio. Il ragazzo inarcò un sopracciglio in un misto di divertimento e incredulità, osservandola incuriosito.
“Non avevi mai visto nessuno fare lap tapping sulla chitarra?” le chiese in un tono che Sakura registrò vergognosamente come di derisione. Lap tapping dunque, era così che si chiamava. Ora che ci pensava il termine non le era nuovo, ma effettivamente no, non aveva mai visto nessuno suonare così. Sakura scosse il capo in segno di negazione, imbarazzata per aver fatto la figura della ritardata dinanzi a lui.
“Dove hai imparato a …”
“Suonare così? Da nessuna parte.” La interruppe subito il giovane, causandole un’espressione confusa.
“Non è una cosa che si impara, viene naturale, per istinto. Io ho imparato da solo.”
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AU! |Sasusaku|
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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You know what music is? God's little reminder that there's something else besides us in this universe, a harmonic connection between all living beings, every where, even the stars.
La musica nel cuore – August Rush

La custodia nera del violino le colpiva regolarmente la schiena con battiti sordi che rimbombavano all’unisono con i suoi passi. Un passante in giacca e cravatta cercò di superarla, urtandola malamente e sbattendola contro il muro squallido della metro, ma mordendosi dolorosamente la lingua si impose di non lamentarsi, conscia dell’inutilità del gesto; siamo a New York, a chi interessa di una ragazzina con un violino spintonata fra la folla? Sakura sospirò pesantemente, lanciando mezze imprecazioni al vuoto e risistemandosi accuratamente la custodia sulle spalle. Alzò di un poco lo sguardo, scorgendo la luce proveniente dall’uscita della metro e la seguì rilassata, come se portasse all’autostrada per il paradiso. Si fece largo tra la calca multietnica, lanciando una gomitata violenta ad un tizio con la ventiquattro ore in mano – probabilmente perché le ricordava l’uomo di prima e provava l’infantile desiderio di vendicarsi per l’affronto subito- e spintonando un paio di hipster indubbiamente strafatti, scorse tra lo spiraglio del giubbetto consunto di una donna obesa e il cappotto in lana di una simpatica vecchietta, lo sfrecciare caotico delle automobili in strada. Mano a mano che le scale diminuivano e la luce si faceva vicina, Sakura percepì lo sferragliare della metro sfumare nelle sue orecchie, sostituito dai  clacson dei taxi al di fuori della stazione, e non appena si fu liberata della vicinanza con quei tipi molesti, riuscì finalmente a mettere piede al di fuori. Un sospiro di sollievo rilasciò le sue labbra carnose all’udire le bestemmie e imprecazioni degli automobilisti che rimbalzavano per le pareti dei grattacieli, e mentre lo smog e l’aria consunta di New York si impregnavano nei suoi polmoni, Sakura si sentì libera. Metaforicamente parlando, ovvio, ma almeno era libera dall’opprimente sensazione di soffocamento che la coglieva ogni volta che prendeva la metropolitana alle sei del pomeriggio, subito dopo la lezione di musica. Per un New Yorkese era normale innamorarsi di tutti quegli aspetti negativi della Grande Mela, perché le ipotesi erano due: o te le facevi andare bene, o te ne andavi a San Francisco, o Los Angeles, o da qualunque altra parte, ma lontano dal ponte di Brooklyn. Sakura, che a New York ci era nata, aveva imparato a farsi andare bene gli automobilisti incazzati col mondo, gli uomini d’affari che la spintonavano per i marciapiedi e i tossici che le offrivano un po’ di roba agli angoli dei marciapiedi, quando immersa tra la folla aspettava di poter attraversare la strada – roba che, teniamo a precisarlo, Sakura si rifiutava anche solo di immaginare, figuriamoci toccare, poi!- Ma se c’era una cosa che nei suoi diciassette anni di vita non era ancora riuscita a digerire, quello era il viaggio in metro; ogni volta che usciva da quel buco  e tornava a casa, Sakura si chiudeva in bagno per almeno mezz’ora, infilandosi sotto la doccia e strofinando con forza la sua pelle delicata nel tentativo di cacciare via l’appiccicume che le si attaccava addosso, passando lo shampoo per tre volte sui capelli per poter coprire l’odore misto di cavolo bollito, sudore, fumo – e non solo sigarette- che si insinuava tra le sue ciocche naturalmente rosate. L’odore della metropolitana, insomma. Non bramava certo di passare trenta minuti della propria giornata stipata tra il tizio che divorava un hamburger dalle dimensioni titaniche e la maleducata che si divertiva ad inalare fumo dinanzi ai suoi occhi delicati, ma suo padre non aveva possibilità di accompagnarla e la lezione di violino era troppo importante per rinunciarvici. Così si era fatta forza e aveva deciso di affrontare ogni giorno l’incubo che rappresentava la metropolitana per raggiungere la scuola di musica alle 14,00 e tornare al proprio appartamento a Brooklyn alle 18,00, esausta ed esasperata, ma felice per aver superato anche quella giornata. Ormai aveva diciassette anni sulle spalle- proprio vicino al violino- un padre severo e spesso assente e una madre dispersa chissà dove alle Hawaii col nuovo fidanzato di turno. Quando i suoi genitori avevano divorziato, il suo animo di appena undicenne aveva versato lacrime amare in memoria di un’unione familiare in verità mai sperimentata ed esistente solo nella sua mente, e passato un anno con suo padre, aveva capito che forse la separazione era stata la soluzione migliore per loro. Certo, suo padre lavorava sempre, non si trovava quasi mai a casa e quando c’era si mostrava severo, rigido, ma almeno c’era e non portava a casa una diversa compagna ogni mese. Era stato lui ad imporle le lezioni di violino quando aveva appena sei anni, e sebbene all’inizio avesse sbuffato con reticenza dinanzi alle noiose nozioni teoriche, nel momento in cui le sue piccole manine avevano stretto il corpo in legno di quello strumento, Sakura aveva capito che non poteva fare altro che suonarlo, rendendo così felice suo padre e, successivamente, anche se stessa. Non vantava chissà quali compagnie – possiamo ammetterlo tranquillamente, non aveva nemmeno un amico, vuoi per la sua timidezza o per il suo carattere potenzialmente introverso- e così suonare il violino non le pesava poi tanto, colmando il vuoto di quelle uscite inesistenti con gli amici invisibili che non esistevano nemmeno nella sua mente.

“E spostati!” Sakura fu costretta ad interrompere il proprio flusso di pensieri non appena qualcuno le andò contro, urtando la custodia del suo violino e portandola a sobbalzare sul posto. Strinse i pugni adirata, osservando la figura dell’uomo- non poteva crederci, era lo stesso della metro!- che si allontanava per i marciapiedi straripanti con la sua valigetta da avvocato approfittatore.
“Maleducato!” gridò alla folla sorda che la ingurgitava, togliendosi la soddisfazione di dedicare una linguaccia al tipo scomparso. Ricomponendosi e sistemando per l’ennesima volta il violino sulle spalle, Sakura si risolse ad allontanarsi da quella zona di fermento, incamminandosi verso il marciapiede opposto, indubbiamente più tranquillo. Camminò con lentezza tra la folla più rada di quella strada, prestando attenzione al vociare caotico che la circondava, allo schiamazzo di qualche uccello e alle imprecazioni dei passanti. Era una cosa che faceva sempre, sin da piccola, perché aveva scoperto quanto le piacesse abbandonare i propri pensieri e lasciarli vagare sull’onda dei suoni che la circondavano, un po’ come avveniva quando suonava. Fu forse grazie al suo orecchio allenato e alla sua particolare propensione nel captare i suoni attorno a lei, che udì quella melodia. Sakura aggrottò le sopracciglia, mentre l’eco ovattato di una chitarra acustica le solleticava i timpani; un artista di strada, sicuramente. La violinista continuò a camminare, trasportata dal fiume della folla, percependo però l’eco di quella melodia farsi sempre più chiara mano a mano che procedeva. D’un tratto, scorgendo un gruppetto nutrito di persone ferme occupare parte del marciapiede, Sakura capì di essere giunta alla provenienza di tale suono e incuriosita dalla situazione, si infilò tra la folla, facendosi largo per poter scoprire cosa avesse catturato tanto l’attenzione dei presenti.

Un ragazzo, probabilmente della sua stessa età, stava seduto su di una vecchia panchina arrugginita, la custodia di una chitarra aperta in terra e un amplificatore al suo fianco. Sulle gambe, aveva poggiato una chitarra acustica in legno chiaro, un po’ impolverata ma comunque bellissima, e da essa fuoriusciva una melodia particolare, incalzante. La cosa che però la colpì maggiormente, fu il suo modo di suonare; teneva la chitarra poggiata sulle ginocchia e piegato leggermente in avanti, pizzicava le corde con delicatezza, alternando agli accordi colpi sulla cassa della chitarra e sul corpo dello strumento, producendo così una melodia dolce e intrigante al tempo stesso, un po’ ribelle e un po’ magnetica, accattivante. Il ragazzo teneva lo sguardo basso sullo strumento, i capelli corvini gli ricadevano sul volto, e Sakura non faticò ad immaginare che probabilmente stesse addirittura suonando ad occhi chiusi, con l’istinto, col talento. La folla intorno a lei lo fissava sbalordita e lei, osservando quelle dita magre pizzicare e colpire con maestria lo strumento, percepì un’ondata di calore scuoterla con vigore.

Libertà.

Tutto ciò che vedeva dinanzi a lei, urlava libertà. Quel ragazzo dai capelli corvini, la sua chitarra, la melodia intensa, il suo modo ribelle di suonare. Libero. Era libertà quella nuvola invisibile che avvolgeva il musicista, ne era certa, e la cosa che la spaventò enormemente, fu rendersi conto di quanto quella libertà fosse diversa dalla propria. Osservando il giovane suonare con passione, Sakura si rese conto per la prima volta che quella che lei chiamava libertà all’uscita della metropolitana, non era altro che un’effimera concezione astratta della vera ελευθερία ellenica. La libertà vera erano quel ragazzo e il suo talento. La melodia incalzante le perforava i timpani, o forse era il battito innaturalmente accelerato del suo cuore a farlo, ma in ogni caso, Sakura fu certa che quello che stava avvenendo aveva un che di surreale, di magico quasi.

Può una melodia incantare un’anima?

Uno scroscio d’applausi si levò intorno a lei e tornando parzialmente alla realtà, Sakura si rese conto che il ragazzo aveva smesso di suonare e la folla attorno a lei sembrava aver apprezzato quell’esibizione tanto quanto lei. Probabilmente meno di lei, a dirla tutta. Il ragazzo alzò finalmente lo sguardo e quando i suoi occhi profondi si scontrarono con quelli smeraldini di Sakura, la violinista fu certa di essere ripiombata in quello stato di trans catatonica che l’aveva avvolta pochi attimi prima. Alcuni dei presenti si avvicinarono alla custodia della chitarra lasciata in terra, gettandovi dentro qualche dollaro accompagnato da un “sei davvero forte, ragazzo!” che il chitarrista accolse con un’occhiata riconoscente e un effimero sorriso. Doveva essere un tipo stranamente timido. Sakura non si rese conto di non essersi mossa di un centimetro, fino a quando uno dei passanti la urtò nella foga di allontanarsi, e strabuzzando gli occhi, la ragazza si rese conto di essere rimasta sola dinanzi a quello strano ragazzo. Boccheggiando per un paio di secondi, Sakura cercò di darsi un contegno, arraffando cinque dollari finiti chissà perché nella tasca del suo cappotto – lei, così precisa, come aveva potuto lasciare i soldi così incustoditi?-  e avvicinandosi lentamente alla custodia in terra, già colma di spiccioli e banconote di basso taglio. Il ragazzo intanto aveva preso a sistemare la propria chitarra, staccando l’amplificatore  e riavvolgendo il capo con una precisione disarmante, sino a quando il fruscio indistinto di una banconota che scivolava vicino alle altre attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi. Il chitarrista osservò una chioma rosata abbassarsi all’altezza della custodia, lasciandovi all’interno una banconota, e non appena la giovane si alzò in piedi, il moro si scontrò inevitabilmente con due paia di occhi color smeraldo enormi e sgranati. La giovane, trovandosi a così poca distanza dal chitarrista arrossì violentemente, e il ragazzo non poté fare a meno che accennare un minuscolo sorriso divertito.

“Grazie.” Le disse solamente, indicando distrattamente la custodia in terra. Sakura abbassò lo sguardo, farfugliando qualcosa che alle sue orecchie risultò come un vago “figurati” e il ragazzo si scoprì stranamente divertito da quella ragazzina con i capelli rosa.

“Sei davvero bravo, non avevo mai visto nessuno suonare così.” Riuscì ad esclamare imbarazzata Sakura dopo un paio di secondi di imbarazzante silenzio. Il ragazzo inarcò un sopracciglio in un misto di divertimento e incredulità, osservandola incuriosito.

“Non avevi mai visto nessuno fare lap tapping sulla chitarra?” le chiese in un tono che Sakura registrò vergognosamente come di derisione. Lap tapping dunque, era così che si chiamava. Ora che ci pensava il termine non le era nuovo, ma effettivamente no, non aveva mai visto nessuno suonare così.  Sakura scosse il capo in segno di negazione, imbarazzata per aver fatto la figura della ritardata dinanzi a lui.

“Dove hai imparato a …”

“Suonare così? Da nessuna parte.” La interruppe subito il giovane, causandole un’espressione confusa.

“Non è una cosa che si impara, viene naturale, per istinto. Io ho imparato da solo.” Concluse atono, piegandosi in terra a raccogliere l’incasso del giorno e Sakura notò che contò le banconote con estrema precisione, lasciandosi poi andare ad una smorfia contrariata; probabilmente non aveva guadagnato abbastanza quel giorno, e lo intuì anche dal sospiro contrariato con cui infilò i soldi in tasca e rimise la chitarra nella custodia, chiudendola e afferrandola con celerità, portandosela sulle spalle.

“Non ti piacerebbe suonare su un vero palcoscenico?” Sakura non si rese nemmeno conto da dove accidenti le fosse venuta fuori una domanda del genere, e concordò con sé stessa che avrebbe di certo fatto meglio a restare zitta. Il ragazzo la osservò, accennando una leggera increspatura delle labbra con fare intrigante, come se stesse per rivelarle un segreto inestimabile.

“Sai qual è il palcoscenico più grande del mondo?” le chiese serio. Sakura scosse la testa, confusa, e il ragazzo ghignò, allargando leggermente le braccia, come a voler inglobare in sé tutto l’ambiente circostante.

“La strada.” Rispose con semplicità, e Sakura non poté fare a meno che restare attonita dinanzi alla veridicità delle sue parole.
Per diversi attimi nessuno dei due parlò e Sakura, concentrandosi sui clacson delle automobili vicine e sul vociare dei passanti, si sentì tremendamente a disagio, non sapendo come uscire da quella situazione. Che si aspettava poi, a dirla tutta?

“Viola?” fu proprio il giovane ad interrompere il silenzio e sgranando gli occhi, Sakura si rese conto che stava indicando la custodia nera alle sue spalle, di cui si era dimenticata l’esistenza nel momento in cui lo aveva sentito suonare.

“Violino, a dire il vero.” Rispose sorridendo leggermente, fiera di non essere ignorante almeno in quel campo. Il ragazzo la osservò, mentre un ghigno leggero gli prese le labbra sottili.

“Sai suonare o suoni?” le chiese a bruciapelo, e Sakura spalancò gli occhi confusa, schiudendo leggermente le labbra.

“Scusa, ma che differenza c’è?” domandò sinceramente persa, non comprendendo la domanda del ragazzo. Il ghigno enigmatico del giovane si ingrandì un po’ di più, mentre leggermente infreddolito dalla brezza di inizio dicembre ficcava le mani nelle tasche del cappotto blu notte un po’consumato.

“C’è eccome differenza, puoi fidarti.” Esclamò enigmatico, prima di voltarsi e incamminarsi per il marciapiede, dandole le spalle. Sakura rimase interdetta per numerosi secondi, nel tentativo di carpire questa famosa differenza, ma accorgendosi che il ragazzo non era più dinanzi a lei, si voltò di scatto, osservando la custodia della sua chitarra che gli copriva la schiena e si alzava e abbassava ritmicamente all’incedere dei suoi passi.

“Comunque, io mi chiamo Sakura!” gridò senza nemmeno rendersene conto, in un raptus di quella che negli anni, aveva imparato a chiamare “l’audacia dei timidi”. Il ragazzo si bloccò, voltando leggermente il capo verso di lei, lanciandole un’occhiata imperscrutabile e profonda.

“Sasuke.” Rispose semplicemente.

“Io sono Sasuke.”
 
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Il giorno successivo Sakura prese la metropolitana con la recondita e irrazionale speranza di incontrare nuovamente quel ragazzo, Sasuke, e fu forse proprio per quell’assurda bramosia che salì sul mezzo molto più volentieri rispetto al resto delle volte. Era stupido a pensarci, Sakura lo sapeva, perché non aveva la minima idea di chi fosse quel chitarrista, quanti anni avesse, dove vivesse o addirittura se ce l’avesse una casa, eppure per tutta la sera non aveva potuto fare a meno di ripensare e ripensare alla loro frammentaria conversazione e a rimuginare sul senso di quelle parole così enigmatiche, senza mai venirne a capo. Che voleva dire se sapeva suonare o suonava? Dove diavolo stava la differenza?
La voce metallica della metro la informò che era giunta a destinazione, e facendosi largo tra la calca di gente raggiunse le porte del vagone, rigettandosi al di fuori insieme a una miriade di persone incuranti. Sistemandosi come d’abitudine il violino sulle spalle, Sakura si incamminò verso l’uscita della metro, permettendo però alla sua mano di indugiare un minuto in più sulle pieghe del suo cappotto rosso e sui suoi capelli lunghi sino alle spalle, ordinati da un cerchietto monocolore. Si sentiva assurdamente eccitata all’idea di uscire in strada e forse era per quello che stava cercando di rendersi il più presentabile possibile, anche se, a pensarci bene, aveva bisogno di comprendere il senso di quella domanda prima di tutto, e soprattutto, non era scontato che Sasuke si fosse trovato lì davanti anche quel giorno. A quel pensiero Sakura si lasciò sfuggire una smorfia di delusione, che venne subito sostituita da un sorriso entusiasta e un luccichio negli occhi all’udire l’eco distante di una chitarra acustica proveniente dalla strada. Colma di una nuova forza, Sakura si fece largo tra la folla, salendo gli scalini con quanta più velocità potesse permettersi, mentre mano a mano che la luce della città l’accecava, la melodia della chitarra le solleticava i timpani con impazienza.

Sasuke si trovava seduto sulla stessa panchina del giorno precedente, la chitarra poggiata sulle ginocchia e il busto piegato su di essa. Stava suonando una melodia diversa dal giorno precedente, ma Sakura si perse subito ad osservarlo incantata da lontano, mentre le sue dita abili pizzicavano dolcemente le corde della chitarra. Una piccola folla si era radunata attorno a lui e quando lì sentì applaudire, sovrastando l’eco dell’ultimo accordo, Sakura si rese conto che l’esibizione di Sasuke era appena finita. Osservò impaziente i presenti depositare qualche moneta nella custodia della chitarra e li ringraziò mentalmente per essersi defilati così in fretta, permettendole così di lasciare Sasuke solo dinanzi a lei. Con passi affrettati attraversò la strada, avvicinandosi al ragazzo che sembrava non averla ancora notata, ma dovette bloccarsi sul posto quando vide una figura scura e avvolta in un lungo cappotto nero avvicinarsi al chitarrista. Un uomo dalla carnagione pallida e spettrale, con lunghi capelli corvini, si era avvicinato a Sasuke ed aveva preso a confabulare con quest’ultimo in maniera alquanto concitata. Sakura si trovava a pochi metri di distanza e non fu in grado di captare le parole che si erano scambiati, ma l’espressione tesa di Sasuke e i gesti irati dell’uomo che le dava le spalle, le fecero intuire che non stava avvenendo nulla di piacevole. Finalmente, dopo alcuni minuti, l’uomo sembrò decidere di andarsene, poiché si voltò verso la strada e si sbracciò elegantemente per chiamare un taxi. Nel momento in cui l’uomo rivolse il viso verso la sua direzione, Sakura percepì un nodo serrarle la gola e si ritrovò incapace di respirare, terrorizzata da quegli occhi gialli e taglienti come due zaffiri che guardavano il mondo con perverso odio. Un taxi si fermò di scatto dinanzi al marciapiede e l’uomo salì in fretta sulla vettura, che ripartì dopo pochi istanti, il tempo di comunicare al conducente la destinazione, ipotizzò Sakura. Sasuke intanto aveva raccattato le proprie cose e si era messo la chitarra in spalla, quando alzando lo sguardo si scontrò con la figura immobile di Sakura, che fissava la strada inerte. Le si avvicinò lentamente, mettendosi al suo fianco.

“Allora? Hai trovato la differenza?” Sakura sobbalzò spaventata, tornando alla realtà e voltandosi di scatto si scontrò con lo sguardo vagamente divertito del ragazzo.

“S- Sasuke!” esclamò imbarazzata, cercando di placare i battiti impazziti del suo cuore. Il giovane la osservò senza proferire parola alcuna, aspettandosi probabilmente una risposta dalla ragazza. Sakura sospirò, distogliendo lo sguardo nervosa. I suoi occhi la destabilizzavano troppo.

“No, non riesco proprio a capire.” Rispose sconfitta. Sasuke ghignò, scuotendo leggermente il capo.  D’un tratto alzò la mano, portandola al volto di Sakura, deviando poi verso i capelli.

“Ci vediamo, Sakura.” Disse calmo, prima di scompigliarle qualche ciocca rosata e allontanarsi lentamente per la sua strada, lasciandosi alle spalle una Sakura a rischio di attacco cardiaco e stato di catatonica confusione interiore.
 
************** 

Sasuke poggiò la chitarra contro il muro scrostato al fianco del suo letto, sedendosi poi sul materasso dalle molle cigolanti. Si distese sospirando stancamente, coprendosi le mani col volto e sperando di riuscire a prendere sonno il prima possibile.

“Teme!” Sasuke stinse gli occhi infastidito, mentre la porta alle sue spalle si apriva di scatto, chiudendosi poi con una forza tale che probabilmente tutti i vecchi cardini arrugginiti erano ora ad un passo dal saltare via. Un ragazzo dalla scompigliata zazzera bionda e due grandi occhi azzurri si avvicinò al suo letto, inginocchiandosi dinanzi a lui con una strana luce negli occhi.

“Che diavolo vuoi, Naruto?” chiese, sospirando esasperato e pregando perché quell’idiota con cui condivideva la stanza lo lasciasse in pace. L’espressione di Naruto si fece strana, maliziosa quasi, e Sasuke ebbe paura ad immaginare cosa gli stesse passando per la mente.

“Ho sentito che Orochimaru si è arrabbiato con te oggi. È vero che sei tornato allo stesso posto di ieri per l’esibizione?” gli chiese diretto. Sasuke scostò lo sguardo, fissando il soffitto.

“Naruto, fatti i cazzi tuoi.”

“Allora è vero!” proruppe il biondo entusiasta.

“Non ci posso credere; tu che disobbedisci ad Orochimaru! Questa è bella! Che ti è successo?” chiese divertito, anche se sinceramente interessato. Era legge che i ragazzi dell’ ostello gestito da Orochimaru dovessero eseguire i suoi ordini per filo e per segno; vai in strada, suoni, canti, balli, fai quello che sai fare e porti a casa l’incasso. Semplice. Ma cosa più importante: non suonare mai nello stesso posto per più di una volta.

“Ti ho detto di lasciarmi in pace.” Rispose annoiato Sasuke, senza smettere di fissare il soffitto. Il sorriso di Naruto si spense, trasformandosi in un’espressione vagamente seria, almeno per i suoi standard.

“Dico sul serio, Sasuke; conosci le regole, perché sei tornato là?” Sasuke sbuffò, voltandosi su un fianco in modo di rifilargli le spalle. Ovvio che sapeva quanto Orochimaru fosse duro, lo aveva imparato a suo spese quando l’aveva accolto anni prima nella sua personale “casa per talenti” che altro non era che una soffitta decadente nell’ East Harlem dove confinava giovani ragazzi talentuosi presi dalla strada. Orochimaru agiva in maniera semplice: scorgeva talenti, li prendeva con sé, li metteva in strada ad esibirsi e a fine giornata racimolava i guadagni dei ragazzi, facendoli sparire nelle proprie casse, dando loro in cambio un misero letto dove riposare e cibo non sempre di ottima qualità. Uno sfruttamento vero e proprio, minorile tra l’altro, considerando che ora aveva sì diciassette anni, ma quando era entrato in quel giro, di anni ne aveva solo undici. Aveva capito in fretta come funzionavano le cose e che andare contro Orochimaru era la scelta peggiore, ma quel giorno se ne era altamente fregato delle regole e aveva deciso di fare di testa sua, tornando dinanzi all’uscita della metro, suonando in attesa di veder spuntare una testa rosata tra la miriade di persone. Aveva agito d’istinto, non l’aveva nemmeno fatto apposta; semplicemente, le sue gambe si erano mosse da sole e quando l’aveva vista davanti a lui, tutte le parole di disprezzo di Orochimaru erano sfumate col vento, così come la minaccia di non fare più una cosa del genere.

“Sono stanco, lasciami dormire.” Rispose secco, sentendo il giovane dall’enorme talento per il ballo sbuffare esasperato, allontanandosi dal suo letto e stendendosi sul proprio materasso.

“Comunque con me puoi parlare, se vuoi.” Disse Naruto, senza ricevere risposta, credendo così che si fosse già addormentato. Nell’oscurità intanto, gli occhi di Sasuke si aprirono nostalgici, mentre un sorriso amaro si impossessava delle sue labbra sottili.

No, Naruto, non voglio. Non saprei che dirti.
 
*************** 

Sakura spintonò uno dei passanti, facendosi largo tra la folla. Non appena uscì dalla stazione, un sorriso entusiasta le prese le labbra, quando udì la melodia di una chitarra acustica sfiorarle i timpani. In quelle due settimane, aveva imparato ad amare la metro, semplicemente per il fatto che, all’uscita della stazione, c’erano sempre Sasuke e la sua chitarra ad aspettarla. Non aveva ben capito quando era nato tutto ciò, per quale motivo Sasuke si trovasse sempre lì fuori a suonare, come ad aspettarla, ma a lei stava bene. Lei lo guardava suonare con quel modo tutto suo di fare- lap tapping, si era documentata al riguardo- e lui restava qualche minuto insieme a lei, chiedendole se aveva capito la famosa differenza e lei rispondeva sempre, sospirando delusa, che no, non l’aveva capita. Da una parte aveva anche smesso di scervellarsi per comprendere le sue parole, perché temeva che se avesse trovato la soluzione, Sasuke se ne sarebbe andato via, sparendo per sempre dalla sua vita dopo aver adempito a quel compito, e lei non voleva affatto perdere quel rapporto invisibile tra la chitarra e il suo violino che li univa incredibilmente. Osservò Sasuke suonare con un sorriso sincero dipinto sulle labbra, mentre la solita sensazione indescrivibile le invadeva l’anima alla visione del giovane e alla melodia sempre diversa e meravigliosa che riusciva a creare dal nulla.

Sasuke osservò i presenti che deponevano qualche dollaro nella custodia della sua chitarra, annuendo riconoscente e sospirando nervoso, preoccupato di essere visto. Andare contro Orochimaru era la cosa peggiore che avrebbe potuto fare, ma l’inspiegabile desiderio di vedere quella testina rosata sbucare dinanzi a lui e di perdersi in quegli occhi verdi e un po’ lucidi per il freddo di dicembre, aveva avuto la meglio su di lui e aveva così sperimentato una strategia che sembrava funzionare alla perfezione. Aveva memorizzato l’orario in cui Sakura scendeva dalla metro e organizzando la propria giornata con metodica precisione, si spostava a suonare di luogo in luogo, fino a presentarsi alle 18,00 in punto dinanzi alla stazione con la sua chitarra e il suo talento, esibendosi per quei brevi quattro minuti che includevano l’arrivo di Sakura, per poi allontanarsi con lei, sollevato del fatto che Orochimaru non si fosse accorto di nulla, così come Sakura. Era una follia, lo sapeva bene, ma da quando aveva conosciuto quella ragazza, aveva percepito la passione e la voglia di vivere che rigettava fuori mentre suonava scorrere nelle sue vene ogni minuto in cui lei vomitava fuori un fiume di parole e lui si limitava ad annuire, in silenzio ma sereno.
Percorse con gli occhi tutti i presenti che cominciavano ad allontanarsi e non appena scorse una chioma rosata e due occhioni verdi, l’ansia di non vederla se ne andò con l’espressione tirata che si era imposto. Sakura gli sorrise, avvicinandosi a lui e aiutandolo a sistemare la chitarra al suo posto, mentre il violino sulla sua schiena gli ricordava in continuazione come fosse cominciato tutto ciò.

“Trovata la differenza?” le chiese, come d’abitudine ormai, e sempre come d’abitudine, Sakura negò, scuotendo il capo. Sasuke si mise la custodia della chitarra in spalla, preparandosi ad andarsene, quando d’un tratto percepì la propria mano stringersi ad una più piccola e fredda. Alzò lo sguardo sul volto della ragazza, scoprendola rossa come un pomodoro – sebbene il gelo e la neve intorno a loro fosse quasi insostenibile- e sorrise interiormente nel vederla così impacciata e buffa.

“Che c’è?” le chiese tranquillo, celando la curiosità. Sakura si morse distrattamente il labbro inferiore, rovinosamente screpolato, lanciandogli un’occhiata timida.

“Voglio che mi aiuti a trovare la differenza.”
 
****** 

Non credeva che quella ragazzina potesse avere una tale influenza su di lui, ma si era dovuto ricredere  quando l’aveva vista col violino stretto tra le mani congelate e l’espressione decisa in volto. L’aveva portato verso un parco nelle vicinanze, e incurante il freddo e i meno sei gradi, aveva spostato la neve con un gesto secco, sedendosi su di una panchina gelata e trascinandolo al suo fianco. Aveva poi estratto il violino dalla sua custodia, e stupito, Sasuke l’aveva osservata suonare con una precisione e compostezza assoluta.
Sakura era sicura di poter dimostrare a Sasuke il suo talento, per questo motivo aveva deciso di suonare la sonata “Soli a violino” di Bach, uno dei brani che da sempre riusciva ad eseguire alla perfezione. Cercando di evitare il suo sguardo, Sakura posizionò lo strumento nell’incavo del collo, avvicinando l’archetto con mano leggermente tremante per il freddo e prendendo poi a suonare con sicurezza via via crescente. Conosceva quel brano a memoria, la sua tecnica era perfetta e la sua freddezza stoica mentre suonava era una delle cose principali che suo padre le aveva imposto quando aveva iniziato a suonare il violino. Suonò con precisione e compostezza, senza sbagliare nemmeno una nota e quando terminò il pezzo, si sentì enormemente soddisfatta di sé stessa, più di quando fosse mai avvenuto. Sicura spostò lo sguardo su Sasuke, che seduto al suo fianco, non le aveva staccato un attimo gli occhi di dosso. Scrutò la sua espressione impassibile con ansia crescente, attendendo il responso del ragazzo con bramosia maggiore con cui accoglieva gli esiti dei suoi esami in conservatorio. Le labbra di Sasuke si piegarono in un lieve ghigno, mentre chiudendo gli occhi scuoteva piano la testa.

“Proprio come pensavo.” Esclamò laconico. Sakura strabuzzò gli occhi, piccata.

“Cioè, cosa pensavi?” chiese stizzita. Sasuke sorrise leggermente.

“Sai suonare, ma non suoni.” Spiegò tranquillo, mentre Sakura corrugava gli occhi in un’espressione confusa.

“Ma si può sapere cosa …” non riuscì ad esprimere a pieno il suo dissenso, che Sasuke, avvicinandosi di colpo si mise dietro di lei, poggiando il capo sulla sua spalla, stringendo con una mano l’archetto ancora in possesso di Sakura, posizionando invece le dita dell’altra sopra alla testa dello strumento, in corrispondenza di quella di Sakura, sfiorandola delicatamente. Percependo Sakura irrigidirsi all’istante sotto il suo tocco, Sasuke si lasciò sfuggire una lieve risatina gutturale, avvicinando il proprio volto al suo orecchio.

“Rilassati, Sakura.” Le sussurrò e a quelle parole, Sakura strabuzzò gli occhi incredula. Senza nemmeno rendersene conto, Sasuke aveva preso a muovere l’archetto sulle corde con velocità, trascinandola con sé in una melodia sconosciuta ma incalzante e decisa. Mano a mano Sakura si lasciò andare e rilassandosi, prese a seguire i movimenti decisi di Sasuke con la stessa passione, inebriandosi di quella melodia così profonda, potente, vera. Un fuoco nuovo, una fiamma viva si accese in lei e dimenticandosi di tutte le lezioni prese al conservatorio, abbandonò la facciata di imperturbabilità che indossava alle esibizioni, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalla libertà della musica. Con un’ultima stoccata finale, Sasuke e Sakura misero fine all’esibizione a cui solo i fiocchi di neve avevano assistito, e spalancando gli occhi sconcertata, Sakura si voltò verso il ragazzo, scoprendolo sorridere leggermente ma con sincerità.

“Ecco, adesso abbiamo suonato.” Le disse tranquillamente, colmando finalmente quella differenza che l’aveva scervellata per due settimane. La passione, la libertà, il fuoco e il vero amore. Era tutto quello che le era sempre mancato sino ad allora, tutto ciò che le aveva permesso di saper suonare ma mai di suonare davvero. Si avvicinò a Sasuke senza remore, poggiando in un attimo le proprie labbra gelate sulle sue bollenti. Un contatto breve, delicato, dolce, che accese però le anime di entrambi.

“Grazie, Sasuke.” Sussurrò sorridendo a pochi centimetri dalle sue labbra. E ne fu certa, quello che gli aveva impregnato minimamente le labbra per pochi secondi, era un vero sorriso.
 
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“Posso chiederti una cosa?” Sasuke le lanciò uno sguardo incuriosito, osservando come Sakura avesse abbassato il capo nel porre la sua domanda. Avevano preso a camminare per i marciapiedi meno gremiti di gente senza una vera meta precisa, insieme, e quando Sakura gli aveva afferrato la mano calda, Sasuke non si era ritirato minimamente, anzi, gliel’aveva stretta delicatamente, e avevano continuato a passeggiare in silenzio, con ancora l’euforia dell’esibizione improvvisata in corpo e il calore dell’altro sulle labbra.

“Dove sono i tuoi genitori? Voglio dire, perché fai quello che fai, dov’è tua madre, dov’è tuo padre … dov’è la tua famiglia?” chiese arrossendo, vergognandosi per la propria sfacciataggine. Erano questioni profonde, probabilmente era ancora troppo presto per parlarne, ma sentiva dentro di lei la necessità di sapere qualcosa in più su quel chitarrista di strada che aveva rubato il suo primo bacio, e tutta la sua anima, che le aveva insegnato a dar vita al violino stretto tra le sue mani, che l’aveva resa viva. Percepì la mano di Sasuke stretta tra la sua irrigidirsi e mordendosi con forza il labbro inferiore, si maledisse come non mai per la sua audacia sporadica.

“Mia madre” esclamò invece Sasuke, sorprendendola enormemente.

“Mia madre è morta prima che io potessi aprire gli occhi. Non è stato semplice mettermi al mondo, ed evidentemente l’avevo distrutta troppo perché potesse reggere uno sforzo del genere.” Spiegò con voce neutra ma Sakura, che aveva imparato sin da piccola la bellezza dell’ascolto, colse la sfumatura di inquietudine e senso di colpa celato sul fondo delle corde vocali di Sasuke.

“M- mi dispiace …” riuscì solamente ad emettere, sentendosi un’idiota. Sasuke le lanciò uno sguardo quasi intenerito, prima di tornare a fissare il caotico via vai dinanzi a sé, apparentemente distaccato.

“Mio padre, dici? Lui invece si trova …” riprese, scrutando le vie dinanzi a sé, senza smettere di camminare e di stringerle la mano. In pochi minuti giunsero nei presi di un grande vuoto che stonava con le costruzioni intorno a loro e Sakura ebbe un sussulto nel riconoscere la zona in cui si trovavano.

“Lì.” Sussurrò Sasuke, indicando il vuoto nell’asfalto, che quattordici anni prima era stata la tomba di tremila persone.

“11 settembre 2001; avevo tre anni, troppo pochi per ricordare.” Continuò con voce vagamente malinconica e Sakura, non potendo trattenersi oltre, si slanciò versò di lui, stringendolo in un abbraccio disperato e sincero. Si scoprì in lacrime sul suo petto caldo e percependo la lana calda del maglione di Sasuke che le solleticava le gote impregnarsi di una stilla d’acqua salata, Sakura si rese conto di piangere sui fantasmi delle torri gemelle e sulle tremila persone tra cui una era il padre di Sasuke, per coloro che non aveva mai pianto, rinchiusa nella sua bolla di falsa perfezione. Sasuke ricambiò debolmente la stretta, sorreggendola, e Sakura si sentì sbagliata, perché doveva essere lei a confortarlo, doveva essere lei ad asciugargli il volto dalle lacrime, doveva essere lei a dirgli che sarebbe andato tutto bene, che era lì con lui e che non lo avrebbe lasciato, non il contrario. Si staccò leggermente dal suo petto dopo pochi minuti, alzando lo sguardo lucido sul suo volto e incontrando i suoi occhi ora vuoti, Sakura non poté fare a meno di esprimere il suo ultimo, straziante dubbio.

“E chi era la tua famiglia?” sussurrò con voce spezzata, osservando gli occhi di Sasuke farsi maggiormente vacui. Il ragazzo si morse il labbro inferiore con forza, come temendo di rispondere.

“Mio fratello.” Esclamò dopo pochi attimi, e Sakura capì che ora era tutto chiaro, tutto filava, tutto scorreva.

“Ti ha insegnato lui a suonare la chitarra, vero?” gli chiese dolcemente, e Sasuke annuì, chiudendo gli occhi come per cacciare indietro lacrime che non si sarebbe mai concesso di versare.

“E dov’è ora?” continuò Sakura, conscia che non avrebbe più avuto occasione di porgli quelle domande, che non avrebbe mai più avuto un Sasuke così vulnerabile stretto tra le sue braccia. Sasuke distolse lo sguardo, puntandolo sulla strada e osservando lo sfrecciare delle automobili, evitando accuratamente il vuoto delle torri e l’immensità delle iridi di Sakura.

“Non ne ho idea. Quando avevo undici anni, gli assistenti sociali hanno decretato che Itachi non era idoneo nel ruolo di tutore e che non poteva essere lui a crescermi. Gli hanno revocato la custodia e mi hanno spedito in orfanotrofio.” Spiegò Sasuke con tono apparentemente freddo e distaccato. Sakura non disse nulla, aspettando col cuore in gola che fosse lui a continuare.

“Non volevo rimanere lì, così sono scappato e ho iniziato a cercare Itachi, suonando sulla strada. Sono sei anni che lo cerco. Non l’ho mai trovato.” Concluse con una leggera incrinatura nella voce, e Sakura, consapevole che non esistevano parole in risposta ad una confessione del genere, gli strinse semplicemente la mano con quanta forza aveva in corpo, scaldandosi a vicenda, entrambi inconsapevoli che due iridi di zaffiro avessero appena assistito alla scena, e non erano affatto benigne.
 
 *********************

Sasuke strinse gli occhi con vigore, soffocando un gemito di dolore tra le corde vocali, mentre un’ulteriore gancio lo colpiva in pieno stomaco. Si sentì afferrare per i cappelli e in un attimo si trovò sbattuto violentemente contro il muro, sbattendo la testa con un tonfo secco. Un pugno ben assestato giunse a spaccargli il labbro e chiudendo gli occhi, incassò anche il successivo che gli emaciò lo zigomo destro. Percepì alcune stille color carminio scivolare giù per il suo viso e non appena raggiunsero le sue labbra tumefatte, sentì chiaramente un conato di vomito raggiungere la trachea: aveva sempre odiato l’odore metallico del sangue.

“E così ti sei fatto un’amichetta, eh Sasuke?” Si sforzò con tutto se stesso di aprire gli occhi, e a fatica, mise a fuoco il volto pallido e disumano dell’uomo dinanzi a lui. Orochimaru
digrignava i denti dalla rabbia e nei suoi occhi dorati e spaventosi, Sasuke notò una scintilla di perversa rabbia che lo terrorizzò sinceramente.

“Credi che non vi abbia visto, Uchiha? Credi che non mi sia accorto che i guadagni sono diminuiti?” continuò, sbattendogli nuovamente la testa contro il muro e stavolta Sasuke non riuscì a trattenere un gemito di dolore.

“Come si chiama la tua puttanella dai capelli rosa, Sasuke?” gli chiese con un ghigno maligno, avvicinandosi al suo volto. Sasuke assottigliò lo sguardo, percependo la rabbia ribollirgli nelle vene come mai avvenuto prima.

“Non azzardarti a toccarla!” gridò fuori di sé, cercando di liberarsi dalla morsa ferrea dell’uomo. Orochimaru digrignò i denti, consapevole degli sguardi degli altri ragazzi della casa puntati stupefatti su di lui. “Così imparate come dovete comportarvi qui” diceva ogni volta che puniva uno dei giovani dinanzi agli occhi lucidi e terrorizzati degli altri. Orochimaru non si era mai permesso di alzare dito alcuno su Sasuke, se non durante i primi anni della sua permanenza nella casa, quando si ribellava ai suoi ordini, quando non aveva paura di ammettere che l’unico motivo per cui suonava in strada era perché sperava che suo fratello lo riconoscesse e lo ritrovasse, ed era visione inconcepibile per tutti i presenti quella di un Sasuke pieno di lividi e dal volto emaciato.

“Ci tieni davvero tanto, eh?” chiese divertito. Sasuke assottigliò maggiormente lo sguardo, iracondo.

“Non devi toccarla.” Ribadì più ferocemente di prima. Orochimaru ghignò, estraendo dalla tasca del proprio cappotto un piccolo quanto affilato coltellino svizzero. Celermente lo avvicinò al lembo di pelle sulla spalla di Sasuke, vicino al collo, proprio sopra al tatuaggio delle tre gocce rovesciate che testimoniava la sua appartenenza al gruppo, e con un gesto deciso inflisse lui un taglio non troppo profondo, che prese però a stillare sangue copiosamente. Sasuke gemette di dolore, mentre Orochimaru assottigliava lo sguardo a due fessure spaventose.

“Se non vuoi che le succeda una cosa del genere, ti consiglio di lasciarla stare e di dimenticartela. Sei sempre stato il più talentuoso tra tutti, e per questo motivo ho deciso di darti un’altra possibilità. Lascia stare quella ragazza, torna a fare il tuo lavoro e non le succederà niente.” Sibilò minaccioso, prima di lasciare la presa sulle spalle del ragazzo e sbatterlo ulteriormente al muro, lasciandolo poi cadere a terra gemente. Senza proferire una parola si allontanò dalla stanza, e mentre Naruto si precipitava a soccorrerlo, Sasuke percepì un dolore al petto più fitto di quello causato dalle ferite di Orochimaru; doveva lasciarla andare.
 
 *******************

Sakura uscì dalla metropolitana con una gioia ancora maggiore ad accenderle il viso, correndo in strada nell’attesa di rivedere Sasuke. Non sapeva ancora cosa fossero esattamente, ma era sicura che tra loro qualcosa era cambiato, che lei non era la sola a provare qualcosa e che se Sasuke si era confidato con lei riguardo il suo passato, qualcosa doveva pur significare per lui. Non appena mise fuori in strada però, Sakura percepì subito che c’era qualcosa che non andava; perché non sentiva la melodia di una chitarra acustica? Confusa, Sakura si fece largo tra la folla, giungendo in fretta sino alla panchina che era ormai divenuta il palcoscenico di Sasuke, e un peso di piombo le cadde dolorosamente sul cuore: vuota. Sulla panchina non vi era traccia alcuna del moretto con la chitarra sulle ginocchia, né della custodia aperta in terra o dell’amplificatore un po’ rovinato. Non c’era la magia del talento di Sasuke, ma solo un altro tizio, un tipo biondo che si muoveva al ritmo di un pezzo che non avrebbe mai potuto eguagliare le melodie create dalla chitarra di Sasuke. Sakura osservò il giovane ballerino sentendo che tutto quello era sbagliato, che quello non era il suo posto, che lì doveva esserci Sasuke e non quella sottospecie di ballerino di break dance, mentre gli occhi verdi si riempivano di lacrime inspiegabilmente amare e dolorose. Con un gesto deciso si voltò di spalle, facendosi largo tra la folla e allontanandosi in fretta da quella panchina maledetta dove non c’era Sasuke. Si fermò dopo numerosi metri, bisognosa di riprendere fiato, e togliendosi la custodia del violino dalle spalle, se la rigirò tra le mani, osservandola tra i singhiozzi. E per la prima volta, desiderò che quel dannato strumento non fosse mai esistito.
 
*****************

Suo padre andava a prenderla a fine lezioni da un mese a quella parte, e quando Sakura gli aveva chiesto, con occhi vacui, se poteva farle quel favore ed evitarle così di prendere la metro, lui non se l’era sentita di dirle di no. Erano trenta giorni ormai che non vedeva l’insegna della metro, trenta giorni senza la melodia della chitarra acustica a solleticarle i timpani, trenta giorni senza il senso di libertà che Sasuke le aveva dato. Da quando lui era scomparso, Sakura si era rifiutata categoricamente di suonare il violino, limitandosi solamente a saper suonare, come aveva sempre fatto prima di incontrarlo. Suo padre le aveva lanciato diverse occhiate preoccupate durante i pasti, osservandola spiluccare il cibo nel piatto senza nemmeno portarselo alla bocca, e lei non era stata in grado di confessargli tutto, di dirgli che si sentiva stupida, illusa, usata e inutile, per colpa di un ragazzo che conosceva appena e che evidentemente non si era fatto così tanti problemi a dimenticarsi di lei. Aveva continuato ad andare avanti senza un briciolo di vitalità nel sangue, almeno così era stato, sino a quando un giorno suo padre era arrivato in ritardo e lei era rimasta ad aspettare fuori dal conservatorio, osservando inerme la folla. Si era isolata nella propria bolla di solitudine quando d’un tratto, un ragazzo biondo e dagli enormi occhi azzurri si era presentato al suo cospetto con un’espressione vagamente preoccupata e le si era avvicinato pericolosamente, mettendola a disagio.

“Sei tu Sakura?” le chiese con fare sospetto, e Sakura, vagamente spaventata, si ritrovò ad annuire dubbiosa.

“Come fai a sapere il mio nome?” chiese diretta, ma il giovane non le prestò attenzione e osservandolo sorridere rilassato, Sakura lo riconobbe come il giovane che aveva scoperto sostituire Sasuke alla panchina dinanzi la metro. Ricacciò indietro le lacrime che le pungevano gli occhi al ricordo ancora fresco, afferrando dubbiosa la mano che il giovane le porgeva.

“Meno male che ti ho trovata, non sai quanto ti ho cercato! Io sono Naruto, comunque, piacere.” Esclamò, sorridendole entusiasta.

“Perché mi hai cercata?” gli chiese senza mezzi termini, ancora dubbiosa riguardo l’assurdità della situazione. Uno sconosciuto che le si avvicinava all’improvviso e dichiarava di conoscere il suo nome, assurdo! L’espressione di Naruto si trasformò in una smorfia di preoccupazione, mentre l’eco della sua risata lasciava il posto al silenzio delle parole attese.

“Devo parlarti.”

“Di cosa?” chiese Sakura incalzante.

“Di Sasuke.”
 
***********
Sakura attraversò il parco innevato, correndo e fregandosene del vento gelido che le sferzava il volto, consapevole che il violino sulle sue spalle bastava a scaldarle il cuore. Non poteva assolutamente capacitarsi di tutto quello che era accaduto, ma quello strano ragazzo a cui non avrebbe dato un centesimo all’inizio della conversazione, si era rivelato in grado di sciogliere tutti i suoi dubbi e rispondere alle sue domande, dandole un’unica certezza fondamentale: non era colpa di Sasuke. Il fatto che fosse corsa d’istinto al parco per cercarlo sottolineava quanto la sua vena insospettabilmente romantica fosse capace di prendere il sopravvento in situazioni come quelle, perché infondo era lì che avevano suonato insieme ed era lì che si erano baciati, perciò qualcosa doveva pur significare. Forse era un’illusa e una stupida sognatrice, ma fu certa di non essersi immaginata affatto quella melodia così familiare solleticarle i sensi mano a mano che si avvicinava alla panchina dove lei aveva capito che doveva imparare a suonare e non limitarsi a saperlo fare. La piccola folla radunata dinanzi alla panchina sciolse ogni suo dubbio, e avvicinandosi impaziente verso la provenienza della melodia, percepì il cuore rimbombarle nelle orecchie con una potenza spaventosa. Sasuke continuava a suonare col capo chino sulla sua chitarra, concentrato come sempre, senza accorgersi minimamente di una presenza minuta avvicinarsi a lui con passi stanchi ma decisi. Sakura poggiò la custodia del violino sulla panchina, proprio al suo fianco, e accorgendosi di quel particolare, Sasuke alzò di scatto lo sguardo, scontrandosi con una ragazzina dai capelli assurdamente rosa.

“Sakura …” mormorò basito, osservandola lanciargli uno sguardo veloce prima di aprire la custodia del violino ed estrarre lo strumento da esso, percependo tutto quel desiderio di malessere che lo aveva avvolto dal momento in cui era stato costretto ad abbandonare la stazione della metro – ad abbandonare lei- disciogliersi come la neve ai lati della strada.

“Che stai facendo?” le chiese confuso, osservandola mentre posizionava il violino tra la spalla e l’incavo del collo. Sakura gli lanciò uno sguardo carico di decisione, mentre un sorrisino enigmatico si impossessava delle sue labbra carnose.

“Ti dimostro come suono.” Rispose semplicemente, prima di muovere con uno scatto l’archetto sulle corde. Sasuke smise per un attimo di suonare, osservandola incantato, perdendosi tra le dita leggere che si muovevano con precisione per cambiare accordi, seguendo il ritmo improvvisato dettato dall’archetto, ma soprattutto, innamorandosi come non mai dell’espressione vera e viva di Sakura, delle sue gote arrossate per lo sforzo, del battito del suo cuore infiammato che giungeva incredibilmente sino alle sue orecchie, forse perché stava battendo in perfetta sintonia col suo. I passanti si fermarono ad osservare quella ragazzina dalla testa rosata compiere magie col violino, chiedendosi curiosi che brano stesse eseguendo, senza sapere che
Sakura non stava seguendo alcun pentagramma, spartito o imposizione dettatale da qualcuno, ma semplicemente suonava, spontaneamente, liberamente, sinceramente. Sasuke sorrise impercettibilmente, dimenticandosi di Orochimaru, del tatuaggio e di tutto il resto, abbassando il capo sulla propria chitarra e riprendendo a suonare, seguendo la stessa melodia di Sakura, intrecciando note e accordi, pause e respiri, passione e talento in una spirale genetica senza fine. Non seppero per quanto tempo continuarono a suonare, forse minuti, forse ore, ma in ogni caso, non appena entrambi percepirono i polmoni reclamare aria e il cervello chiedere sangue e una pausa dallo sforzo immane, terminarono il loro brano all’unisono, mentre uno scroscio di applausi si elevava intorno a loro. Sakura si guardò intorno sorridendo entusiasta, tastandosi le guance rosse per lo sforzo e l’emozione, e voltando di poco il capo, si scontrò con lo sguardo profondo di Sasuke, libero e colmo di una luce che con commozione riuscì a catalogare come amore negli occhi.

“Roads.” Disse ad un tratto Sasuke, surclassando il tintinnio delle monete nella custodia in terra e i complimenti sinceri dei presenti. Sakura lo osservò confusa, inclinando leggermente il capo verso destra.

“Le nostre strade si sono incrociate, no? Questo brano rappresenta le nostre vite.” Le spiegò enigmatico, come sempre. Sakura sgranò gli occhi, sorridendo amorevolmente commossa.

“Già, hai ragione. Roads. Sai, mi piace. Davvero.” Esclamò emozionata, prima di slanciarsi verso di lui ed abbracciarlo con dolcezza, sorridendo nel sentire le braccia di lui avvolgerla delicatamente, scaldandola dal freddo infinitesimale dell’inverno New Yorkese.

Da lontano, due occhi profondi e solcati da pesanti occhiaie si alzarono leggermente verso l’alto, seguendo il movimento di un sorriso dolce e orgoglioso generatosi nelle labbra di uno sconosciuto. L’uomo infilò le mani nelle tasche del pesante cappotto blu, schiudendo leggermente la bocca tremante.

“Sono fiero di te, otouto …”
 
 

Nota autrice:
Dal momento che non ho altro da aggiungere, direi di passare un attimo alla genesi di questa storia. Il merito va tutto a questo eccezionale ragazzo  ( https://www.youtube.com/watch?v=wDZ7ZeKUlHQ )                   Simeon Baker, giovane talentuosissimo che ho avuto il piacere di incontrare a Londra, a Covent Garden, durante una delle sue esibizioni in strada, e con cui ho avuto la fortuna di scambiare qualche parola nell’atto di lasciare la mia esigua offerta a un grande talento come il suo. Riuscita a rintracciarlo su You Tube, come mi aveva consigliato, vi ho inserito il link di un brano in lap tapping scritto da lui stesso e che si chiama proprio “Roads” da cui, appunto, il titolo di questa storia. Inoltre, se qualcuno di voi ha visto il film “La musica nel cuore- August Rush” (vi prego ditemi di sì, è uno dei film più belli che abbia mai visto, credo di conoscerlo a memoria ormai) avrete notato come ho lanciato qualche riferimento sporadico ad esso nel corso del racconto, a partire proprio dal ruolo di Orochimaru nella vita di Sasuke. E niente, spero che la storia vi sia piaciuta, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!
Alla prossima!
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