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Autore: bellomia    16/11/2015    3 recensioni
Matilde e Luca sono destinati a stare l'uno con l'altra, questo il destino lo sa, eppure sembra che pur di unirli scelga il metodo peggiore. La prima sera che si incontrano festeggiano la fine degli esami, la seconda Matilde bussa alla porta di Luca con le lacrime agli occhi ed un test di gravidanza in mano. Ecco che quindi il destino ha avuto ciò che voleva, legarli per tutta la vita, ma ai due quella fine sembra tutt'altro che lieta.
Essere genitori a 27 anni è difficile di per se, in più se ci aggiungiamo dei genitori ficcanaso, amici altrettanto impiccioni e una figlia che si autoproclama il loro cupido, la cosa potrebbe diventare piuttosto difficile.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Matilde ed Eva.

Quando quella mattina Matilde aveva aperto gli occhi e guardato fuori dal vetro dell’ampia portafinestra aveva intuito che non sarebbe stata una bellissima giornata, la conferma l’aveva avuta poco dopo nel mettere fuori la mano… La temperatura quel giorno di ottobre era talmente bassa che aveva dovuto cercare di fretta i giubbotti invernali nel soppalco dell’appartamento. Ovviamente ci aveva messo una vita a ricordarsi dove li aveva conservati la primavera prima, per non parlare poi di quanto aveva dovuto penare per  ritrovarli dentro gli scatoloni, il risultato fu un assurdo ritardo nella loro  già ristretta tabella di marcia mattutina.  
-Eva Svegliati, siamo già in ritardo!- Aprì la porta della cameretta e vide la bambina girarsi dall’altra parte, ignorando il suo richiamo.
-Tra cinque minuti devi essere in cucina, o come al solito troverai il latte freddo.- L’avvertimento sembrò avere qualche effetto, tanto che Eva si sollevò e si sedette sul letto. Aveva i capelli tutti scarmigliati e in disordine tanto che Matilde si chiese quanta fatica le sarebbe costato districarglieli.
Preparò di fretta il latte  mettendo di fianco alla tazza della figlia tre biscotti di nonna Fabiana, si catapultò poi  a preparare la borsa della bambina. Come al solito ci buttò dentro due succhi di frutta, una brioche e quel giorno anche il suo vecchio libro di fiabe di Hans Christian Andersen.  All’asilo stavano infatti leggendo le fiabe classiche e come compito a casa ognuno di loro aveva dovuto scegliere e portare due fiabe.
Eva come al solito aveva voluto fare l’alternativa e invece che scegliere la Sirenetta come tutte le altre bambine aveva scelto quelle più tristi: Il tenace soldatino di stagno e La regina delle nevi. La seconda l’aveva scelta grazie a Frozen, facendo un misto tra moderno e classico, mentre la scelta della prima era ancora un mistero.
La prima volta che aveva sentito la drammatica storia del soldatino con una sola gamba e della sua bella ballerina aveva pianto in silenzio facendo si che Matilde si desse della stupida quella sera per averle letto quella storia così triste, ma sorprendentemente la bambina si era talmente affezionata a quel dramma  da costringere la madre a rileggerla almeno una volta a settimana, la sapeva letteralmente a memoria.
-Eva hai finito la colazione?- Aspettò una risposta che non arrivò, al suo posto sentì i passi della bambina raggiungerla fino al bagno. Un piccolo tornado dai morbidi boccoli castani la raggiunse sorridendo.
-Si ho finito! Ho messo tutto nel lavandino.- Matilde la guardò e sorrise nel vederla così di buon umore. Sua figlia era capace di risollevarle l’umore con veramente poco.
- Bravissima, ora lavati i denti. Poi mettiamo il grembiule.- Prese il piccolo spazzolino colorato e lo riempì di dentifricio alla fragola, il solo odore di quella poltiglia rosa e dolciastra le faceva venire la nausea, ma evitò di commentare e si limitò a passare lo spazzolino alla figlia. Entrambi le erano stati regalati dal padre, perciò per nulla al mondo Eva ci avrebbe rinunciato, persino se il dentifricio avesse avuto il sapore delle gelatine tutti i gusti +1. Poco dopo l’aiutò a lavarsi la faccia  e pettinò quel pagliaio sulla sua testa, rendendo i boccoli di nuovo ordinati, le fece due codette e le allacciò il grembiulino rosa. Guardò critica il suo nome ricamato all’altezza del cuore.
Eva R.
Era stata la madre di Luca a insistere su quel dettaglio, aveva la fissa dei nomi ricamati su qualunque cosa, nemmeno fossero i Windsor. Per di più un angolo della R si stava anche scucendo, avrebbe dovuto tirar fuori il vecchio set da cucito di sua madre e cercare di aggiustare la situazione.
-Sei sicura che non vuoi portare la Sirenetta? Sei ancora in tempo per cambiare idea.- La bambina sospirò e la guardò in modo quasi critico, senza dire nulla  le passò una piccola forcina colorata per aiutarla ad appuntarla sulla testa.
-Magari una storia più felice…-
-Mamma quella è la storia più,  più e più bella di tutte. Tanto la maestra la conosce già…  e se piange non fa nulla.-
-E se piangono i tuoi amici?- La bambina si guardò allo specchio, toccò la forcina poi si girò veloce verso la mamma e le dedicò un sorriso un po’ sdentato.
-Mamma anche Ariel muore.-
-No… si trasforma in schiuma di mare.- Eva stavolta sbuffò sonoramente, e fece un gesto veloce con la mano.
-Bleah la schiuma di mare è brutta.- a quel punto la discussione non avrebbe portato a nulla, così Matilde si limitò a infilarle gli stivaletti in gomma e aiutarla con le maniche del giubbotto. Osservò critica le maniche troppo corte e si appuntò di andare a prenderne un altro.
Da quando cinque anni prima era nata Eva aveva rivoluzionato la sua disordinata e incasinata vita, era riuscita ad abituarsi all’ordine e si era presa l’abitudine di appuntare tutti gli impegni in un’agenda che portava praticamente sempre con se. Appuntò la parola Shopping nella pagina del sabato mattina.
-Hai visto quanto sei cresciuta? Non ti sta più, sabato andiamo con zia Emilia a prenderne un altro.- Eva guardò la manica blu e sorrise felice.
-Quando diventerò alta come te? O come papà?-
-Tra moltissimo tempo. Devi mangiare un sacco di verdure ancora!- Le fece una linguaccia provocandole il solito scoppio di infantili e cristalline risate.  
Quando il divertimento passò Eva guardò sua madre infilarsi le decolté e come al solito pensò che fosse bellissima. Aveva quei bei tacchi lucidi, i lunghi pantaloni neri e una camicia blu, ma nonostante il semplice abbigliamento le sembrava sempre una principessa in carriera. I suoi capelli erano più scuri dei suoi, lisci e lucidi, sapeva che invece lei i ricci castani li aveva presi dal padre, ma anche se avevano quello di diverso e lei era alta e grande tutti dicevano che era la sua fotocopia. Ogni volta che la nonna e le sue zie glielo dicevano Eva non poteva fare altro che sorridere ed arrossire. Era in assoluto la sua frase preferita.
 La osservò mettere il cappotto e cercare le chiavi della macchina nella borsa, era sempre di fretta, a volte la portava persino al fast food pur di non cucinare, eppure era la sua eroina.
-Eva come mai così taciturna?- La ragazza guardò il viso concentrato della piccola e si chiese cosa mai potesse passare nella mente di quella bambina.
-Niente! Non sapevo che dire. E le chiavi sono sul tavolo della cucina.
-Oddio Eva! Non potevi dirmelo prima… siamo già in ritardo. Poi chi lo sente Alfredo.-
-Zio Alfredo tanto ti vuole sposare!- Alfredo Banazzi era il suo capo, proprietario della galleria d’arte di cui lei era responsabile. In realtà più che un vero e proprio capo era un amico d’infanzia: la sua famiglia aveva sempre frequentato quella di Matilde e ancora prima di aver finito  la specializzazione l’aveva accolta a braccia aperte come sua aiutante per poi pian piano lasciarle sempre più responsabilità, in più si era sempre più affezionato a loro due, soprattutto ad Eva. Proprio per questo suo padre un giorno durante i pranzi domenicali aveva scherzato sul fatto che prima o poi l’avrebbe sposata, purtroppo Eva aveva sentito e si era convinto che il giovane ed elegante zio Alfredo volesse sposare davvero sua madre. Inutile dire che per lei ormai mancava solo la data delle nozze e a nulla erano serviti i rimproveri e le spiegazioni di Matilde.
Per fortuna almeno la pioggia si era interrotta, solo momentaneamente a giudicare dal colore plumbeo del cielo, così da permettere alle due di raggiungere la Lancia senza inzupparsi fino alle ossa.
Accompagnò la bambina fino alla porta della classe e si scusò un attimo con la maestra per il ritardo, la signora Annabella come al solito la tranquillizzò con un paio di gentili frasi e le ricordò della riunione quel giovedì.
-Ci sarà anche il papà?- La guardò scettica, nascose l’irritazione per quello sguardo e annuì convinta. In realtà non era sicura se Luca ce l’avrebbe fatta quella volta ma pur di liberarsi di quella pettegola avrebbe raccontato di tutto. C’erano alcuni genitori che non avevano mai fatto parte di nessuna riunione, ma siccome non avevano la loro età  ed erano “felicemente” sposati era tutto normale. Non era certo colpa loro se avevano entrambi appena 27 anni, e nemmeno il fatto che tutti e due avessero due lavori impegnativi. Si costrinse a non pensarci, in fondo ormai era abituata all’atteggiamento che molti avevano nei suoi confronti, o in generale nei confronti delle madri giovani-
Corse fino alla galleria e anche là si scusò con Alfredo, diede ovviamente la colpa di quel ritardo alla maestra di Eva e lui parve dimenticare l’accaduto.
Lavorava  in quella galleria da ormai quasi tre anni, senza contare il periodo di pratica che aveva fatto anche durante gli anni all’università. Era di casa, perciò anche il ritardo le era permesso, Alfredo le era stato vicino anche nel periodo della gravidanza, in assoluto il migliore e peggiore della sua vita allo stesso tempo, era stato un buon confidente e amico. In più le doveva mille favori… e ricordarglieli ogni tanto non guastava mai.
Attese metà mattinata l’arrivo di tre nuove tele dalla Germania e due dall’Olanda. Le guardò soddisfatta e si ripromise di venderle a tempo record, dopodichè decise con l’aiuto di Brigitte, la segretaria di Alfredo, dove sistemarle al meglio e cominciò a compilare i soliti moduli.
 La giornata fu  tranquilla e silenziosa. Spesso accadeva che ci fossero dei periodi di assestamento nella Galleria, il suo lavoro era come un ciclo: prima stancanti e caotici periodi di vendita, poi altri in cui l’unica cosa da fare era prepararsi al prossimo assalto dei compratori. Le ore quindi passarono velocemente, tanto che solo quando Brigitte le ricordò di andare a prendere  Eva si accorse dell’ora.
Le sei.
-No, oggi ci va mia madre. Mi ha accusato di non portarla da loro abbastanza e che se la vede troppo poco è colpa del mio lavoro.- La ragazza francese sorrise e annuì.
-Quindi indirettamente darà la colpa anche a quel poveraccio di Alfredo.-
-Ovviamente subirà una lavata di capo da parte di mia madre alla prossima cena.- L’altra ridacchiò soddisfatta, sembrava sempre godere un po’ delle sfortunate vicissitudini del loro capo.
-In più Eva questo week end è da Luca e dai nonni paterni. Se la potrà godere poco,  si prospetta una lavata di capo doppia!- Brigitte rimase pensosa per un po’, pinzava lentamente i plichi di fogli che poco prima Matilde aveva compilato ma era chiaro che avesse la testa da tutt’altra parte. Si schiarì poco dopo la voce, attirando di nuovo l’attenzione di Matilde.
-È così bello che abbiano questo rapporto, una mia amica ha un bambino di tre anni e il suo ex si fa vedere solo quando gli pare.- Lei annuì d’accordo, storie del genere ne aveva sentite a bizzeffe. Sapeva benissimo quanto era fortunata. Si, forse all’inizio non lo aveva realmente capito, ma col passare del tempo era riuscita a vedere la sua vita in una prospettiva completamente nuova e positiva, si era persino convinta che l’arrivo della bambina le avesse dato la spinta in più per crescere e maturare. Sapeva che aveva dovuto rinunciare a tante cose con la maternità, ma col senno si poi aveva capito che non avrebbe mai potuto affrontare le cose in quel modo se avesse avuto la sfortuna di avere a che fare con altri elementi maschili della sua età
-Beh diciamo che nonostante io e Luca abbiamo fatto una cavolata ho avuto la fortuna di farla con la persona giusta.- 
- E soprattutto hai Eva.- Brigitte sorrise dolcemente, anche lei sotto l’incantesimo di quella bambina.
 
Mezz’ora dopo era finalmente a casa. La prima cosa che fece fu liberarsi di quelle terribili scarpe. Le gettò nervosamente vicino alla scarpiera e infilò le calze più grosse e lanose possedesse, seguite poi dalle sue babbucce arancioni.
Prese dal frigo una lattina di birra. Non amava bere sola, in realtà la faceva sentire un po’ Homer Simpson, ma capitava poche volte di essere sola a casa e ogni tanto le mancava sdraiarsi poco elegantemente e bere birra dalla lattina.
Appena accese il computer vide il telefono vibrare. Guardò lo schermo e vide il nome di Luca, sperò vivamente non rimandasse la cena con Eva il giorno dopo o avrebbe dovuto sopportare le lamentele di sua figlia.
-Pronto?-
-Hei ciao, come stai?- La sua voce come sempre era profonda e rauca, era sempre stata capace di calmarla in pochi secondi.
-Tutto bene, tu?- Non doveva evidentemente rimandare, o avrebbe già cominciato a chiedere scusa e maledire uno dei suoi pazienti in ritardo.
-Benone. Senti ti ho chiamato….-. fece una pausa e insultò come al solito  un povero pedone. Matilde non poté evitare di ridere nel sentirlo maledire il povero sfortunato.
-Sti coglioni! Io faccio di tutto per stare attento, metto pure i merda di auricolari e questi si buttano sulle strisce manco volessero finire sotto le ruote!- Anche il nervoso alla guida era una cosa che avrebbe sempre associato al ragazzo. La prima volta che era salita in macchina con lui le era quasi venuto un infarto.
-Fai più attenzione, Eva non ci metterebbe mai piede in carcere, nemmeno per venire a trovare te.- Lo sentì ridere e darle torto, per lui sarebbe andata pure in un carcere.
-Si forse hai ragione. Comunque che dovevi dirmi?-
-Ah si, vuoi venire a cena domani con me ed Eva? Ho scoperto una trattoria buonissima non lontano dalla città, fanno dei piatti strepitosi. La pasta è fresca, come piace a te…- Sapeva benissimo quali erano le sue debolezze, solo al sentire pasta fresca il suo stomaco prese a fare le capriole.
-Mi vuoi tentare col cibo?- Lui rise dall’altro capo. Le sembrò quasi di vederlo scuotere la testa mentre ridacchiava.
-Funziona sempre.- Lei non potè che dargli ragione. Ovviamente non rifiutò l’invito e si misero d’accordo per vedersi la sera dopo.
Appena chiuse il telefono il campanello suonò, non guardò nemmeno dal videocitofono sapendo con certezza che solo sua madre suonava il citofono così tante volte e in modo tanto molesto. Quando sentì la corsa veloce di Eva aprì la porta dell’appartamento, lasciando che sua figlia si lanciasse direttamente sul divano.-
-Ciao mamma! Sono stanchissima!- Sua madre entrò con calma dalla porta, la salutò con calma e le baciò leggermente le guance.
-Ciao mà, com’è andata?-
-Tutto bene, siamo andate al cinema e poi in libreria.- Si liberò della sciarpa e del cappotto, poggiandoli ordinatamente sull’attaccapanni. Le passò anche una busta bianca, al suo interno vi erano tre libri colorati. Evitò di dirle il solito “non dovevi”, tanto sua madre sembrava non recepire il messaggio.
-Eva si è comportata bene?- Fabiola non fece in tempo a rispondere che Eva lo fece al posto suo.
-Si benissimo.- Le due si sforzarono di non ridere del tono autorevole e convinto della bambina.
-Eva non ho chiesto a te.- Eva spalancò la bocca offesa per l’esclamazione della madre.
-Si, è stata un angelo.- Ovviamente nonna Fabiola, come tutte le nonne, tendeva a viziare e difendere  sua nipote senza limitazioni, il che rendeva Eva un vero angelo in sua compagnia. Al solo sentire il nome della nonna sembrava cambiare espressione e mettersi quella più angelica e sorridente del repertorio. Era un’attrice nata. Mise anche il giubbotto della bambina nell’attaccapanni.
-Ah quasi mi dimenticavo, ha chiamato papà prima.- Sorrise nel vedere il viso della bambina illuminarsi – ha detto che domani siamo invitate a mangiare insieme a lui in un nuovo ristorante che ha scoperto!-
-Vieni anche tu!?- Eva cominciò a saltare sul posto e esprimere la sua gioia con gridolini e esclamazioni confuse. In realtà se l’era immaginata quella reazione.
-Come se foste sposati!- Il sorriso sul volto di Matilde si congelò, strinse i pugni e cercò di non dare a vedere a nessuna delle due quanto quell’esclamazione potesse colpirla. Si perché non poteva dire che la frase di Eva le avesse dato fastidio, era una bambina e l’ingenuità con cui colorava le sue esclamazioni le garantivano sempre il perdono, più che altro le sembrava di sentire una voce dentro di sé accusarla di non fare abbastanza, di non darle abbastanza. Non darle una famiglia.  Quindi quella frase la colpiva, poi era la sua coscienza a darle fastidio e ferirla.
Scacciò quei pensieri e sorrise con più convinzione.
-No, come due amici amore. Io e papà non siamo sposati.- E mai lo saremo avrebbe voluto aggiungere, ma in realtà non aveva motivo di fare quell’uscita, quindi le tenne per se.
Vide negli occhi di sua madre una punta di tristezza, ne conosceva il motivo ma anche quella volta lo ignorò e decide di lasciarla perdere. In fondo non la biasimava, qualunque madre avrebbe voluto che sua figlia avesse una famiglia stabile, soprattutto per Eva.
La bambina annuì, poi sembrò lasciar perdere la cosa. Cominciò a raccontarle la sua giornata, le favole che la maestra aveva letto in classe e la gita con nonna Fabiana.
Sua madre se ne andò poco dopo, le baciò le guance e le fece i complimenti per i due nuovi mobili acquistati la settimana prima. Non le disse nient’altro, la guardò negli occhi e poi se ne andò velocemente. Era certa che una volta tornata a casa avrebbe raccontato dell’accaduto a suo padre, ne avrebbero parlato a cena, a letto prima di dormire e persino la mattina dopo. Era questo il loro modo di risolvere i problemi, comunicare, parlare e confessarsi l’un l’altro. Sperò solo che non la biasimassero troppo per come aveva scelto di vivere la sua vita.
Mangiarono in fretta, erano entrambe stanche, Eva più di Matilde, tanto che quando poggiò le testa sul cuscino non ci fu nemmeno bisogno di leggerle qualche pagina di un libro per farla addormentare.
Si preparò lentamente per la notte, riordinò la camera e mise i panni sporchi in lavatrice.
Poi nella solitudine della sua stanza non potè non aprire l’ultimo cassetto del comò. Sotto una pila di lettere la solita scatolina in velluto blu sembrava attenderla. Solitamente si limitava a guardarla, poi la ricopriva e andava a dormire. Quella notte invece se la rigirò tra le mani, poi la aprì.
Al suo interno il solitario brillò e sembrò salutarla in modo beffardo come a dire sono qui e anche se non mi accetti non  me ne vado.
Lo ammirò a lungo, apprezzandone il taglio e l’eleganza. Luca aveva sempre avuto buon gusto in tutto, aveva azzeccato persino la taglia.  Renderglielo le avrebbe tolto un peso, ma lui di questo ne era consapevole e non le avrebbe mai permesso di dimenticarsi. Matilde aveva sempre pensato che quel rifiuto lo avesse offeso più di quanto non desse a vedere, eppure tutt’oggi non si pentiva del suo secco  no. Si perché quando le aveva confessato di essersi offeso aveva capito di aver fatto la scelta giusta. Quando un uomo viene rifiutato dalla donna a cui chiede la mano non si sente offeso, si sente distrutto, sofferente, non offeso.
Avrebbe accettato solo un uomo in grado di amarla, non qualcuno che si sentiva in colpa per averla messa incinta.
 
Buongiorno!! Che dire, prima di tutto vorrei chiedere perdono per gli errori che sono certa ci saranno nella storia, non fatevi scrupolo a farmeli notare, in fondo è la mia prima storia, sarebbe strano non ce ne fossero!
Questo è un capitolo un po’ di presentazione, ho voluto descrivere parzialmente i personaggi principali, e delineare una trama iniziale.  Anticipo già che la storia si svilupperà su due binari paralleli: uno è il presente, uno è il passato, cioè quando cinque anni prima Matilde scopre di essere rimasta incinta.
Alla prossima! Bacioni!

 
   
 
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