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Autore: _Emanuela_3    16/11/2015    2 recensioni
«Aspetti che l’aiuto..»
Una voce familiare mi sorprende di spalle facendomi voltare. Davanti a me l’oggetto della mia più stupida cotta adolescenziale: Marcus Brown, di origini italiane, professore di storia e filosofia e moderatore del corso di poesia. Mi schiarisco la voce, consapevole di essere diventata un tutt’uno con il mio vestito rosso.
« Professor Brown ..? »
«Rebecca? »
Parliamo nello stesso momento, entrambi sorpresi. Lui non dovrebbe essere qui, vive dall’altra parte del mare sul “continente” con la sua splendida e biondissima moglie. Mi sento stupida come la prima volta che l’ho visto, al primo anno. Da quel giorno ho sempre avuto una sorta di cotta / venerazione per lui e in modo particolare per la sua voce. Ci studiamo per quella che sembra un eternità mentre il suo sguardo corre velocemente lungo il mio corpo. Facendomi sentire d’improvviso nuda. […] Fino a cinque secondi fa mi sentivo carina, ma ora sotto il suo sguardo indecifrabile mi sento un piccolo anatroccolo nero.
«Anche tu vivi qui?» chiede interrompendo il silenzio, mentre si avvicina allungando una mano per prendermi le buste.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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I. Una serie di (s)fortunati eventi

  Il trasloco sta andando per le lunghe, anche se di nostro è rimasto poco o niente. Ogni giorno passo un paio d'ore alla villetta, cercando tra i resti di recuperare qualcosa, che sia una foto o un libro mal ridotto. L'ultimo maremoto è stato tremendo, fortunatamente la città è stata risparmiata ma chi, come noi, abitava lungo la costa est ha perso tutto. Della nostra casa è rimastomolto poco, la ricostruzione questa volta sarà dura. Tuttavia la mamma non vuole mollare, anche se questo significa aumentare le ore di lavoro per pagare la ditta . Vive in quella casa da quando è nata e prima di lei tre generazioni di McCleod ci hanno vissuto. Tre generazioni che non hanno fatto altro che ricostruire questa casa dopo ogni maremoto, come una fenice che rinasce dalle sue ceneri.
Anche io amo quella casa, con il patio che affaccia sul tramonto e le finestre alte. Ma vedere mia madre spaccarsi di lavoro per metterla in piedi un’altra volta mi fa rabbia. Le assicurazioni ci hanno tutte chiuso la porta in faccia, nessuno vuole farsi carico di una casa così problematica, così le spese sono tutte sulle nostre spalle.  Io per arrotondare un po’ lavoro cinque ore alla settimana alla tavola calda, di più non posso fare: frequento l’ultimo anno e devo prepararmi per le domande d’ammissione al college. College che potrò frequentare solo previa vincita di una borsa di studio.
    Tra un pensiero e l’altro arrivo davanti alla nostra nuova \ momentanea abitazione: un piccolo condominio non troppo lontano dalla scuola. Fermo l’auto  e scarico il porta bagli. Con lo scatolone da una parte e le borse della spesa dall’altra mi incammino verso il portone.
«Aspetti che l’aiuto..»
Una voce familiare mi sorprende di spalle facendomi voltare. Davanti a me l’oggetto della mia più stupida cotta adolescenziale: Marcus Brown, di origini italiane, professore di storia e filosofia  e moderatore del corso di poesia. Mi schiarisco la voce, consapevole di essere diventata un tutt’uno con il mio vestito rosso.
« Professor Brown ..? »
«Rebecca? »
Parliamo nello stesso momento, entrambi sorpresi. Lui non dovrebbe essere qui, vive dall’altra parte del mare sul continente -come chiamiamo la città dall’altra parte del ponte- con la sua splendida e biondissima moglie. Mi sento stupida come la prima volta che l’ho visto, al primo anno. Da quel giorno ho sempre avuto una sorta di cotta / venerazione per lui e in modo particolare per la sua voce. Ci studiamo per quella che sembra un eternità mentre il suo sguardo corre velocemente lungo il mio corpo. Facendomi sentire d’improvviso nuda. Indosso un abito lungo e comodo, di un rosso che fa risaltare l’abbronzatura, dei sandali bassi in stile schiava e i miei indomabili capelli ricci sono raccolti in un disordinato chignon di fortuna. Fino  a cinque secondi fa mi sentivo carina, ma ora sotto il suo sguardo indecifrabile mi sento un piccolo anatroccolo nero.
«Anche tu vivi qui?» chiede interrompendo il silenzio, mentre si avvicina allungando una mano per prendermi le buste.
Mi riscuoto e sperando di non sembrare troppo agitata gli rispondo.
«Mi sono trasferita da poco, per via del maremoto. » dico velocemente «ma … lei non dovrebbe vivere  nel continente»
«Sì, ci vivevo fino a pochi giorni fa.  » così dicendo mi toglie le borse delle mani e si sposta per aprire il portone lasciandomi imbambolata. Intenda a ripetere nella mia testa la conversazione appena avvenuta.
«Che fai non vieni?» domanda divertito. Chiudo gli occhi e sospiro, mi giro e gli passo accanto per entrare nel portone. Lo seguo fino all’ascensore mentre lo scruto con la coda negli occhi. Non mi era mai capitato di incontrarlo in un contesto non scolastico e non so proprio come comportarmi. Solitamente è sempre vestito in jeans e camicia, ne ha un intero arsenale: da quelle celesti a quelle bianche, passando per quelle blu e nere. Sempre sobrio e professionale. Oggi invece sembra un ragazzo come tanti. Indossa una camicia di jeans arrotolata sulle maniche da cui spunta una canotta nera che mette in risalto il suo petto. I capelli sono disordinati e il suo viso è più rilassato.  «A che piano abiti?» domanda interrompendo i miei pensieri. «All’ultimo, se deve scendere prima non si preoccupi. Sono abituata..» dico sforzandomi di sembrare normale, l’idea di essere chiusa qui dentro con lui per cinque piani mi manda in pappa il cervello.
 «Si da il caso che questo sia il tuo giorno fortunato» ammicca «a quanto pare sono il tuo dirimpettaio »mi spiega sorridendo. E in un attimo torno ad essere l’insicura ragazzina di 14 anni con una cotta secolare per il suo tremendamente sexy insegnante. Mi sforzo di ricambiare il suo sorriso. L’ascensore sale fino al nostro piano, non appena si aprono le porte mi fiondo fuori e poggio lo scatolone vicino alla mia porta.
«La ringrazio per l’aiuto» dico allungando la mano per prendere le buste.
« È  stato un piacere, ci vediamo Becca» mi saluta prima di chiudersi la porta alle spalle.
 
     Resto a fissare la sua porta chiusa per qualche secondo, cercando di convincermi che tutto questo non sia frutto della mia immaginazione. Sbuffo esasperata  e finalmente mi decido ad aprire la porta di casa. Tiro fuori il mazzo di chiavi dalla borsa per aprire la porta. Provo a infilarle nella toppa ma niente. Per evitare di spezzarle rinuncio e chiamo mia madre, che stranamente risponde al primo squillo.
«Scommetto che sei fuori la porta e non riesci ad aprirla » esordisce divertita.
«Esatto…» le risponde esasperata.
«Questa mattina ho dimenticato di dirti che sarebbero venuti a cambiare la serratura, sono uscita di corsa e non ti ho lasciato la copia nella cassetta della posta. Mi dispiace cucciola»
«E adesso come faccio ad’entrare? Papà non può portarmele?»  chiedo a metà tra lo scoraggiata e l’esasperata.
«No anche lui oggi è fuori, ha una causa a Kennedy City. Dovrai aspettare il mio ritorno dal continente. » continua dispiaciuta.
Le mie amiche sono ancora in vacanza e mia nonna è andata a trovare lo zio a New York così non mi resta che aspettare sul pianerottolo.
«Perfetto! Aspetterò qui, sola , abbandonata e affamata. Genitori immondi. » dico con finta disperazione, in realtà sto sorridendo. Avvolte penso che mia madre potrebbe dimenticarsi la testa se non fosse ben salda sulle sue spalle.
«Mi dispiace cucciola, mi farò perdonare! Al ritorno mi fermo da Mary a prenderti la torta al cioccolato che ti piace tanto.» promette prima di salutarmi.
Questa giornata si prospetta decisamente lunga. Fortunatamente ho il cellulare carico e per un po’ posso intrattenermi con lui. Frugo nelle borse della spesa per prendermi una mela. Così imparo a non fare colazione la mattina. Il rumore della porta aprirsi mi fa girare di scatto.
«I muri sono leggeri » dice come se quella fosse una spiegazione. Ha tolto la camicia ed’è rimasto in canottiera. Il mio cervello ha troppi input e non riesce a elaborare una risposta così mi limito a  guardarlo confusa.
« I muri sono leggeri, così non ho potuto fare a meno di ascoltare la tua conversazione». Apro e richiudo la bocca.  Promemoria per il futuro: non parlare per le scale.  «Se vuoi la mia casa è aperta, stavo giusto preparando qualcosa per pranzo»  continua non ricevendo da me nessuna risposta.
«Oh…oh! No non si preoccupi, non è un problema per me aspettare qui»
«Non essere sciocca Rebecca, prometto di non interrogarti, parola di scout! » così dicendo fa con le mani il segno di giuramento strappandomi una risata.
«Va bene, la ringrazio» dico stupendo in primis me stessa. Il suo volto si apre in un sorriso mentre si sposta di lato per farmi passare. Mi dice di mettermi comoda mentre si occupa del pranzo: carne alla piastra e insalata. Dato che ha prontamente rifiutato il mio aiuto mi siedo sul divano in pelle e faccio vagare lo sguardo per la stanza.
 
    Il suo appartamento è proprio come me lo sarei immaginato. Su una parete ha una libreria in legno chiaro che arriva fino al soffitto, di lato c’è una scala con ruote per raggiungere i ripiani più alti. Nonostante l’uso del legno è una casa molto moderna. 
La sala e la cucina formano insieme un grande open space, rendendo la casa ancora più luminosa per l’assenza di pareti di mezzo. Cerco di evitare di guardare nella sua direzione ma non mi riesce molto bene.
Se mi vedesse Paul, il mio ex ragazzo, avrebbe la conferma a ogni sua insicurezza. Ci siamo lasciati all’inizio delle vacanze, dopo due anni. Ho pensato veramente che fosse il mio grande amore, ma la sua gelosia e il suo carattere possessivo hanno finito con il soffocare ogni briciola del mio amore. Il professor Bronw è stato causa di molte liti, ogni volta che lo nominavo finivamo con il discutere. Nonostante Paul non abbia mai frequentato un suo corso sapeva benissimo che effetto faceva alle studentesse. Nonostante io abbia cercato di negarlo fino alla nausea, dalla prima volta che l’ho visto  ne sono rimasta affascinata, come nel più classico dei cliché. I primi anni gli rivolgevo parola solo se fosse strettamente necessario, con il tempo ho imparato ad’essere più aperta e serena in sua presenza. Per lo meno lo ero fino a questa mattina.
«Con tutto quel pensare non ti viene mai mal di testa?» mi chiede divertito. Alzo gli occhi nella sua direzione e lo trovo intento a guardarmi con i piatti in mano.
«Come…?» domando sorpresa, alzandomi per raggiungerlo a tavola.
«Come so che stavi pensando? In questi anni ho notato che ogni volta che ti perdi nei meandri della tua mente arricci il naso, proprio come stavi facendo poco fa» risponde semplicemente. Mi limito a sorridergli timidamente sedendomi sulla sedia da lui indicatami. Abbassando lo sguardo noto che il suo anulare sinistro è privo della sua immancabile fede e che al suo posto c’è una striscia di pelle leggermente più chiara del resto. Seguendo la direzione del mio sguardo si tocca il dito con l’altra mano sorridendo mestamente.
«Abbiamo divorziato» risponde alla domanda che non avrei mai avuto il coraggio di porgli. Punto il mio sguardo nel suo alla ricerca di un sentimento di tristezza o qualcosa del genere. Ma niente, sembra sereno.
«Mi dispiace…» gli dico
«Non devi, è stato meglio per entrambi. E mi ha permesso di trasferirmi in questo splendido appartamento, avrei sempre voluto vivere qui a Charlotte»  mi sorride «spero che la carne ti piaccia cotta così». Fortunatamente cambia argomento e non devo replicare. La mia testa sta ancora elaborando la sua separazione.
«Sì va benissimo grazie».
Il resto del pranzo passa tranquillamente e riesco per fino a rilassarmi. Il professore sa come mettere a proprio agio i propri ospiti. Alla fine lo convinco a lasciarsi aiutare a lavare i piatti. Ma quella che inizialmente mi sembrava un’ottima idea mi si rivolta contro quando mi rendo conto di quanta intimità ci sia nel lavare i piatti di fianco a qualcuno. Oppure è tutto nella mia testa come al solito.
«Un penny per i tuoi pensieri » commenta divertito passandomi l’ultimo piatto. Lo guardo per un attimo confusa. «Stavi di nuovo arricciando il naso». Mi spiega guardandomi a sua volta. Credo che sia la prima volta che lo guardo veramente negli suoi occhi grigi a tratti quasi trasparenti. Non credo di aver visto mai occhi più belli dei suoi. «Beccata » gli rispondo voltando lo sguardo.
Lancio uno sguardo all’orologio, sono solo le tre.
«Non vorrei abusare oltre della sua ospitalità» dicco tutto d’un fiato. «Mia madre non sarà a casa prima delle cinque e io posso andare ad aspettarla al parco o da qualche altra parte» farfuglio imbarazzata. L’idea di dover stare altre e due ore sola con lui mi manda in tilt.
«Capisco che passare del tempo con il tuo vecchio e noioso professore di storia non sia il massimo, ma è una giornata molto calda, vuoi davvero passare le prossime due ore a scioglierti dal caldo? » mi dice bonario.
«Lei non è vecchio» gli rispondo sorridendo. «Ah quindi sarei noioso?» inarca le sue folte sopracciglia nere.
«Beh…»
«Beh? Non vorrai mica cominciare l’anno con un bel due »
«E va bene, devo ammettere che per essere un professore non è poi così noioso» replico calcando sulla parola professore.
«Ecco adesso ragioniamo. Visto che siamo arrivati alla conclusione che non sono né vecchio né noioso che ne dici se ci guardiamo un film? E prima che torni a pensierolandia non mi disturbi e non ho di meglio da fare. Detto questo su quello scaffale c’è la mia collezione di Dvd scegline uno, intanto metto i pop-corn nel microonde». Così dicendo mi volta le spalle e torna verso il piano cottura. Resto per un attimo imbambolata per poi dedicarmi alla scelta del film. Chi mi conosce sa bene che non c’è errore più grande che lasciarmi scegliere il film,  indecisa come sono ci metto sempre un eternità.
Noto compiaciuta e dispiaciuta allo stesso tempo che la sua collezione è molto variegata e ricca. Questo renderà più difficile prendere una decisione. Posso scegliere tra i grandi classici alle ultime uscite, tra cartoni e commedie, thriller e film horror. Alla fine vengo catturata da l’attimo fuggente, ricordo che durante il nostro secondo anno il professor Brown lo aveva inserito nell’elenco dei film da vedere almeno una volta nella vita. Film che ovviamente avevo visto e rivisto in quegli anni. L’attimo fuggente era stato uno di quelli che mi aveva colpita di più, così decido per quello. Lo metto nel dvd e mi siedo sul divano. Avendo solo due posti o il professore si siede sulla poltrona oppure saremo costretti a sederci vicini.
«Uhm l’attimo fuggente, questo è un film»
«Da vedere almeno una volta nella vita» continuo al posto suo.
Mi guarda sorpreso «Allora le mie parole non cadono tutte nel vuoto» sorride posando la ciotola con le pop-corn davanti  a me. Tira le tende in modo tale che il sole non rifletti sulla tv e spinge play. Si accomoda vicino a me e il mio cuore perde un battito.
Guardiamo il film silenziosamente, sto attenta a prende le pop-corn quando lui ne ha già in mano in modo tale da non rischiare l’imbarazzante situazione di prenderle insieme.
Se al posto mio ci fosse stata Emily, una delle mie migliori amiche, si sarebbe sicuramente goduta di più quest’opportunità. Lei ha un carattere molto più espansivo del mio, se vuole qualcosa o qualcuno se le prende senza pensare troppo alle conseguenze. Al posto mio forse ci avrebbe anche provato, o comunque avrebbe reso la situazione più…calda. Qui invece di caldo ci sono solo io, penso mordendomi il labbro inferiore. Con Paul non ho mai provato tutta questa tensione, né ho mai sentito i brividi per un suo sguardo. Emily direbbe che il professore mi ha risvegliato l’ormone dormiente, come lo chiama lei.
Marcus Brown si sistema meglio sul divano e spostando le gambe il suo ginocchio sfiora il mio, non dando peso alla cosa lo lascia li a contatto con il mio per tutto il resto del film. Film di cui non ho seguito neanche una battuta.
Poco prima dell’arrivo di mia madre lo saluto ringraziandolo per l’ospitalità.
« È  stato un piacere, Rebecca» 

Ho deciso di pubblicare immediatamente il primo capitolo così da farvi consocere fin da subito i due protagonisti: Rebecca e Marcus Brown. Il comportamento del professore potrà sembrarvi strano o poco professionale, decisamente troppo la mano, ma per lo meno nella mia esperienza ho scoperto che i professori fuori dall'orario scolastico sono molto più "umani" :P senza per questo dover creare confusioni tornati a scuola. Ho notato piacevolmente che c'è già chi ha inserito questa storia tra le ricordate e le preferite e voglio ringraziarvi per la fiducia, spero di non avervi deluso con questo capitolo e di non farlo con i capitoli futuri! So già dove andare a parare con la storia e non dovrebbe essere troppo difficile scrivere i prossimi capitoli. 

Al prossimo capitolo! :)
   
 
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