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Autore: Kicca    16/11/2015    2 recensioni
Un Orchetto rovinò a terra ai piedi di Monica che osservò disgustata il ventre lacerato. Alzò lo sguardo e quello che vide la pietrificò. Il cuore iniziò a batterle ancora più velocemente. Non riusciva a credere ai suoi occhi. “Sto sognando! E’ l’unica spiegazione plausibile!” pensò non staccando gli occhi di dosso all’individuo davanti a lei. Nonostante l’oscurità riusciva benissimo a vedere due orecchie a punta che spuntavano tra la lunga e folta chioma nera.
Spero che la storia vi piaccia! Mi raccomando recensite! :D
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J. R. R. Tolkien, mentre Monica e gli amici sono di mia proprietà, quindi se li volete usare o prendere come spunto, prima siete pregati di chiedermelo. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

ERINTI

CAPITOLO 17: DESOLAZIONE.

Monica aveva dormito quasi per tutto il tragitto mentre il cavallo continuava a mantenere un'andatura sostenuta, ormai mancava poco ad Imladris. La febbre era alta e lei non riusciva a muovere un muscolo, a parte il battere i denti per il freddo. Se ne stava lì sopra, in balia dei movimenti del quadrupede, incapace di fare qualsiasi cosa.
Il tempo non prometteva nulla di buono, ma almeno non aveva nevicato. Era già calata la sera da un pezzo quando in lontananza percepì il rumore del Bruinen. Fra poco avrebbe scorto l'Ultima Casa Accogliente.
Raccolse tutte le poche energie che aveva e provò a drizzarsi. Intravide il dirupo davanti a lei. Il cuore, che già le batteva veloce, accelerò: ce l'aveva fatta. Ma poco dopo notò che c'era qualcosa che non quadrava.
Venne invasa da uno strano odore pungente, acre, che si faceva mano a mano sempre più forte. In un primo momento non capì. Poi l'espressione si fece tirata e il cuore le perse un battito. Era odore di bruciato.
Si tirò su a sedere, lentamente. Scrutò meglio intorno a lei. Tra le nuvole del cielo plumbeo, dalla direzione di Imladris, si levava un filo di fumo che si confondeva nell'oscurità. Sperò di sbagliarsi.
Ma quando finalmente raggiunse l'orlo del precipizio il terrore la invase come una doccia fredda. In lontananza non c'erano luci provenienti dalla dimora di Elrond. Era tutto immerso nell'oscurità. Solo un fortissimo odore di bruciato che non lasciava presagire nulla di buono. Il panico si impossessò di lei.
Sperò che il cavallo potesse andare il più veloce possibile, ma con la neve e il ghiaccio il sentiero era diventato pericoloso e quasi impraticabile. Fecero molta fatica a scendere.
Dopo lunghissimi minuti giunsero finalmente in fondo alla valle e qui la disperazione le attanagliò il cuore.
- No! - gemette con voce roca mentre spostava lo sguardo tra le rovine che le si paravano davanti, incredula. Qualche colonna di fumo si levava qua e là – No! - provò a gridare con la poca voce che aveva, ma le uscì solo un flebile lamento. Spronò il cavallo che riprese ad avanzare con andatura più veloce. In poco tempo raggiunse l'ingresso di quel che restava dell'Ultima Casa Accogliente. Fece per smontare, ma ci mise troppo impeto e, malandata com'era, piombò a terra di schiena. Il fiato le si mozzò, le ci volle un bel po' per riprendersi dalla botta. Si dovette aggrappare al quadrupede che le era andato in aiuto, per rialzarsi.
Fece per muoversi, ma il cavallo la trattenne per i vestiti. Lei si voltò a guardarlo sorpresa. Sembrava non volesse lasciarla andare da sola. Lei lo accarezzò – Devo andare. - sussurrò. Quello sbuffò e lasciò la presa. Con passi incerti e instabili si diresse verso i gradini. Percorse diversi corridoi e salì diverse scale con la velocità che le era concessa, stringendo i denti per il dolore. Era disperata e piangeva. Non riusciva a capacitarsi di essere arrivata troppo tardi. Vi era sangue ovunque e di tanto in tanto corpi di Orchetti. Questo la rincuorò.
Ma la scena che le si presentò poco dopo davanti, appena girò un angolo, fu il colpo di grazia. Si portò un braccio a coprire il naso e la bocca. Un fortissimo tanfo la investì. Poi sgranò gli occhi terrorizzata, sbiancando. Aveva capito cosa fosse quell'ammasso scuro davanti a lei, da cui saliva del fumo. Lì, sul freddo pavimento dello spiazzo ai piedi delle scale che portavano alla Sala del Fuoco, vi erano stati ammucchiati dei corpi a cui era stato dato fuoco. E quei corpi non erano di Orchetti. Non riuscì a reprimere il conato di vomito. Le ginocchia le cedettero e si accasciò a terra, disperandosi. Poi il buio.

Riprese conoscenza il mattino. Faceva molto freddo. Evitò accuratamente di guardare l'orrore accanto a lei e, tra le lacrime e i singhiozzi, iniziò a vagare per il luogo desolato. Di giorno faceva anche più impressione: il risalto delle mura annerite dall'incendio contro il bianco della neve. Avevano distrutto tutto, non era rimasto integro niente, solo lo scheletro di quello che prima era un posto incantevole. Le statue erano state tutte distrutte; i dipinti ai muri sfregiati; non avevano lasciato un centimetro intatto. Continuava a maledirsi e a maledire sua cugina. Sperò con tutto il cuore che qualcuno fosse riuscito a salvarsi. Le vennero alla mente i visi dei suoi amici. Dovette appoggiarsi al muro per non crollare di nuovo a terra, straziata dal dolore.
Non sapeva nemmeno lei dove stesse andando, vagava senza meta, troppo sconvolta per ragionare o capire dove si stesse dirigendo, finché dei rumori non attirarono la sua attenzione. Si bloccò e restò in silenzio ad ascoltare. Credette di esserseli immaginati, ma poco dopo li percepì di nuovo, non molto lontani. Sembravano dei colpi di tosse, poi delle risate gutturali, delle voci roche. Decise di andare a controllare e lentamente, cercando di non far rumore, si diresse in quella direzione. Si appiattì contro il muro. Le voci provenivano da dietro l'angolo. Sporse leggermente la testa in avanti. Vide due figure lungo il corridoio, la pelle scura e putrida, avvolte in armature nere: erano due Orchetti. Stavano parlando tra di loro.
- Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli altri. Sarà bello ascoltarlo lamentarsi mentre il fuoco corrode la sua pelle... - proferì quello più lontano da lei.
Il compare scoppiò a ridere – Perché no... - disse sferrando un calcio a qualcosa ai suoi piedi – Allora? Che ne dici... vuoi essere bruciato vivo? - domandò.
Qualcuno tossì. Solo in quel momento la ragazza capì che quel qualcosa ai piedi degli Orchetti era una persona. Ed era ancora viva. Si ritrasse dietro l'angolo, gli occhi nocciola sgranati, ansimante. Portò la mano destra al coltello alla cintura e lo estrasse. Chiuse gli occhi. Aveva la testa che le pulsava. E le mani le tremavano. Si sfregò gli occhi, cercando di concentrarsi. In quelle condizioni le era difficile qualsiasi gesto, figuriamoci se riusciva ad affrontare due Orchetti. Doveva cercare di coglierli di sorpresa. Doveva essere veloce. Fece un bel respiro e si sporse di nuovo. Il più vicino a lei aveva preso per il collo il tipo a terra, sollevandolo. Quello si lamentava.
Si fece coraggio ed uscì piano piano da lì dietro. La distanza non era molta, ma a lei sembravano chilometri.
- Se non ci sbrighiamo, questo ci muore ancor prima che noi possiamo divertirci con lui. - fece notare l'altro Orchetto – Già gli manca un pezzo… - si girò verso il vicino, intravide qualcosa dietro di lui, ma non fece in tempo ad avvertirlo, vide una lama trapassargli il collo – Che… - fece sorpreso mentre due occhi furenti lo fissavano e il compare crollava a terra senza vita, insieme alla sua preda.
Monica gli si fiondò addosso con un urlo, ma quello fu più veloce, schivò il fendente e la colpì con un calcio facendola sbilanciare. La ragazza finì a terra. Il coltello le scivolò dalla mano, il dolore la invase.
L'Orchetto intanto aveva sfoderato la spada dalla lama nera e sferrò un colpo, lei lo schivò in tempo, rotolando sulla sua sinistra. Quello affondò di nuovo e lei lo schivò. Alla terza volta, la ragazza schivò e colpì con un calcio l'Orchetto al braccio, sbilanciandolo. Lo afferrò per l'arto si alzò e gli diede una ginocchiata all'addome, ma era debolissima.
Quello l'afferrò per il collo e le scoppiò a ridere in faccia - Cosa credi di fare… sei solo un topolino dispettoso. - proferì stringendo la presa.
Monica annaspò. Sentiva poco a poco le poche forze abbandonarla, la vista le si oscurava. Era un'incapace. Non era arrivata in tempo, non era riuscita a salvare i suoi amici. Ed ora era lei stessa a pagarne le conseguenze. Una lacrima le rigò il viso. Dischiuse gli occhi, aveva la vista annebbiata, ma riuscì lo stesso a vedere dietro l'Orchetto il corpo del tipo su cui si stavano accanendo i due poco prima. Era ancora vivo. “Che ne dici se lo bruciamo vivo? Come con gli altri.” quelle parole le rimbombarono in testa. Sentì invaderla la rabbia. “Puoi farcela.” ancora quella voce. Raccolse le ultime forze e sferrò un bel calcio al ginocchio dell'Orchetto che mollò istantaneamente la presa su di lei, cacciò un urlo e si accasciò dolorante su se stesso. Lei rovinò di nuovo a terra e iniziò a tossire e ad annaspare, il respiro mozzato. Cercò di sollevarsi da terra, ma le mancavano le forze. Vide quello spostare furioso gli occhi gialli su di lei. Erano iniettati di sangue. Lei si voltò. Vide il coltello a pochi metri di distanza e iniziò a strisciare disperata verso di quello.
- Tu, piccola impertinente… ti infilzerò come un maiale e ti farò morire dissanguata! - gridò l'essere fiondandosi su di lei.
Monica si diede una spinta e raggiunse l'arma, la afferrò, si girò e schivò appena in tempo il fendente del nemico che colpì il pavimento. Si diede una spinta in avanti e gli affondò il coltello nell'addome. Poi lo estrasse e gli tagliò la gola. Il corpo dell'Orchetto cadde a terra esanime. La ragazza si accasciò sul freddo marmo esausta, il respiro affannato. Scoppiò a piangere. Non sapeva come, ma ce l'aveva fatta.
Ancora scossa, si diresse carponi verso la persona che giaceva a terra. Per un attimo pensò fosse morto, poi lo sentì tossire. Lo raggiunse e lo girò supino. Un'espressione stupita le si dipinse sul viso - Alyon. - sussurrò riconoscendolo.
L'Elfo moro, sentendosi chiamare, dischiuse gli occhi. Restò diversi istanti a fissarla incantato. Una luce bianca, abbagliante e rassicurante l'aveva completamente pervaso – Sono morto? - domandò.
Monica sorrise – No, siete ancora vivo… - ma il suo sorriso scomparve quando lo sguardo le cadde all'altezza del braccio destro, o meglio, su quel che ne rimaneva. Era stato mozzato ad una spanna dalla spalla. Poi fece vagare gli occhi nocciola sul corpo e dovette girarsi da un'altra parte. Aveva il ventre lacerato. Trattenne un singulto.
- Chi siete? - domandò quello flebilmente.
Lei si voltò verso di lui, cercando di sorridergli – Dama Monica… non mi riconoscete? -
Alyon corrugò la fronte. La luce calda svanì e finalmente poté vederla in viso – Voi… - mormorò, poi tossì di nuovo. Si irrigidì per il dolore. Ogni colpo di tosse era una fitta che gli toglieva il fiato.
La ragazza era disperata – Devo portarvi via da qui. - proferì guardandosi intorno.
Lui rise – Non c'è più niente da fare… per me. -
- Non dite così. Troveremo aiuto... - replicò lei spaventata.
- Non c'è nessuno nel giro di chilometri… - la interruppe quello, gli occhi verdi velati – Lasciatemi qui… e andatevene… immediatamente. - faceva fatica a parlare – Ne arriveranno altri… sicuramente… -
- No. - piagnucolò lei – Non vi lascio qui… - si asciugò le lacrime e lo fissò risoluta – Non se ne parla. -
Lui la guardò sorpreso – Non riuscirò ad affrontare... un viaggio in queste condizioni… Non voglio che mi vediate morire… -
- Vi curerò io. Vi salverò. Farò tutto quello che mi è possibile. Sono disposta anche a ricucirvi centimetro per centimetro ogni ferita. - disse determinata – Ma mi dovrete dire come fare. -
- Siete testarda. - constatò l'altro, ridacchiando.
Lei gli sorrise – Vi devo un favore, non ricordate? -

Non era stato per nulla semplice trasportare Alyon in una stanza. Lei era completamente priva di forze, la febbre alta non le dava tregua, aveva continui giramenti di testa e la vista le si appannava spesso. Mentre l'Elfo era ridotto veramente male e sapeva che non avrebbe dovuto muoverlo, ma non voleva lasciarlo lì in mezzo al corridoio. Fortunatamente si trovavano vicino alle stanze in cui avevano alloggiato i ragazzi. La prima che gli capitò sotto mano era quella usata da Elisa e Michele. Una volta sistemato l'Elfo a terra, dato che il letto era andato bruciato, si concesse alcuni minuti per cambiarsi i vestiti. Si diresse in quella che fu la sua stanza. Pregò che gli Orchetti non avessero trovato il baule in cui vi erano le armi e fatto razzia di tutto. Quando arrivò all'ingresso, vide che la porta non vi era più, era completamente carbonizzata. Si affacciò all'interno, stessa cosa valeva per tutti i mobili, compreso l'armadio. Si avvicinò velocemente, ma non vi era rimasto più niente. Sconsolata se ne stava per andare, quando qualcosa, sulla sua destra, attirò la sua attenzione. Vi era una cassapanca un po' malridotta che non era presente l'ultima volta. All'interno, vi era qualcosa. La raggiunse e sollevò il coperchio. Le uscì un sospiro di sollievo. Vi erano alcuni abiti intatti. Iniziò a tirarli fuori per indossarli. Erano anche abbastanza pesanti e sopratutto asciutti. Ma lo stupore più grande fu scoprire che sotto di questi vi erano le armi che aveva visto nel baule mesi prima: la spada, l'arco e la faretra piena di frecce. Perfino la cotta di maglia. Sospirò di nuovo e si accasciò sulla cassapanca, appoggiando la fronte sul legno ruvido. Quel giorno era molto fortunata.
Dopo essersi cambiata e ben equipaggiata, si procurò della legna ed accese un fuoco nella stanza di Alyon. Il tetto era semi crollato e una colonna di fumo in più non avrebbe destato di certo sospetto. Quindi, seguendo le indicazioni dell'altro, andò nella stanza dove venivano tenute tutte le medicine, sperando che la sua fortuna non l'abbandonasse proprio in quel momento. Aveva bisogno di alcune di quelle per occuparsi dell'Elfo.
Quando entrò e vide la confusione che regnava, le crollò il mondo addosso. Oltre ad essere stata colpita dalle fiamme, il pavimento era cosparso di vetri in frantumi delle varie boccette e vasetti. Gli scaffali erano quasi completamente vuoti. Imprecò e si mise immediatamente alla ricerca disperata di quello che le serviva, sperando fosse rimasto qualcosa.

Alyon osservava distrattamente le fiamme al centro della stanza. Le orecchie a punta tese a captare anche il più piccolo rumore e ripensava alla visione che aveva avuto in precedenza. Non gli era capitata mai una cosa simile prima d'ora. La voce della fanciulla con cui aveva parlato era così melodica e soave che gli era arrivata dritta al cuore. Non era riuscito a vederla in volto, a causa della troppa luce, ma era consapevole che fosse qualcosa di estremamente etereo, puro. C'era qualcosa di inspiegabile e misterioso in quella ragazza.
La sentì arrivare e spostò lo sguardo sull'ingresso. Monica fece capolino nella stanza con sguardo amareggiato. Posò il contenitore che aveva in mano a terra – Niente bende e niente morfina… - proferì sentitamente dispiaciuta – E… ho trovato solo questa poca Athelas. - riferì mostrando il piccolo mazzetto nella mano.
- Quella basterà... per le ferite più gravi. - proferì l'Elfo con aria stanca.
- Per le bende ho pensato di usare quella… - mormorò indicando un brandello di tenda che svolazzava all'aria fredda invernale – Ma per la morfina… - si morse un labbro.
- Non vi preoccupate… resisterò. - la rassicurò lui.
Era metà pomeriggio, ma si stava già facendo buio. Doveva sbrigarsi, o non avrebbe potuto usufruire della luce del giorno. E già ve ne era poca a causa del maltempo. Controllò che il laccio al braccio fosse ancora ben stretto e decise di dedicarsi prima alla ferita al ventre.

Dovette fare uno sforzo immane per restare lucida. Non fu facile nelle condizioni in cui riversava lei e per la gravità delle ferite di lui. Rischiò più volte di dare di stomaco e ci mise un sacco di tempo, ma alla fine riuscì nel suo intento. Aveva ripulito tutte le ferite, con calma, centimetro per centimetro. Aveva anche indossato dei guanti che aveva sterilizzato, insieme alla tenda fatta a brandelli, nell'acqua bollente ed un indumento sul volto per evitare di infettarle con la sua influenza. Poi aveva usato l'Athelas ed infine ricucito il tutto. Alyon fu per tutto il tempo cosciente. Non osava nemmeno immaginare a quanto dolore avesse dovuto patire. Era la prima volta che usava ago e filo, sperava di aver fatto almeno decentemente il suo lavoro. Per distrarsi le raccontò per filo e per segno quello che era accaduto tre giorni prima, interrompendo di tanto in tanto il racconto per darle qualche direttiva e per qualche lamento, ma fu impressionata da quanto riuscì a resistere.
A quanto pare gli Orchetti avevano attaccato di notte ed erano tantissimi. A nulla erano valsi i loro sforzi di arrestarne l'assalto. Loro erano decisamente di meno. Le disse che aveva impresse nella mente le urla di terrore che riecheggiavano nella Valle, le fiamme alte si stagliavano nella notte, il clangore delle armi tutt'intorno a lui. Quando avevano capito che non ci sarebbe stato più niente da fare, avevano provato a scappare, ma non fu semplice e molti erano morti. Aveva visto Melime ed Elveon fuggire, di quello era sicuro. Degli altri non sapeva.
Questa notizia la rincuorò, almeno un po'.
- Quello che mi chiedo… è come abbiano fatto a scovare questo posto… - proferì mentre lei lo copriva con un mantello. Questa sgranò gli occhi e lo guardò allarmata – Che c'è? -
- Non mi dite che… - mormorò con il fiato mozzato, era diventata bianca cadaverica.
- Cosa? - chiese. Stava iniziando a preoccuparsi.
- Se non è uscita allo scoperto… - cominciò parlando più a se stessa che con l'altro – Questo non va bene! - esclamò terrorizzata.
- Mi spiegate... cosa state blaterando? - gridò come meglio poté, gli ci volle un grande sforzo.
- Morwen… - disse con voce rotta – C'è lei dietro a tutto questo. - dichiarò.
- Come lo sapete? - ora si stava agitando anche lui.
Monica gli raccontò quello che le aveva riferito la cugina e gli spiegò perché era lì. Alyon la guardava basita.
- Dovete andare! - gridò lui sollevandosi leggermente dal pavimento, ma una fitta di dolore lo bloccò.
- Non muovetevi! - lo sgridò afferrandolo per le spalle nude, cercando di farlo sdraiare di nuovo – Siete impazzito? Così riaprirete la ferita! -
- Siete l'unica che può avvisare tutti… dovete andarvene subito da qui! - spiegò con una smorfia sul bel viso.
- Ma non posso lasciarvi così… avete bisogno di cure… - ribatté lei.
- Io sono uno… se non li avvisate in tempo verrà versato altro sangue… altri Elfi e Uomini moriranno… altri innocenti… e se mi portaste con voi, sarei comunque un peso. - cercò di farla ragionare.
- Ma anche la vostra vita vale! - urlò lei, le lacrime agli occhi, lui la guardò sorpreso – Non voglio lasciar morire nessuno. - proferì decisa, il viso rigato dalle gocce salate – E tanto per cominciare, non so nemmeno da che parte devo andare. Metteteci poi che sono malconcia anche io. -
Lui chiuse gli occhi e sospirò. Restò in quel modo per vari minuti, a soppesare la situazione – Ok… - cominciò guardandola – Partiamo dal presupposto... che loro sono partiti tre giorni fa. Gli Orchetti ci hanno attaccati da est, da nord e da ovest... quindi probabilmente si sono tutti diretti verso sud. Sicuramente vi erano anche tra di loro dei feriti… questo fattore rallenta anche loro. - Monica lo stava ascoltando attentamente – Ora… cercheranno sicuramente un posto dove rifugiarsi… è scontato che gli Elfi andranno a Lothlorien… ma prima dovranno fare il punto della situazione… quindi credo che si fermeranno ad Edoras… è la prima grande città dove potranno trovare aiuto. - tossì contorcendosi per il dolore, Monica lo guardò preoccupata – Per arrivare ad Edoras ci vuole all'incirca una settimana, viaggiando veloci, una decina di giorni con calma… con i feriti ci metteranno sicuramente più di due settimane. -
- Ma se Morwen è con loro… potrebbe fare in modo che vengano attaccati tutti durante il viaggio. Sarebbero un facile bersaglio. - fece notare la ragazza.
- Questo è vero. - dovette ammettere.
Il silenzio calò tra i due. Si sentiva solo lo scoppiettare del fuoco e i loro respiri.
- A meno che… - mormorò lei.
Alyon la restò ad osservare alcuni istanti – Cosa vi è venuto in mente? - le chiese.
- Elrohir mi aveva raccontato dei problemi che aveva creato Morwen quando era a Minas Tirith, del fatto che gli Uomini siano più sensibili a venir soggiogati da lei… e se sfruttasse il fatto che si stiano tutti dirigendo ad Edoras per lanciare un attacco lì? - suppose. E non le piaceva affatto quello che appena aveva detto.
Calò di nuovo il silenzio, questa volta era pesante. Monica capì che quello che aveva appena detto era più plausibile che mai.
- Se così fosse... abbiamo a che fare con qualcuno di molto potente. - proferì lui.
- É a comando di un esercito di Orchetti… non è da tutti. - dovette ammettere lei.
- La situazione è più grave... di quanto potessi immaginare. - Alyon la guardava con il volto tirato – Ma quello che avete detto ha senso… se è così… dovete mettervi subito in movimento. Già siete in svantaggio di tre giorni… in più dovrete procurarvi anche un cavallo… e il primo villaggio dove potrete trovare qualcosa è a quattro giorni di cammino da qui… -
- Ora perché ritornare a parlare solo di me? - fece stizzita.
- Silwen, sono ferito gravemente… non posso affrontare un viaggio a piedi nelle mie condizioni. Già sarebbe un problema a cavallo. Dovrete lasciarmi qui. - spiegò.
- Vi sbagliate. - lo interruppe lei – Abbiamo un cavallo. - rivelò. Alyon la guardò sorpreso – Sono venuta fin qui a cavallo. Mi è venuto in soccorso sul ponte sul Bruinen… se non fosse per lui, a quest'ora sarei morta assiderata. - raccontò – Sperando non se ne sia andato. -
- Questa è una buona notizia… - disse, ma la stava guardando perplesso – Dovremo comunque fare sosta per prenderne un altro… e io dovrò fermarmi spesso… -
- Piantatela! - lo fissava arrabbiata – Vi sono dei feriti anche con loro e alcuni potrebbero essere ridotti male quanto voi… dovranno fare anche loro spesso delle soste… ma quello che è a nostro vantaggio è che siamo solo in due. -
- Siete veramente una testa dura… - un flebile sorriso gli incurvò le labbra.
- Allora… quando si parte? - chiese lei, ignorandolo.
- Abbiamo tre giorni di svantaggio... prima partiamo, meglio è… ma voi dovete riposare… - la ragazza stava per replicare, ma lui la precedette – Vi lascerò dormire fino all'alba, mancano poche ore… spero vi bastino… non avete un bell'aspetto. - fece serio.
Lei acconsentì. Dire che non aveva un bell'aspetto probabilmente era riduttivo. Si sentiva uno straccio. Sapeva che il viaggio sarebbe stato duro nelle sue condizioni. Ma molto più duro sarebbe stato per l'Elfo. Monica aveva intuito che stava cercando di mascherare il dolore che stava provando. Lei aveva fatto il possibile per medicarlo, ma era sicura che non bastava. E se non avessero trovato al più presto aiuto, quasi sicuramente non sarebbe sopravvissuto. Aveva perso molto sangue e la ferita al ventre non aveva un bell'aspetto.

Quando all'alba Alyon la svegliò, le sembrò di non aver riposato per niente, anzi, stava anche peggio. Ma non ne fece parola e cercò in tutti i modi di non dare a vederlo. Poi andò in cerca di cibo, ma non trovò molto, purtroppo. Un po' più fortunati furono con le armi: lei prese quelle di Erdie, lui trovò una spada elfica in un corridoio. Raggiunsero lo spiazzo dove aveva lasciato il cavallo dopo un'ora. Si fermarono in continuazione. Nessuno dei due riusciva a reggersi in piedi.
Quando Monica vide il quadrupede ancora lì ne fu piacevolmente sorpresa. Ma la sorpresa maggiore fu dell'Elfo.
- Silwen… dove avete detto che l'avete incontrata? - chiese con gli occhi verdi sbarrati.
- Al ponte sul Bruinen… perché? - lo guardava incuriosita.
- Quella… non è una cavalla normale… - iniziò lui guardando l'animale con aria tra il sorpreso e la riverenza.
- Ah, è una femmina? - fece invece lei, poi iniziò a spostare lo sguardo dall'uno all'altra.
- Silwen… è un Mearas… sapete cos'è? - chiese ancora incredulo.
- Eh?! - esclamò lei e per lo stupore quasi lasciò cadere l'altro che stava sorreggendo. Iniziò ad osservarla attentamente, ora anche lei con stupore e riverenza – Ne siete sicuro? -
- Decisamente… - mormorò stringendo i denti per la fitta di dolore a causa del movimento brusco che lei gli aveva fatto fare – Avete detto che vi si è avvicinata lei? -
- Bé… avevo perso i sensi… è lei che mi ha svegliata e si è chinata per farmi salire in groppa. - raccontò non staccandole gli occhi di dosso.
- Questo è veramente strano… di solito i Mearas non sono così disposti a farsi cavalcare… - riferì mentre iniziarono ad avvicinarsi a lei.
- Credete che si farà cavalcare da entrambi? - chiese, ora era preoccupata.
Si fermarono accanto a quella e Alyon spostò lo sguardo sulla ragazza che fissò per alcuni istanti – Perché non provate a chiederglielo? -
Monica si voltò a guardarlo stupita – Chiederglielo? Io? -
- Capisce la lingua degli Uomini… e si è avvicinata lei per prima a voi… credo che vi ascolterà. - spiegò.
Lei lo fissò titubante, poi si voltò verso la cavalla che sembrava fosse in attesa. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi. Poi si schiarì la voce – Possiamo cavalcarti entrambi? - domandò con un filo di voce. Tra l'altro il parlare con un cavallo le sembrava alquanto bizzarro.
In un primo momento il quadrupede non si mosse, poi sbuffò e si chinò sotto lo sguardo sbigottito di entrambi.
- Credo sia un sì… - bofonchiò Monica sconvolta.
- Se non lo avessi visto con i miei occhi non ci crederei… - commentò invece l'Elfo.

Una volta in groppa all'animale, Monica davanti ed Alyon dietro, iniziarono il loro viaggio. Era freddo e aveva iniziato a nevischiare, ma almeno ora, la ragazza era vestita pesante. Il mantello elfico che indossava l'avrebbe ben protetta. A metà sentiero, dall'altra parte della Valle, si voltarono un'ultima volta a guardare Imladris. C'era ancora una piccola colonna di fumo che si levava dalle macerie. Ormai non vi era rimasto più niente del posto che dava una sensazione di pacifico, di un luogo in cui potersi ristorare. Quella vista era straziante per entrambi. Ripresero il viaggio con il cuore pesante e non parlarono per diverso tempo. Nessun canto si sarebbe più levato, nessuno più avrebbe trovato riposo dal viaggio, né sarebbero più state raccontate storie lì ad Imladris.
   
 
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