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Autore: Tecla_Leben    17/11/2015    3 recensioni
Pitch Black sta per fare ritorno: le stelle che punteggiano la volta celeste stanno sparendo a vista d'occhio, minacciando di far ripiombare la Terra nell'oscurità dei Secoli Bui. Una vecchia conoscenza si affida ai Guardiani per riportare le cose com'erano prima e scongiurare l'imminente minaccia, ma le cose degenerano al punto che lo scontro con l'Uomo Nero si prospetta inevitabile.
Dal capitolo 2:
"Non capivo cosa fosse successo. Ero stesa a terra, vestita di brandelli di tessuto carbonizzati, in mezzo a fumanti cumuli di cenere e tizzoni ardenti. Nessuno sembrava curarsi della mia presenza, ma anzi, la gente che passava lanciava un'occhiata annoiata e incurante nella mia direzione e tirava dritto, ignorando le mie flebili richieste di aiuto."
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, I Cinque Guardiani, Manny/L'uomo nella Luna, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Carry my soul into the night
May the stars light my way
I glory in the sight
As darkness
 takes the day



Ferte in noctem animam meam
Illustrent stellae viam meam
Aspectu illo glorior
Dum capit nox diem


Mi alzai in piedi barcollando, guardandomi attorno costernata. Non riuscivo a capire: avrei dovuto essere morta, e invece eccomi lì, a sorreggermi sulle gambe su quelli che erano i resti del rogo sul quale ero stata giustiziata. La folla continuava imperterrita a seguire la propria strada, gettando un distratto sguardo ai resti carbonizzati che giacevano ai miei piedi. Cercai di richiamare la loro attenzione, ma nessuno di loro pareva poter udire il mio pianto.

E poi, all'improvviso, il cielo fu illuminato da una misteriosa coltre dorata che calò lentamente sulla piazza come un misterioso banco di nebbia, destando finalmente l'attenzione dei villici che la contemplarono con riverente e timorosa meraviglia. La nube atterrò leggera e incorporea sull'acciottolato, e poco a poco si diradò, rivelando una piccola figura umana. Era un ometto basso e tondo, vestito d'oro e dai capelli color del sole al crepuscolo, gli occhi grandi e buoni che si posarono benevoli su di me. A quella visione caddi in ginocchio senza un grido e smisi di piangere all'istante, beandomi di una sensazione che era scaturita forte in me e che mi scaldava il cuore come una bevanda bollente. Provai vergogna per il mio corpo nudo e mi allacciai le braccia sul seno, nella debole speranza di proteggermi dai suoi occhi di fuoco, così belli e inquietanti allo stesso tempo. Da un lato provai l'istinto tentatore di scappare, di mettere tra me e quell'essere etereo quanta più distanza possibile, ma la paura e la sensazione tramutata in certezza che lui fosse lì per aiutarmi mi tennero inchiodata dov'ero. Lo guardai avvicinarsi, con quel sorriso caldo e rassicurante impresso sulle labbra. Mi si fermò davanti, così vicino che anche con le braccia strette al petto sfioravo la sua veste splendente, e mi regalò un'occhiata affettuosa che un padre scambierebbe solo con la figlia, tendendo verso di me una manina grassoccia. Io la afferrai, chiudendola tra le mie, e lui mi tirò in piedi, accanto a sé. Mi arrivava appena all'altezza della vita, eppure accanto a lui mi sentivo piccola ed insignificante, perché quel piccolo e semplice omino irradiava attorno a sé una luce e una potenza degna di una divinità scesa tra i mortali per illuminarli con la sua essenza. La piazza intorno a noi pareva essersi pietrificata: i compaesani non potevano vedere me, ma era chiaro che potevano vedere quello strano omino, giacché gli occhi di tutti erano puntati su di lui, timorosi e al contempo reverenziali. A un tratto, a disturbare quell'atmosfera irreale e senza tempo che si era creata, un vortice nero si materializzò dall'altro capo della piazza, oltre i resti del rogo. E alla vista del temutissimo Uomo Nero, i paesani si dispersero come pecore impaurite, sbarrandosi le porte delle abitazioni alle spalle e serrando le finestre, finché rimanemmo solo noi tre. Durante il trambusto della popolazione che andava a rifugiarsi, egli non aveva mosso un solo muscolo. Pitch Black e lo strano omino si erano limitati a fissarsi, in silenzio, e non avevano smesso nemmeno quando la piazza fu invasa da un innaturale silenzio. Erano lì, immobili l'uno di fronte all'altro, che si scrutavano a vicenda, con solo l'aria tra loro ad intralcio. Eppure, nei loro sguardi percepii un messaggio chiaro come un'esplicita minaccia, tanto che non riuscii a non distogliere il mio, sopraffatta dall'angoscia che il loro tacito dialogo mi aveva iniettato in corpo. All'improvviso, l'Uomo Dorato mi passò il braccio attorno alla vita, stringendomi con presa delicata e sicura, e mi strattonò in alto, trascinandomi con sé nel cielo. Ecco il terrore farsi di nuovo strada in me, mentre guardavo il campanile della chiesa rimpicciolirsi sotto di noi, mentre ci allontanavamo dal luogo della mia morte e da colui che l'aveva fatta eseguire, stringendo con tutte le mie forze la mano che ancora tenevo nella mia. Il vento ululava, sferzando i nostri corpi con la sua potente ira, la mia mano stava lentamente perdendo la presa e io ero sicura che da un momento all'altro sarei stata risucchiata via. Poi una specie di meccanismo scattò in me, e in preda a un fantastico senso di libertà che mai avevo provato in vita allargai le ali e mi sostenni con le mie sole forze, io sola contro la potenza dell'aria. In quel momento capii che ero io a dover domare il vento, e che non era il vento a sballottarmi come preferiva; imparai il significato della libertà più genuina, e allora, solo allora fui invasa dalla più completa serenità. Da quel giorno, mi vestii delle tenebre, raccolsi le stelle e le seminai per il cielo, allontanai il Buio dalla Terra e feci in modo che, guardando il cielo notturno, i mortali fossero pervasi dalla serenità che adesso custodivo per loro.


Il sorriso amaro si congelò e si spense sulle labbra di Bellatrix, che sembrava stremata dal suo stesso racconto. Si guardava le mani, le sopracciglia aggrottate in un'espressione seria e vagamente addolorata.

<< Tuttavia, il Buio ha sempre trovato il modo di ripresentarsi. Per quanto ci abbia provato con tutta me stessa, non sono mai riuscita a respingerlo definitivamente. Nel corso dei secoli, Pitch sembrava sempre un passo avanti a me, anche se dopo l'avvento dei Guardiani aveva perduto gran parte dei suoi poteri, ed era stato un problema tutto sommato marginale >> .

Jack era rimasto colpito essenzialmente da due cose: la prima, che lei si fosse aperta così spontaneamente a quel modo con lui, raccontando la sua storia a un quasi perfetto sconosciuto. E secondo, dalla storia stessa che la vedeva protagonista di una trama così infausta e crudele.

<< E... ed io che ruolo gioco in tutto questo? >> chiese, mascherando l'orrore dietro a un tono beffardo.

<< Tu hai sconfitto Pitch, l'altra volta. È stato principalmente merito tuo, e Nord pensa che tu possa aiutarmi adesso >> .

Mentre pronunciava queste parole, Bellatrix alzò lo sguardo, e nel momento in cui si allacciò a quello di Jack, fu come se un velo calasse nei suoi occhi d'ambra, soffocando quell'ultimo guizzo di calore umano che le era rimasto, facendoli tornare austeri e distaccati. A un tratto si alzò, gli si pose davanti con le mani puntate sui fianchi e lo guardò letteralmente dall'alto al basso.

<< Non sono stato io. Non da solo. Senza gli altri Guardiani, io valgo dieci volte meno! >> si giustificò Jack, convinto delle sue parole.

<< Ma ti dirò una cosa, >> sbottò lei, come non avendolo ascoltato per niente, << ho acconsentito a farti venire con me unicamente perché non avevo una scelta migliore. Sappi che io non sono tenuta a stare alle leggi di Nord, non ti avrei scelto neanche sotto tortura! Quindi non credere di poter fare come ti pare soltanto perché Nord ti ritiene “adatto allo scopo”, ragazzino! Sei nato molto dopo di me, così come sei morto! E i novellini devono stare a quello che dicono i grandi, è chiaro? Se provi a fare di testa tua, giuro sulle Pleiadi che ti uso come bersaglio per mie stelle! >>

Jack fu stupito di quel repentino cambio d'atteggiamento, al punto da non riuscire a controbattere per far valere le proprie ragioni. Tutto ciò che riuscì a pensare fu che lei doveva per forza trovarsi nel suo periodo, ossia quei particolari cinque giorni nel mese di una femmina quando si sa che è meglio non contraddirla, a meno che non si desideri fare una fine molto dolorosa.

Bellatrix tuttavia sembrò immediatamente pentita e stupita a sua volta del momento di sfogo che si era concessa.

<< Ti chiedo scusa. Sono così abituata a stare da sola, che ho dimenticato come ci si rapporta con gli altri... >> disse mortificata, dopo qualche istante di imbarazzato silenzio.

<< Non.. non fa nulla. Sono stato solo anche io. Per molto tempo. So bene cosa significa >> .

<< No, non lo sai... >> rispose lei in tono stanco, voltandogli le spalle e incamminandosi di nuovo verso il fitto della foresta. << Andiamo. Abbiamo tergiversato anche troppo, muoviamoci. Al mio nascondiglio manca davvero poco, ormai... >>




Il nascondiglio di Bellatrix sorgeva al limite della foresta, dove gli alberi si diradavano e crescevano secchi e spogli, e vi si accedeva da un imponente albero cavo che fungeva da ingresso. Bellatrix si portò sul ramo più alto e Jack la seguì, dubbioso. Dopo un attimo di esitazione, si sporse sulla botola, scura e profonda come un pozzo senza fondo. L'idea di infilarsi lì dentro non gli garbava affatto. Raddrizzò il busto e guardò la sua compagna, come a chiederle se davvero fosse necessario.

<< Dopo di te! >> lo incoraggiò lei, con un sorrisetto arido. Jack voltò di nuovo il capo verso quel pozzo nero, prese un respiro profondo e si arrampicò sulla bocca dell'entrata. Rivolse un ultima occhiata alla sua compagna di viaggio, chiuse gli occhi e si tuffò dentro a chiodo, tenendo le braccia strette lungo i fianchi.

L'interno era completamente diverso da come se l'era aspettato. Aveva visto i rifugi di tutti gli altri Guardiani, e tutti avevano due cose in comune: l'imponenza e lo sfarzo. Trattandosi di un nascondiglio sotterraneo, si era aspettato di vedere tunnel, gallerie e anfratti, proprio come nella tana di Calmoniglio. E invece si era trovato in quello che gli parve uno spoglia piccola tana scavata direttamente nella terra umida. Gli unici arredi consistevano in alcune mensole di legno tarlato incastrate nel muro sulla sinistra. Dal soffitto basso, sulla destra, pendeva un'amaca ingombra di coperte rappezzate in vari punti alla meno peggio. Nell'angolo opposto si trovava un piccolo tavolino di legno, con una solitaria seggiola con la seduta di paglia tutta sfilacciata. Al centro del muro che aveva di fronte, infine, si apriva una grande porta color blu scuro punteggiata di stelle, e ne dedusse che lì dietro dovesse trovarsi la famosa Stanza dell'Universo di cui gli aveva parlato prima.

Senza riflettere, si avvicinò, aprì la porta e mosse un passo oltre la soglia. Il pavimento gli mancò all'improvviso sotto i piedi e lui cadde in una voragine oscura. Non riusciva a volare: una forza potentissima lo stava trascinando giù, ma con uno sforzo immane il ragazzo riuscì ad aggrapparsi alle assi di legno che fungevano da pavimento nell'altra stanza. Nel cercare di issarsi, tuttavia, il ragazzo perse la presa e precipitò. La sua caduta fu frenata pochissimi istanti dopo: qualcosa lo stava trattenendo dal cadere nel pozzo nero sottostante, tirandogli il cappuccio che non gli permetteva di respirare. Jack alzò lo sguardo e vide due braccia magre avvolte in maniche di velluto nero, e due mani diafane che esercitavano una presa ferrea sulla sua felpa. Quasi gli parve di rivivere il momento in cui lei lo aveva gettato fuori dalla slitta di Nord per riacchiapparlo prontamente qualche istante dopo, e si ritrovò segretamente ad apprezzare la prontezza di riflessi della sua accompagnatrice.

Jack guardò verso la porta e vide con stupore che, dal quel lato, non era affatto incastonata in un muro solido come ogni legge fisica voleva e suggeriva, ma fluttuava nel vuoto e si teneva verticale senza apparenti supporti di sorta.

Con un grande sforzo, Bellatrix riuscì a sottrarre il ragazzo a quella prepotente gravità che glielo stava lentamente sottraendo di mano e lo tirò sul pavimento accanto a sé, ansimando per lo sforzo compiuto.

<< Che... che diavolo è successo qui? >> chiese Jack, cercando di respirare normalmente, passandosi le dita sulla base della gola, dove la stoffa della felpa premuta contro la pelle lo aveva quasi soffocato.

<< Quello che vedi è ciò che è rimasto della Stanza dell'Universo, Frost. Un infinito ammasso di nulla. E, quel che è peggio, quest'ammasso sta cercando di uscire fuori, e se non rimettiamo la Stanza al suo posto il prima possibile finirà per inghiottire tutto ciò che si trova all'esterno >> .

Jack puntò il bastone contro quell'abisso nero e scoccò un dardo di ghiaccio: pochi istanti dopo era sparito nel nulla.

<< E non puoi crearne un'altra? >> chiese dopo qualche istante di silenzio, lanciandole un'occhiata interrogativa.

<< Ti piacerebbe, ma le cose non sono così semplici. Innanzitutto, anche volendo, non potrei. Io non ho potere sulla Stanza in sé, solo su quello che contiene. Secondo... non credo che ci sia abbastanza spazio, per un nuovo universo >> .

Jack la guardò, confuso. Ma non aveva appena finito di dire che lo spazio attorno a loro era infinito?

<< È vero >> convenne lei, indovinando al volo i suoi pensieri, << ma diciamo che c'è posto per un solo universo infinito. Se provassimo a farne convivere due vicini... beh, è difficile, da spiegare. Immaginati di essere al cinema. La sala è completamente buia, ti siedi e scopri che il posto è già occupato. Ho reso l'idea? >>

<< A parte che dovrei essere orbo da un occhio per non accorgermi che il posto in cui mi siedo è già occupato, sei stata trasparente! >> rispose Jack, soffocando una risata.

Siccome la sua battuta gli aveva fatto guadagnare solo un'occhiataccia, Jack pensò bene di cambiare argomento. Era seduto a gambe incrociate accanto a lei, che, nella stessa posizione, aveva preso a fissare con assorta preoccupazione la stanza svuotata, il mento puntato sul palmo aperto. Jack voltò il busto, osservando la dimora della ragazza. Così spoglia, così triste da trasmettergli la stessa tristezza che emanava quel posto tutto nel suo insieme.

<< Perciò.. tu vivi qui, eh? >>

<< Te l'ha mai detto nessuno che hai uno spiccato spirito di osservazione? >> lo schernì lei, senza la minima nota di divertimento nella voce.

<< È solo che... gli altri hanno castelli sfarzosi, tane enormi, un sacco di gente che lavora per loro e tutto il resto... tu non hai nulla di tutto ciò. Ed è... triste, credo >> .

La ragazza alzò la testa verso di lui con uno scatto, gli occhi le si illuminarono un istante di sorpresa e le sue labbra si schiusero in un'espressione di vaga tristezza.

<< Ricordati, Jack. La serenità si trova nelle cose semplici. È vero, vivrò anche in un tugurio, ma ti dirò che non mi sono mai vista bene in un castello in stile principessa o in un'enorme fabbrica di giocattoli. Ognuno ha il suo posto, nel mondo. E questo è il mio. >>

Rimasero qualche secondo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

<< Beh, io ho visto abbastanza. Torniamo dagli altri! >> propose a un tratto Jack, alzandosi in piedi e stiracchiandosi la schiena.


Quando furono di nuovo all'aria aperta, non si accorsero subito che qualcosa non andava. Il sole era ormai calato, e il buio attorno a loro sembrava della consistenza di una spessa gelatina vischiosa.

<< Non sembra anche a te che manchi...qualcosa? >> chiese Jack, avanzando cautamente lungo il sentiero. Poi alzò lo sguardo e puntò il dito al cielo, la preoccupazione stampata in volto.

<< Guarda lassù! >>

Bellatrix seguì la traiettoria, e si lasciò sfuggire un verso di frustrazione. Nel cielo, era rimasta appena una decina di stelle. Dieci, flebili piccoli fari che si ostinavano ancora contro la tempesta.

<< Non c'è più tempo, sta diventando più forte! Andiamo, Frost! >>

Bellatrix si lanciò in volo, stagliandosi contro il cielo: una macchia scura su un fondo ancora più nero. Jack si preparò a seguirla, e un pensiero agghiacciante gli trapassò il cervello.

<< Aspetta un momento! Anche il sole è una stella! >> urlò per farsi sentire dalla ragazza sopra l'ululato del vento.

<< Non è proprio il momento per le ovvietà, ragazzo! >> gli gridò lei di rimando, continuando a volare.

<< Ma no, che hai capito! >>

Jack si vide costretto a correrle dietro, finché riuscì a superarla e trattenerla, puntandole le mani sulle spalle. Lei gli si rivoltò contro come una serpe, scostandosi da lui con uno scatto brusco.

<< Voglio dire, non credi che Pitch possa spegnerlo? Se lo fa, sarà la fine per tutti! >> continuò lui, facendo finta di non aver dato peso alla sua spropositata quanto inattesa reazione.

Lei parve rendersi conto del significato delle sue parole a scoppio ritardato, valutando tra sé e sé il rischio che potesse accadere sul serio. Lentamente, con espressione assorta, si lasciò fluttuare fino a terra.

<< Non credo che lo farà... >> rispose, dopo altri istanti di silenzio, << Conosco Pitch abbastanza bene da dire che nella sua ottica è meglio spadroneggiare su un regno di terrore, piuttosto che di morte. Se tutti muoiono, non rimane nessuno da terrorizzare, giusto? Se invece prende la luna.. Allora sì, che siamo fregati! Muoviamoci adesso, non abbiamo più tempo per le chiacchiere! >>

Superò Jack con un frullo d'ali che gli scompigliò i capelli e schizzò in avanti, senza preoccuparsi di aspettarlo.

<< E quella storia di restare nell'ombra per evitare di tirarci addosso gli incubi? >> gli urlò di nuovo lui, atteggiando le mani a megafono sulla bocca.

<< Come puoi vedere, non ce n'è, qui intorno. E fanno bene a girare alla larga, sono talmente infuriata che potrei stenderne un esercito con le mani legate dietro alla schiena! Non corriamo rischi, Frost. E se anche fosse, che altra scelta abbiamo? >>



Diverse ore dopo, quando arrivarono al Polo, si accorsero subito che era anche fin troppo calmo.

<< Dove sono gli Yeti? >> chiese Bellatrix, più per riempire quel silenzio tombale che per ottenere un'effettiva risposta. Del resto Jack ne sapeva quanto lei, e pure avrebbe voluto sapere il motivo di tutta quella calma che, alla fabbrica di Nord sempre così chiassosa e piena di vita, non poteva certo stare a significare qualcosa di buono.

Il palazzo era deserto, l'aria immobile. Schizzarono da una finestra all'altra, ma dentro tutto taceva. Bellatrix lanciò uno sguardo che voleva essere significativo a Jack, che si limitò a guardarla con perplessità, la lingua incastrata tra i denti a un angolo della bocca.

<< Cosa? >> chiese, avendo intuito di aver mancato il messaggio.

Bellatrix assunse un'espressione esasperata, roteando gli occhi con impazienza.

<< Io entro, voglio sapere che è successo qui! >>

Senza aspettare una risposta, si staccò dal davanzale ed evocò una stella-shuriken grande quanto un piatto da portata.

<< Ma che cavolo..?! >>

Jack schizzò via dalla finestra, mancando il proiettile per pochi istanti. Lo shuriken andò a infrangere con precisione il vetro, che si riversò nel corridoio come a seguito di un'esplosione.

<< Bastava andare all'ingresso! >> protestò il ragazzo, abbassando le braccia con le quali si era fatto scudo.

<< Sì, ma non è da sottovalutare l'importanza dell'entrata in scena! Dico bene? >> osservò la ragazza, molandogli un poderoso buffetto sulla spalla.

<< Tu sei pericolosa! Sei matta da legare! >> mormorò il ragazzo, seguendola a malincuore all'interno, massaggiandosi la spalla dolorante.

Rivoltarono il rifugio da cima a fondo, ma non vi era anima viva da nessuna parte.

Alla fine, stanchi e più confusi che mai, si diressero verso l' ufficio di Nord. Finché, passando nell'atrio, Jack notò un particolare che alla sua compagna di viaggio era passato inosservato.

<< Ehi, guarda là! >> disse, indicando per terra. Una lunga traccia scura si estendeva sul pavimento, luccicando appena alla luce del primo mattino. Bellatrix si chinò, ci passò sopra la mano e la alzò agli occhi, esaminandola da vicino.

<< Sabbia nera >> sentenziò, sfregando piano le dita tra loro.

<< Questo significa... che Pitch è stato qui! Ehi, aspetta! >>

Jack seguì la ragazza nello studio di Nord. Lei aggirò la scrivania, si sedette e accavallò le gambe sul ripiano di legno, sfregandosi di nuovo il mento tra pollice ed indice come era solita fare quando raccoglieva le idee.

<< Questo spiega come mai non abbiamo incontrato incubi sul nostro cammino. Erano tutti qui! Non hai proprio idea della fortuna che abbiamo avuto! >>

<< Fortuna? >> ripeté Jack, incredulo, << Nord è scomparso, e così anche gli Yeti! Come potrebbe essere una fortuna? >>

<< Potevamo essere rapiti anche noi, genio. Almeno possiamo scoprire dov'è, e tirarlo fuori! >>

Jack non poté controbattere: il suo ragionamento non faceva una grinza.

<< E va bene.. allora, cosa proponi di fare? >>

<< Stavo per chiederti la stessa cosa, sai? >>

Jack riuscì appena a trattenersi dal mandarla a quel paese: se non aveva idea di quale sarebbe stata la loro mossa successiva, come poteva saperlo lui?

<< Potremmo... andare al palazzo di Dentolina! Dobbiamo avvertirla, lei ci aiuterà! >> azzardò infine il ragazzo, con la premura palpabile in ogni sillaba.

<< Ammesso che gli Incubi non abbiano fatto una visita di cortesia anche a lei... >> mormorò la ragazza, senza farsi sentire da lui.


Appena arrivarono, non poterono fare altro che constatare lo stato di improvviso abbandono che affliggeva anche quel luogo, esattamente come la fabbrica di Nord. Anche qui l'aria sembrava morta, svuotata del costante frullio di ali che risuonava di consuetudine tra le cupole smaltate e gli archi rampanti, e dal frenetico viavai che solitamente riecheggiava sull'edificio simile a un gigantesco alveare. Bellatrix gli rivolse uno sguardo rassegnato, ma Jack puntò il proprio alle spalle di lei, improvvisamente spaventato.

<< ATTENTA! >>

Un lampo nero, e Bellatrix fu scaraventata di lato, contro le mura di una delle torri. Si ritrovò faccia a faccia con un'orda di Incubi, che stava cercando di abbatterla. Poi, una pioggia di dardi di ghiaccio li congelò uno ad uno, facendoli precipitare e infrangere al suolo.

<< Tutto bene? >>

Jack si era avvicinato, brandendo il bastone come un'arma.

<< Sì, credo. Avrei dovuto aspettarmelo. Il comitato di benvenuto, voglio dire... >> rispose lei, sfregandosi la nuca dolorante.

<< Bellatrix.. qui è disabitato! Cosa... cosa facciamo, adesso? >>

Bellatrix alzò gli occhi al cielo: il sole splendeva alto nell'aria primaverile, schermato da qualche nuvola che gli scivolava sopra veloce, schermandoli momentaneamente alla sua luce.

<< Aspettiamo che sorga la luna. Manny saprà sicuramente consigliarci cosa fare. Mettiti comodo, Frost. Sarà un'attesa snervante... >>


Quando finalmente il sole tramontò, i due rimasero seduti l'uno accanto all'altra ancora per molte ore, ma della luna non vi fu traccia.

<< Oh, insomma! DOV'È MANNY? >> urlò d'improvviso la ragazza, un'ottava sopra il normale. La sua voce allarmata risuonò spettrale sulle pareti, le cupole e gli archi, disturbando la notte con la propria tonalità squillante.

<< Non può essere... >> mormorò Jack, semplicemente incredulo. Dentro di sé sentì però aprirsi una voragine. Come se dal solido muro delle sue certezze fosse stato sottratto il mattone portante, così la sua sicurezza si era trovata a vacillare e poi crollare come un castello di carte. Ciò nonostante il ragazzo riuscì a mascherare il proprio stupore e a mantenere un vago controllo di sé, a differenza della sua compagna. Si era lasciata cadere in ginocchio, sulle lamine smaltate del tetto della torre sul quale erano rimasti appostati tutto il giorno, le braccia strette intorno alle spalle, i capelli che schermavano il volto chino come una cortina bionda e le ali aperte e curve sulle spalle, come a proteggersi da un vento gelido. Jack la vide tremare quasi impercettibilmente e fu sicuro che lei stesse piangendo. La ragazza dall'animo d'acciaio aveva momentaneamente calato la propria maschera inscalfibile e si era abbandonata a un momento di debolezza e disperazione.

Allora Jack le si avvicinò, si chinò di fronte a lei e le posò cautamente una mano sulla spalla. Interpretò come preoccupante il fatto che lei non l'avesse allontanato: non si faceva mai neanche sfiorare, e invece stavolta non aveva minimamente reagito. Posò piano il bastone, facendo attenzione che non scivolasse di sotto, e le scostò piano i capelli dal viso. I suoi occhi erano umidi e vitrei, fissi sulle proprie ginocchia. La bocca stirata in un'espressione congestionata a mostrare i denti digrignati.

<< Andiamo a cercarli! >> propose il ragazzo, gentilmente, offrendole la mano. Lei non la prese, né lo degnò di mezza occhiata. Adesso, Jack vedeva le sue spalle tremare violentemente, mentre lei cercava di alzarsi come se quel semplice gesto le costasse una fatica disumana.

<< Cosa c'è? >> chiese, rendendosi conto che qualcosa non andava.

<< Ci sono troppo poche stelle, non ho più energie sufficienti... >>

<< Ma come! Sei stata bene fin'ora, non arrenderti! Cosa sei, una pila esaurita? Fatti forza! >>

La tirò in piedi quasi di prepotenza, deciso a farla continuare a parlare. Lei incespicò e si aggrappò istintivamente alla sua felpa, tuffando accidentalmente il volto nell'incavo del braccio di lui.

Jack la afferrò per le spalle e la allontanò piano da sé.

<< Ce la faccio, ce la faccio... >> si affrettò a dire lei, raddrizzando la schiena.

Attorno a loro, la sera senza astri si era scurita al punto da permetterle appena di distinguere i tratti di Jack.

<< Se vogliamo trovare Manny e gli altri, non ce la faremo mai con tutto questo buio. Gli incubi ci fermerebbero prima di muovere un solo passo... >>

<< Allora... puoi creare qualche stella? >>

Lei sospirò, allargando le pupille da gatto in quel mare d'inchiostro, la voce più ferma e sicura.

<< Ho paura che le mie stelle consuetudinarie siano troppo poco per far fronte a questo blackout celeste.. ci vuole qualcosa di un po' più... strong... >>

Arretrò di qualche passo e Jack la vide fare uno strano movimento contorto con le braccia, ma c'era troppa oscurità per capire cosa stesse facendo. Finché un bagliore aranciato scaturì dalle mani di lei, riflettendosi sulle lucide mattonelle della cupola sulla quale si erano accampati. Jack strizzò gli occhi a quella luce improvvisa, e vide che era irradiata da una piccola sfera dall'aspetto gassoso.

<< Credevo che potessi creare solo stelle! >> osservò lui, sorridendo con aria saccente.

<< Mi deludi, Figlio del Lago! Io vengo da un'epoca dove l'astronomia non si sapeva neanche cosa fosse, eppure sono piuttosto ferrata sull'argomento! In fondo, cos'è una stella se non un ammasso di gas incandescente? >>


I due erano giunti in una radura nel cuore della foresta, e si fermarono davanti a una scura fossa circolare che si apriva nel terreno arido.

<< Sicuro che sia questo? >>

Bellatrix si sporse sulla fossa, puntellandosi con un bastone che usava come stampella di fortuna. Il viaggio, aggiunto alla mancanza della fonte delle sue energie, l'aveva sfiancata al punto da non reggersi in piedi in modo stabile.

<< Sicuro, ci sono già stato quando Pitch mi ha preso i ricordi >> .

La stella di fuoco fluttuò pigra all'imboccatura di quel baratro nero, senza illuminare granché.

<< Sai che ti dico? Secondo me non si trova lì dentro. Pitch, voglio dire. Se fosse in zona, avrebbe già attaccato, non ti pare? >>

<< Beh, io scendo lo stesso a dare un'occhiata. L'altra volta, è qui che teneva prigioniere le fatine. Se abbiamo fortuna, potrebbe aver riciclato il suo vecchio rifugio! Tu che fai? Riesci a starmi dietro? >>

E, lanciandole un'occhiata complice, si tuffò di testa nella fossa senza nemmeno aspettare una sua risposta, sparendo subito alla vista.

Passarono alcuni secondi, in cui Bellatrix, sempre avvinghiata al bastone di fortuna, prese in seria considerazione l'istinto di seguirlo. Ma proprio mentre stava per saltare nella buca, questa si richiuse con un risucchio terribile.

<< Cosa diavolo...?! Jack! JACK! >>

Bellatrix si buttò in ginocchio, sul punto in cui il ragazzo era sparito, e prese a scavare nella terra a mani nude con foga, ma più affondava le dita nel terreno polveroso, più questo sembrava aumentare, ributtando fuori una valanga di sabbia nera. Continuò a quel ritmo per diversi minuti, urlando forte il suo nome, finché un vago bruciore la indusse a fermarsi. Aveva scavato fino a scorticarsi la pelle, che aveva iniziato a sanguinare in più punti. Ignorando il fastidio, la ragazza si tirò in piedi, barcollando appena. Poi unì le mani a coppa, l'una sopra l'altra, e le rivolse verso il terreno striato di nero. La stella incandescente si ingrandì e prese a bruciare più vividamente. Un istante dopo, si abbatté sul terreno, aprendo un varco. Bellatrix pensò di avercela fatta, ma subito la falla si richiuse, inghiottita da un'altra eruzione nera che saliva dal profondo della terra come una colata di fango.

Alzò le mani per tentare una seconda volta: lo avrebbe tirato fuori di lì, anche se avesse dovuto provare e riprovare fino allo sfinimento. Ma una voce risuonò improvvisamente tra gli alberi, bloccandola lì dov'era. Sentì una scarica di paura insinuarsi nel suo stomaco, ma cercò in ogni modo di non farla trapelare sul suo volto contratto dalla tensione.

<< È tutto inutile, non riuscirai mai a raggiungerlo. Io risparmierei le forze, se fossi in te. Dopotutto, non te ne sono rimaste molte... >>

<< Black! >> urlò lei, voltandosi da una parte all'altra nel tentativo di scorgere la sua figura allampanata e scura tra le fronde, << Fatti vedere, vigliacco! >>

La voce di Pitch vibrò in una risata minacciosa.

<< Però, come siamo autoritarie! È questo il modo di salutare una vecchia conoscenza? In fin dei conti, sono passati secoli dal nostro ultimo incontro, e ai tempi non dispensavi ordini a bacchetta! Anzi, mi sembra di ricordare che te la stessi facendo sotto dalla paura! È così, o sbaglio? >>

Un ombra scura a forma di mano strisciò fuori, avvicinandola alle spalle e sfiorandole un piede. Lei si voltò di scatto con un fremito, la individuò e mosse qualche passo indietro con l'unico desiderio di mettere tra sé e quella cosa quanta più distanza possibile. L'ombra la seguì imperterrita, si arrampicò sulle sue gambe e lei si immobilizzò, inghiottendo un groppo di saliva. Represse un brivido di orrore quando l'ombra passò sulle sue forme, lenta e pericolosa, fino a sfiorarle i capelli che ondeggiarono come mossi da una brezza impercettibile.

<< Sono passati otto secoli. I mortali possono cambiare nel giro di pochi mesi, fino a diventare persone completamente diverse da ciò che erano. Io ho avuto più tempo degli altri, e adesso non mi faccio più intimorire da te! >>

La mano si ritrasse, fulminea, mentre un'altra risata echeggiò tra le fronde degli alberi.

<< È vero, la gente cambia. Ma non tu. Ti conosco fin troppo bene e so che non è così. Sotto quella scorza dura sei fragile, insicura e spaventata. Sai che ho ragione, te lo leggo in faccia. E dici di non aver paura, quando è palese che ti sta per sopraffare! Basta guardarti, per capirlo. Tremi come un budino appena sfornato! >>

<< Tu non mi conosci AFFATTO! >> urlò la ragazza, rabbiosa.

<< No? Ma se sono stato io, a crearti! >>

Le chiome degli alberi frusciarono tutte all'unisono, come in una collettiva e silenziosa risata volta a schernirla.

La ragazza abbassò il capo e strinse i pugni sanguinanti. Sentiva dalla sua voce che si stava muovendo in cerchio attorno a lei, e si sentì in trappola.

<< Tu non hai creato un bel niente. Mi hai solo uccisa. C'è una bella differenza! >> mormorò, mordendosi il labbro.

<< Come, prego? >>

<< Ora basta! Libera Jack, e subito! >> sbraitò Bellatrix, sollevando la testa di scatto.

<< Scordatelo! >> rispose Pitch, la sua voce che risuonava sprezzante dal lato opposto della radura.

<< Ho detto liberalo! >> ribatté lei, voltandosi immediatamente in quella direzione, << Ti avverto, Pitch. Lascialo andare. Lasciali andare tutti. Altrimenti... >>

<< Altrimenti che fai? >> la incalzò lui, con l'ennesima risata echegggiante attorno a lei, incorporea.

<< Altrimenti ti distruggo! >>

Un'altra risata, ed eccolo là, in piedi in mezzo a due grandi alberi, a braccia spalancate come a sfidarla a catturarlo.

<< Per distruggermi, devi prima prendermi. E per potermi prendere devi trovarmi! >>

L'uomo si scompose in un'onda di sabbia nera e si scagliò addosso alla ragazza, avvolgendola in una tempesta vorticante. Un secondo dopo, si dissolse, lasciandola da sola, boccheggiante e in ginocchio, con i granelli che le bruciavano negli occhi. Lei si alzò spavalda e atteggiò le mani a megafono, rivolta alla radura ormai silenziosa.

<< LO FARÒ, BLACK! PUOI CONTARCI, SE LO FARÒ! >>







A.A:


Hello! Come promesso, il secondo capitolo. Il capitolo Zero, come lo chiamo io, dato che è stato il primo che io abbia scritto. In ogni caso, è qui ed è tutto vostro. Non un granché, forse un po' precipitoso, ma a me piace quando ci si butta nella trama senza troppi capitoli di introduzione... Va beh.

La canzone si intitola, come forse si evince dal testo, In Noctem, di Nicholas Hooper. L'ho scoperta questa estate, curiosando tra le tracce della colonna sonora di Harry Potter, ed è stata il principale antidoto alla canicola estiva. Nel vero senso della parola, davvero! Ascoltandola, mi vengono sempre i brividi! Comunque, anche se la fanfiction era già avviata (che dico, tecnicamente era già conclusa, mancandomi solo da finire di ricopiarla!), sono stata indecisa fino all'ultimo se includerla nel testo o meno. Ma più ci pensavo, più mi dicevo: “Cavolo, casca troppo a pennello con la storia di Bellatrix!”, che alla fine ci si è buttata dentro quasi spontaneamente. Se non tutta, almeno la prima parte... per ora.

Un grazie grande quanto il Tardis (?) va di dovere a chi ha recensito/inserito tra le seguite, sperando di aver rinnovato il vostro interesse con questa seconda parte.

Alla prossima!

Tec :D




  
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