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Autore: DarkSide_of_Gemini    17/11/2015    5 recensioni
Ethan Danvers era sempre stato considerato un ragazzo “strano”. Sin da bambino aveva sempre parlato di fate e folletti, e amava le storie fantastiche in cui creature leggendarie vivevano al fianco di uomini comuni. Non era la sua immaginazione da bambino a far sì che sognasse quelle creature ad occhi aperti: Ethan aveva un dono, possedeva la fede nell’immenso potere dell’immaginazione, e proprio per quello era in grado di vedere cose che sfuggivano agli altri ragazzi.
Quello che lui ha sempre considerato un privilegio, tuttavia, potrebbe trasformarsi nel peggiore degli incubi.
Dal testo: “-Oh, Ethan!- esclamava Ellen, e non riusciva a trattenere una risata –L’Uomo Nero è attirato dalla paura e dalla cattiveria dei bambini. Tu sei forse un bambino cattivo?-
Lui scuoteva la testa, e non mancava di aggiungere –Però… potrebbe sempre venire se sa che ho paura di lui-
-Proprio per questo non devi temerlo, tesoro. L’Uomo Nero si compiace del terrore degli altri. Tu devi essere più forte di lui, devi dimostrargli che la tua paura di lui può essere annullata dalla speranza e dalla bontà del tuo cuore. Fin quando avrai fiducia nel bene l’Uomo Nero non potrà mai farti del male"
Genere: Fantasy, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nightmares Are Back

4

 

Quel mattino, prima di varcare la porta d’ingresso della scuola, Ethan sospirò. Solo il giorno prima si trovava al parco, immerso nella pace di quella vacanza improvvisata, e adesso quasi rimpiangeva che la durata della sua sospensione fosse scaduta. Sapeva che, molto probabilmente, gli energumeni con i quali aveva avuto a che fare si sarebbero presto fatti avanti di nuovo: tipi come quelli non demordevano con facilità, e l’orgoglio quasi animalesco che caratterizzava quel genere di persone era facile da ferire, ma assai duro da placare una volta provocato. Pazienza, voleva dire che li avrebbe picchiati di nuovo, e poi sarebbe stato sospeso di nuovo, e poi sua madre gli avrebbe di nuovo fatto quel bel discorso sulla giustizia che ormai conosceva a memoria. In fondo, la sua vita era assai prevedibile.

Quasi non prestò attenzione alle lezioni. Dal suo banco vicino la finestra osservava il giardino della scuola tingersi dei colori dell’autunno. L’erba dei vialetti ingialliva e si piegava sotto le sferzate del vento freddo, e le chiome verdeggianti degli alberi assumevano quella sfumatura rosso-oro che ad Ethan era sempre piaciuta. Gli piaceva l’autunno, il preludio dell’inverno, il momento in cui la vita rallentava il suo ritmo prima di morire per rinascere più bella che mai una volta tornata la primavera.

Alcune foglie morte avevano iniziato un girotondo sotto alcuni alberi quasi del tutto spogli. Credete che le foglie cadano dagli alberi una volta morte, per cause del tutto naturali? Ethan non la vedeva a quel modo: sui rami di quegli scheletri legnosi poteva, infatti, distinguere con chiarezza alcuni puntini luminosi che si aggrappavano agli steli delle foglie o ci saltavano sopra, e le utilizzavano per scendere da quell’altezza. Erano fate, piccole fate che, a quanto pare, si divertivano a giocare con ciò che la natura riteneva ormai inutile.

Era strano pensare che in quella stanza, oltre a lui, nessuno potesse vedere quelle creature. Per gli altri ragazzi non c’era nulla di strano o fantastico nelle foglie che cadevano in autunno. Ethan si era chiesto tante volte perché lui potesse vedere gli esseri fatati e gli altri ragazzi invece non vedevano nulla al di fuori dell’ordinario. Aveva forse qualcosa che non andava? Erano allucinazioni dovute alle troppe favole o ai suoi sogni ad occhi aperti, o c’era qualcosa di più? Una cosa era certa: per il mondo le fate, o i folletti, o gli unicorni e tutte le altre creature non esistevano, erano semplici frutti del folklore popolare, erano simpatici disegni su carta per far divertire i più piccoli.

Eppure Ethan era sicuro di vederli, proprio come voi vedreste le vostra mano se solo provaste ad avvicinarla al viso. Dunque cosa significava quello? Aveva sentito e letto di molte persone ritenute “pazze” perché sostenevano di essere venute in contatto con strani esseri del regno fatato. Lui era forse pazzo? Se era così, allora si era fatto un’idea del tutto sbagliata sulla pazzia. Credeva che fosse una cosa orribile, una malattia inguaribile in cui i sogni più angosciosi prendevano il posto della vita reale. Se essere pazzo significava invece poter vedere strani esserini luccicanti saltellare sulle foglie… bè, quella era tutta un’altra storia.

Si chiese come funzionasse la gerarchia delle fate: quelle che stava vedendo in quel momento erano fate dell’autunno, e poi sarebbero arrivate le fate dell’inverno e così via per tutte le stagioni? Ma le fate potevano morire? Aveva letto libri alquanto contraddittori sull’argomento: alcuni volumi dicevano che le fate erano immortali, mentre altri puntualizzavano che bastava un nulla per farle svanire. Certo, sarebbe stato interessante chiedere direttamente a loro, ma Ethan non osava immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno l’avesse visto parlare all’apparenza solo con un ramo spoglio. E poi cosa ne sapeva, lui, di come si avvicinavano le fate? Potevano non essere tutte socievoli, e aveva letto che alcune erano talmente schizzinose da lanciarti addosso maledizioni che duravano per tutta la vita.

Ethan si accorse che i suoi compagni lo guardavano con una sorta di timore che mai aveva notato prima. Di tanto in tanto sorprendeva qualcuno voltato nella sua direzione, che subito distoglieva lo sguardo non appena veniva colto in flagrante.

“Ma che diamine si aspettano?” si chiedeva contrariato. Tutte quelle attenzioni gli davano ai nervi “Non mi metto mica a picchiarli senza un motivo!”.

Era stupido, pensava, il modo in cui certa gente reagiva alle notizie. I suoi precedenti erano ormai noti nonostante avesse tentato di tenerli nascosti, quindi in pratica una buona parte dei ragazzi dell’istituto sapeva ormai che era stato cacciato dalle altre scuole a causa delle risse nelle quali era stato coinvolto. E ovviamente nessuno andava a chiedergli se, in quelle risse, lui avesse avuto ragione o torto o se le avesse scatenate per una giusta causa o solo per il gusto di imbrattarsi i vestiti di sangue.

Alcuni insegnanti, invece, lo guardavano con severità, e il personale scolastico lo squadrava con diffidenza. A volte Ethan si chiedeva il perché la gente fosse tanto superficiale, perché credesse solo alle prime impressioni invece di cercare di capire di più rispetto ad una persona o una situazione.

Il mondo degli adulti gli sembrava così finto e ipocrita, e a dirla tutta lui non aveva l’intenzione di diventare un adulto come quelli che conosceva. Quando era piccolo l’idea di crescere lo spaventava addirittura: vedeva troppe cose in tv, vedeva di uomini che litigavano e si uccidevano l’uno con l’altro, vedeva di coppie felici che finivano per autodistruggersi e vedeva fratelli combattere contro fratelli. Quando era bambino quel mondo lo spaventava. Non voleva diventare un adulto pronto a sacrificare i propri prìncipi in favore degli scopi personali, e non voleva perdere la felicità che caratterizzava l’infanzia. Era questo che pensava da piccolo: pensava che, man mano che si cresceva, i sentimenti che facevano di un animo un buon animo andassero perduti, e che al loro posto si radicassero violenza e falsità. Questo perché gli adulti non avevano più fantasia e non erano capaci di seguire i propri sogni, aveva sempre pensato. Lui non voleva perdere quel dono e diventare un adulto grigio e triste come i tanti adulti grigi e tristi che già popolavano il mondo.

Quindi, alle occhiate di indifferenza o indignazione che lo seguivano rispondeva sempre con un mezzo sorriso, o non rispondeva affatto. Anche quel sorriso, tuttavia, turbava la gente. La maggior parte dei ragazzi dell’istituto iniziava a ritenerlo un criminale, un piccolo delinquente disadattato e sociopatico, il che a dirla tutta non era molto lusinghiero. Ma ad Ethan andava bene anche così: ormai era abituato a stare solo.

La campanella suonò in quel momento annunciando l’inizio della ricreazione. L’aula si svuotò in fretta e i suoi compagni lo lasciarono lì seduto a guardare fuori dalla finestra, senza neanche provare ad avvicinarsi e chiedergli se volesse fare un giro con loro.

Solo quando Ethan vide una figura uscire da uno dei portoni che davano sul giardino scattò in piedi: non si era sbagliato, era lo scricciolo, il ragazzino che aveva “salvato” dai bulli pochi giorni prima. Il ragazzo lo vide andare a sedersi sul muretto che recintava il campo da calcio; era solo anche lui. Aveva i capelli biondi e mossi in una cascata di onde d’oro, e dietro un paio di occhiali dalla montatura rettangolare i suoi occhi erano di un color grigio-verde, un colore che Ethan aveva visto raramente ma del quale era sempre stato invidioso: quanto avrebbe voluto avere gli occhi di quel colore invece che del suo banale color nocciola!

Il ragazzo uscì dalla classe ormai vuota e si diresse al piano di sotto, le mani in tasca e la testa ben alta. Una volta fuori si diresse nel punto in cui aveva visto il ragazzo biondo dalla finestra, e si issò sul muretto a sua volta con un agile salto. A vederlo, l’altro aveva sussultato e si era ritratto come se temesse – sorpresa sorpresa – di venire aggredito. Adesso lo guardava di sottecchi, intimidito. Una spruzzata di lentiggini gli colorava le guance e il naso all’insù.

Ethan sorrise, incrociando le gambe sul muro –Tu sei Samuel, vero?-

Il ragazzino si guardò intorno; probabilmente sperava ancora che non parlasse con lui.

Ad Ethan scappò una risata –Hei, è con te che parlo. Che hai, guarda che non ti mordo mica-

Lui storse per un attimo le labbra, indeciso –Sì, sono Samuel. Sam. Senti, mi dispiace…-

-Nah, lascia perdere- lo interruppe Ethan –non sono qui per avere delle scuse. Sarebbe presuntuoso da parte mia, quindi non perdere tempo con il galateo-

Samuel sembrò confuso –Oh… bè, d’accordo. È solo che mi sentivo in colpa, ecco, per quello che è successo. Se non fosse stato per me non ti avrebbero espulso-

-Se non fosse stato per te- precisò lui –sarebbe stato per qualcun altro. Acqua passata, davvero-

Sam annuì, ma era come se non credesse alle sue orecchie. Era molto riservato, notò Ethan, il suo esatto opposto: lui non ci metteva più di tanto a rompere il ghiaccio con qualcuno.

-Perché quelli volevano picchiarti?-  

Chiese ancora, alimentato dalla curiosità. Nel corso degli anni aveva imparato che c’erano un’infinità di motivi perché i bulli picchiassero gli altri ragazzi: poteva essere semplice razzismo nei confronti dei molti figli di immigrati stabiliti nel paese, poteva essere gelosia verso il più bravo della classe o altre mille possibilità.

Il ragazzino incassò la testa tra le spalle e scrollò il capo, a disagio –Nulla di che. Non… non mi crederesti-

-Andiamo, a me puoi dirlo!-

Samuel scosse ancora la testa. Si guardò di nuovo attorno, la marea di studenti che aveva invaso il cortile era cresciuta rapidamente e un vociare sempre più intenso aveva riempito l’aria. Solo attorno a loro si era formato uno spazio vuoto, e nessuno sembrava notarli.

Due ragazze, sotto un albero, chiacchieravano e commentavano qualcosa sul cellulare di una delle due; avevano le teste accostate l’una all’altra, e Sam vide un puntino luminoso sfrecciare un po’ attorno a loro e ricavare una treccia dalle ciocche di capelli di entrambe. Gli scappò un sorriso: non appena avessero provato ad allontanarsi di certo si sarebbero scambiate una bella testata.

-L’hai visto anche tu?-

Ethan aveva seguito la direzione del suo sguardo e aveva osservato la scena a sua volta. Senza un perché il cuore aveva iniziato a battergli forte nel petto: non c’era ragione perché Samuel avesse dovuto fissare proprio quelle ragazze in mezzo alle decine di studenti in giardino; a meno che non avesse visto quello che aveva visto lui, ossia una fata burlona giocare un tiro mancino a due fanciulle ignare. Ethan aveva letto centinaia di storie simili.

-Che cosa?-

Sam era passato sulla difensiva, ma lui non aveva certo intenzione di lasciar cadere l’argomento. Aveva forse trovato qualcuno che poteva vedere ciò che sfuggiva alla maggior parte dei loro coetanei, e non poteva certo negare l’evidenza.

-La fata, scemo-

-La fata?-

-Samuel- Ethan calcò il tono –ci tengo a mettere in chiaro una cosa: non sono uno stupido e men che mai un pazzo, per cui non guardarmi con quella faccia. E ora rispondimi: l’hai vista quella fata?-

Il povero Sam sembrava disperato. Non poteva sfuggire allo sguardo indagatore dell’altro ragazzo, e per natura non era mai stato bravo a mentire. Per cui, con un sospiro, annuì con un cenno appena percettibile.

Il viso di Ethan si illuminò –Ma è fantastico!-

-No che non è fantastico!- fu la replica indispettita –La gente ti prende per pazzo quando dici di vedere certe cose. Ecco perché volevano picchiarmi, se proprio lo vuoi sapere: avevo solo informato quei ragazzi che un folletto aveva allagato i bagni. E quello è stato il risultato-

-Ma tu non devi certo dire a tutto il mondo che vedi le creature fatate!-

-Perché, tu non l’hai mai detto a nessuno?-

-A mia madre, un paio di volte. Ma ero piccolo e credeva che scherzassi. È il mio segreto. Il nostro segreto, a questo punto-

Samuel agitò una mano come per dire di aspettare, quasi avesse inteso in quel momento ciò che Ethan gli aveva detto –Insomma, li vedi anche tu? Cioè… hai visto anche tu una fata o quello che è fare una treccia ai capelli di quelle ragazze?-

-Proprio come vedo te adesso-

-E… è normale? Insomma, non voglio dire normale, è… cos’è?-

-Non lo so. Ma di certo è qualcosa di particolare, anche se ancora non so cosa significa-

-E tu- Samuel prese coraggio –li hai sempre visti? Folletti, unicorni… sono reali, o abbiamo qualcosa che non va?-

-Li ho sempre visti, da quanto ricordo. Credo che… non so come spiegarlo. Tu hai sempre creduto nelle favole?-

-Bambini che volano e principesse rinchiuse in torri diroccate? Da bambino credevo che fossero reali. Ho pensato, sì, insomma, perché non potrebbero esistere in una dimensione parallela, che a volte viene a coincidere con la nostra? Quindi potrebbero anche essere reali-

-Dunque secondo te è per questo che riusciamo a vederli? Perché ci crediamo?-

-Crediamo che siano reali. E forse, grazie a questa convinzione in un modo o nell’altro trovano il modo di manifestarsi. Almeno credo-

-Unicorni- ripeté Ethan –prima hai detto unicorni. Hai mai visto un unicorno?-

-Bè, una volta. Perché, tu no?-

Lui scosse la testa, deluso. Poi si illuminò –Però ho visto Santa Claus-

-Andiamo!- Samuel fece una risata nervosa –Questo non è vero-

Ethan si imbronciò –Sì che è vero!-

-Va bene va bene, calmati!- Sam sollevò le mani in segno di resa –Hai visto Babbo Natale. Ok, perfetto. E com’era?-

-Come i disegni sulle carte da regalo. Robusto, mantello rosso… aveva anche l’accento russo-

-Caspita. E la slitta? L’hai vista la slitta?-

Ethan fu costretto a scuotere la testa. Stava per rispondere quando il suono assordante della campanella lo interruppe. Gli sarebbe piaciuto rimanere a parlare ancora con Samuel, era certo che avevano ancora molte cose in comune e che, forse, insieme avrebbero potuto trovare una spiegazione a quella loro particolarità.

Neanche Sam sembrava molto entusiasta di tornare a lezione –Ti va se domani ci vedessimo qui?-

Un sorriso incurvò le labbra di Ethan, e fece cenno di sì con la testa. Sembrava che la fortuna si fosse per una volta ricordata di lui.

******


“A darkness falls over the land

Enslaves with a wave of its hand

And I try to see

The light through the disease

I tried to get up on my feet

Been so long, shackled down on my knees

For somewhere deep inside, I know

That fate favors the bold

 

So tonight, I’m riding a black unicorn

Down the side of an erupting volcano

And I drink, drink, drink

From a chalice filled

With the laughter of small children

(Voltaire – Riding a Black Unicorn)


 

Dunque esistevano ancora anime pure in quell’epoca.

Nel buio, Pitch sorrise.

“Che sorpresa…”.

Doveva trovarsi in un luogo sotterraneo, un cunicolo sotto la città, o una cripta. Sì, era una cripta. Nascosto come i vampiri nei vecchi cimiteri, evanescente come le ombre che nella notte vagavano tra le lapidi. Era di nuovo così che si era ridotto. Un’ombra indesiderata, destinata a essere dimenticata fino a svanire. Che fine crudele sarebbe stata, quella. Che fine indegna. Era stanco di quei luoghi stretti e umidi. Era stanco di nascondersi come un criminale braccato, ed era stanco dei secoli di speranza che era stato costretto a vivere.

Speranza. Quanto gli suonava sgradita, quella parola, quanto gli era odiosa. La speranza era solita vincere sempre, quella era la dura legge. Ma la legge, la legge poteva essere infranta, così come la speranza, soppiantata dal terrore e dalle tenebre.

L’umanità stava svanendo lentamente, e questo poteva andare a suo vantaggio. I bimbi, i dolci bimbi che le Leggende avevano il dovere di proteggere stavano diventando sempre più ingrati, nient’altro che piccoli teppistelli scettici armati soltanto di arroganza e disprezzo. Anche quello poteva essere un punto in suo favore.

Pitch Black sapeva che la speranza era molto più fragile da spezzare, e c’era qualcosa che, in quel momento, poteva essere il sigillo al suo trionfo.

“Sì, proprio tu. La cara, vecchia paura” – la paura, la violenza, a quanto pare stavano per diventare i nuovi cardini di quella civiltà ormai andata a male, e cosa, meglio della paura, poteva essere un buon espediente per fondare un nuovo impero?

Chi ha paura diventa spesso molto accondiscendente, e chi ha paura spesso accetta le tue condizioni nella spesso vana speranza di venire risparmiato dall’orrore tutt’intorno a sé. E chi ha paura spesso non ha la forza di combatterla.

Sarebbe stato semplice, quindi, portare i bambini dalla propria parte con metodi molto persuasivi seppur poco leali, e a quel punto la sua rinascita sarebbe diventata realtà. I bambini, senza più la fede nelle fatine luccicanti o nei coniglietti pasquali, non avrebbero avuto nulla a cui aggrapparsi per contrastarlo, e senza più i bambini il fantastico mondo delle Leggende sarebbe definitivamente sprofondato nell’abisso senza fondo della dimenticanza.

Tuttavia…

L’Uomo Nero passeggiava avanti e indietro nell’oscurità come un animale in gabbia, inquieto nonostante quei gloriosi propositi tanto vicini alla realizzazione del suo piano.

Tuttavia esistevano ancora delle eccezioni. Preziosi ragazzini che, nonostante tutto, si tenevano ancorati al mondo della fantasia e non erano intenzionati a perdere quell’immaginazione a Pitch tanto sgradita.

Il vero problema erano loro, loro erano gli unici ostacoli da eliminare. Quello tuttavia sarebbe stato semplice: cosa c’era che i suoi Incubi non potessero fare?

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Olalà!

Ragazzi, sono commossa, sto aggiornando più in fretta del previsto *^*9

Dunque eccoci qui con un capitoletto un po’ più lungo, ed ecco finalmente Pitch che da bravo cattivo sta nella sua fogna (?) a progettare piani criminali. Che carino, no?

Credo di non dover dire nulla per il momento, se non che pure io voglio vedere un unicorno! *canta la canzone degli unicorni di Agnes in Cattivissimo Me*

Ma comunque… ringrazio come al solito chi ha inserito la fic tra le Preferite, Seguite o Storie da ricordare, e come sempre grazie per le belle recensioni *-*

Ed è tutto, al prossimo capitolo!

Kisses,

Rory_Chan

 

  
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