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Autore: Abigail_Shadow_William    17/11/2015    0 recensioni
“Guarda lassù, Harry”
Louis rivolse lo sguardo verso il cielo. In sottofondo il suono delle onde che si infrangevano sulla riva ci cullava lentamente. Io però non ubbidii. Mi voltai verso il ragazzo dagli occhi blu oceano che stava al mio fianco, e lo osservai attentamente. Era bellissimo. Le sue labbra sottili erano leggermente aperte, stava respirando pesantemente.
“Louis, mi fai sentire come se fossi a casa.”
E quando i suoi occhi incrociarono i miei sentii che, anche se non fossimo mai riusciti a ritrovare la via, avrei vissuto benissimo insieme agli ormai miei migliori amici e al ragazzo di cui mi ero innamorato. Anche su un isola deserta.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You Make Me Feel Like Home
 
“Affondo nell'oceano, senza programma, senza meta.
Affondo e non torno su, e la mia vita è incompleta.”
 
Capitolo 1 — Ship
Ocean
Andreas Moe
 
                                            
 
Harry
 
 
 
“Tutti i passeggeri a bordo! Ripeto, tutti i passeggeri a bordo!”
Un fiume di gente si avvicinò all'imbarcazione, ed io con loro.
L'aria fresca di New York filtrava il mio cappotto provocandomi piccoli brividi lungo le braccia. Il sole era alto in cielo, ma nonostante ciò avevo ugualmente freddo, come sempre, del resto.
Gettai lo sguardo verso l'oceano, sprofondandoci dentro mentalmente, avvertendo sempre più una terribile sensazione attanagliarmi lo stomaco.

‘Accidenti a chi me l'ha fatto fare!’ mi ritrovai a pensare tra me e me.
Le onde erano abbastanza calme, il che era un passo avanti.
Iniziai ad incamminarmi seguendo il fiume di donne e uomini che si dirigevano verso l'imponente nave.
Mi sentivo schiacciato e non avevo nemmeno modo di respirare. Un signore dalla media statura, i capelli arruffati e gli occhi a mandorla a mo' di cinese, mi arrivò contro, farfugliando un leggero “mi scusi”.
Sbuffai, riprendendo a camminare con passo più svelto.
 
Arrivai di fronte alla scaletta, bloccandomi, di conseguenza fermando il flusso di persone che saliva dietro di me, facendo sollevare qualche grida come “ma ti muovi”, o “stai bloccando la fila, imbecille”.
Io inalai un respiro profondo e, senza nemmeno pensarci mi precipitai al di sopra dell'immensa nave che mi si presentava davanti.
Fui costretto a passare davanti ad un ragazzo sulla trentina, al servizio dei passeggeri che mi timbrò i cartellini, strappandomeli dalla mano.
"Può andare nella hall, dove riceverà tutte le informazioni necessarie" disse in maniera brusca, scaraventandomi verso un signore anziano.
 
Mi trovai spaesato, non avendo la minima idea di dove si trovasse la hall.
Davanti a me vidi un corridoio senza fine, sui muri erano tappezzate delle ancore blu, legate ad una corda da pescatore, che a sua volta saliva fino a scomparire dentro al soffitto. Era tutto sul tono dell'azzurro, con leggeri abbozzi di fiorellini color panna.
La gente camminava carica di valigie, così decisi di seguire un gruppo di americani intenti ad ispezionare per diritto e per rovescio una piantina dell'intera nave.

Proseguimmo fino a che non finì il piccolo tunnel nel quale eravamo rinchiusi — contai ben 124 ancore sulla parete — per arrivare in un maestoso salone, con lampadari di diamante a penzoloni dal soffitto.
Osservai le arcate ai lati della sala in cui mi trovavo, accuratamente decorate da chissà quale artista.
Davanti a me si presentò un palco, con le tende color beige, sorprendentemente abbinate ai quadri scelti.
In giro si trovavano dei tavoli già apparecchiati, con posate d'argento e calici di cristallo.
Vi erano 3 tipi di piatti impilati uno sopra all'altro, incorniciati da 5 forchette diverse, 3 coltelli e 2 cucchiaini di dimensioni differenti.
Al fianco d'essi vi era un tovagliolo con i decori di fiori lilla e verdognoli.
 
Godendo di tutte le ricchezze che mi circondavano ignorai completamente il fatto di appartenere ad una classe sociale completamente opposta, e ricordai quale fosse il mio amaro scopo su quel viaggio, rendendomi di nuovo cosciente del fatto che, proprio in quel momento, stavo affrontando la mia più grande paura: l'oceano.
Mi ricordai che, una volta, da bambino, quando ero in prima classe elementare, tutta la scuola era andata in gita al molo del mio paesino, che dava proprio sull'atlantico. Io, per tutto il tempo che rimanemmo lì non mi avvicinai mai al bordo, perché ogni volta che ci provavo mi tremavano le gambe e mi bloccavo completamente. Osservavo quella distesa d'acqua salata, e vedevo solo un abisso profondo, pieno di paura e disperazione.

Un bambino molto più alto di me, del quinto anno, che mi aveva sempre preso in giro per qualsiasi cosa, si avvicinò a me circondato dai suoi amici ed intimò:
“Ehi, cagasotto, perché non ti metti anche tu sugli scogli, come tutti quanti?”
Io non sapevo cosa rispondere, e cercando di trovare una scusa plausibile, in preda al panico, lasciai uscire la verità.
“Ho paura del mare” dichiarai apertamente.
Quelli presero a ridere, e ricordo che dentro me stavo crollando.
“Il marmocchio ha paura ragazzi! Aiutiamolo a superare la sua paura, siamo generosi dai” a quella frase rabbrividii, e lui mi guardò con un ghigno.
Poi i suoi amici mi tirarono su per i piedi e le braccia, mentre io mi dimenavo terrorizzato, urlando “aiuto”, sperando che qualche maestra sarebbe venuta a tirarmi fuori da quella situazione.
Poi sentii solo “1...2...3!” e il nulla.

Mi ritrovai sott'acqua, in apnea, completamente immobile per quello che mi stava capitando. Non riuscivo a muovermi.
Ricordo che ho avuto la sensazione di morire, poi però un gruppo di ragazzi del quarto, chiamarono le maestre, che subito si tuffarono a salvarmi.
Da quel momento mi promisi che non avrei più avuto niente a che fare con il mare o qualsiasi cosa che avesse per caratteristica una vasta distesa di acqua.
Ed invece mi trovai lì, su quella crociera, ad infrangere la mia stessa promessa.
“Styles” urlò qualcuno, scuotendomi dal mio stato di tranche. Un uomo barbuto a pochi metri da me si stava avvicinando con fare alterato.
“Credevo di essere stato chiaro” scandì ormai ad un passo da me.
Non lo era stato, chiunque lui fosse.
“Subito in cucina, là le verrà assegnato vitto e alloggio” disse in modo rigido e insensibile.
Io allora andai subito verso la piccola porta con un oblò che vidi in fondo alla stanza, nonostante avessi molto sul quale ribattere.
 
 
 
 
“Bene camerieri, oggi è il vostro primo giorno di lavoro” esclamò una donna dall'altezza smisurata e i capelli somiglianti a paglia.
“Sissignora” rispondemmo in segno di sottomissione.
“Avrete i turni: ognuno di voi servirà o al mattino, o a mezzogiorno o alla sera” ci riferì lei.
“Ma prima di assegnarveli, qualche regola” disse lei mettendosi composta. “Non avrete la possibilità di partecipare ad alcuna attività extra, riservata a coloro che il viaggio l'hanno pagato. Potrete mangiare insieme a tutti gli altri, a patto che ognuno di voi sparecchi per se. Le vostre stanze si trovano nei piani di sopra. Se guardate nella vostra casella” indicò una pila di cartellini accanto a lei “troverete chiavi e numero di camera. Riguardo al menù, lo trovate su ogni postazione di lavoro.”
Respirò lentamente.

“Okay, e ora i turni” dichiarò “Signor Empton, il suo turno sarà dalle 10:00alle 14:00” annunciò in maniera particolarmente chiara.
“E lei, Kendall J. Malton” fece una breve pausa cercando di decifrare l'orario che probabilmente non aveva scritto ma scarabocchiato, “dalle ore 18:00 fino alle ore 22:00” concluse.
Seguì un elenco chilometrico di orari preceduti da nomi, nel frattempo mi distrassi ad osservare dall'oblò della cucina la gente che prendeva posto a tavola.
Ognuna di quelle donne indossava almeno cinque collane, dieci braccialetti e due anelli. I loro abiti erano puliti e curati, simili a quelli delle contesse del ducato di Luigi XIV — immagino fosse un ducato, no? — per la maggior parte color indaco e rosa. Dovevano esser fatti di seta, incorniciati da piccole strisce di tulle.
Avevano tutti acconciature mozzafiato.

Notai che un ragazzo biondo dagli occhi neri che fissava il vuoto in maniera perduta, vestito elegantemente con tanto di cravatta blu e nera, osservava l'enorme orologio posto in fronte a se. Il suo sguardo sembrava seguire l'incessante scatto della lancetta dei secondi, come se fosse stato ipnotizzato.
“Harold Styles” mi chiamò poi la ragazza, ed io stupidamente, non ricordando il motivo per il quale mi trovavo lì risposi “eh?”
Delle risatine volarono per la cucina.

“Le sto assegnando il turno, Harold, non faccia lo sbruffone con me.”
Non sopportavo quando mi chiamavano Harold.
“Preferisco Harry, signora” la corressi. Portò gli occhi al cielo rivelando delle leggerissime pieghe al contorno dei suoi occhi e minuscole lentiggini a cui prima non avevo fatto caso.
“Okay, Styles, lei servirà al mattino, dalle 8:00 alle 11:00” sospirò, “bene, al lavoro chi deve!”
Io mi avvicinai alla mia cartella ed estrassi la chiave.
Numero 279.
Uscii dalla cucina e mi diedi alla ricerca della mia camera, osservando i ricchi che prendevano posto a tavola e chiacchieravano tra loro.
Oh, non avevano idea di quanto fossero fortunati.
 
 
 
 
Louis
 
Ho sempre considerato noioso il fatto di dover sorridere alla gente in ogni occasione, nei ristoranti, al supermercato, agli spettacoli. Nonostante li odiassi tutti, dovevo essere cortese e mostrare un sorriso falso, con la stanchezza negli occhi fingendo che io sia contento di conoscere nuove persone.
Oh, no, non ero contento. L'ho sempre detestato. Perché devi fingere per qualcosa di palesemente superficiale? Ridicolo.
Per questo mi tenevo stretta la mia cerchia di amici, che mi conoscevano e non pretendevano che parlassi con loro o che ridessi a comando, solo perché rientrava nelle Buone Maniere farlo. Non mi stressavano nemmeno, sapevano che per restare vivi dovevano semplicemente rimanere zitti e non entrate nel mio spazio vitale.
Forse stavano con me perché sì, sono figlio dei Tomlinson, ed ormai tutti sanno quanto ricco sia mio padre. Ma non mi importava, almeno mi lasciavano i miei spazi e non mi stavano incollati al culo tutto il giorno.
Con la stanchezza pari a quella di un bradipo, mi diressi verso la mia stanza, con passo strascicato, desideroso di strapparmi di dosso il mio smoking nero che — Gesussanto, perché mai dovetti indossarlo? — era disperatamente scomodo.
Osservai il numero sulla mia chiave, e la inserii nella toppa della porta corrispondente, con i numeri 275 incisi alla mia altezza. Poi la spinsi, ed entrai.

La stanza era immensa, quasi quanto quella di casa mia, e — ammettiamolo — io avevo proprio una bella camera. Sul lato sinistro vi era una scarpiera color panna, decorata con degli intarsi floreali che ricreavano l'idea di un ammasso di smancerie per morosi e cazzate varie ed incise foglie autunnali; in fronte ad essa si affacciava il bagno, anch'esso considerevolmente spazioso, pulito ed ordinato, con gli asciugamani lindi e nuovi, ed una vasca con idromassaggio compreso. L'unica pecca: il rosa.
Era tutto fottutamente rosa.
Pareti rosa, vesti rosa, porte rosa, perfino la carta igienica era rosa.
Nauseante.

In seguito, oltre un piccolo appendiabiti — rosa — un'altra porta dava sulla stanza da letto.
Di fronte ad un enorme armadio in mogano, con i pomelli di cristallo e gli sportelli scorrevoli, vi era un letto a tre piazze, nel quale ci sarebbero potute stare comodamente due o tre persone, non che avessi mai desiderato di passare la notte con qualcuno al mio fianco, su quella nave. Anzi non avevo mai dormito insieme a nessun altro che non fosse mia madre e mia sorella Fizzy. No, non volevo condividere il mio —MIO — letto con lei, era Felicitie che si infilava sotto le coperte appena chiudevo gli occhi, ed io, ovviamente, non me ne accorgevo. Sentii il rumore soffuso dell'aria fresca che traboccava dal condizionatore, situato sopra la porta della mia camera. Scrutai con occhio attento le coperte, non sopportavo la sporcizia, dovevo essere certo che le lenzuola del mio letto fossero pulite al 100%. Notai con enorme piacere che, ai piedi di esso, vi era un televisore color nero carbone. Sarei anche potuto stare nel mio letto a guardare MTV mangiando schifezze, invece che andare a quelle merde di balli organizzati.

Lasciai cadere a terra le mie valige, che con un assordante rumore rotolarono sulla moquet verdognola. Avrei potuto sfondare il pavimento — oh dio. Sfilai immediatamente le mie vans dai piedi, giacca e camicia insieme restando a petto nudo.
Mi sdraiai a peso morto sul materasso, nonostante avessi sempre ritenuto i letti degli hotel sporchi e fastidiosi, fissando il soffitto.
Sospirai.
Sopra di me, come nella sala da pranzo, pendeva un enorme lampadario, anche quello di cristallo. Era terrorizzante, sembrava che, da un momento all'altro, mi sarebbe crollato in testa.
Rabbrividii.
Chiusi gli occhi, ripensando alle parole che Luke disse il mese prima.

“Credo che tu abbia bisogno di una bella vacanza” diceva sempre, ed io rispondevo il contrario.
“Sei troppo stressato, tratti tutti di merda, sei acido e stronzo, devi smetterla di comportarti così” era solo per quello che avevo accettato di andare in crociera con i miei amici e lui, più per il fatto che non avevo voglia e tempo di lottare contro la sua parola.
Sentii bussare alla porta.
“Chi è?” domandai incerto.
“Sono io, Luke” parli del diavolo, spuntano le corna.
“Entra, è aperto” lui obbedì, richiudendola alle sue spalle. Io non mi voltai, chiusi gli occhi, e dopo qualche secondo sentii un colpo terribile al polpaccio, urlando dal dolore, notando che, il ragazzo appena entrato mi aveva tirato un calcio.
“Ma sei coglione?” strillai alzandomi di scatto.
Ridacchiò. Mi massaggiai la gamba nel punto in cui ero stato colpito.
“Non hai altro da fare nella vita che venire a rompere a me?” strillai arrabbiato.
“Oh dio mio, quante storie” ridacchiò ancora.
“Adesso vattene, ho bisogno di dormire” cercai in ogni modo di cacciarlo dalla mia stanza. Non avevo voglia di vedere nessuno.
“Ma che dormire Louis, guarda che dopo apre persino la discoteca, hai idea di quante ragazze potresti farti?”
Sbuffai disgustato.

Avrei dovuto essere euforico al pensiero, ma solo il fatto che mi sarei dovuto alzare e vestire ed incontrare gente e fare il sociale mi rendeva ancor più annoiato.
“Non ho voglia, Luke” lui sgranò gli occhi.
“Oh Gesù, tu sei malato” esclamò “ti aspettiamo nella sala da pranzo alle 9, vedi di venire” sbuffò uscendo dalla stanza e sbattendosi la porta alle spalle.
“Uh, ma che bella crociera” sospirai fra me e me.
Poi, senza badare a tutto il resto, mi addormentai.
 
 
Quando mi svegliai ero rannicchiato in un angolo del letto come un bebè. Notando che non mi trovavo nella mia stanza a Doncaster, mi alzai di scatto, buttando l'occhio sull'orologio.
23:08.
MERDA.
Mi diedi una pettinata veloce, infilai la prima maglietta elegante che trovai e corsi subito nella sala da pranzo.
Era vuota. Completamente.

Notai però un cartello a lato del portone, che diceva “Notte danzante al chiaro di luna”. Dal nome dedotti che si trattava della festa e che si sarebbe svolta a prua. Trovai una scala che portava al di fuori della nave e, una volta in cima, spalancai la porta ritrovandomi all’esterno.
L’aria era fredda, ormai era buio, e moltissime persone stavano sorseggiando drink seduti ai tavoli o ballavano al centro della pista sulle note di Bailando.
Nauseante. Odiavo le feste, ma non avevo altra scelta.
Mi guardai intorno in cerca di un angolo un po’ appartato dove passare la serata in pace e senza troppi sguardi addosso quando…

“Amico, alla buon’ora!” Luke mi raggiunse gesticolando, con una bottiglia di birra stretta nella mano e un sorriso raggiante in volto.
“Ehi” sospirai disgustato.
“Cos’è quella faccia, su”
Tutto quello che mi andava di fare era tornare in camera mia e guardare la tv, diciamo che partecipare ad un party e ballare appiccicato a decine di sconosciuti non era nella mia prospettiva di serata ideale. Ma dato che ero lì tanto valeva divertirsi un po’.
“Da qua” gli strappai la birra di mano e scolai ciò che restava del liquido tutto d’un sorso.
“Così ti voglio” ammiccò il mio migliore amico dandomi una gomitata e prendendomi per il polso per poi trascinarmi non so dove. Sorrisi, pensando che poi lo faceva solo per farmi stare bene.
Arrivammo al bar, ed io mi fermai al suo fianco. Mi guardò con due occhi furbi, non esattamente innocenti. Avevo capito cosa aveva intenzione di fare, e forse quella sera andava anche a me.
Mi voltai verso la barista, bionda, con sicuramente le tette rifatte, che stava aspettando solo la mia ordinazione.

“Una bottiglia di vodka, grazie”
“Adesso ti riconosco” Luke si esaltava con poco, decisamente.
La ragazza ci portò quello che avevo chiesto chiedendo se volessimo anche dei bicchieri, ma io risposi di no. Poi andammo a chiamare anche Calum, Michael e Ashton, e anche loro ordinarono qualche birra e del whisky, per poi seguirci sulla parte posteriore della crociera.
E così verso metà serata ci ritrovammo seduti in cerchio a giocare ad uno stupidissimo gioco, ubriacandoci e ridendo come degli idioti.
Il resto della serata rimane tutt’ora un mistero per me, non ricordo praticamente nulla.
 
Il mattino dopo mi svegliai nel mio letto sdraiato al fianco di Luke che sembrava letteralmente morto, dormiva a pancia in su con la bocca aperta, vestito solo di un paio di boxer, ed abbracciato a lui Ash, che portava i vestiti del primo. Michael e Calum invece erano entrambi stesi ai piedi del letto e il primo stava abbracciando una bottiglia di birra mentre il secondo baciava il pavimento.
Ridacchiai per la strana situazione, ma subito mi colpì un terribile mal di testa, costringendomi ad alzarmi.
Non avevo assolutamente idea di cosa fosse successo, e sinceramente mi spaventava scoprirlo.



Angolo Abigail

Hello everyoooone!
Ed eccomi qui, con una nuova storia. Beh, nuova mica tanto. L'avevo iniziata tempo fa ma solo ora mi sono decisa a riprenderla. Oops! (e si adesso voglio una recensione solo per vedere un bellissimo "Hi", quanto sono perfida eheh)
Insomma, che dire. Mi piace molto come trama e mi trascina subito nella storia.
Spero che piaccia anche a voi, e a parte gli scherzi mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate tramite una piccola recensione, anche per sapere se continuarla o no, perchè direi che non ha molto senso continuare a scriverla se non piace a nessuno:/
Scusate anche tantissimo se non ho aggiornato His Green Eyes but non è un buon periodo (scusa usata e riusata troppe volte, lo so). Solo che non mi sento ispirata, non solo con quella storia in particolare, ma con tutto il resto, e devo dire che questa mi ha presa più di quanto mi sarei immaginata.
Okay, direi che ho detto fin troppo, scusate guyyys!
Love you all!
Yours sincerely, Shadow. xx
   
 
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