E’ tutta questione di distanze
***
Quando le labbra di Damon si allontanano appena da quelle morbide di cui
aveva dimenticato sapore e consistenza, per riprendere un filo di fiato, Elena
si sposta da lui qualche centimetro di troppo sgranando gli occhi scuri ancora
immersi nell’oscurità della sua cucina.
Ed è con un lampo di lucidità e vergogna che realizza
quanto sta succedendo.
Preme le mani sul petto di Damon per allontanarlo, sconvolta, scappando
dalle iridi ferite di lui, deve prendere delle maledette distanze.
Ed è un secondo quello in cui la pelle frizza, con un colpo preciso,
sicuro, di quelli che si capisce che siano stati ponderati, attesi, studiati
per vent’anni. Vent’anni in cui Elena ha immaginato mille volte nella sua testa
come avrebbe potuto essere una loro conversazione, le sue giustificazioni,
scuse.
Ha fantasticato sotto la doccia, mentre lavava i piatti, quando attendeva
in fila alla cassa del supermercato o durante le noiose partite di baseball di
suo figlio Alec.
Mille e mille modi, pensieri, discorsi, sue risposte ad
effetto per ferirlo, per umiliarlo così come lui ha umiliato e ferito lei.
Una donna di quarant’anni e una rabbia covata per vent’anni.
E adesso tutto quel dolore ha preso la forma di uno schiaffo ben assestato,
con la giusta dose di forza con la mano destra dove
non porta anelli e non rischia di graffiarlo, di andare oltre.
Di rischiare che la sua offesa superi quella ricevuta.
Il tempo rimane sospeso, appeso a quel filo invisibile che li ha tenuti
comunque uniti a mille miglia di distanza, nel corso del tempo,
indistruttibile, impossibile da recidere. Come quel ciliegio che nonostante
tutto è sopravvissuto, è cresciuto e fiorisce ogni primavera; una piccola
pianta su cui non c’era da scommettere, eppure la vita ha trovato il modo.
L’amore trova un modo.
Ed Elena, ora che lo guarda attraverso le loro tenebre, quegli occhi chiari
che l’hanno accompagnata nelle notti di pianti, ai compleanni dei suoi figli,
nei suoi ricordi di ragazzina, realizza che lei per
prima ha continuato a lasciare che quel flebile amore non si spegnesse. E la
rabbia è stata incanalata ed espulsa attraverso quello schiaffo, lo vede Damon
che come sempre rimane composto nel suo dolore, smuovendo appena la mascella e
resistendo all’impulso di toccarsi la guancia pulsante.
Si rilassa appena Elena, vinta dalle troppe emozioni provate, lei che stava
annientando tutto quello che la rendeva una ragazzina spensierata desiderosa di
rotolarsi nella sabbia col suo fidanzato, le spalle scendono un po’, lo sguardo
si intristisce e il petto è sempre più lento nel
gonfiarsi, sembra quasi arresa Elena.
E Damon sospira, sa che questa distanza che ha ristabilito dovrebbe essere
preservata, ma più guarda quegli occhi castani febbrili, più i suoi muri si
frantumano e fa due passi per coprire quella distanza che forse brucia più
della pelle su cui Elena ha sfogato vent’anni di silenzio e in modo più gentile
ma rabbioso afferra il suo volto e la bacia di nuovo.
Lentamente, con dolcezza e malinconia, lasciando che Elena risponda al suo
bacio, che si lasci andare, che scelga se scivolare nell’oblio con lui oppure
chiuderlo per sempre fuori dalla sua vita. E continuerà a chiederlo finché lei
non lo avrà cacciato a forza di schiaffi, perché lui ora non ha intenzione di
andarsene in silenzio.
Ma Elena non ha mai saputo come non rispondere a quelle
labbra, come rifiutare di lasciare fluire quel balsamo che allevia il cuore e
culla le ferite e non sa nemmeno adesso, quando è sbagliato da morire quello
che sta facendo, non sa come non cedere a lui.
Lascia che la baci, che irrompa nella sua bocca con la lingua, che le mani
grandi trovino la sua pelle mentre si perdono tra i capelli, scendono lungo il
collo a sfiorarle le clavicole, che trovino le spalle, il tessuto fine della
canottiera mentre il cardigan scivola giù seguito dalla scia di baci che
infiammano e accendono le sue cellule assopite e le sue stesse mani sfuggono al
suo controllo ora che si posano sul petto di Damon, salgono lungo i bicipiti ancora scolpiti, forse meno vigorosi, mentre
trovano i suoi capelli e lo tirano ancora di più contro di sé.
E tutti i sospiri, i singulti che salgono dalla gola e riempiono l’aria
silenziosa, rotolano sulla pelle di Damon che respira caldo sul seno a cui si sta avvicinando; le mani che spostano i lacci della
canottiera, incastrati tra le dita di lui che fatica ad ossigenare i polmoni
quando sente le dita sapienti di Elena scivolare lungo la schiena fino all’orlo
della maglia.
All’improvviso lo squillo del telefono di casa irrompe nell’aria facendo
tentennare la foga di entrambi che sobbalzano, ma nessuno dei due sembra
intenzionato a dare ascolto all’insistente suono fin quando non parte la
segreteria telefonica e allora una voce sconosciuta risuona, obbligandoli a
staccarsi.
-Salve sono
il Dott. Ross chiamo dal New York Presbitherian
Hospital…-
Prima che Damon possa dire o fare qualcosa Elena corre al cordless per afferrarlo prima che chiuda.
Si tira leggermente su una manica del cardigan e si ravvia
i capelli quasi come se il dottore potesse vederla.
-Pronto???-
Damon si ricompone, attendendo qualche istante per poi raggiungerla, la
vede di spalle nel buio del salotto che parla a monosillabi e alla fine chiude
voltandosi con la faccia in preda al panico.
Il volto ancora affannato per l’intensa fame di baci di poco prima è
disorientato e si guarda intorno confusa.
-Io ...io devo andare all’ospedale...devo..-
La vede muoversi verso le scale e salire su.
-Elena..-
La segue fino a quella che deve essere la sua stanza, bada poco
all’arredamento e la osserva cercare un paio di scarpe ed
infilarsele.
-Dove diavolo ho messo il cellullare?-
-Ehi-
L’afferra per un polso prima che esca dalla stanza.
-Mio figlio...James lo hanno ricoverato...è
successo qualcosa con l’esperimento di chimica e io...io devo trovare le chiavi
della macchina, la borsa e il cellulare...devo trovare anche la tessera sanitaria,
quella la perdo sempre, incredibile…non la devo mai usare ma la perdo sempre-
-Elena-
La voce ferma di lui la scuote richiamando la sua attenzione, le lascia il
polso toccandole il volto dolcemente.
-Prendi la borsa e il telefono, ti porto io in ospedale…-
Sbatte le folte ciglia due volte come per metterlo a fuoco e annuisce.
E per una frazione di secondo Elena vorrebbe suo marito.
Vorrebbe l’uomo che ultimamente trova ogni scusa per allontanarsi da lei,
vorrebbe quello che sa dove tengono i documenti dell’assicurazione sanitaria,
il codice di previdenza sociale, dove sono le chiavi di scorta dell’auto,
quello che rimarrebbe controllato e saprebbe come comportarsi, a cui non deve spiegare nulla dell’esperimento di chimica.
Ma lui non c’è, deve affrontarlo da sola o almeno avrebbe
dovuto se non ci fosse Damon adesso.
E questo calma per un attimo la tempesta di terrore che l’ha investita e
lascia che lui la conduca gentilmente al piano di sotto, l’aiuti
a trovare il telefono, la borsa, le dice che non servono i documenti per
l’ospedale, se ha l’assicurazione loro trovano gli estremi con il numero di
previdenza di lei, che può scendere perché lui andrà a parcheggiare l’auto così
lei non perderà tempo.
C’è Damon che pensa a lei ed Elena ha meno freddo del solito, trema meno
del solito e il suo volto pur preoccupato è come
sostenuto dalla presenza silenziosa e precisa di lui.
Quando la portano alla stanza di suo figlio, Damon la attende in corridoio
e la osserva abbracciarlo.
-Mamma-
-Ehi tesoro-
Il ragazzino di 13 anni circa ha una mano
fasciata, lei gli accarezza i capelli mentre il medico le spiega che ha
riportato solo delle leggere ustioni e che l’altro ragazzo - Mike -è nella
stanza accanto col padre; il medico pediatra conosce le reazioni dei genitori e
si perita a spiegarle che il padre di Mike è stato attento, ha fornito loro
l’attrezzatura di protezione giusta, che deve essere tranquilla perché non è
nulla di grave.
Elena non ha intenzione di arrabbiarsi con un altro genitore, soprattutto
se sa che è stato prudente, sarebbe potuto accadere anche a lei.
Cerca di mantenere il controllo.
Si ripete queste cose mentre osserva suo figlio e
cerca il cellulare per chiamare qualcuno.
Probabilmente suo marito di cui Damon ignora tutto, dove sia, che lavoro
faccia, se sa che sua moglie si è fatta prendere dal suo primo amore nella loro
cucina.
Trattiene tutto mentre la osserva muoversi come una trottola, andare nella
stanza accanto e parlare con l’altro genitore che ha il figlio leggermente
ferito, mentre prova a mantenere la calma e non farsi prendere dal panico.
-Mi dispiace Elena sono mortificato-
-Lo so non ti devi scusare il medico mi ha spiegato-
-Sono stato attento coi ragazzi...io-
-Ehi non ti preoccupare-
Vede la sua dolce Elena, compassionevole come la ricordava, abbracciare l’uomo
e poi dopo aver salutato il ragazzo nel letto esce in
corridoio passandosi le mani sul volto.
-Ehi-
-Sta bene...ha solo una...una lieve ustione
ma...il medico dice che posso portarlo a casa, devono prescrivermi le medicine
e portarlo in ambulatorio tra cinque giorni per le medicazioni-
-Bene-
-Devo...credo che ci siano dei documenti da
compilare ma...non voglio lasciare James-
Damon mette un dito sotto al suo mento per
sollevare gli occhi su di lui.
-Facciamo così, tu stai con lui e io sento quella
gentile infermiera alla reception se può darmi i fogli così te li porto, ok?-
Lei annuisce e sospira,
-Grazie-
-Vai da tuo figlio-
La guarda entrare nella stanza e poi si dirige dall’infermiera
pronto a sfoderare tutto il suo fascino, intanto prende il cellulare e
chiama sua figlia che ovviamente non risponde.
Così le lascia una nota vocale.
-Ciao tesoro, è il tuo tecnologico papà, chiamami domani così mi racconti come è andato il viaggio…anche se preferirei un messaggino
di conferma già stasera….ti voglio bene-
Invia la nota davanti all’infermiera che lo guarda sognante da dietro il
bancone della reception.
-Salve-
-Come posso aiutarla?-
Poco più tardi porge ad Elena la cartella coi
documenti e attende che la compili.
-Ho detto a James che sei un amico di famiglia e mi hai fatto la cortesia
di accompagnarmi-
Evita di guardarlo, un po’ imbarazzata.
-Mm, mi sembra abbastanza vero-
Adesso Elena lo guarda storto e lui non può che sorridere, è la conferma
che è più tranquilla adesso se può perdere tempo a fulminarlo.
-Ok, avverto l’infermiera che siamo pronti ad andare-
Una volta ricevute tutte le prescrizioni mediche, Damon aiuta il ragazzino
a scendere dal letto mentre sua madre da gli ultimi
documenti al medico.
-Ti sei
preso uno spavento vero tesoro?-
-Beh io-
-Tranquillo,
adesso passa tutto-
Damon la
osserva, grattandosi il capo.
-Allora James...deve essere stata una figata di
esplosione-
-Damon!-
Elena lo rimprovera con la sua tipica espressione contrariata, vuole
terrorizzarlo ancora?
-Oh smetti di giudicarmi, guardiamo il lato positivo-
Il ragazzino, un po’ impacciato osserva sua madre di sottecchi e poi Damon
di sfuggita, lei si avvicina a James e lo aiuta a mettersi le scarpe.
-E’ stato un vero esperimento! E non è un esperimento di chimica senza il botto-
-E’ vero mamma...vedessi come ha iniziato a
bollire e poi, bum!-
Lo sguardo un po’ confuso e spaventato di suo figlio si accende di
adrenalina ed entusiasmo mentre si avviano per il corridoio.
Ed Elena capisce cosa voglia fare Damon, questo le ruba un sorriso
nascosto, piccole distanze che si bruciano anche senza toccarsi.
Il suo cellulare squilla ancora e lei si fa un po’
indietro lasciando più avanti Damon e James che parlano.
-Ehi, si lo hanno dimesso adesso lo porto a
casa...no, non ti preoccupare il medico ha detto che sta bene, va solo portato
tra cinque giorni a cambiare la medicazione, può darsi che avrà un po’ di
febbre...si certo te lo passo-
Elena abbassa il cellulare.
-James, papà vuole parlarti…-
Porge il cellulare a suo figlio che sorride e afferra il telefono mentre
Damon indietreggia.
-Papà...si sto bene, vedessi che esplosione-
Elena sorride e gli accarezza i capelli, voltandosi appena indietro per
guardare Damon che li segue con discrezione.
E si sente in imbarazzo, per Aaron al telefono, per averlo trascinato
all’ospedale, probabilmente si sentirà fuori luogo adesso, ma lei proprio non
avrebbe saputo come fare senza di lui.
Arrivati alla macchina, Elena sale dietro con suo figlio che continua
imperterrito a spiegare ad entrambi come sono andate
le cose fin quando d’un tratto non crolla addormentato sulla spalla di sua
madre, sfinito dall’adrenalina e dalla scossa emotiva di quella serata.
Esattamente come Elena, troppe emozioni, eventi, troppo turbamento dentro e
fuori di lei per non sentire arrivare la stanchezza tutta insieme, e lascia che
il silenzio dell’auto la culli per un po’ mentre osserva Damon, quasi di nascosto,
che guida senza muovere un muscolo.
E pensa al fatto che Damon non è mai stato uno di quelli che ti consola con
frasi d’effetto, o che ti asciuga le lacrime, che parla coi
medici o presenzia alle riunioni di condominio.
Damon distrae un ragazzino spaventato che si vergogna ad ammetterlo,
descrivendo l’aspetto figo un incidente.
Damon è il tipo che ti dice di non preoccuparti e sistema le cose a modo
suo -magari flirtando con l’infermiera - che si muove
silenzioso, che prende decisioni senza consultare, che usa mezzi che lei non
condivide pur di proteggerla, di tenerla al sicuro, anche finendo con lo
spezzarle il cuore.
E’ tutto l’opposto di suo marito, di ciò che di sicuro e accogliente ci sia
in un buon marito, eppure.
Eppure lei non si sentiva così viva da tanto tempo e tutto questo per un
uomo che non è quello giusto, che non è più il suo.
Un uomo che tutto e tutti le imporrebbe di tenere a debita distanza, una distanza che lei non è mai stata capace di tenere.
Quando parcheggiano, Damon scende e apre lo sportello dal lato di James.
-Lo prendo io-
Elena annuisce, non avrebbe proprio saputo come fare da sola, così in
silenzio, con Damon che porta in braccio il ragazzino, arrivano in casa e lei lo
guida fino in camera dei ragazzi dove lascia che lui
la aiuti a cambiarlo.
Una volta spente le luci, Elena chiude la porta ed entrambi tornano in
quello stesso salotto in cui è tornata la corrente, togliendo l’oscurità in cui
stavano lasciando emergere i fantasmi del passato.
-Grazie di tutto...non..-
Si passa una mano tra i capelli sospirando.
-Non c’è di che...dovresti riposare anche tu, non
credi?-
-Già ma...rimarrò sveglia nel caso in cui lui si
agiti o si svegli…-
-Elena-
-Sto bene-
Alza le mani in segno di difesa e poi si avvia verso il salotto.
-Starò sul divano non ti preoccupare-
-Resto con te-
-No Damon...tu-
Lui fa due passi verso di lei che si blocca sul posto, possibile che averlo
attorno la scombussoli tanto? Deve tenerlo a distanza, è tutta la sera che se
lo ripete.
-Non mordo Elena-
Lei lo osserva sottecchi, trattiene il fiato come per paura che anche solo
respirando possa combinare qualcosa, come correre tra le sue braccia e piangere
e sarebbe così inopportuno.
Come se quello che è successo qualche ora fa, tra i baci e lo schiaffo non
fosse abbastanza.
Non ha paura di lui, ma di se stessa.
-Lo so...preparo della camomilla-
Lo supera sparendo in cucina e lo sente dietro di lei.
-Tu...em...tu siediti…ti
prego-
Alza le mani e sospira, lasciandola fare e va a sedersi sul divano mentre
la attende, sa che è agitata, stanca e totalmente incapace di rispondere di se
stessa.
Ma lui vuole soltanto starle accanto, nel suo modo un
po’ contorto e goffo.
Poco più tardi sono seduti sul divano, con qualche distanza di sicurezza,
che fissano le tazze fumanti poste sul tavolino da caffè.
-Lo so che sei preoccupata, ma devi dormire, domani avrà bisogno di una
mamma riposata ed energica che si occupi di lui, e che rassicuri il resto della
famiglia, quindi Elena adesso ti togli le scarpe, ti sdrai e
io rimarrò a vegliarti finché non ti addormenti-
-Ma-
-A meno che tu non voglia andare spontaneamente nel tuo letto-
Elena cruccia lo sguardo come una bambina capricciosa.
-Che c’è? In quindici anni ho imparato qualcosa sull’essere genitori-
Le scappa un sorriso.
-Avevi un tono credibile-
-Ehi, io sono sempre credibile, devi vedere quando mi arrabbio sul serio
con Nadia come correi in camera sua-
-Come no...è noto che i padri siano molto
accondiscendenti con le figlie-
-Bè potrei concederle molte cose ma...quando c’è
da essere severo lo sono, ricordo ancora la prima volta che l’ho sgridata fino
a farla piangere-
Elena lo osserva in silenzio, forse non è l’unica ad
essere cresciuta, Damon è sempre Damon, ma è anche un padre e un uomo che si
prende cura di sua figlia, che le rimbocca le coperte la sera o fa la spesa.
Che presenzia all’incontro genitori-insegnanti in
una giacca troppo seria e brontola perché non c’è dell’alcool decente al buffet
di benvenuto.
E le si stringe il cuore a pensare che sa così poco
di lui, dell’uomo che è diventato, troppo intenta a vedere solo il ricordo del
ragazzo che amava e che l’ha ferita.
Vorrebbe conoscerlo questo nuovo Damon, quello che senza battere ciglio si
è preso uno schiaffo e lei è stato accanto tutto il
tempo, che adesso le lascia il suo spazio, che resta in silenzio a sostenerla.
-Raccontami-
Con la voce quasi rotta dalle lacrime di stanchezza accorcia quella
distanza chiedendogli di aprirsi, di condividere un pezzetto di quei lunghi
vent’anni, di colmare le troppe lacune e dopo un istante di esitazione in cui
le iridi azzurre si perdono in lei, lo osserva poggiarsi allo schienale del
divano e ripercorrere le prime volte di Nadia.
Lo ascolta parlare, mentre sorride o si rabbuia a seconda
dell’aneddoto, lo osserva, scruta le piccole rughe attorno agli occhi
chiari, il tono calmo e profondo.
Nemmeno si accorge di aver quasi finito la camomilla, di essersi
appallottolata su un fianco sul divano, con un braccio posato contro lo
schienale e la testa sostenuta dalla mano; e lui le parla sfiorandole casualmente
un ginocchio, o allungandosi per raggiungere una ciocca da spostarle dal volto mentre
lei trattiene una risata quando le racconta di come sia caduto dalla bici mostrando
a Nadia come si pedala senza le rotelle.
E la stanchezza fluisce lungo i muscoli di Elena più che si rilassa cullata
dalla presenza di Damon, non ci vuole molto per far sì che lei posi il capo
contro il cuscino del divano e lui le afferri
gentilmente le gambe per fargliele distendere su di lui, mentre la guarda
addormentarsi.
-Buonanotte Elena-
Le toglie la tazza dalle mani, si alza leggermente per farla distendere ma
lei lo afferra nel dormiveglia.
-Non mi lasciare-
Damon si blocca proprio sul punto di posare le sue gambe e sposta l’attenzione
su quella mano che tiene la sua maglia e gli occhi socchiusi supplichevoli,
come una bambina che ha paura del buio.
Sorride appena e si siede di fianco a lei lasciando che Elena posi la testa
sul suo petto e lui la avvolga dolcemente accarezzandole i capelli.
Adesso non gliene importa di mantenere le distanze, o forse non le ha mai
volute mantenere.
Ciao a tutte!
Perdonatemi il ritardo, spero che ci sia ancora qualcuna disposa a leggermi!!!
Innanzitutto grazie mille alle ragazze che mi hanno recensita
e grazie a chiunque abbia letto la mia storia, per me è importante sapere cosa
ne pensate!
Venendo alla storia, abbiamo lasciato i nostri Damon ed Elena nel presente,
nel post bacio folle nella cucina di casa di lei, dopo la loro strana
chiacchierata nel capitolo precedente e vediamo che le cose si scaldano in modo
pericoloso.
Entrambi si portano dentro tante cose mai espresse, che covano da sempre e l’unico
modo in cui riescono ad esprimere tutta la
frustrazione e il turbamento è in modo fisico, tanto nei baci quanto nello
schiaffo che lei si teneva dentro da tempo.
Ma il tutto viene interrotto dall’incidente di suo
figlio, un momento che serviva per ripristinare l’ordine e per dare la
possibilità ad Elena di guardare Damon non sono per la rabbia e l’odio, ma in
tutto ciò che è diventato e prova sensazioni contrastanti scoprendo che ha
molte più sfaccettature del ragazzo che ricordava. Che il tempo può cambiarci e
la vita, l’essere un padre come lei è madre, hanno
plasmato certi suoi tratti.
Attendo speranzosa i vostri commenti!
Baci
Eli