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Autore: Amantea    18/11/2015    10 recensioni
"Un uomo legge il giornale seduto all'interno della sua automobile, ogni mattina.
Una donna anziana non mette mai il cappotto, nemmeno nelle mattine d'inverno più fredde.
Mia madre mi tiene per mano mentre camminiamo spedite, è presto, ma non poi così presto, me lo ripete, dolcemente, mentre mi tira un po', lungo la salita, che è faticosa per le mie gambette muscolose ma corte, rispetto alle sue. Mia madre ha lunghe gambe, dalla falcata decisa, e un poco nervosa.
Salutiamo i passanti, pochi in verità, perché qui, a Neverville, come le sento ripetere spesso, ci sono poche anime, e quasi tutte perdute."
Un'avventura negli spazi infiniti, una missione da compiere, narrata dalla voce della protagonista, che non è quello che sembra, ricordando la propria infanzia, temendo quello che sarà ...
La mia prima storia originale, prendendo a prestito la fantascienza per scavare nell'animo dei protagonisti.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Neverville cap. 2
NEVERVILLE


-2-



Una vasca colma d'acqua dolce, nascosta in una grotta.
Capelvenere a grondare dalla roccia, come la goccia che ha creato queste concrezioni, e un'eco sottile, lo scroscio dell'acqua.
Mia madre mi tiene per mano, "Vieni", mi dice, "non aver paura".
La seguo, stando attenta a non scivolare sull'umidità che ricopre il terreno. In realtà mi piacerebbe saltellare sui sassi che sporgono appena dal fango, come fossero i segni di un percorso segreto, ma mia madre mi tiene salda e stretta al suo fianco.
Quando mi affaccio al bordo della vasca rimango incantata.
Dei grossi pesci, scuri alcuni e rossi altri, stanno nuotando in quell'acqua trasparente, smossa e dello stesso colore delle pietre e del muschio che vedo sul fondo.
Piccoli filamenti di alga fluttuano lungo i bordi. E' lì che i pesci indugiano con la bocca e poi scattano veloci, come se sapessero che fermarsi può essere pericoloso.

Eppure noi, mamma, ci siamo fermate. Viviamo da anni in questo piccolo borgo.
E se nemmeno questi pesci si sentono sicuri nella loro vasca, come possiamo esserlo noi?
E' una domanda che ogni tanto mi si affaccia alla mente, ma non la traduco in parole.
Mi fido di mia madre. Del posto in cui mi ha portato.

Restiamo a guardare, incantenate ai giochi di luce che fa l'acqua con se stessa, quando rincorre le sue stesse piccole onde.
C'è quiete, qui, e un poco di freddo.
Un'iscrizione sul muro riporta a un tempo in cui i pellegrini passavano di qua, e si fermavano a questa fonte.
" Se succedesse qualcosa... Mina, guardami".
La sua voce, all'improvviso, mi ferisce, è tesa, come poche volte l'ho sentita.
"Se succedesse qualcosa, tu devi venire qui, piccola mia... la strada la conosci. Pensi di poterla ricordare?".
Annuisco, la strada la conosco. Scende per il bosco, dopo un piccolo bivio. Sì, la conosco bene mamma, saprei ritrovarla, ma cosa...
"Tu devi venire qui. Qui c'è l'acqua, è un posto sicuro, dove non ti verrebbero mai a cercare".

Non riesco a chiedere oltre. Chi, mamma, chi potrebbe venire a cercarmi?
E che c'entra l'acqua...?
Da chi dovrei fuggire...?
Ma non chiedo nulla. Mi bastano gli occhi di mia madre. Un poco liquidi, come quell'acqua di fonte, mentre mi bacia la testa, stringendomi forte al seno.



Jody sta ridendo e scherzando con una collega. Mi pare si chiami ... oh, non ne ho la più pallida idea. Lo fa spesso, ultimamente.
Le si siede accanto, con una scusa, e poi gesticola, vistosamente, per raccontare qualcosa.
E' incredibile la quantità di cose che escono da quella bocca, sempre ridente. Sai come inizia e non sai mai come andrà a finire.
Anzi, di solito, a dirla tutta, finisce con lui che cerca, con indifferenza, di cingerle le spalle con un braccio, e lei che lo scansa, divertita. E' un gioco antico, il loro.
Il Capitano chiude un occhio, su queste cose. Purché ognuno sia pronto ad eseguire gli ordini, quando necessario, e tutti funzioni alla perfezione, sulla Motherhead, quello che poi succede nelle proprie stanze non interessa a nessuno.
Non avrebbero scelto un equipaggio misto, altrimenti, in spazi tutto sommato così angusti.
Pete mi fa cenno di sedere accanto a lui. Credo che l'abbia fatto fin dal primo giorno che siamo saliti a bordo.
Gli altri mi guardavano con diffidenza, soprattutto le donne. Lui  invece non si è mai fatto problemi, della mia diversità.
E allora accetto, anche stavolta. Non è poi un gran peso, lo confesso.
Pete ha sempre un'aria rassicurante, un sorriso gentile. Non si espone mai, rimane al suo posto, anche quando i suoi occhi chiari si fanno densi e sembrerebbero far presagire tutto il contrario.
- Mancavi solo tu -, mi dice.
Annuisco, e il ciuffo che porto sulla fronte mi solletica un po' il naso.
- Non mi piace molto questo momento -, confesso. Non è una novità, temo lo sappia benissimo, senza che glielo ripeta ogni giorno.
- Al Capitano piace vederci tutti insieme, credo lo inorgoglisca l'idea... l'idea che siamo un po' una famiglia -, mormora, la voce accosta al mio orecchio, per non farsi udire dagli altri.
Mi piace la confidenza che mi riserva. Non ho fatto nulla per incoraggiarla, ma è nata, spontanea, sin dalle prime volte.
E' una cosa di pelle, sebbene sia strano parlare di 'pelle' con queste tute che ci ricoprono dal collo sino agli stivali. A parte le mani, potrei giurare di non aver mai visto una porzione del corpo di nessuno, qui, sebbene l'aderenza del materiale aiuti l'immaginazione oltre ogni pudore.
- Il Capitano sa bene che una famiglia la si ama, mentre qui sarebbe meglio non affezionarsi troppo -, dico.
Ho usato un tono aspro, e me ne dolgo. Gli occhi di Pete si sono fatti un poco cupi, infatti.
E' per questo che non gradisco affatto questi convivii. Alla fine dico, o penso, sempre qualcosa di spiacevole.
- Scusa -, mi affretto ad aggiungere. Cerco di sorridere, e ritrovo anche il suo, di sorriso.
Ma oggi, non so perché, è più difficile del solito. Forse perché siamo a metà strada. Forse perché tra quattro mesi sarà tutto finito.
Mi alzo, senza far rumore, trattenuta appena dalla sua mano.
Lo guardo stupita, è la prima volta che si azzarda a toccarmi. Cerco gli occhi del Capitano, che intanto alla mia mossa ha girato la testa, attirato dal guizzo rosso della mia tuta che si è stagliata sul tavolo, sopra a tutti gli altri. Apre la bocca, ma non dice nulla, e mi segue con gli occhi, mentre mi allontano, lasciando la sala azzurra. Senza che possa dire nulla per trattenermi. Senza che io mi avveda del rimprovero silenzioso e deciso che Jody ha rivolto a Pete.
Senza che io mi accorga che anche Pete si è alzato, con il consenso del Capitano, e mi stia correndo dietro, perché non resti sola.



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Grazie di cuore a chi sta leggendo questo mio racconto (il mio primo originale) e a chi lascia il suo pensiero, graditissimo!
So che ancora ci sono tantissimi 'punti oscuri' ma si dipaneranno strada facendo ;) e se avete dubbi... chiedete :)
Amantea


   
 
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