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Autore: Elly J    18/11/2015    2 recensioni
La vita degli Assassini non fa per lei, Ginevra, una giovane donna spinta dal padre a diventare un membro della Confraternita. Si aggira per le strade di Parigi apparentemente sola… lei è convinta di essere sola. Ma c’è qualcuno che veglia sulla ragazza, ogni singolo secondo della sua vita. Perché Ginevra, “con quei capelli fiammeggianti, i tratti delicati del viso, il naso piccolo e all’insù le ricordava terribilmente lei, il grande e unico amore della sua vita, l’unica donna che lo avesse mai fatto sentire vivo. Però Ginevra… Ginevra non era lei”.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Arno Dorian, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Ginevra si svegliò di soprassalto, come se avesse avuto un incubo. Però non aveva sognato niente di niente. Non sapeva cosa l’ aveva svegliata, ma in quel momento si sentiva terribilmente malinconica. Si sedette sul letto, sistemandosi il cuscino dietro la schiena e rimanendo avvolta nella coperta.
Fuori, la pioggia colpiva Parigi senza pietà. Dei soffi gelidi di vento entravano dalla feritoia aperta della sua stanza; si era dimenticata di chiuderla. Non aveva nessuna voglia di alzarsi, così si avvolse di più nella coperta e rimase lì, a fissare il muro davanti a sé.
Quello che stava facendo, la strada che stava imboccando… lo sapeva, non era per lei. Fino a quel momento questo fatto le era parso accettabile. In fondo c’erano tante persone che conducevano una vita che non era la loro, che non li rispecchiava. Forse andando avanti con il tempo si sarebbe rassegnata e sarebbe finita per apprezzare quello che faceva.
Forse.
Certo, forse.
Ma probabilmente non sarebbe mai accaduto. Quello che la preoccupava di più era ciò che avrebbe affrontato quella stessa mattina. Difesa personale, armi, riuscire a sopravvivere ad un attacco dei Templari.
Uccidere.
Sì, perché ogni Assassino della Confraternita uccide, deve uccidere. Come potrebbe essere altrimenti? Ma Ginevra non era pronta per uccidere e non lo sarebbe mai stata. Forse avrebbe dovuto dirlo ad Arno? Magari le avrebbero permesso di scegliere un’altra strada, magari diventare uno stratega o qualcosa del genere… Avrebbe potuto pianificarle le uccisioni, ma non compierle. Ma alla fine, qual era la differenza? Non c’era. Sempre di uccidere si trattava, in modo indiretto o diretto. E forse, analizzandola bene, era quasi peggio pianificare un omicidio invece di compierlo.
Sì ristese sul letto, coprendosi fin sopra la testa con la coperta. Avrebbe voluto tanto non pensare, andarsene via da quel posto, da Parigi, dalla Francia. Ma non poteva e se continuava a negarsi la possibilità di essere felice, non avrebbe mai potuto.
Si riaddormentò cadendo in un sonno agitato, come un tunnel senza fine.
 
 
 
***
 
 
Arno si era svegliato più presto del solito quella mattina. Nonostante i numerosi pensieri che li attanagliavano la mente, era riuscito a dormire bene quella notte e poteva decisamente ritenersi soddisfatto, poiché ultimamente non accadeva molto spesso che riuscisse a riposare bene durante le ore notturne.
Sì vestì con tranquillità, pensando a ciò che avrebbe dovuto fare quella mattina. Si sentiva bene, stranamente. Avrebbe voluto che la sensazione di benessere che provava fosse merito del sonno ristoratore, ma sapeva benissimo che non era così. Il solo pensiero di vederla anche quella mattina, di vedere il suo volto incorniciato da quei capelli rosso fuoco, i suoi occhi verdi, lo riempiva di una sorta di felicità contorta.
Si avvicinò alla finestra della sua stanza e l’aprì. Parigi era vittima di un potente temporale. La pioggia cadeva con insistenza bagnando la città e rivelandone quel suo aspetto cupo e tenebroso che lui apprezzava molto.
Era quasi felice, anche se era consapevole che quella sua felicità non avrebbe mai avuto un futuro. Lo sapeva, ma non voleva pensarci e quella probabilmente era una delle tante cose che lo avrebbe danneggiato. E sapeva anche questo. Ma per l’appunto, evitò di pensarci.
Si staccò dalla finestra e si diresse verso la porta della stanza. L’addestramento degli Iniziati iniziava alle 7.30 in punto e quindi doveva muoversi. Fu proprio mentre lui stava per afferrare la maniglia della porta che qualcuno bussò. Rimase fermo alcuni secondi chiedendosi chi fosse e poi aprì.
- Ciao Arno, disturbo? - la figura snella di Julienne Moreau apparve sull’uscio davanti all’uomo.
Arno la fissò, perplesso. La fissò come lei aveva fissato lui durante la cerimonia per scegliere gli Iniziati. - Sta per iniziare l’addestramento dei nostri Iniziati a quest’ora. - rispose lui con freddezza.
Julienne rise. - Stai diventando ogni giorno più scorbutico, Dorian. - disse ed entrò nella stanza di Arno senza aspettare che lui la invitasse a farlo.
L’uomo chiuse la porta della stanza e seguì con lo sguardo la Julienne, anche lei Maestro Assassino da ormai molti anni. Quella donna, nonostante non fosse più così giovane, era estremamente bella… ma soprattutto furba come una volpe.
- A cosa devo il piacere? - chiese Arno appoggiandosi con la schiena alla sua scrivania e incrociando le braccia al petto.
- Mi spieghi perché devi parlare sempre con quel tono… - la donna sventolò nell’aria la mano destra - ..aggressivo?
- Ho fretta, Juls.
- Juls? Ma che orrendo soprannome è?
Le braccia di Arno ricaddero lungo il suo corpo e con una spinta si staccò dalla scrivania. Julienne lo vide arrivare verso di lei con quell’espressione minacciosa sul viso e quasi si pentì di essere lì in quel momento. L’uomo la raggiunse e si fermò ad un soffio dal viso di lei. - Ti ho detto che ho fretta, Julienne.
La donna rimase ferma per alcuni secondi, a fissare gli occhi di lui. - Va bene, Arno. Come preferisci. - disse poi - Vado subito al punto. - si allontanò e prese a camminare lentamente per la stanza, senza però staccare gli occhi da lui.
Arno la seguiva con lo sguardo come un segugio, senza perderla di vista. Sembrava come se avesse paura che quella donna potesse combinare qualcosa da un momento all’altro.
- Dunque Dorian, non credo che l’Iniziata che ti sei scelto sia adatta a te. - iniziò Julienne.
Arno sbarrò leggermente gli occhi. - Come scusa?
- Non ho intenzione di ripetere ciò che ho detto, perché so che hai capito benissimo. - Julienne non camminava più, si era fermata.
- Chi sei tu per stabilire una cosa del genere? - la voce di Arno iniziava ad uscire seccata, molto seccata.
Julienne lo guardò abbozzando un sorriso. Lo guardava come si guarda un bambino piccolo mentre gioca spensierato in cortile, facendo finta di essere un mago. - Arno, lo sappiamo tutti qui alla Confraternita perché hai scelto quella giovane donna e lo sai anche tu. Non negarlo.
Arno iniziò a sentirsi in gabbia. Era stato stupido pensare che nessuno li dentro se ne rendesse conto. Nessun Maestro Assassino era stupido, men che meno Julienne Moreau. Qualcosa però, nell’animo degli esseri viventi, spinge a cercare sempre di difendersi in qualche modo, in qualsiasi modo. Non sempre ci si deve difendere dalle minacce vere e proprie, ma anche dai ricordi.
- Non so assolutamente di cosa stai parlando. - le parole più scontate che esistevano, Arno le disse. Ma era pur sempre un metodo di difesa. Inutile, ma lo era.
- Élise de la Serre, Arno. L’unico motivo della tua scelta è Élise de la Serre. - Julienne parlò con dolcezza, soppesando bene le parole, ma comunque con tono deciso.
Arno la fissò incredulo, incapace di reagire, di parlare. Questa volta non aveva davvero idea di come difendersi. In quel preciso istante avrebbe voluto scagliarsi contro Julienne, prenderla a pugni, urlargli addosso ogni sorta di offesa. Ma ovviamente non lo fece.
- Élise de la Serre è morta. - fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Julienne gli si avvicinò. - Sì, è morta. Ormai da parecchi anni, Arno. E non potrà mai tornare da te. Quella ragazza, Ginevra, non è lei. Tutti qui abbiamo ammesso che la somiglianza è notevole, ma… - fece una piccola pausa - ..non è Élise. Lei non c’è più, Arno.
Arno la guardò dritto negli occhi e si sentì uno stupido. Sì sentì come un bambino che viene rimproverato dalla mamma. - Lo so che è morta, Julienne. Non sono pazzo, ne tantomeno convinto che possa tornare da me. - rispose. Sembrava si stesse ricomponendo.
- Nessuno qui pensa che tu sia pazzo, credimi. L’unica cosa che io e gli altri Mentori crediamo è che stare insieme a quella ragazza non ti faccia bene. - disse Julienne.
- Sappi che non ho nessuna intenzione di cambiare Iniziato. Per cosa poi? Solo perché assomiglia ad Élise? - rispose seccato Arno. La sua voce era tornata normale, come se il fantasma che si era insinuato dentro di lui fosse finalmente uscito dal suo corpo.
Julienne lo guardò scuotendo leggermente la testa. Poi si avviò verso la porta della stanza. Arno la seguì con lo sguardo, incapace di capire cosa avrebbe fatto ora quella donna. Era convinto che sarebbe uscita senza aggiungere altro, ma quando aprì la porta si fermò e si girò verso di lui.
- Tu sai che hai scelto Ginevra perché assomiglia alla donna che amavi e che hai perso. Ma sappi che stare con lei non ti aiuterà a superare questo lutto che ormai ti porti dietro da troppi anni. Pensaci, Dorian. - Julienne lasciò la stanza e la porta si chiuse con un tonfo sordo, lasciando Arno in compagnia dei suoi fantasmi che provenivano ormai da un passato troppo lontano.
 
 
 
***
 
 
 
Ginevra era appollaiata su un tetto relativamente basso di una casa nei sobborghi di Parigi. Pioveva a dirotto e nonostante la sua casacca da Iniziata fosse abbastanza pesante, sentiva il freddo penetrarle fin dentro le ossa. Il cappuccio calato fin quasi al volto era ormai zuppo, come i suoi capelli. Fortunatamente li aveva raccolti in una treccia, altrimenti le si sarebbero appiccicati tutti sulla faccia.
- Geneviève! - la voce severa di Arno che la chiamava le fece prendere uno spavento tale che ci mancò poco che cadesse dal tetto.
- Ci sono. - rispose la giovane donna dopo che riacquistò l’equilibrio.
Arno si avvicinò a lei e Ginevra lo osservò attentamente. Si muoveva come un gatto, con quell’andatura estremamente elegante. Non sarebbe mai diventata come lui.
- Distratti come sempre? - chiese l’uomo senza neanche guardarla. Lei non rispose né Arno si aspettò una risposta, dato che riprese a parlare subito dopo  - Adesso ascoltami attentamente. Oggi ti insegnerò qualche trucchetto direttamente sul campo. Da quanto ho visto non sai fare alcun tipo di salto.
“Grazie per avermelo ricordato.” avrebbe voluto rispondere Ginevra, ma si trattenne dal farlo.
- Oggi è il momento buono per iniziare. - concluse Arno.
A Ginevra non sembrava proprio un buon momento, soprattutto per il fatto che pioveva a dirotto, ma non disse nulla. Non poteva dire nulla. Si limitò ad annuire leggermente.
- Adesso io mi calerò di sotto, in strada. Tu dovrai saltare dal tetto e atterrarmi, come se dovessi uccidermi con la lama celata. - spiegò Arno indicando la strada sottostante con un cenno del capo.
Ginevra abbassò lo sguardo in basso e non appena si rese realmente conto dell’altezza che la separava dal terreno le venne un groppo in gola. - Spero tu stia scherzando. - rispose. Le parole le uscirono di bocca che quasi non se ne accorse.
- Prego? - chiese Arno girando il viso verso la giovane donna.
Ginevra sentì il viso diventarle bollente. Come gli era venuto in mente di rispondere in quel modo al suo Mentore? Chiuse gli occhi, respirando profondamente. Avrebbe dovuto saltare, non aveva altra scelta. Se non lo avesse fatto avrebbe deluso tutta la Confraternita oltre che suo padre.
- Io… - sentiva il cuore batterle forte e soprattutto percepiva lo sguardo di Arno su di lei. Riaprì gli occhi e guardò ancora in basso.
- Mi metto in posizione. Quando salti datti una bella spinta con le gambe e cerca di atterrare più o meno in piedi. - disse Arno senza aspettare una sua risposta. Non accettava obiezioni e questo Ginevra lo aveva capito.
Il Mentore scese dal tetto e in men che non si dica fu in strada. Si mise con la schiena rivolta verso la casa e attese.
Ginevra guardò la figura del suo Maestro avvolto nei suoi abiti da Assassino. Avrebbe dovuto saltare. Anzi, per la precisione avrebbe dovuto saltargli addosso, cosa che avrebbe volentieri evitato. “Gli altri Iniziati mi prenderanno in giro a vita questo colpo.” pensò.
Fece qualche passo lateralmente lungo il cornicione finché in linea d’aria non si ritrovò perfettamente sopra Arno. La pioggia continuava a cadere senza sosta e come se non bastasse si era alzata una leggera nebbiolina.
- Fantastico… - Ginevra diede un ultimo sguardo. Non credeva che sarebbe morta, in fondo il tetto non era molto alto. Ma se fosse caduta male si sarebbe sicuramente rotta entrambe le caviglie… se le fosse andata bene, ovviamente. Respirò a fondo e l’unica cosa che sentì furono le sue gambe che si davano lo slancio. Per una frazione di secondo il vento le sferzò violento in faccia, facendole ricadere il cappuccio della casacca lungo la schiena.
Poi atterrò.
Atterrò bene, proprio come un vero assassino. Niente ossa rotte, ne faccia spiaccicata sul lastricato della strada.
Sorrise.
Era soddisfatta di quel salto. Soddisfazione che però svanì una frazione di secondo dopo. Avrebbe dovuto atterrare su Arno, avrebbe dovuto buttarlo a terra e simulare un’uccisione con la lama celata. Peccato che Arno non c’era.
Frastornata, Ginevra si rimise in piedi e si guardò attorno. Il suo Mentore era sparito.
- Ma cos… - non fece nemmeno in tempo a finire la frase che la ragazza finì a terra su di un fianco. Provò subito a rialzarsi ma Arno la bloccò a terra con tutto il peso, piantandole le ginocchia sulle braccia, impedendole così di muoversi. Dall’urto, il cappuccio della casacca di Ginevra era scivolato all’indietro, scoprendo così la treccia disordinata che portava in testa.
La giovane aveva il fiato corto e quando incontrò gli occhi di Arno avrebbe voluto sparire sottoterra.
- Quante volte dovrò dirti di fare attenzione, Élise? - la voce dell’uomo uscì roca, quasi distrutta da un dolore lontano.
Ginevra aprì la bocca per dire qualcosa, confusa. Élise. Chi era Élise?
- Come? - disse con un filo di voce. Aveva un nuovo soprannome oltre a Geneviève ora?
Arno la fissò negli occhi per alcuni secondi, dopodiché la sua espressione cambiò, come se avesse visto un fantasma. L’uomo si tirò indietro lasciando andare la sua Iniziata. Sembrava molto turbato.
Ginevra si tirò su a sedere. - Maestro? - disse con un filo di voce - Mi dispiace se non…
- Zitta! Sta zitta! - urlò Arno all’improvviso. Si prese la testa tra le mani e cadde a terra in ginocchio. Ansimava, come se fosse appena stato picchiato atrocemente da qualcuno.
Ginevra, ancora seduta a terra a pochi metri da lui, lo guardava sgomenta. Cosa diavolo stava succedendo? Iniziava ad avere paura. Arno non sembrava dare segni di ripresa e lei non poteva di certo starsene lì così.
La giovane Iniziata si alzò in piedi, fradicia di pioggia dalla testa ai piedi, e si avvicinò con cautela al proprio Mentore. Fu quando stava per sfiorargli una spalla che Arno si alzò di scatto. Spinse via con violenza la mano della ragazza che neanche lo aveva toccato e con uno scatto si lanciò in una corsa folle tra la pioggia.
- Maestro! - Ginevra urlò con tutto il fiato che aveva in gola e prese a correre anche lei. Sentiva uno strano peso sullo stomaco, non piacevole, che le faceva percepire un dolore strano. Non capiva cosa era successo, non capiva perché Arno avesse reagito in quel modo e non sapeva perché l’aveva chiamata Élise.
- Maestro! - Ginevra urlò ancora verso la sagoma di Arno davanti a lei, sagoma che andava rimpicciolendosi pian piano. Correva troppo veloce.
La ragazza si fermò, senza fiato. Non lo avrebbe mai raggiunto. La pioggia le aveva bagnato tutti i vestiti, il volto e i capelli, i quali le si erano appiccicati sulla fronte e sulle guance.
Ora Arno non si vedeva più, in quella via piena di persone che cercavano di ripararsi dalla pioggia. Qualcuno la urtò, e poi qualcun altro. Nessuno sembrava accorgersi di lei, in mezzo a quel vicolo di Parigi… affranta, spaurita, bagnata fradicia e sola.
  
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