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Autore: Rin Hisegawa    27/02/2009    1 recensioni
In piedi al centro della stanza un uomo stava chino su un tavolo simile a quelli che si vedono nelle sale operatorie, dando le spalle alla porta. Era molto alto, e indossava il kimono tipico degli shinigami, nero, con un obi bianco stretto attorno alla vita. Il viso era coperto da una maschera, che raffigurava un volto deformato da un orribile sogghigno e gli conferiva un aspetto vagamente inquietante. [MAYURI KUROTSUCHI X OC]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Bleeding Saga'
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Di nuovo quel sogno.
Era così realistico che gli sembrava ancora di sentire le mani bagnate dal sangue vischioso e caldo. Era forse quella la sua maledizione?
Uccidere non gli faceva paura, i cadaveri non lo disgustavano affatto. C’era, anzi, una sorta di gioia folle nella sua passione per gli esperimenti. Una sensazione di potere esaltante, ma allo stesso tempo incredibilmente triste. Ogni notte, continuava a vedere i volti di coloro che aveva torturato. Non c’era disperazione, non c’era sofferenza. Anche in quel caso, solo il piacere di sentire il coltello affondare nella carne. La gioia dell’esperimento riuscito. Il sangue scivolava sulle sue dita, sotto il suo sguardo impassibile. E da qualche parte, dentro di lui, qualcosa gridava, inascoltato.
Kurotsuchi si alzò dal futon, e raccolse la sua maschera. Ancora una volta, si ripeteva la scena di milioni di altre notti. Meccanicamente, si sarebbe diretto verso il laboratorio, per continuare l’esperimento lasciato a metà.
Avrebbe lavorato per lunghe ore, alla debole luce del neon, fino al sorgere del sole. Il sapore della morte lo faceva sentire bene.
Si soffermò ad osservare la maschera. Era come fissare se stesso, nè più nè meno. Ed era così codardo, eppure così rassicurante, poter odiare una maschera anzichè il proprio volto. Quel volto non era altro che un nuovo cadavere su cui lavorare. Solo un cadavere ancora in vita.
Indossò la maschera, e uscì dalla stanza in silenzio. La porta della camera di Rin era chiusa, e dall’interno non proveniva nessun rumore. A volte, Mayuri sentiva qualcosa di molto simile alla solidarietà per quella ragazza, che aveva stravolto la propria vita con le sue stesse mani e si era allontanata da essa calpestando le macerie. In un certo senso, quello era coraggio.
Un soffio di vento fece ondeggiare il fondo del suo kimono, e Kurotsuchi si rese conto di essere in piedi in mezzo al corridoio, immobile, senza un motivo apparente. Ormai, gli era persino passata la voglia di rinchiudersi in laboratorio. Tornò nella sua stanza.
Tuttavia, anche rimettersi a dormire sembrava impossibile. Si lasciò cadere pesantemente a terra, la schiena appoggiata al muro, con la maschera ancora indosso. Chiuse gli occhi.
Intorno a lui, le cose stavano inesorabilmente cambiando. L’esilio del Capitano Urahara, l’arrivo di Rin, la scoperta della chiave per aprire il laboratorio nascosto. Cercò nella tasca del kimono, ed estrasse il piccolo oggetto luccicante. Si soffermò ad osservarlo.
Era una chiave come tante altre, dal lungo stelo argentato, con una sottile seghettatura sul fondo.
“E pensare che un simile giocattolo è la soluzione a tutto.” Aggrottò la fronte. Dov’era quel “tutto” che tanto si affannava a cercare?
Lo scricchiolio della porta che si spalancava gli fece distogliere lo sguardo dalla chiave. Rin, in piedi sulla soglia, lo osservava incerta.
- Ho sentito dei rumori, - disse infine - non sapevo che fossi tu, e mi sono preoccupata.
Cercò di suonare naturale, ma la sua voce tremava.
- Nessuno sarebbe talmente sciocco da introdursi nei quartieri della dodicesima Divisione di notte.
Rin rimase un po’ interdetta.
- Beh... immagino di no, in effetti. - riuscì a dire infine.
I due rimasero a fissarsi per un attimo, in silenzio. Mayuri si aspettava che Rin si sarebbe scusata e ne avrebbe approfittato per distogliersi da quella conversazione imbarazzante il più in fretta possibile, ma lei non lo fece. Al contrario, si diresse verso l’uomo, i piedi scalzi che non facevano alcun rumore a contatto col pavimento. Sedette di fronte a lui.
- Quella è la chiave del laboratorio di Urahara?- chiese a bruciapelo.
Kurotsuchi si limitò ad annuire. Sperava, rimanendo impassibile, di far capire a Rin che non aveva voglia di mettersi a discutere. Voleva soltanto rimanere da solo.
- Posso vederla?
La ragazza allungò la mano, fiduciosa, aspettando che l’uomo le porgesse la chiave. Kurotsuchi fece cadere l’oggetto nel piccolo palmo di lei, e rimase ad osservarla con occhio inquisitore. Senza neppure farci caso, Rin sollevò la chiave all’altezza del proprio volto e la osservò luccicare alla luce debole della luna.
- E’ piccola- disse infine- Anche la porta deve essere piccola... vero?  
Mayuri non rispose. L’osservazione era banale, ma forse li avrebbe portati sulla buona strada. Quella ragazzina era ancora inesperta su molte cose, ma sicuramente non era una sciocca. Riprese la chiave, e se la fece scivolare in tasca senza rispondere.
Rin continuò a fissarlo, immobile.
- Che cosa vuoi ancora? - chiese lui, cominciando a spazientirsi.
La ragazza abbozzò un mezzo sorriso.
- Niente. Stavo solo riflettendo.
Non le avrebbe dato la soddisfazione di chiederle che cosa stesse pensando. Rin, dal canto suo, non sembrava aspettarsi una simile domanda.
- Kurotsuchi-san, quando indossi la maschera è per impedire agli altri di capire i tuoi sentimenti dall’espressione del tuo volto, vero?
Mayuri si voltò a guardarla, sorpreso. Lei non ci fece caso.
- Ormai, è inutile che continui a portarla.
Stavolta, l’uomo non riuscì a trattenersi.
- Che significa?
- L’espressione dei tuoi occhi, e il movimento delle tue mani, sono quelli che rivelano cosa provi veramente. Si può recitare col volto e con le parole, ma basta un minimo gesto per tradire uno stato d’animo. Lo sapevi questo?
Kurotsuchi sogghignò. Non c’era niente di indagatore nel tono della voce di lei; quella frase era una semplice osservazione, era stata pronunciata col tono di chi parla del tempo.
Eppure, aveva fatto centro.
- Immagino che adesso vorrai darmi un buon consiglio.
Rin sorrise a sua volta, adesso più tranquilla.
- Non ho nessun consiglio da dare, invece. Però c’è qualcosa che vorrei chiedere.
Nessuna risposta. Rin interpretò quel silenzio come un’esortazione a continuare. Con una leggera esitazione, disse:
- Vorrei poterti guardare in faccia, almeno per una volta.
Kurotsuchi non replicò neanche stavolta. I due rimasero a fissarsi per un attimo, perfettamente immobili, poi l’uomo chiuse gli occhi. Era il suo modo per dire che si, andava bene.
Rin sollevò lentamente le mani fino al volto di lui. La maschera, ormai un semplice strumento senza vita, era fredda al tatto e incredibilmente leggera. Privo delle familiari iridi ambrate ad attenuarne la durezza, il volto sogghignante appariva ancora più grottesco e sinistro.
Poi, la ragazza sollevò lo sguardo.
Kurotsuchi aveva riaperto gli occhi, e la fissava con un’espressione di sfida dipinta in volto, quasi volesse invitarla a dire qualcosa, se ne aveva il coraggio. Rin, però, non aveva nulla da dire; voleva osservare quei lineamenti una volta per tutte, assorbirne ogni dettaglio e non dimenticarlo più, per ricordarli ogni qual volta si fosse domandata cosa c’era al di là di quella maschera impenetrabile.
Gli occhi ambrati continuavano a scrutarla intensamente, in parte nascosti da una frangia sottile e un po’ disordinata, che ricadeva in avanti, fino all’altezza della bocca. La debole luce che entrava nella stanza dalla finestra aperta illuminava i lisci capelli di lui, che erano di un azzurro intenso, facendoli apparire quasi argentati; senza la maschera indosso, Kurotsuchi non faceva affatto paura.
I bei lineamenti del viso erano resi più duri dall’espressione severa e dalle due cicatrici che, partendo dalla mandibola, attraversavano in obliquo la sua guancia sinistra. Quando un soffio di vento gli scompigliò i capelli, Rin si rese conto con un misto di orrore e sorpresa che Kurotsuchi aveva davvero svolto esperimenti su se stesso. Dove avrebbero dovuto esserci le orecchie, erano invece fissate alla stessa pelle delle strutture in ferro, che ricordavano vagamente un paio di branchie. Non erano disgustose da vedere, ma ugualmente Rin sentì un brivido freddo correrle lungo la schiena: fino a che punto si era spinta la follia di quell’uomo?
Immobile, le mani che stringevano la maschera ancora sollevate, la ragazza sentiva di non poter sopportare ancora a lungo quello sguardo severo piantato addosso.
“Non avrei dovuto chiedergli di vedere il suo volto. La maschera era un filtro, permetteva a lui di non essere capito, e a me di non capire. Non era necessario arrivare fino a questo punto” Adesso il mistero era risolto, la magia era finita. Rin si sentiva come un sacerdote a cui è stato dimostrato che gli dei in cui aveva creduto fino a quel momento in realtà non esistono.
Anche Kurotsuchi-san era un mero essere umano, una creatura vulnerabile con un volto e delle cicatrici, che sentiva il freddo e la fame, la gioia, la stanchezza e il dolore. Quella maschera poteva celare tali sentimenti, ma niente poteva riuscire a eliminarli del tutto.
Quasi le avesse letto nel pensiero, Mayuri allungò la mano, in attesa che lei gli restituisse la maschera. Rin, tuttavia, non si mosse: niente sarebbe stato come prima, neppure se avessero continuato per sempre a fingere le cose si sarebbero sistemate.
Kurotsuchi le strinse la mano attorno al polso sinistro, con delicatezza, costringendola ad abbassare le braccia. Lei rimase così, inerte, senza avere il coraggio di dire una parola. Sentiva le lacrime premere ai lati degli occhi, ma non aveva intenzione di cedere.
Perchè quella reazione? Lei non era tipo da piangere per un nonnulla. Era da quella sera di un mese prima che non si sentiva così; la sera in cui suo fratello l’aveva tradita. In un angolo remoto della sua mente, si chiese perchè doveva essere così dipendente dalle altre persone.
Senza volerlo, la maschera le scivolò di mano.
- Che c’è? Hai paura di me?
Kurotsuchi aveva ripreso la sua espressione di scherno, le labbra increspate in un sorriso obliquo. Nei suoi occhi, tuttavia, per una volta non c’era ombra di cattiveria. Lasciò andare il polso di Rin, per stringere la mano intorno al suo collo. La ragazza poteva sentire la leggera pressione delle dita di lui contro la pelle.
La stava mettendo alla prova.
- E’ così? Ti faccio paura?
Sogghignava.
Rin non rispose. Non sapeva cosa dire. Si limitò a continuare a guardarlo negli occhi, con la stessa espressione incerta di poco prima. No, non era paura il sentimento che provava. Solo un’immensa tristezza, e la sensazione di aver voluto ottenere più di quanto non le spettasse. Si chiese se Kurotsuchi fosse in collera con lei, ma non seppe darsi risposta.
Con suo grande stupore, però, l’uomo allentò la presa. Adesso il suo volto era serio, e il respiro regolare. Non c’era segno di rabbia nei suoi gesti. Appoggiò il palmo della mano sulla guancia di lei.
- Vattene, adesso.
Senza farselo ripetere, Rin si alzò di scatto e, quasi correndo, si precipitò nella sua stanza. Una volta dentro, si chiuse la porta alle spalle, e vi si sedette con la schiena appoggiata. Solo allora, nell’oscurità del suo rifugio, si sentì di nuovo al sicuro.

La mattina successiva, Rin fu svegliata dal sole che, prepotentemente, graffiava con i raggi dorati le sue palpebre chiuse. Schermandosi il volto col dorso della mano, la ragazza rimase per qualche istante immobile, distesa sulla schiena, in ascolto.
Dal cortile di fronte, portato dalla brezza mattutina, si udiva indistintamente il suono di alcune voci.
Rin, dall’interno della stanza, non poteva cogliere l’intera discussione; tuttavia, qualche parola giunta alle sue orecchie la indusse ad alzarsi in fretta: era soltanto immaginazione, o una delle voci aveva appena pronunciato il suo nome?
Col cuore in gola, ed una spiacevole sensazione di certezza a serrarle lo stomaco, la ragazza percorse il corridoio in punta di piedi, e si soffermò a pochi passi dalla porta. Da quella posizione, riusciva a scorgere l’intera scena, senza essere vista.
Kurotsuchi, le mani pallide strette a pugno lungo i fianchi, discuteva a bassa voce con quelle che sembravano due guardie armate di tutto punto. I kimono e le armi erano le stesse che Rin aveva visto indosso agli shinigami che avevano condotto lei e Mayuri da Urahara Taichou.
Che cosa volevano quei soldati?
La risposta era fin troppo semplice e la ragazza, paralizzata dalla sorpresa e dal timore, non potè far altro che restarsene nascosta ad ascoltare la conferma.
- Kurotsuchi fuku-Taichou, è giunta voce che sta ospitando una ragazza di nome Rin Hisegawa.
Mayuri non rispose. La guardia continuò, incoraggiata da quel silenzio:
- Sicuramente lei non è a conoscenza del fatto che...
Un brusco gesto del suo interlocutore ridusse le parole dello shinigami a un mormorio confuso.
- So già tutto, grazie.
La guardia rimase a bocca aperta, senza sapere come replicare a un’ammissione così esplicita. Anche Rin, nascosta nell’ombra, tratteneva il fiato.
- E non ha intenzione di fare niente?
- Non vedo come la cosa potrebbe riguardarmi.
- Ma... -  tentò di riprendersi lo shinigami - quella ragazza è un’assassina... ha ucciso l’intera famiglia... non si conoscono le cause del suo gesto...
- Le ho detto che non sono interessato.
La seconda guardia, più anziana della prima e con’espressione più risoluta, si fece avanti.
- Sappiamo che Rin Hisegawa è qui, Kurotsuchi. Ci lasci fare il nostro lavoro, è disdicevole che protegga un’assassina, visto che presto sarà eletto Capitano della dodicesima Divisione...
Mayuri non si mosse. Per un attimo, a Rin sembrò che stesse riflettendo sulle parole della guardia. Con un brivido, la ragazza si chiese quale sarebbe stata la sua scelta, di fronte ad un’affermazione del genere.
Poi, Kurotsuchi scoppiò in una risata crudele, priva di gioia. I due shinigami si guardarono per un attimo, incerti sul da farsi.
- Certo, sono convinto che il mondo sia pieno di pazzi disposti a diventare Capitano della dodicesima Divisione al mio posto... Perchè certamente non vi aspetterete che io accetti la nomina, se mi private così del mio vice-Capitano...
Le guardie rimasero in silenzio, palesemente domandandosi quale fosse il significato di una simile affermazione. Rin, invece, era quasi certa di aver capito; tuttavia, le era ugualmente difficile credere alle proprie orecchie: Kurotsuchi-san aveva pensato a lei come possibile vice-Capitano?
Con stupore, si rese conto che probabilmente era davvero questo ciò che l’uomo intendeva dire. Eppure, non l’aveva nemmeno mai vista estrarre la spada. Per essere eletto fuku-Taichou, uno shinigami deve essere in grado almeno di eseguire uno shikai...
Nel frattempo Mayuri, seccato dall’improvviso mutismo delle due Guardie, si era diretto verso la porta di casa. Raggiunta la soglia, i suoi occhi ambrati incontrarono quelli stupefatti di Rin, che lo fissava dal suo angolo in ombra.
- Ne parleremo con il Consiglio!
La voce dello shinigami giunse inaspettatamente lontana alle loro orecchie. Senza smettere di fissare Rin negli occhi, Kurotsuchi gridò di rimando:
- Aspetterò la risposta con trepidazione!
La ragazza scorse i due shinigami allontanarsi, discutendo rabbiosamente fra loro. Poi, le venne in mente qualcosa. Non avrebbe potuto giurarlo, ma le era sembrato di scorgere un bagliore divertito nello sguardo di Kurotsuchi. Quando si voltò di nuovo verso l’uomo, però, questi si era già allontanato.

- E così il tuo nome completo è Rin Hisegawa, - disse Mayuri, una volta che Rin lo ebbe seguito in casa.
La ragazza rimase ferma a fissare la sua schiena, senza capire dove volesse andare a parare.
- Si, - rispose semplicemente. Kurotsuchi non replicò.
Era difficile indovinare che cosa stesse pensando, chino sull’esperimento lasciato a metà. La maschera copriva interamente il suo volto e le mani, che si muovevano con gesti rapidi e nervosi, tradivano soltanto una leggera tensione, derivante probabilmente dalla chiacchierata con le guardie.
L’atmosfera si stava facendo insopportabile per Rin. Un milione di domande le salivano alle labbra per rimanere non formulate, per morirle in gola nel terrore di voler sapere troppo.
La sera precedente, la ragazza non era riuscita a scorgere la sottile linea che separa ciò che è possibile da ciò che è rischioso, e si era spinta oltre. Adesso, era ben decisa a non provarci di nuovo. Era troppo presto, e la ferita era ancora aperta. Lo capiva dal fatto che non le era possibile evitare di chiedersi che espressione avesse il volto di Mayuri in quel momento.
Tuttavia, voleva parlare.
- Quello che ha detto la Guardia non è del tutto vero.
Kurotsuchi interruppe il proprio lavoro e si voltò a guardarla. I suoi occhi erano privi di emozione.
- Ho già detto che i dettagli non mi interessano.
Rin rimase interdetta un attimo, chiedendosi quanti passi la separassero ancora dalla linea sottile. Decise di buttarsi, di rischiare ancora.
- Ma sono io a volerne parlare! Non sto cercando di giustificarmi, credi che uccidere una persona sia più facile che ucciderne dieci? Credi che sia stato piacevole tenerlo segreto? Voglio che la gente sappia, voglio che mi giudichi, se lo ritiene necessario! Preferirei che dicessi di odiarmi piuttosto che affermare in continuazione che non te ne importa niente!
Durante lo sfogo di Rin, Mayuri non le aveva staccato gli occhi di dosso. Aveva interrotto il suo lavoro, abbandonando gli strumenti sul tavolo, e la sua espressione si era gradualmente trasformata da disinteressata in attenta.
- D’accordo, - disse, quando la ragazza si fu un po’ ripresa - ti ascolterò, ma non aspettarti di impietosirmi.
Lei, scioccamente, annuì.
Il racconto di Rin era confuso e pieno di dettagli insignificanti. Ancora, dopo quasi cinque mesi, le era più facile ricordare il colore del sangue rappreso sulle sue dita piuttosto che le ultime parole di suo fratello.
Le giustificazioni che Hikaru aveva mosso a sua difesa erano scivolate via dalla mente della ragazza come acqua nell’istante esatto in cui aveva compiuto quell’ultimo, estremo gesto, per poi tornare ogni notte a perseguitarla negli incubi e svanire di nuovo, al risveglio.
- ... e poi sono arrivata qui, - concluse Rin, con un sospiro. Le sembravano trascorse ore da quando aveva cominciato quella lunga spiegazione; si sentiva stanca, stanca e desolata.
Kurotsuchi le lanciò un’occhiata di sbieco.
- Sei venuta qui. Perchè volevi vivere.
Rin lo guardò, non sapendo cosa rispondere. Lo sguardo di Kurotsuchi era minaccioso.
- Volevi vivere. Ecco perchè non mi interessa la tua storia; perchè, qualunque cosa tu decida di fare della tua esistenza, sceglierai sempre di uccidere piuttosto che di essere uccisa. Sei un essere umano, e in quanto tale sei custode solo di te stessa.
Era questa la risposta a tutto? Dolorosamente, la ragazza sapeva che Mayuri aveva perfettamente ragione. forse, da Kurotsuchi avrebbe potuto imparare la lezione più importante. Eppure, per quanto la risposta fosse così vicina, le mani tese di Rin non riuscivano ad afferrarla.
In silenzio, intanto, l’uomo era tornato al suo lavoro.

  
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