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Autore: Helena Kanbara    19/11/2015    2 recensioni
«Hai intenzione di dirmi il tuo nome o no?».
A quella richiesta, gli occhi del ragazzo l’abbandonarono nuovamente, lasciandola sola e stordita. «No, sinceramente», quasi borbottò, prendendo il primo sorso di quello che si ostinava a definire drink.
Alexa si sforzò di non arricciare il naso con aria infastidita. «Vedi che sei un gran maleducato, allora?», chiese poi, piegando le labbra carnose in un grosso sorriso – l’ennesimo.
Sperava che il suo tono fintamente indispettito potesse bastarle a riattirare su di sé quegli occhi meravigliosi, ma quella volta il ragazzo che le sedeva al fianco decise di non darle più soddisfazioni. «Come ti pare», snocciolò semplicemente a bassa voce, giocando a rincorrere goccioline di condensa sul bicchiere freddo con la punta delle dita lunghe e affusolate.
Per un lungo attimo, Alexa si perse ad osservarle, immaginando fin troppo vividamente la sensazione che quegli stessi polpastrelli avrebbero potuto farle se premuti forte sulla pelle sensibile dei suoi fianchi larghi o anche sulle sue labbra schiuse nell’attesa spasmodica di un bacio che sapeva però avrebbe tardato ad arrivare.
[...]
«Puoi chiamarmi come vuoi, Occhi Belli», gli concesse. «O dovrei dire Zayn?».
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Mi raccomando alla discrezione, ragazze».
Alexa sollevò gli occhi grandi su Lara, che le camminava pochi passi più avanti col vestitino inguinale a coprirle giusto l’indispensabile. Senza nemmeno doversi sforzare, si ritrovò lo sguardo dell’amica riflesso nel suo – particolarissimo – e lasciò che Lary la guardasse a lungo, che la incendiasse col profondo nero delle sue iridi. Sapeva si riferisse a lei. Della banda, Alexa era da sempre quella più problematica. E Lara non ne poteva più di convivere con tutti i guai nei quali si cacciava.
«Non abbiamo un centesimo, quindi se finite in manette, scordatevi pure che qualcuno venga a pagarvi la cauzione», continuò poco tempo dopo, abbandonando le iridi bicolore di Alexa con un ultimo lungo sospiro.
Lei, dal suo canto, distolse lo sguardo da Lara e cercò l’appoggio di Nadia. Quest’ultima le camminava al fianco, sicura e terribilmente sexy sui tacchi a spillo in vernice rossa. Era vestita da diavolessa, proprio come Alexa e Lara. Non si poteva certo dire che in quanto a costumi halloweeniani le tre ragazze spiccassero per originalità. Ma non erano a quella festa a tema per divertirsi né per giocare a chi avrebbe avuto il miglior costume. Non erano nemmeno lì per farsi notare troppo, quindi cadere nel banale coi travestimenti era proprio ciò di cui avessero bisogno.
«Buona fortuna, Al». Nadia si sporse verso l’amica, accarezzandole con un lungo bacio la guancia pallida. Poi le sorrise, le strizzò l’occhio e sparì nel bel mezzo della folla.
I proprietari del night avevano fatto un ottimo lavoro, quell’anno. Alexa si guardò intorno con aria esterrefatta, mentre schivava corpi sudati e mani insolenti. Il locale era pieno come mai prima d’allora, la musica risuonava alta e accattivante in ogni angolo e qualunque persona all’interno aveva l’aria di starsi divertendo un mondo. Tutti, escluse le tre diavolesse appena arrivate. Loro no, non erano lì per divertirsi.
Sia Lara che Nadia si dispersero velocemente nella folla di corpi accalcati in pista da ballo ed Alexa decise di imitarle subito. Sapeva che, determinate com’erano ad essere sempre le migliori, fossero già in azione. E lei proprio non voleva essere da meno, non quella volta. Ecco perché lasciò che la musica la guidasse, abbandonandosi al ritmo furioso di una canzone house che in un altro momento avrebbe odiato con tutta se stessa. Non quella sera.
Lasciò che un ragazzo alto e all’apparenza ubriaco fradicio la costringesse a ballare con lui. Tipi del genere erano le prede migliori: bastava un nonnulla per fregarli e portar loro via tutto ciò che avevano di più caro – letteralmente.
Mentre si agitavano sulla pista da ballo, seguendo un ritmo tutto loro, Alexa lasciò scorrere le proprie dita lunghe ed agili fin dove poteva. Non si perse un solo centimetro della pelle del ragazzo di fronte a sé, nascondendo con pessimi risultati un sorriso vittorioso nel momento in cui indice e medio entrarono in contatto col metallo freddo di un orologio all’apparenza parecchio costoso.
Alexa soffocò una risatina contro il suo orecchio, stringendo le dita sul polso del ragazzo e sull’orologio, suo vero obbiettivo. Doveva sfilarglielo senza che se ne accorgesse: ubriaco com’era non c’erano molte possibilità che la beccasse, ma sempre meglio evitare ogni tipo di problema. Non avrebbe dato a Lara altri motivi di lamentarsi.
«Queste lenti a contatto,». Improvvisamente, il ragazzo interruppe il silenzio nel quale si erano stranamente cullati fino a quel momento, mettendo fine alla gentile tortura che stava riservando al collo candido di Alexa per fissare gli occhi blu nei suoi, lievemente sgranati dalla sorpresa. «sono pazzesche», continuò, ad un passo dalle labbra carnose della ragazza, le quali nuovamente si piegarono in un sorriso accattivante e divertito allo stesso tempo.
«Lo so», acconsentì lei, mentre sentiva rimbombare nelle proprie orecchie il magico clic dell’orologio del suo compagno di danze.
Non interruppe mai il contatto visivo, ben sapendo che sarebbero bastate ed avanzate le sue iridi bicolore a distrarlo da qualunque altra cosa. Quegli occhi da favola erano la sua arma: grandi, limpidi, di diverso colore e grandezza. Uno – quello leggermente più piccolo – era di un bel colore dorato, che richiamava quasi quello dello champagne più costoso. L’altro – decisamente più grande – sembrava aver catturato pezzi di cielo estivo e raggi di sole, riportati alla memoria dalle pagliuzze d’oro che accerchiavano la pupilla stretta senza sminuirla. Da che era in vita, Alexa non aveva mai conosciuto qualcuno capace di resistere a quelle iridi spettacolari.
«Devi dirmi dove le hai comprate», aggiunse il tipo ubriaco, completamente ignaro del fatto che il suo orologio fosse ora stretto nel palmo lievemente sudato di Alexa.
Erano mesi ormai che faceva quel lavoro, eppure l’ansia di una nuova conquista non si decideva ancora ad abbandonarla, rovinandole molto spesso piani brillanti. Ma Alexa non avrebbe fallito. Non quella sera.
«Magari la prossima volta», mormorò dunque, sciogliendo la presa tra i loro corpi con un ultimo lungo sfioramento.
Sapeva che l’avrebbe stordito e non se lo fece ripetere due volte prima di agire: nascose bene l’orologio dietro la schiena e poi sparì, neanche fosse stata un miraggio interrottosi troppo presto. Sparì lasciando quel tipo ubriaco fradicio solo nel bel mezzo della pista da ballo, convinto che un giorno avrebbe rivisto quella ragazza da sogno e scoperto finalmente dove aveva comprato delle lenti a contatto tanto fighe.

Un paio di ore dopo, la festa di Halloween era ancora nel pieno del proprio svolgimento, e di Lara e Nadia ancora non c’era traccia. Alexa inspirò profondamente, cercando di riacquistare un respiro che aveva perso per l’ennesima volta al centro della pista da ballo. Dal suo primo innocentissimo furto, di strada ne aveva fatta fin troppa. Ora nel fondo della sua pochette nera Alexa poteva contare ben due orologi, tre catenine d’argento ed anche un paio di anelli di quella che sperava non si sarebbe rivelata nient’altro che mera bigiotteria. Ma nonostante tutto, credeva non fosse ancora abbastanza. La notte era giovane e lei voleva osare, senza più darsi freni inutili come invece avrebbe voluto Lara. Erano ad una festa, per Dio, Alexa aveva tutto il diritto di divertirsi a modo suo. Non correva rischi truccata e vestita com’era. Chi avrebbe potuto riconoscerla, seppure l’avessero beccata a sfilare gioielli a dei perfetti sconosciuti?
«Un Bloody Mary, per favore». Una voce bassa e roca – tanto da farle correre un lungo ed intenso brivido giù per la spina dorsale – interruppe il corso dei suoi pensieri, costringendola a voltarsi alla sua sinistra piena di curiosità.
Un ragazzo dall’aria scocciata ed i capelli scompigliati le si era appena seduto accanto senza alcuna remora, passandosi una mano sul viso dalla pelle ambrata mentre sbuffava chissà perché. Alexa non ci pensò su due volte prima di osservarlo attentamente: aveva i capelli scuri, quasi completamente rasati ai lati e terribilmente scompigliati, come se qualcuno non avesse fatto altro che passarci le mani attraverso con aria dispettosa – per un lungo attimo, Alexa immaginò come sarebbe stato poter fare altrettanto, poi si diede della stupida e si riscosse, portando avanti senza più problemi la propria attenta ed indisturbata radiografia. Il ragazzo che le sedeva di fianco in attesa del suo drink aveva le sopracciglia folte – dello stesso colore scuro dei capelli, la linea del naso fin troppo dritta, gli zigomi pronunciati ed un sottile strato di barba a coprirgli le guance. Ed era bello, dannazione, forse pure fin troppo. Tanto perché quei tratti perfetti potessero esistere sul serio.
Quando si rese conto di essersi nuovamente ed irrimediabilmente distratta, con gli occhi bicromi fissi sulle labbra carnose che avrebbe pagato per poter avere sulla sua pelle – dovunque – Alexa scosse la testa e distolse lo sguardo, fissandolo sul bar-man che finalmente stava procurando al ragazzo il Bloody Mary che desiderava. Alexa fissò il miscuglio rosso nel bicchierone che gli porse con aria disgustata, sapendo bene che non sarebbe riuscita a trattenere oltre l’osservazione schifata che proprio moriva dalla voglia di fare.
«Non posso credere che esista gente capace di bere quella roba», mormorò quindi, e prima ancora che potesse finire di parlare ritrovò riflessi nei suoi un paio di occhi grandi e di un marrone tanto chiaro che, alle luci del night, sembrava quasi verde.
Fantastico, il tipo doveva anche avere dei begli occhi. Complimenti alla mamma.
Alexa lasciò che il suo sguardo la incendiasse quanto necessario, non perdendosi nemmeno un particolare delle diverse emozioni che assediarono quelle iridi tanto comuni eppure tanto speciali nel ritrovarsi di fronte la pelle morbida e profumata di Alexa, gli occhi di diverso colore e le labbra carnose piegate in un sorriso velato.
«Ci conosciamo, per caso?», si sentì domandare poi, in un basso sussurro che sperò di non aver solo immaginato.
«Sono Blue». Alexa avrebbe voluto rivelargli il suo vero nome – avrebbe voluto che quel ragazzo conoscesse qualsiasi cosa di lei – ma non poteva permetterselo, non se aveva intenzione di fare di lui la sua ennesima vittima.
Il ragazzo quasi sembrò captare i suoi pensieri perché all’improvviso distolse lo sguardo castano dagli occhi sorpresi di Alexa, con un’aria di nuovo tanto infastidita da toglierle il respiro. Se fosse stata una delle tante ragazzine insicure di quei tempi, avrebbe cominciato a chiedersi cosa avesse fatto di male e ad incolparsi senza motivo per averlo fatto scappare. Al contrario, invece, accavallò le gambe lunghe e nude sull’alto sgabello del bar e si fece vicina quanto bastava a raggiungere l’orecchio del ragazzo di fianco a sé. Notò che un piccolo buco occupava il suo lobo, privo però di qualunque tipo di orecchino. E sorrise, cercando di non farsi distrarre troppo dal buon profumo da uomo che le riempì le narici. «Tu invece sei un gran maleducato».
Quell’osservazione bastò a farle riavere quei bellissimi occhi d’ambra sulla propria pelle, strappandole un sorriso soddisfatto di quelli della peggior specie. Il ragazzo la fissò a lungo con un sopracciglio sollevato in un’espressione confusa, poi si decise finalmente a ridare fiato alla bocca. «Perché mai?», le domandò, con grande piacere di Alexa.
«Hai intenzione di dirmi il tuo nome o no?».
A quella richiesta, gli occhi del ragazzo l’abbandonarono nuovamente, lasciandola sola e stordita. «No, sinceramente», quasi borbottò, prendendo il primo sorso di quello che si ostinava a definire drink.
Alexa si sforzò di non arricciare il naso con aria infastidita. «Vedi che sei un gran maleducato, allora?», chiese poi, piegando le labbra carnose in un grosso sorriso – l’ennesimo.
Sperava che il suo tono fintamente indispettito potesse bastarle a riattirare su di sé quegli occhi meravigliosi, ma quella volta il ragazzo che le sedeva al fianco decise di non darle più soddisfazioni. «Come ti pare», snocciolò semplicemente a bassa voce, giocando a rincorrere goccioline di condensa sul bicchiere freddo con la punta delle dita lunghe e affusolate.
Per un lungo attimo, Alexa si perse ad osservarle, immaginando fin troppo vividamente la sensazione che quegli stessi polpastrelli avrebbero potuto farle se premuti forte sulla pelle sensibile dei suoi fianchi larghi o anche sulle sue labbra schiuse nell’attesa spasmodica di un bacio che sapeva però avrebbe tardato ad arrivare. Solo quando il bar-man rischiò di rompere una bottiglia di birra lasciandosela scivolare tra le mani con un forte tintinnio, Alexa ritornò alla realtà e decise per la propria amata sanità mentale di scollarsi di dosso quei patetici filmini mentali.
«D’accordo, Mr. Simpatia», concesse quindi in un sussurro, agitandosi ulteriormente sullo sgabello con l’aria di chi non aveva la minima intenzione di mollare la presa. «Che ne dici di offrirmi da bere, perlomeno?».
Il ragazzo reagì a quella proposta sfrontata regalandole un lungo sguardo inespressivo. Sempre meglio di niente. «Ce l’hai l’età per bere?».
Alexa soffocò una risatina divertita, soddisfatta sempre più dall’intraprendenza di quel tipo. Non era solo un bel faccino: sapeva tenerla a bada e risponderle a tono senza farsi intimidire come più o meno tutto il resto della popolazione mondiale. Alexa gli sorrise debolmente, leccandosi poi le labbra carnose tanto lentamente da potersi godere il più a lungo possibile lo sguardo perso del ragazzo puntato proprio su queste ultime. Poi, all’improvviso, decise di mettere fine alla tortura e liberò tali parole: «Ho l’età per fare un sacco di cose divertenti, Occhi Belli, credimi».
«Occhi Belli?».
Alexa scrollò le spalle. «Non vuoi dirmi il tuo nome, qualcosa dovevo pur inventarmi, no?». Non si aspettava di ricevere una risposta, e il ragazzo non si scomodò neanche lontanamente a dargliene una. Anzi, distolse lo sguardo dall’espressione divertita di Alexa e tornò a regalare tutta la sua attenzione al bicchiere dimezzato di Bloody Mary. Alexa non poteva accettare di essere meno interessante di una miscela disgustosa di succo di pomodoro e vodka, ecco perché allungò velocemente una mano nella sua direzione e gli strattonò lo giacca verde militare senza farselo ripetere due volte. «Invitami a ballare, dai».
Ma il ragazzo che aveva di fianco si liberò della sua stretta senza sforzi. «Sei una piattola, te l’ha mai detto nessuno?», le domandò poi, voltandosi nuovamente a guardarla, proprio come se non potesse farne a meno.
Alexa gli sorrise soddisfatta, lasciando nuovamente che la sua lingua le accarezzasse lentamente le labbra. «Tu sei il primo», concesse infine con aria provocante.
«Che onore».
«Puoi dirlo forte». Quella replica si perse nel nuovo baccano del night: il dj aveva finalmente deciso di lasciar perdere i lenti ed era ritornato alle assordanti canzoni house sulle quali – all’improvviso – Alexa non vedeva l’ora di ballare.
Con uno scatto quasi felino si catapultò giù dallo sgabello, attenta a non inciampare sui tacchi vertiginosi delle scarpe che indossava sotto il corto vestito nero con ricami rossi. Poi si sistemò il cerchietto con le corna da diavolessa tra i capelli mossi ed infine riportò lo sguardo sul ragazzo che – ancora per poco – non le era più accanto.
«Andiamo, dai». Quella volta non ebbe nemmeno bisogno di pregarlo: gli afferrò nuovamente un braccio – perdendosi forse fin troppo a lungo a saggiare con la punta delle dita lunghe la consistenza dei suoi muscoli – e lo trascinò giù dallo sgabello senza sforzi.
Il tipo si era finalmente arreso e lasciò che Alexa lo conducesse nel bel mezzo della pista da ballo con nient’altro che qualche sbuffo ed un ultimo: «Sei proprio una piattola» fintamente infastidito.

Solo quando le spalle nude e bagnate di Alexa aderirono contro il freddo dei mattoncini nel vicolo adiacente il night affollato, quest’ultima si permise di boccheggiare alla ricerca spasmodica di un respiro che aveva perso di nuovo durante l’ultima delle sue corse. Si appiattì contro il muro, sperando che nessuno la vedesse rintanata lì con l’aria di un pulcino bagnato. La notte di Halloween non si sarebbe potuta sul serio definire tale se ad interromperla non ci fosse stato un temporale in piena regola, no? Ma ad Alexa non importava di bagnarsi, l’unica cosa importante da fare era scappare.
Inspirò ed espirò profondamente finché non sentì i battiti furiosi del suo cuore riprendere a scorrere ad un ritmo più umano, poi strinse le dita sul cuoio della sua ultima conquista: il portafogli non troppo nuovo del ragazzo sconosciuto che adorava il Bloody Mary e che dopo pochi sforzi aveva accettato di concederle un ballo. Si sentiva tremendamente in colpa per aver derubato anche lui, credeva che con un po’ di intraprendenza in più avrebbe potuto seriamente piacergli, eppure si era rovinata qualsiasi possibilità di rapporto nel momento in cui aveva deciso di trasformarlo in nient’altro che l’ennesima vittima dei suoi furti necessari. Così le piaceva definirli quando il senso di colpa le asserragliava la gola, togliendole il respiro.
Nel silenzio del vicolo – interrotto solo dallo scrosciare costante della pioggia che le stava appiattendo i capelli intorno al viso e congelando la pelle candida – Alexa si rigirò il portafogli in cuoio sbeccato tra le dita prima di aprirlo e buttare un’occhiata all’interno. Avrebbe dovuto scappare via lontana da quel luogo, eppure qualcosa la tratteneva nel fondo di quel vicolo. Forse il pensiero opprimente della terribile consapevolezza che aveva colorato le iridi castane del ragazzo sconosciuto nel momento in cui si era reso conto del suo furto. Alexa era sicura che l’avesse beccata. Con lui non le erano bastati i suoi occhi splendenti: era troppo lucido, nonché terribilmente intelligente, per farsi imbambolare da una come lei.
Alexa sospirò stancamente, liberandosi senza remore di inutili bigliettini da visita e altri tipi di carta straccia. Quelli non avevano valore, non come il paio di banconote che trovò ripiegate all’interno di un taschino. Sorrise. Non erano chissà quanto, ma come diceva sempre Nadia: tutto fa brodo.
Con le dita tremanti ma comunque agili, Alexa continuò ad ispezionare ogni singolo scomparto di quel portafogli, almeno finché un quadratino di cuoio duro non l’immobilizzò al centro di quel vicolo buio e solitario. Alexa strinse la presa sull’oggetto del proprio interesse, sentendosi morire nel momento in cui tirò fuori quello che scoprì essere nientemeno che un badge della polizia. Un vero badge della polizia.
«Oh cazzo». Quell’imprecazione le abbandonò le labbra senza che potesse impedirselo, mentre cominciava a tremare tutta – e non più solo per il freddo. Nell’improvvisa foga di quella scoperta, Alexa si distanziò dal muro in mattoncini rossi e compì un passo verso non sapeva nemmeno lei dove, lasciandosi sfuggire il distintivo di mano senza che riuscisse ad impedirselo. «Oh cazzo», ripeté, chinandosi a raccoglierlo in un battibaleno. «Ho fottuto il portafogli ad un poliziotto!».
Come sempre nelle situazioni di maggiore nervosismo, Alexa cominciò a parlare tra sé e sé con aria incupita, mentre la sua mente era assediata da nient’altro che parole di rimprovero contro se stessa e la sua immensa sfortuna. Lara mi uccid–
Quella catastrofica consapevolezza non ebbe nemmeno il tempo di divenire reale nella mente di Alexa, spazzata via all’improvviso da un forte rumore di passi sempre più vicini. Qualcuno la stava raggiungendo lì dietro, ed Alexa scommetteva di sapere già bene di chi si trattasse. Ecco perché in un battito di ciglia si liberò di tutto il suo bottino di guerra, nascondendolo sotto un grande e puzzolente bidone della spazzatura. Il ragazzo del bar – il poliziotto – se la ritrovò di fronte non appena Alexa ritornò più o meno stabile sulle gambe congelate e non se lo fece ripetere due volte prima di incendiarla con uno sguardo di sfida. Ma prima che potesse dirle qualunque cosa, Alexa lo anticipò con immensa bravura.
«Ti mancavo già, Occhi Belli?», cinguettò, facendo sfoggio di tutta l’odiosa nonchalance che possedeva mentre si faceva vicina al ragazzo e gli sbatteva le lunghe ciglia finte contro.
Lui, ancora una volta, non si lasciò abbindolare. «Mi hai sfilato il portafogli».
L’espressione di Alexa si indurì immediatamente, come se si fosse sul serio offesa. «Come ti permetti?», borbottò, incrociando le braccia al petto e mettendo così ancor più in risalto il seno florido.
Sperava di distrarlo con le proprie forme – quello funzionava sempre con gli uomini; ma con lui no. Mantenne gli occhi ardenti e scuri fissi in quelli bicolore di Alexa, muovendo un passo nella sua direzione che incredibilmente la riempì di aspettativa. «Dimostrami il contrario», ordinò poi, fronteggiandola senza paura.
Non aveva intenzione di cedere, così come non ce l’aveva Alexa. Lasciò che le sue labbra piene si piegassero in un sorriso impertinente, poi allargò le braccia con fare divertito e domandò: «Vuoi perquisirmi, per caso?».
«Sì». L’immensa sorpresa di cui la riempì quella risposta immediata quasi le fece sgranare labbra ed occhi contemporaneamente. «Ma non qui». Niente però in confronto a ciò che succedette quelle altre parole: il ragazzo azzerò completamente la distanza che li separava, stringendole un polso tra le dita congelate dalla pioggia battente. Aveva anche lui i capelli completamente incollati al viso e gli abiti zuppi, ma Alexa non riuscì ad analizzarlo come avrebbe voluto. L’incredulità e la paura le stavano tendendo uno dei loro insopportabili tranelli, indurendole i muscoli sotto il tocco inaspettato di un ragazzo che volendo avrebbe anche potuto rovinarle la vita.
«L’ultima volta che ho controllato non ero ancora tipa da sesso al primo appuntamento». Quello fu tutto ciò che Alexa riuscì a bofonchiare a bassa voce, andando contro le spiacevoli sensazioni di tragedia imminente che le stavano togliendo qualsiasi voglia di farsi valere come suo solito. «Non ti seguirò a casa, Occhi Belli».
Il diretto interessato le lasciò andare il polso nei pressi di una Camaro nera, voltandosi a cercare lo sguardo bicolore di Alexa con un sopracciglio sollevato. Senza mai interrompere il contatto visivo, fece scattare la sicura dell’auto e mormorò: «Scommetto che ti piacerebbe».
Alexa non poté far altro che sorridere divertita, poi incrociò nuovamente le braccia sotto il seno prima di rispondere a tono. «Più a te che a me».
Il ragazzo la fissò ancora per qualche attimo prima di spalancare la portiera scintillante della Camaro ed ordinarle di mettere piede in macchina con un tono di voce che non ammetteva repliche. Alexa nemmeno provò a disubbidirgli ed entrò nell’abitacolo, senza curarsi minimamente di inzupparne la tappezzeria lievemente consumata. Avrebbe dovuto non dare corda a quel tipo e scappare, ma era troppo curiosa di vedere come lui si sarebbe comportato per lasciar perdere ed essere ragionevole.
Il viaggio in macchina verso quella che Alexa scoprì subito essere la centrale di polizia scorse nell’assoluto silenzio, interrotto solo dal furibondo lavoro che i tergicristalli stavano facendo nel tentativo inutile e rumoroso di tenere liberi dalla pioggia i vetri dell’auto. Nel silenzio, Alexa rifletté a lungo – cercando di capire se davvero quello che impregnava i sedili fosse odore di sigaretta – e pensò a come Lara l’avrebbe uccisa quando avrebbe saputo del suo ennesimo arresto di poco conto, ma non riuscì comunque a sentirsi pentita di ciò che aveva fatto e di quanto era stata stupida. Non appena raggiunsero la centrale di polizia – quella che Alexa già conosceva fin troppo bene – il ragazzo girò le chiavi nel quadro dell’auto e spense il motore. Poi, sempre sotto lo sguardo attento di Alexa, si appoggiò contro il morbido schienale del sedile e strinse forte il volante tra le mani tatuate – quelle che Alexa ancora desiderava di potersi sentire addosso e non solo sul polso.
«Ascolta», lo sentì esordire all’improvviso, e la sua voce roca interruppe sia il silenzio che il corso dei suoi pensieri senza capo né coda. «Se tiri fuori il portafogli, evito di portarti dentro. Risolviamo tutto qui, te lo prometto». Si voltò a guardarla sul finale, cercando di ammaliarla con la profondità delle sue iridi. Alexa soffocò un’imprecazione, più che consapevole del fatto che quel dannatissimo poliziotto avesse già scoperto uno dei suoi punti deboli – i suoi occhi. Stava cercando di usare quel particolare a proprio vantaggio, per farla cedere con gentilezza e misericordia. Ma Alexa, ancora una volta, non avrebbe mollato la presa.
«Non ho io il tuo portafogli».
«Oh, andiamo!». Il ragazzo alla guida sbatté le mani sul volante rivestito in pelle tanto forte da farla quasi sobbalzare. «Sappiamo bene entrambi che non è così».
«Non ne hai le prove, Occhi Belli».
A quella replica, gli occhi del ragazzo si soffermarono sulle labbra schiuse di Alexa forse per qualche secondo di troppo. Infine comunque riuscì a ritornare in sé senza troppi sforzi e aprì lo sportello della Camaro, catapultandosi in strada con un ultimo: «Cercarle è il mio mestiere» che strappò ad Alexa un intenso brivido.
Era un poliziotto. Sul serio.
Con le mani stranamente calde dell’agente strette sulle sue braccia nude, Alexa si lasciò trasportare all’interno della centrale di polizia e successivamente in un ufficio non troppo grande ma dannatamente disordinato. Il ragazzo non la invitò a sedersi né tantomeno le procurò una coperta pesante o un caffè caldo come si vedeva spesso nei film: semplicemente la lasciò nel bel mezzo della stanza prima di riavvicinarsi alla porta d’ingresso. «Non muoverti di qui», le ordinò con un basso borbottio infastidito al quale Alexa riservò un semplice: «Non ci penso nemmeno» in risposta.
Poi si sbatté la porta alle spalle con un tonfo, facendola tremare contro i cardini mentre ritornava nella hall della centrale. Liam, nel vederlo avvicinarsi alla sua scrivania con lunghe e nervose falcate, gli dedicò un’occhiata stranita. Cosa ci faceva l’agente Malik lì durante il suo giorno libero? Sospettava di già che fosse un’irrimediabile stakanovista, ma quello sembrava un comportamento eccessivo persino per un tipo come lui… Almeno finché Liam non adocchiò la vetrata che mostrava l’interno dell’ufficio del suo collega e la sua mente si svuotò di qualunque sospetto.
«Chi è quella strafiga?», riuscì a domandare semplicemente, cercando di non sgranare troppo la bocca in segno di apprezzamento.
Una bellissima ragazza dalle forme ben decise passeggiava avanti e indietro nell’ufficio dell’agente Malik, maneggiando foto sparse sulla sua scrivania e guardandosi attorno con aria curiosa. Aveva i capelli zuppi e appiattiti dalla pioggia scrosciante dell’esterno e il trucco halloweeniano completamente sciolto sul viso, ma era bellissima comunque. Forse pure fin troppo, pensò Liam.
«Strafiga un cazzo», borbottò il suo collega all’improvviso, distogliendolo da quei pensieri sognanti con violenza. «Mi ha fottuto il portafogli. C’avevo dentro il distintivo».
E così quella bambolina giocava a fare la delinquente, mh? Liam ridacchiò, posando gli occhi cristallini sulla figura nervosa dell’agente che aveva di fianco. «Brutta storia, Zay», lo rimbeccò, guadagnandosi nient’altro che una violenta gomitata e l’ordine perentorio di prendere le impronte a quella dannata ladruncola, parole non di certo sue. «Con immenso piacere, mio adorato collega».

«Allora, Blue». Alexa sollevò velocemente gli occhi dalle sue gambe oramai tiepide, cercando quelli nocciola del poliziotto. Dopo diversi controlli e ricerche, era tornato in quell’ufficio disordinato stringendo tra le mani un foglio di carta scarabocchiato. Alexa sapeva benissimo cosa fosse. «O dovrei dire Alexa?».
Lesse il suo nome direttamente dal fascicolo a lei dedicato, pronunciandolo con un accenno di non so che nella voce. Alexa non si fece scalfire da quel tono, limitandosi a sorridergli a labbra serrate. «Puoi chiamarmi come vuoi, Occhi Belli», gli concesse. «O dovrei dire Zayn?». Utilizzò il suo stesso tono, guadagnandosi un’occhiata sorpresa che la soddisfò oltremisura. Non solo lui aveva scoperto lei: si stavano scoprendo a vicenda. Alexa fece schioccare la lingua contro il palato con immensa nonchalance, poi abbandonò la sedia che aveva occupato fino a quel momento – vinta dalla noia dell’attesa – e recuperò la targhetta d’oro sulla scrivania di Zayn Malik, la targhetta che per tutto quel tempo aveva osservato con occhi brillanti e curiosi. «Non è stata una mossa tanto saggia portarmi nel tuo ufficio», mormorò, sventolandola nella sua direzione.
Ma Zayn non le diede retta, riportando gli occhi sul fascicolo nelle sue mani. «Sei famosa, qui. Due risse, una denuncia per schiamazzi notturni e non è la prima volta che giochi a fare Arsenio Lupin», lesse. «Complimenti, una fedina penale di tutto rispetto per una quindicenne».
«Ecco la conferma che cercavo. Sei nuovo».
«Cosa te lo fa dire?».
Alexa incrociò le braccia al petto con aria soddisfatta, poi sciolse la presa per liberarsi il viso da una ciocca di capelli umidi ed impertinenti. «L’hai appena detto, no? Sono famosa qui», sciorinò poi, fiera del fatto che le proprie supposizioni fossero giuste. «Conosco più o meno tutti gli agenti di questa centrale e non ti ho mai visto prima d’ora. Se fosse successo, credimi, me lo ricorderei. Un bel faccino come il tuo non si dimentica tanto facilmente».
Gli occhi di Zayn si pietrificarono ancora sulla figura di Alexa, addossata contro la sua scrivania in legno come se stessero facendo nient’altro che un’informale chiacchierata tra amici. Lei provò a leggere nelle sue iridi lo sprazzo di un’emozione, ma inutilmente: troppe ne affollarono i suoi occhi in soli pochi secondi, così veloci e confuse da non permetterle di capire come si sentisse sul serio Zayn di fronte a tutte le sue provocazioni. Almeno finché a prevalere non fu l’incredulità. «Ci stai provando con me?», le domandò, scuotendo la testa con aria esterrefatta.
Alexa si umettò le labbra carnose prima di rispondergli. «Ti piacerebbe». E sapeva che sul serio gli sarebbe piaciuto. In un’altra situazione, magari…
«Ascolta,». Di nuovo, la voce roca di Zayn interruppe il flusso incessante dei suoi pensieri. «voglio solo il mio portafogli».
«Io non ce l’ho». Ormai sembravano ascoltare nient’altro che un vecchio disco rotto, il quale ripeteva sempre le stesse cose. Alexa non avrebbe mai creduto di poterlo dire, ma cominciava a sentirsi stanca. Con uno sbuffo mal trattenuto si fece lontana dalla scrivania di Zayn, avvicinandosi a lui lentamente, senza mai fermarsi finché non gli fu di fronte. «Posso andare, ora? Si è fatto un po’ tardi».
Alexa nemmeno provò ad abbandonare quell’ufficio perché sapeva bene che Zayn gliel’avrebbe impedito. Tanto che quasi sorrise vittoriosa nel momento in cui una delle sue mani grandi corse a stringerle nuovamente il polso sottile. Lo conosceva da pochissimo, eppure riusciva a leggerlo già così bene…
«Non te ne andrai di qui finché non mi avrai restituito ciò che mi appartiene».
Alexa sorrise. Ancora. «Non mi sembra tu abbia il diritto di tenermi qui, a meno che io non sia in arresto. E, correggimi se sbaglio, ma non mi pare nemmeno tu abbia le prove per mettermi sul serio in cella».
Quella replica velenosa lo zittì, proprio come si era aspettata che succedesse. Soddisfatta dall’improvviso silenzio di Zayn, Alexa non dovette nemmeno sforzarsi per liberarsi dalla sua stretta. All’improvviso sembrava sconvolto, forse perché consapevole di aver perso sul serio.
Alexa trattenne una risatina compiaciuta – l’ennesima – poi mosse i fianchi verso la porta, sentendosi in ogni momento lo sguardo di Zayn addosso. Prima di abbandonare quell’ufficio, comunque, ebbe bisogno di voltarsi a controllare che lui la stesse sul serio osservando. Lasciò vincere la propria vanità di donna.
«Così mi piaci», gli sussurrò, poggiata contro lo stipite e con le labbra piegate in un sorriso malevolo. «quando stai zitto».
Poi si chiuse la porta alle spalle, con un tonfo tanto violento da spazientire Zayn ancor di più. Alexa non si voltò più a cercare il suo sguardo, ma lo sentì comunque urlare qualcosa di molto simile a: «Te la faccio pagare, piattola!» con aria infuriata.
Non questa sera, Occhi Belli.

Zayn si stiracchiò come un gatto nella calda luce del primo mattino, dirigendosi lentamente nella cucina abitabile di già illuminata da flebili raggi di sole. Erano passate da poco le otto, eppure sembrava – stranamente – già giorno inoltrato. Non che a lui la cosa dispiacesse.
Mentre scopriva con immenso piacere che il caffè nella caraffa in vetro fosse ancora bello caldo, controllò la situazione in strada e non si meravigliò di vederla ancora deserta: davvero in pochi lì si svegliavano così presto. Pensò a Doniya e a come avrebbe dovuto ringraziarla per avergli preparato il caffè anche quella mattina mentre se ne riempiva una grossa tazza e cominciava a sorseggiarne il contenuto con aria soddisfatta. Poi, senza che riuscisse sul serio a spiegarsi il perché, il flusso dei suoi pensieri incappò all’improvviso in un paio di iridi bicolore e tutto il buonumore di quel mattino andò immediatamente a farsi benedire. Quella dannatissima ladruncola l’aveva preso in giro in un modo che Zayn ancora faticava ad accettare. Il suo orgoglio di uomo e poliziotto era uscito gravemente ferito da quell’incontro-scontro, tanto che a distanza di giorni ancora non aveva avuto il coraggio di fare richiesta per un nuovo distintivo. Cosa avrebbe dovuto raccontare al suo superiore quando la realtà dei fatti era tanto imbarazzante? Si era fatto infinocchiare come il re degli stupidi.
Zayn sbuffò, lasciando da parte il caffè poco prima di realizzare l’assoluto bisogno di distrazioni che l’aveva colto. Non poteva ancora pensare a quella ragazza, altrimenti anche quel giovedì si sarebbe trasformato in un’altra giornata d’Inferno. Ecco perché scosse la testa – come se quel gesto sarebbe potuto bastare a scacciare via qualsiasi inopportuno pensiero – mentre raggiungeva la porta d’ingresso della casa. La aprì lentamente, sorridendo quasi nel ritrovarsi ai piedi il solito giornale cittadino. Leggere qualcosa l’avrebbe sicuramente distratto.
Ma quella mattina sul portico non trovò solo la nuova edizione del daily. Una piccola confezione sui toni del rosso attirò infatti tutta la sua attenzione. Zayn si chinò per raccoglierla, rigirandosi poi tra le dita quello che aveva tutta l’aria di essere nient’altro che un quadratino avvolto in carta natalizia. Sentendone sotto i polpastrelli la consistenza, un pensiero fulmineo gli attraversò la mente, ma di nuovo Zayn lo scacciò via veloce.
Si chiuse la porta alle spalle, scartando la strana confezione e scoprendo solo pochi secondi più tardi di come la sua improvvisa supposizione non avrebbe potuto essere mai più giusta di così. Quando si ritrovò le dita strette sul suo distintivo, quasi dovette trattenere un sorriso. Questo però gli si congelò sul volto quando un foglio di carta straccia fece capolino dalla confezione. Pieno di curiosità, Zayn lo dispiegò e cominciò a leggere le parole di cui era macchiato con un’espressione esterrefatta in viso.
 
Buon Natale in anticipo, Occhi Belli!
Puoi ringraziarmi con un invito a cena, tranquillo.
 
C’era solo una persona al mondo che lo chiamasse in quel modo. La stessa che aveva appena ammesso di essere stata l’artefice del furto che solo poche sere prima aveva negato fino all’ultimo. Incredulo, Zayn si rigirò il foglietto tra le mani e trovò ad imbrattarlo sul retro diverse cifre di quello che scoprì – dopo aver letto il categorico CHIAMAMI! – essere il numero di telefono di Alexa. Scosse la testa.
Chiamarla? Pazzesco…
   
 
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