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Autore: PikkolaGrandefan    27/02/2009    1 recensioni
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Rinoa81, assistente amministratrice.

Angela è una diciasettenne che abita nel Quartiere dei Boschi, nel quale è cresciuta assieme ad un gruppo di amici. Tuttavia la sua vita verrà sconvolta dall'arrivo di uno sconosciuto, che la porterà nel suo mondo fatto di musica e sincerità. Tra canzoni, professoresse particolari, boschi e amori la vita nel quartiere più tranquillo del mondo non sarà più la stessa...
Aprì il cancelletto di casa e feci per entrare quando la vista di un ragazzo mi colpì.
Non l’avevo mai visto. Era molto alto, aveva delle belle spalle e un fisico forte e atletico. Due occhi scuri e i capelli arruffati.
Mi chiesi dove abitasse ma non ci pensai più di tanto. Dovevo chiamare Caterina.
Quelle parole cattive, disumane l’avevano colpita nel profondo. Deborah, che lo amava da cinque anni, nel bene o nel male, soffriva per lui, che non la degnava di uno sguardo.
Ero andata poche volte fuori da Sobo per fare compere o cose simili. Tutto il necessario lo trovavamo qui, nel Quartiere dei Boschi.
E mi guardò, con quei suoi occhi fusi, che mi laceravano l'anima ed entravano dentro di me.
"R-Roberto" tremai io.
"Si?" Sorrise.
"Mi stai facendo impazzire...".
Risi e guardai la professoressa più mitica del mondo.
"Comunque" disse lei con la sua voce penetrante e molto acuta, "Roberto ha detto che non stai più nella pelle per cantare al concerto. E' vero? Lui era così entusiasta!".
"Le ha detto questo?".
"Sisi". Rabbrividì.
"Lei è Roberto parlate molto di me, vedo...".
Genere: Romantico, Commedia, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Driin Driin. Driin Driin.

Maledetta sveglia. E pensare che l’avevo impostata io stessa. E prima del solito anche. Tutta colpa di Luca.
Mi scoprì dalle coperte verdine ma rimasi stesa su un fianco, intenta ad osservare le grandi icone digitali rosse della sveglia rettangolare che era appoggiata sul comodino affianco al letto. Alla fine, con il corpo intorpidito, decisi di alzarmi. Non filtrava luce dalla persiana, evidentemente fuori era ancora buio. Corsi subito in bagno ma me ne pentì subito appena vidi la mia immagine specchiata sul grande specchio. Il mio viso era sempre stato pallidissimo ma il mio riflesso era simile a quello di uno zombie, i miei occhi erano marcati dalle solite occhiaie che quel giorno avevano un colorito bluastro.
”Oddio” mormorai prendendo lo spazzolino e cominciando a spazzolare i denti di malavoglia.
Finalmente pulita andai in camera e guardai nell’armadio. Troppa roba. Da ovunque, cassetti, armadi, comodini, spuntava una parte del mio guardaroba.
Dopo aver frugato un po’ optai per una maglietta rosa anonima e un paio di jeans grigio chiaro. Indossai le all star nere e mi avviai verso lo specchio.
Okay, il mio viso era uguale. Non mi truccavo. MAI. A differenza di Alberta io ero molto naturale. Anche Deborah si truccava pesantemente. Il suo viso era cosparso di brillantini. Per non parlare di Caterina, ma lei si truccava già in quinta elementare…

Finalmente riuscì ad uscire di soppiatto da casa. Mi irrigidì dal freddo mattutino e mi strinsi nelle spalle continuando a camminare.
”Eccoti finalmente!” strillò una voce alle mie spalle. Mi girai sconvolta verso Alice che, come sempre vestita di rosso era appoggiata alla sua Volkswagen grigio metallizzata. Dentro la macchina… il mio cuore per poco non perse un battito… c’era Roberto che mi guardava incerto, gli occhi due pozzi neri e profondi.
Per fortuna, servendomi di tutta la mia buona volontà riuscì a staccare lo sguardo da lui per concentrarmi su Alice.
“Professoressa!” esclamai, “Che ci fa lei qui?”.
“Angela, ma ancora dopo sette anni continui a darmi del lei? Insomma... Comunque sono venuta a prendere prima Roberto, che è sempre così puntuale..” disse sognante.
Feci una smorfia disgustata da tutto quel miele. Roberto che evidentemente se ne accorse anche se non poteva sentire bene essendo all’interno della macchina, sogghignò.
“…Lasciamo perdere” continuò lei, “Ora tu vieni con me e Roberto che devo fare delle spese” disse con tono autoritario. Sapeva che avrei ribattuto.
“Ma professores..Alice, noi non possiamo marinare!” esclamai io.
”Ma infatti manca la Tidili per le prime tre ore di storia e sono autorizzata a portarvi via…” disse lei, “ Ritornerete per pranzo”.
”Ma come per pranzo? E le altre due ore non abbiamo al Tidili!” ribattei io sconvolta dalla professoressa.
“Oh, ma insomma ragazzi, non mi direte che non avrete mai falsificato una giustificazione per il ritardo! Suvvia…” disse lei infastidito prendendomi con il suo braccio esile e trascinandomi verso la macchina.
Io non risposi sconvolta e guardai la professoressa incredula. Ma il mondo stava per finire? Da quando Alice era diventata così…ribelle? Roberto, al contrario di me, era tranquillissimo e mi guardava sghignazzando dalla macchina. Era affascinante quanto perfido.
“Okay va bene” mi arresi, ormai era una battaglia persa.
Alice sorrise trionfante mentre si sedeva sul posto di guida. Io mi sedetti affianco a Roberto inspirando il suo profumo intensamente.
Tenni lo sguardo basso mentre sentivo il suo, curioso, indagare sul mio corpo quasi con timidezza. Non osavo alzare gli occhi e preferì concentrarmi sulle mie scarpe .
“Allora…?” disse la prof con la sua voce distruggi timpani.
“Allora cosa?” chiesi io scocciata e costretta ad alzare lo sguardo.
“Per il concerto? Che ne pensi?”.
“Cosa?? Quale concerto?” chiesi io sconcertata.
“Quello che farete tu, Roberto ed altri”.
“No scusi prof” intervenne Roberto, con la sua voce profonda, il mo cuore iniziò ad accelerare, “ Forse non ha capito: io non so cantare!”.
”E’ tutto da vedere Roby. E la stessa cosa vale per te. Non vi ho mai sentiti cantare e devo dire di aver fortemente sbagliato. Nella mia carriera ho fatto cantare le pietre, capito, le pietre?! Quindi voi due canterete che lo vogliate o no!”.
Ma perché Alice le aveva sempre tutte vinte?
“Prof.. ma che vergogna! Insomma, io non so cantare!” dissi. Ma sapevo che era una bugia…. Amavo cantare, ma non avrei mai avuto il coraggio di cantare in pubblico.
“Macchè!” esclamò la professoressa, “Non dire sciocchezze e comunque cara ti assicuro che ti sentirò cantare, insomma in sette anni non ho mai udito la tua voce! Assurdo!”.
Sbuffai.
Roberto mi scrutava quasi con sfacciataggine. Risposi allo sguardo con uno il più antipatico possibile ma non ci riuscì.
Guardai fuori dal finestrino. I palazzi chiari e i viali alberati di Sobo costituivano la poca parte di paesaggio che riuscivo a vedere da lì.
”Professoressa mi spiega dove stiamo andando?” strillai al limite della pazienza.
”A Mineo” rispose la donna con noncuranza.
“Come a Mineo?!!!!” esclamai isterica. Mineo era una città che distava una settantina di chilometri da Sobo, nella quale c’era un gran via vai, e tanto movimento da parte degli abitanti. “E cosa ci facciamo a Mineo?” chiese Roberto scocciato.
“Devo fare delle compere. E ho in mente una ricostruzione!” trillò lei entusiasta come una bambina.
Io e Roberto ci guardammo in modo interrogativo. Evidentemente tutti e due eravamo confusi dal comportamento della professoressa. Non era molto normale. Alice era stata sempre molto eccentrica, ma mai sino a quei limiti! L’ultima volta che l’aveva vista così sarà stato almeno quando aveva 15 anni. Alice era fidanzata in quel periodo…
Sbuffai nuovamente: l’amore le faceva tutt’altro che bene a quella donna.
”Angela?” chiese Roberto ad un certo punto. Mi girai e con la coda dell’occhio vidi le orecchie di Alice tendersi per l’ascolto.
“Si?”.
“Scusa perché ieri appena mi hai visto con Carla te ne sei andata correndo?” chiese oserei dire, quasi ingenuamente.
Okay. Calma. Le mie guance assunsero quasi un colorito marrone e le sentì ardere.

Che cosa gli dico adesso?

“Hai visto male” dissi secca, distogliendo lo sguardo da lui. Non avrei retto la balla per molto altrimenti.
”No. Io ho visto benissimo. Ti sto antipatico forse?” chiese pungente.
”Ti sbagli” dissi algida.
“Ti sto antipatico?” ripetè.
“Non saprei…” borbottai io.
Lui mi guardò torvo, con due occhi che per un momento mi spaventarono.
“Cioè” mi affrettai ad aggiungere, “E’ Carla che detesto profondamente”.
In quel momento Alice sbandò con la macchina in modo violento, imprecando furiosa.
”Cazz…Maledizione!” esclamò. Io intanto mi guardai intorno infastidita, mi sentivo come calpestata.
Infatti.
Mi girai e vidi Roberto che praticamente mi prendeva in braccio e tutte e due eravamo schiacciati contro il lato destro della macchina, naso contro naso.
“Oddio” bisbigliai balzando sull’altro lato.
Lui sbuffò, mentre continuava a guardarmi male.
“Siete proprio messi male voi due” mormorò Angela.
”Scusi prof?” chiese Roberto.
“Niente, niente” tagliò corto lei.
Finalmente arrivammo a Mineo. A differenza di Sobo, essa era molto.. come dire, eccentrica. Palazzi di tutti i colori, gente da tutte le parti, mercatini di Natale ad Agosto, manifestazioni culturali e non ovunque. Troppo movimento.
Mio padre conobbe mia madre a Mineo, sua città Natale. Lei, nata ad Amburgo, viveva in quella zona poiché il nonno era militare e, innamorata, decise di rimanere con mio padre.
Ma solo io ero immune alle storie d’amore a lieto fine?

Ho sempre avuto, tutt’ora forse anche se qualcosa è cambiato, un’idea romantica dell’amore. E molto pessimista. Essendo insicura; sono goffa, non riesco mai a stare dritta con le spalle, cammino storta; tendo ad avere paura degli altri, dei loro pensieri, delle loro reazioni.
Non mi sono mai sentita adatta agli altri. Mi sentivo inferiore, così piccola e insignificante a cospetto agli altri. E, ammetterlo mi faceva male, avrei preferito vendere il mio corpo a qualcuno, anche solo per divertimento, pur di ricevere qualche attenzione.
Io non mi sono mai sentita bella. Carla invece, la mia migliore amica, lo era sempre stata.
Ebbene si. Io e Carla un tempo non ci odiavamo. Lei abita davanti a Piazzetta Liscia. Nella cartoleria dove in genere andavamo a comprarci le caramelle o, per i ragazzi, i petardi.
Io, lei, Alberta e Deborah eravamo sempre assieme. Poi durante le scuole medie lei cambiò all’istante, diventando una ragazza “facile” e disponibile per i ragazzi.
Io no. Io sognavo il principe azzurro. Quell’amore puro, semplice, senza sesso o violenza. Io avevo bisogno di essere amata da una persona.
Quell’amore che ti fa svegliare la mattina e addormentare di notte con lo stesso e unico pensiero per la testa. Quell’amore che prende la ragione il corpo e li abbandona agli istinti di noi uomini. Che ti fa sognare. Piangere, ridere. Sorridere ebete senza alcun motivo. Emozioni.
Io per l’uomo della mia vita avrei rischiato anche la mia stessa vita. Il ragazzo che amerei dovrà essere disposto anche lui a questo.
Ma dopo essere stata snobbata da Carla varie volte per questi miei personali pensieri, credevo di essere l’unica a riflettere su queste cose. Insieme a Deborah che ovviamente la pensava pressappoco come me e che aveva ugualmente litigato con Carla. Solo mia sorella è rimasta sua amica. Ma Alberta, per quanto le voglia bene, è una ragazza codarda e questa sua vigliaccheria ha trasformato delle nostre semplici discussioni in veri e propri contrasti.
Tornando ai miei…come dire… ideali, che magari sono in sé molto romantici, sono anche falsi e del tutto fantasiosi. Per quanto sia stata corteggiata, mi sono piaciuti tre ragazzi in tutta la mia vita.
Prima di tutto, Giacomo. Sono stata innamorata di lui per due anni. Lui… che era così brutto. Poverino… ma era davvero bruttino. Però era sveglio. E possedeva un senso dell’umorismo sottile. Lui…che mi aveva illuso fidanzandomi con me per una settimana e per poi lasciarmi per un’altra. Per Carla. E fu in quel momento che io iniziai ad odiarla seriamente. Perché lei, sapendo quanto io amassi quel ragazzo, non c’aveva pensato due volte a portarselo a letto. Si, a letto. Non so a che età sia stata la prima volta di Carla. Forse a tredici anni. Una delle prime fu con lui comunque. Non so per quanto tempo non uscì di casa in quei giorni.
Poi c’è stato Luigi. Era così carino quel ragazzo. Alto, dagli occhi da cerbiatto. E avevamo un bellissimo rapporto io e lui. Era così carino. Eravamo sul punto di metterci assieme… ma lui si trasferì e io non riuscì più a sentirlo né a vederlo. Iniziammo a scriverci, ma la cosa non funzionò. Mi mancava così tanto il mio Lui…
E infine John. Si, proprio lui. Ero appena uscita dalla relazione con Luigi, quando lui i è venuto incontro. Mi ha fatto ridere. Scherzare, giocare. Ma era anche così strano con me. Mi guardava quasi con… gola. E infatti una sera lui, ubriaco, mi mise le mani addosso perché volevo tornarmene a casa. Il giorno dopo cercò di scusarsi ma non riuscì a dimenticare. Forse lui pensa che tutto sia finito. Infatti continua a desiderarmi. Io però sono molto permalosa. E non dimentico. MAI.

Finalmente Alice parcheggiò davanti al grosso e viola centro commerciale di Mione. Sbuffai. Il sole mi aveva stordito e mi aveva fatto perdere qualsiasi cognizione del tempo.
Scesi dalla macchina quando sentì il cellulare vibrare forte.
“Pronto?”.
”Ciao Angela, sono Luca! Sarà la settima volta che ti chiamo!”.
”Ciao Luca” esclamai, suscitando l’attenzione di Roberto e la prof che, insieme a me, entravano nel magazzino di fretta.
”Mi spieghi dove sei? Hai marinato? Insomma, Angela, vabbè che manca la Tidili ma mi hai lasciato da solo il mio primo giorno di scuola!”. Cazzo.
Ci teneva proprio tanto Luca. E io, con la mai solita sensibilità da elefante, ero riuscita ad evitarlo. E poi perché ho pensato che lui fosse innamorato di me! Cose assurde.. ero troppo sua amica. Non mi avrebbe mai voluta come “ipotetica fidanzata”. Quante volte aveva usato quelle esatte parole riferendosi a me.
“Ehm.. non è come sembra! Sono con la professoressa di chitarra… Con Alice, ricordi?”.
”Si certo…questa è buona, marini la scuola con Alice?”.
”Si ma anche con Roberto!” esclamai io con troppo veemenza da far girare l’interessato.
“E chi sarebbe?” disse lui.
“Un chitarrista” risposi pronta.
“E’ simpatico?”.
“Ehm.. non lo conosco bene…”.
“Sicura? E’ carino?”.
”Ehm.. non c’ho fatto caso” mentì spudoratamente io.
“Mah… e ritorni a scuola?” chiese speranzoso.
“Si, certo”.
“Bene! Ma quando?”. L’interrogatorio sembrava non avesse fine…
”All’ora di pranzo!”.
“E come fai?”.
”Falsifico la firma no?” dissi come se fosse la cosa più semplice del mondo.
“L’hai già fatto?”.
“Si certo”. Che bugiarda!.
“Va bene. Allora ti copro io.. va bene?”.
”Grazie Luc, ti adoro!” dissi io. Roberto alzò il sopracciglio destro di due centimetri e storse la bocca.
Ghignai perfida. Provavo un senso di piacere, quasi morboso, nel farlo arrabbiare. Come lui con me d’altronde.
“Anche io. Ora vado, che sono in bagno da mezz’ora. A dopo”.
“Un bacio!” strillai io. Ma lui aveva già chiuso.
Questa volta fu Alice che mi fulminò con lo sguardo.
Mi fermai a guardare una borsetta, quando la vidi ferma davanti ad un centro estetico. Roberto si scompigliava i capelli freneticamente e anche lui guardava confuso la prof.
“Bene ragazzi!” esclamò con il suo solito tono autoritario, “Si da il via alla lezione: Come essere sempre belli e splendenti! Quando uscirete da qui non vi riconoscerete più!”.

Ehilà! Un grosso saluto a tutti. E’ da un po’ che non aggiornavo, ma la scuola, la chitarra e tutti gli impegni vari occupano gran parte del mio tempo.
E adesso che cosa succederà?
Continuate a leggete per scoprire. Ringrazio anzitutto chi ha aggiunto la fic tra i preferiti, chi ha letto e, ovviamente, chi ha recensito! Spero che siate sempre di più!
Un bacio dalla vostra
Elis@
  
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