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Autore: Aracne90    20/11/2015    1 recensioni
Dal capitolo 1: "[...] -Agente Lea, le presento il tenente Victor Nerio…- continuò il Capitano, ritirando la zampa dietro la scrivania, ed alzandosi in piedi, seguendo il mio esempio. -Tenente Nerio, le presento l’Agente Sarah Lea.
L’uomo posò con lentezza gli occhi verdi su di me, con lo stesso atteggiamento che aveva caratterizzato il suo arrivo; il suo sguardo mi studiò a lungo, con minuzia, quasi a voler esser certo di non parlare senza aver vagliato prima tutte le possibili ipotesi. -Non avevo capito di dover lavorare con una Banshee.
Alzai gli occhi verso di lui, con cautela. Poi mi girai verso il Capitano, poi ricondussi gli occhi sull’uomo.
Silenzio.
Nessuna emozione proveniva da quella persona, nemmeno la più piccola agitazione; e questo, nella mia esperienza, voleva dire solo una cosa.
-Non avevo capito di dover lavorare con un Vampiro.[...]"
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notte volgeva al termine, in quel Settembre appena inoltrato. Le foglie si erano ammonticchiate piano lungo il solco stradale, portate dal vento leggero che sempre tirava in quel periodo dell’anno; la mescolanza dei colori appariva quasi voluta, nella sua splendente riproposizione di schemi senza alcun senso, quasi a dipingere un quadro che nessuno avrebbe mai potuto pensare, ma che tutti, nei loro pensieri, sapevano di poter creare. Con uno sbuffo, spostai la testa dalla mia mano penzolante, abbassandola verso il vetro limpido che divideva il mio corpo dall’abisso sotto di me; quasi sei piani di aria, interrotti qua e là da balconi ornati da vegetazione stagionale, curati in maniera quasi folle dalle padrone di casa, forse unico svago per quelle povere creature femminili troppo legate all’ atmosfera creata dalle loro stesse mani. Possibile che non nutrissero altre speranze o desideri, se non quelli riguardanti il focolare che si svolgeva tutto intorno alle loro persone? Senza nemmeno accorgermene, abbandonai la visione della strada sotto il mio corpo, e mi volsi verso quello che rappresentava il mio spazio vitale, il soggiorno che si stendeva a nemmeno pochi metri dai miei piedi. Un sofà di stoffa rosa, corredato da due poltrone dello stesso stile e colore, si erigeva come padrone della stanza, controllato a vista dalla schiera di librerie che lo circondavano, tutte grondanti di libri delle più varie dimensioni; il tappeto a ricami orientali copriva il parquet delicato, ed infine una piccola credenza mostrava qualche meraviglia proveniente da lontano, tenuta accuratamente sotto chiave. Un posto tranquillo e sereno, pulito e ben curato; il salotto che tutti avrebbero voluto, insomma. O almeno, questo era quello che amavo ripetermi, quando attraversavo la soglia della mia casa, ogni sera, tornata dal lavoro; era tutto ciò che qualsiasi essere avrebbe desiderato, in un modo o nell’altro.
Con malagrazia, presi il bicchiere colmo di vino che era posizionato a pochi metri dalla mia seduta, avvicinandolo alle labbra e bevendone con avidità il contenuto, staccandomi dopo qualche istante, il calice completamente vuoto. Avevo sete, era stata una giornata davvero dura; se solo quelli del quarto piano avessero smesso di litigare, o quelli del secondo non si fossero messi a ridere così sguaiatamente per quella commediola demenziale che passavano alla TV, o quelli del primo non avessero consumato il loro amore carnale proprio in quel momento… Allungai la mano verso il taccuino posto sul tavolo che adoperavo quelle rare volte in cui organizzavo cene a casa mia, e mi appuntai un numero e un reclamo che avrei dovuto fare il giorno dopo.
-Questo isolamento fa schifo.- borbottai a bassa voce, posando la penna ed allungandomi verso la bottiglia, per versarmi un nuovo bicchiere di vino. Avevo pagato uno sproposito quel trattamento, ed era già la terza volta che dovevano controllare la regolazione, quelli della ditta. Perché diamine mi ero lasciata convincere dalla venditrice che qualche settimana prima era riuscita ad intrufolarsi nella mia tana? La luce che brillava in fondo a quegli occhi, la determinazione di quella giovane ragazza, la speranza di una notte di riposo senza distrazione… Troppe aspettative allettanti ed emozioni incoraggianti che avevano fatto leva sul mio essere, esattamente quella parte di me che mi fregava sempre.
Dall’interno della mia borsa suonò il telefono, quella musichetta asettica ed irritante che mi avvertiva della chiamata in arrivo; con un gesto fluido, mi avvicinai all’attaccapanni accanto alla pesante porta di legno, e spinsi un paio di pulsanti sul cellulare appena trovato, avvicinando l’altoparlante all’orecchio.
-Pronto?
Silenzio. Un momento di pura e semplice indecisione, ed io avevo appena capito tutto; era il nuovo assunto, il novellino dell’ufficio Buoncostume, passato da nemmeno un paio di mesi alla Omicidi, un tantino troppo entusiasta, ma eccessivamente terrorizzato da quello che doveva essere il primo compito della sua nuova vita. Con un colpetto di tosse, si schiarì la voce, riuscendo a pronunciare le poche parole ordinate.
-Agente Lea? Sono io Tavius…. So che è tardi, ma credo che il Capitano la voglia vedere subito…. Non è che...?
Non ascoltai nemmeno quello che la sua lingua appena sciolta ebbe il coraggio di dire; abbandonai il telefono sulla scrivania, scuotendo appena la testa, per inforcare la borsa. Di corsa, poi, in camera; le scarpe erano esattamente dove le avevo abbandonate nemmeno sei ore prima, e attendevano silenziose di essere indossate, cosa che feci nemmeno dopo qualche istante.

Arrivai alla Stazione il più velocemente possibile, la cartellina rossa sotto il braccio destro. Era tutto tranquillo, a quell’ora della notte; solo un paio di agenti stavano seduti ad una scrivania tutta sgangherata, senza contare quel ragazzino tutto rosso vicino alla reception, ancora intento a parlare alla cornetta attaccata alla sua faccia. Sospirai, avvicinandomi proprio a lui che non dava segni di avermi avvertito, salutando con un cenno i due che stavano fermi al loro posto sgranocchiando qualcosa che non mi pareva molto commestibile; la prima, Altea, mi fece un cenno con l’artiglio che si trovava sul braccio destro, mentre l’altro, Zaior, accennò appena un movimento nella mia direzione con la bocca tutta sporca di salsa. Se sembravano felici di vedermi, questo proprio non potevo dirlo; semplicemente approvavano la mia presenza in quel luogo con distaccata indifferenza, non una briciola di emozione volta nei miei confronti.
-Agente Lea…? Agente Lea…? E’ ancora lì?- domandò a pochi passi da me il ragazzino, combattendo ancora con la cornetta che gli occupava metà faccia. Era nervoso, era evidente; ma d’altronde, chi mai non lo sarebbe stato, con un Ifrit ed una Chimera nella stessa stanza? Con un colpo di tosse, lo avvertii della mia presenza, posizionando la cartellina rossa sul tavolo dinanzi a lui.
Accortosi di me, rimase un paio di secondi immobile, con quella diavoleria tecnologica ancora in mano; poi, quando lo stupore si fece da parte per essere sostituito dall’imbarazzo, abbassò la cornetta per rivolgersi verso di me, un rossore troppo evidente sul suo viso da umano.
-Agente Lea… E’ qui!- esclamò, la voce appena udibile. – Così rapidamente… Ha davvero corso molto per arrivare così presto…
Scossi la testa. –Dov’è il Capitano?
Il ragazzino pareva ancora perso, il volto quasi completamente porpora. –Cos…? Il Capitano…. Oh, è nel suo studio, ma….
Non aspettai ancora, e mi volsi verso il corridoio principale a passo svelto, riappropiatami della cartellina cremisi con unico gesto. Qualcuno, dietro di me, allungò le labbra in un sorriso; non mi voltai per controllare chi, ma attraversai veloce l’enorme stanzone, diretta alla porta a vetri distante nemmeno un paio di metri. Posai la mano sulla maniglia argentata, ruotandola leggermente, senza bussare; il mio odore avrebbe avvertito fin troppo bene la mia presenza, meglio di quello che poteva fare un qualsiasi rumore prodotto dalle mie mani.
-Buonasera, Agente Lea. – mi salutò il Capitano Fraior con un sorriso, al di sotto del pelo sul suo muso allungato. Chiusi la porta con velocità, sorridendo appena; non riuscivo proprio a rimanere seria quando lo vedevo seduto alla scrivania di mogano, tutto compito nel suo completo gessato, il collo largo che usciva dalla camicia candida ornato di pelliccia grigia. D’altronde, era l’ultima moda tra i Lupi quella di mostrarsi il più eleganti possibili, abbandonando completamente gli anfibi e le giacche di pelle, per rivolgersi alle cravatte monocromatiche e ai mocassini di camoscio.
-Buonasera, Capitano Fraior.- risposi io, immobile sulla porta, la mano ancora sulla maniglia interna, gemella a quella esterna. Con un paio di passi mi avvicinai alla scrivania, per poggiare la cartellina rossa poco distante da un computer di nuova generazione spento, girandola in modo da rendergliela accessibile.
-Oh, che velocità!- esclamò con voce roca il Lupo, afferrando con attenzione i fogli all’interno della cartellina con le sue zampe ben curate, mostrando appena la dentatura in un gesto che doveva essere di approvazione. –Devo ammetterlo, lei mi stupisce ogni giorno di più, Agente. Sapevo che sarebbe stata la mia carta più preziosa, in questo caso.
Lo credeva davvero. Per questo, e per qualche altro motivo, abbassai la testa, in preda a qualcosa che avrei potuto ben definire imbarazzo, se provato da qualcun altro; tuttavia mi riscossi velocemente, rimettendomi composta.
-Lei mi lusinga, Capitano.
-Oh, no, affatto!- continuò lui, con impeto.
Fu troppo.
Stringendo gli occhi, dovetti abbassare nuovamente la testa, per impedire al mio viso di tradirmi, mostrando troppo della mia natura. Lentamente, con la destra, andai a toccarmi il collo, fermandomi proprio sotto all’orecchio, in quella porzione di pelle che i miei capelli legati lasciavano scoperta; il Taiji tatuato stava pulsando lentamente, rendendosi fin troppo evidente persino ai miei polpastrelli.
Inspirando lentamente, chiusi gli occhi, liberando con tranquillità la mente, cercando di focalizzarla su altro. In questo mi fu d’aiuto anche il comportamento del Lupo, che smise immediatamente di esaltarsi così tanto, tornando ad una semplice indifferenza, necessaria per poter lavorare con emozioni semplici come le sue.
-La prego di scusarmi, Agente…- cominciò non appena rialzai la testa, mentre si tormentava le zampe le une con le altre; sono certa che, se la situazione glielo avesse permesso, si sarebbe messo a mangiarsi le unghie. -Sono stato fin troppo aggressivo, mi perdoni. E’ solo che…
-Nessun problema. Tutti abbiamo bisogno di un periodo per abituarci, Capitano.- risposi io, continuando a mantenere una traccia di sorriso sulle mie labbra, scuotendo la testa come a ricacciare un pensiero molesto, e lasciando oscillare i miei capelli legati sulla testa. -Cosa posso fare per lei? Dubito fortemente che mi abbia chiamato solo per leggere il mio rapporto.
Fraior annuì un paio di volte, lo sguardo assente, mantenendosi il più distaccato possibile, nonostante una qualche forma di esaltazione si agitasse all’interno del suo stomaco. -Infatti. Riguarda l’ultima vittima che abbiamo trovato l’altro giorno.
Ma sì, certo. L’ultima vittima. Era naturale che qualcosa si fosse mosso, quando era stato rinvenuto l’ultimo corpo… D’altronde c’era da aspettarselo; cinque vittime in nemmeno due mesi, e tutte uccise nello stesso modo. Quindi, un’unica soluzione: omicidi seriali. -Capisco.
-I Piani Alti hanno deciso di adottare un altro approccio.
Rimasi interdetta qualche secondo, stupita. -Un altro approccio?
Non fu necessaria una risposta. Con un suono secco, la porta si aprì nuovamente, con una lentezza quasi atavica, in maniera molto differente rispetto all’impetuosa velocità con cui mi ero palesata io, ed apparve un uomo.
-Spero di non essere in ritardo, Capitano Fraior.-disse piano il nuovo arrivato, la voce bassa e modulata che sembrava avvolgerci quasi con un mantello.
-No, no. Assolutamente, Tenente.- rispose il Lupo, indicando con la zampa sinistra la sedia accanto alla mia, vuota, ma senza che l’uomo mostrasse alcuna intenzione di accondiscendere all’invito. -Agente Lea, le presento il tenente Victor Nerio…- continuò il Capitano, ritirando la zampa dietro la scrivania, ed alzandosi in piedi, seguendo il mio esempio. -Tenente Nerio, le presento l’Agente Sarah Lea.
L’uomo posò con lentezza gli occhi verdi su di me, con lo stesso atteggiamento che aveva caratterizzato il suo arrivo; il suo sguardo mi studiò a lungo, con minuzia, quasi a voler esser certo di non parlare senza aver vagliato prima tutte le possibili ipotesi. -Non avevo capito di dover lavorare con una Banshee.
Alzai gli occhi verso di lui, con cautela. Poi mi girai verso il Capitano, poi ricondussi gli occhi sull’uomo.
Silenzio.
Nessuna emozione proveniva da quella persona, nemmeno la più piccola agitazione; e questo, nella mia esperienza, voleva dire solo una cosa.
-Non avevo capito di dover lavorare con un Vampiro.


Spazio Autrice:
Salve a tutti!!
Che dire... Spero che vi piaccia l'idea di questa Long, è la prima volta che scrivo qualcosa del genere sui Vampiri... Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate!!
Baciotti
Dia
   
 
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