Lei è una ragazza normale, carina senza fuochi d’artificio. Tuttavia è soddisfatta del proprio aspetto, quel pomeriggio notturno di novembre, perché i pantaloni le cadono bene sulle gambe, il cappello di lana non le scivola sulla fronte più del dovuto ed il giubbotto imbottito (di un improbabile color oro) miracolosamente non fa a pugni con il rosso dei suoi ingombranti capelli. Gira per le strade del centro insieme alla madre, soffermandosi di fronte alle vetrine dei negozi.
Ad un certo punto si volta senza un
reale motivo e bam!, il
suo sguardo incrocia quello di uno stupendo esemplare di sesso maschile
poco
distante. Un giovane Jude Law dagli occhi penetranti ed
il naso aquilino;
lineamenti di sovietica spigolosità, abiti e cappotto neri,
sciarpa in tinta.
Chioma foltissima e biondo intenso degna di un lord inglese. Alto e
sottile,
con l’incedere regale di chi sa di poter chiedere -e
ottenere- ciò che desidera
dalla vita. Indossa la propria bellezza come il più confortevole dei vestiti. In sintesi: un capolavoro. Un arcangelo navigato, con qualche segreto
da
nascondere.
Le sorride, forse perché legge nell’espressione di
lei lo sbalordimento di chi
ammira un'opera d'arte o magari,
chissà, ha individuato la preda e ci tiene a darle il colpo
di grazia mostrando
una gloriosa chiostra di denti impeccabili. Nella finzione letteraria o
cinematografica,
se lei fosse la protagonista sarebbe già implosa sul posto
per una combustione
ovarica; in alternativa avrebbe fatto qualcosa di molto stupido
(coraggioso?)
pur di approcciare l’ignoto Adone.
Nella
realtà lui continua a
sorridere. Le labbra sono morbide, incurvate
all’insù come falci di luna
crescenti. Lei non sa cosa stia passando per la mente del ragazzo, non
può
nemmeno immaginarlo. E quel pensiero, l’acuta consapevolezza
di essere solo una
fugace comparsa nell’esistenza di un perfetto sconosciuto,
curiosamente la
ferisce. Si sente piccola, insignificante. Avverte la
nostalgia di un
sentimento che le è in qualche modo familiare, la
reminescenza di qualcosa che
non conosce, le sfugge. Non è un ricordo, nemmeno una
premonizione. Un groppo
in gola minaccia di inumidirle gli occhi, e lo reprime
perché rimpiangere ciò
che non ci è mai appartenuto è da stolti. Eppure
non riesce a ricambiare quel
sorriso, lo osserva e basta. Lo studia. Simili epifanie sono
così folgoranti, e
talmente rare, che quando capitano lottare contro
l’annichilimento richiede una
forza di volontà che non tutti possiedono.
E’ possibile che un individuo mai visto prima sia in grado di
scombussolarmi
fin nel profondo?, si domanda lei, sgomenta. Come se potesse
rivoluzionarmi la
vita, se solo glielo permettessi; se solo avessi l’ardire di
avvicinarmi a lui
e parlargli. Nume crudele che sovrintendi ai colpi di fulmine senza
speranza, qual
è il tuo nome? Chi sono i tuoi figli, i tuoi sacerdoti?
E’
sopraffatta, inchiodata al
suolo dalla propria codardia e dall’assoluta certezza che a
lui non importi
nulla. Fa male, una lieve stretta al cuore. Infine la madre la richiama
all’ordine
e l'incantesimo finisce. Si congeda dal bel passante come ci si
può congedare
da un'apparizione -telepaticamente, con uno sfarfallio attonito di
ciglia- e
riprende la passeggiata.
Non
si volta indietro.
Tu ignori dove vado,
io dove sei sparito;
so che
t’avrei amato, e so che tu lo sai.