Serie TV > The 100
Segui la storia  |       
Autore: Fannie Fiffi    21/11/2015    3 recensioni
[Bellarke; Modern!AU]
Clarke Griffin è una diciannovenne alla ricerca di se stessa, ma soprattutto alla ricerca di una verità ancora più grande di lei: quella riguardo la morte del padre.
Costretta a dover abbandonare le proprie ricerche per due anni, il suo mondo verrà nuovamente sconvolto quando conoscerà il suo nuovo vicino di casa, il giovane detective Bellamy Blake.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Allarme rosso, gente! Preparatevi per un capitolo intenso sotto molti, molti punti di vista.

Oggi vorrei cogliere l'occasione per ringraziarvi tutti. Esattamente un anno fa stavo pubblicando il dodicesimo capitolo. Ora, invece, ci stiamo avvicinando alla fine, e devo ringraziare tutti voi per questo meraviglioso percorso. Grazie.


 




 
Is It Any Wonder?





Bellamy si schiarì la voce e Clarke si alzò di scatto dal suo letto nello stesso identico momento.

Si mossero con nervosismo e stanchezza, ognuno forse troppo esausto per preoccuparsi davvero di come potessero sembrare le cose.

Di come potesse sembrare così naturale vedersi dopo tutto quello che era successo e ritenerla comunque la parte migliore della giornata.

Il maggiore dei Blake si chiuse la porta alle spalle e posò la ventiquattrore che teneva a tracolla sulla sedia alla sua sinistra.

« Che ci fai qui? » Le domandò ingenuamente, come se non ne conoscesse l’esatto motivo. Lei fece qualche passo avanti, assicurandosi sempre di mantenere una determinata distanza di sicurezza, ma, nonostante ciò, ogni suo movimento appariva in qualche modo appesantito da tutto quello che si stava portando dietro.

Tutto era così tangibile da lasciarli interdetti, nervosi l’uno intorno all’altra. Così concreto da rendere l’aria attorno a loro pesante contro i loro corpi.

Le loro dinamiche si erano così complicate che Bellamy non sapeva se indietreggiare verso la porta come un ragazzino o andarle incontro e lasciare che tutte le parole inutili che avrebbero potuto scambiarsi si perdessero.

Optò per rimanere immobile, in attesa.

Quando, però, Clarke aprì la bocca per parlare, lui alzò la mano destra con il palmo rivolto verso di lei e la interruppe, sospirando.

« Sai cosa? Non posso ancora dirti niente. Si tratta di un’indagine molto importante, abbiamo scoperto alcune cose che assicureranno sicuramente nuovi sviluppi. Siamo vicini, siamo davvero vicini. Però non chiedermi di violare il patto e metterti al corrente di queste informazioni, perché non posso. »

Non aveva avuto intenzione di sembrare aggressivo quando aveva iniziato a parlarle, ma la sua bocca sembrava essersi scollegata dal cervello, colta dalla necessità di tirare tutto fuori. Non voleva né ferirla né tenerla all’oscuro, ma Bellamy era esausto come forse non lo era mai stato in vita sua.

E il suo migliore amico si era rivelato un totale sconosciuto. E lui aveva disperatamente bisogno di credere che per una volta qualcuno volesse essere lì veramente.

Voleva credere che Clarke potesse essere in grado di volerlo oltre le informazioni che avrebbe potuto darle o i vantaggi che il suo lavoro avrebbe potuto procurarle.

Che per una volta lui era solamente Bellamy e che qualcun altro gli stesse vicino per il semplice desiderio di esserci, senza secondi fini o motivazioni ulteriori.

« Volevo solamente ringraziarti. » Lo sorprese lei, abbassando lo sguardo verso le proprie mani strette in grembo e spostando il peso da un piede all’altro.

« Volevo ringraziarti per quello che tu e il tuo capo avete fatto per me. Per avermi trovato con quella pistola e aver lasciato correre la cosa. Non sono sicura di quanto tutto quello fosse legale, ma l’ho apprezzato. Perciò grazie. »

Questa volta fu il turno di Bellamy, preso dallo stupore e dalla confusione, di provare ad esprimersi ed essere interrotto prima di potere.

« E… Volevo sapere come stai. Mi dispiace per Atom. Mi dispiace per non averti detto nulla, per- »

« Clarke », intervenne lui, « lo capisco. Non devi darmi nessuna giustificazione. Hai solamente fatto quello che credevi fosse giusto. Hai totalmente sbagliato i mezzi, ma va bene così. Avevi bisogno di sapere. »

Forse lo immaginò, ma un lampo di tristezza illuminò per un istante i suoi occhi blu.

« Non ho smesso di fidarmi di te, Bellamy. » Iniziò.

Probabilmente soltanto ora che si ritrovava da sola con lui riusciva a capire quali fossero le vere conseguenze che il suo comportamento aveva provocato.

Era stata così occupata a riversare tutta la sua rabbia e frustrazione su Atom e sull’idea maniacale di avvicinarsi alla verità ché non aveva minimamente preso in considerazione la possibilità di ferire chi le stava intorno. Chi le era sempre stato accanto.

Ora che uno dei responsabili di quello che era accaduto era stato preso, e che questo avrebbe sicuramente comportato il raggiungimento di novità in quell’indagine che sembrava infinita ed incessante, Clarke si accorgeva davvero che intorno a lei le cose avevano continuato ad andare avanti.

Che la vita le era scivolata intorno senza che lei se ne accorgesse. Fu per quel motivo, forse, che si lasciò andare.

Che provò davvero a spiegare cosa l’avesse così pervasa da farle dimenticare che le cose più importanti della sua vita non erano cose.

Erano persone che vivevano e respiravano e soffrivano proprio come lei, anche se sembrava prenderne coscienza solo adesso.

« Ero così ossessionata dall’idea di poterlo fare da sola. Di poter, per una volta, prendermi cura di me stessa. Volevo credere di essere capace di mettere da parte la mia umanità e comportarmi come se la sua vita non valesse niente, come se fosse nelle mie mani e io fossi l’unica in grado di decidere se poteva vivere o morire. Volevo fargliela pagare. Ed è stato… orribile. »

Tutto le fuggì dalle labbra con una facilità che non aveva mai percepito prima di allora.

Le sembrò così semplice buttare tutto fuori e alleggerirsi di quel peso con cui si era abituata talmente tanto a convivere da non riuscire nemmeno a rendersi conto di quanto effettivamente fosse gravoso sulle sue spalle, nel suo petto, in ogni suo pensiero.

E di quanto si sentisse leggera senza.

Bellamy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad ascoltarla e non aveva distolto lo sguardo da lei nemmeno per un attimo, indossava sul volto un’espressione indecifrabile, che sembrava ironicamente riflettere il modo in cui la giovane Griffin si stava sentendo.

Rimasero in silenzio per qualche attimo, ognuno di loro perso in tutto quello che si erano detti fino ad allora, quello che c’era dentro di loro e che non avrebbero mai potuto esprimere nel modo giusto, quello che li accumunava e gli spiegava senza bisogno di parole perché non ci fosse nessun altro per cui Clarke avrebbe detto quelle cose e che Bellamy avrebbe potuto desiderare di vedere in quel momento.

Lui la osservò ancora per pochissimi istanti, guardandola come forse non aveva mai fatto prima.

Teneva i capelli raccolti disordinatamente dietro la nuca e il suo volto privo di trucco sembrava allo stesso tempo antico e ingenuo come quello di una bambina, e il maggiore dei Blake pensò che non era mai stata più bella.

Nemmeno in quel maledetto galà che si era concluso con il suo rapimento e che lui non avrebbe mai dimenticato, con i capelli acconciati e il trucco forte attorno agli occhi e quel vestito perfetto.

Sembrava realizzare soltanto ora quanto le fosse mancata.

« C’è nessuno? » Fu di nuovo lei a parlare, accennando un mezzo sorriso imbarazzato e smorzando così la tensione che era andata crescendo da quando lui aveva messo piede in quella stanza. Bellamy fece un passo avanti.

Era controllato e misurato, come se volesse metterla alla prova.

Come se stesse chiedendo il permesso. Clarke, dal canto suo, rimase completamente immobile.

Non mostrò segni di incertezza o timore, e questo fu sufficiente perché lui avanzasse ancora, scrutandola con espressione accigliata come davanti ad un enigma improponibile.

« Non hai bisogno di giustificarti con me. Non volevi sentirti una vittima, lo capisco. Sei stata coraggiosa, Clarke, e hai voluto spingerti al limite. Avrei solo voluto che tu sapessi di non essere sola in tutto questo. Non lo sei mai stata e non lo sarai mai, qualsiasi cosa accada. »

La bionda rispose immediatamente, priva di remore o indecisione: sollevò una mano e la poggiò con delicatezza sul suo zigomo sinistro, quello che era livido e che non aveva affatto un bell’aspetto.

Lui chiuse gli occhi e piegò impercettibilmente la guancia verso il suo palmo.

« Non ti ho nemmeno chiesto come stai. Che è successo? »

« Lo hai fatto, teoricamente. » Le ricordò con un mezzo sorriso. « Non è niente, sto bene. »

« Mi dispiace così tanto, Bellamy. Per tutto quello che ti ho fatto passare. Per quello che stai passando con Atom. Non avrei mai voluto che succedesse qualcosa del genere. Non a te. »

La sua espressione tornò seria e i suoi occhi sembrarono tremare, tanto che Clarke fu quasi in grado di percepire come propria la tristezza che leggeva nelle sue iridi scure e che veniva a galla un attimo dopo l’altro.

E quelle parole parvero aver fatto davvero breccia in una parte di lui che aveva tentato di celare con grandi sforzi, perché improvvisamente il maggiore dei Blake si chinò verso di lei e lasciò cadere il capo contro la sua spalla, afferrandole i fianchi e stringendola a sé.

Clarke rimase sorpresa da quel gesto così inaspettato ed istintivo, ma non attese un secondo di più e lo abbracciò a sua volta, portando una mano fra i suoi capelli corvini e l’altra attorno alla sua schiena.

« Era il mio migliore amico. » Fu un sussurro disperato e affranto come non lo aveva mai sentito.

Dentro di sé ripensò di nuovo a quanto era stata talmente concentrata su se stessa da dimenticare che attorno a lei c’erano persone che soffrivano e che avevano bisogno di essere cullate, almeno per un attimo, come ne aveva bisogno lei.

Che ogni giorno erano costrette ad affrontare le sfide a cui la vita le sottoponeva e lo facevano senza un lamento, perfino col sorriso sul volto. E questo includeva Bellamy.

La differenza fra loro due, alla fine, era solamente che lui sapeva nasconderlo meglio.

« Sei sempre così impegnato a preoccuparti degli altri che non sai quando arriva il momento di prenderti cura di te stesso. » Bisbigliò di rimando, perché quelle parole non avevano bisogno di disperdersi velocemente, ma dovevano restargli addosso, dovevano ricordarsene sempre.

Non smise di accarezzargli i capelli mentre continuò: « Allora lascia che lo faccia io. »

Bellamy si irrigidì contro di lei. Sapevano entrambi che da quel momento non ci sarebbe stato alcun punto di ritorno.

Non potevano guardarsi negli occhi, perché lui teneva ancora il volto sepolto fra la spalla e il collo di lei, per una volta indifeso e fragile come un bambino, ma non ce ne fu bisogno. Trascorsero alcuni secondi nel silenzio più totale, interrotto solo dai loro respiri che si mischiavano nella pelle l’uno dell’altra, e poi lui si mosse.

Fu lento ed estremamente delicato – tanto da sembrare frutto della sua immaginazione – il bacio che le posò alla base della gola, ma Clarke lo percepì come un marchio infuocato che elettrizzò ogni sua terminazione nervosa e le diede la sensazione di sciogliersi come burro fra le sue braccia.

D’istinto, rovesciò la testa indietro, dandogli maggior accesso.

Quando fu certo che lei fosse altrettanto sicura, la baciò di nuovo, questa volta un millimetro più su.

La giovane Griffin chiuse gli occhi, oscillando un po’ di più verso di lui.

Le mani del moro scivolarono con sicurezza dietro la sua schiena, sorreggendola e avvicinandola ancora di più allo stesso tempo, mentre le sue labbra continuavano il loro percorso con impossibile calma, comodamente, come se non avesse alcuna intenzione di sbrigarsi.

Con un gesto veloce della mano sinistra, Bellamy raggiunse i suoi capelli e li liberò dal fermaglio in cui erano raccolti, gettandolo da qualche parte dietro di loro, lasciandoli ricadere sulle sue spalle e attorno alle proprie mani.

« Dì qualcosa… » Lo pregò in un attimo di consapevolezza, presa dal desiderio di sapere a cosa stesse pensando. Non che non fosse piuttosto ovvio.

« Non sarebbe opportuno se ti dicessi che non ho intenzione di farti uscire da questa stanza molto presto. »

Il maggiore dei Blake impazzì sentendola tremare sotto di sé, e continuò il suo percorso, posando un ulteriore bacio sotto il suo orecchio.

Improvvisamente pensò alle parole che il Capitano gli aveva rivolto prima, al Dipartimento.

Abbiamo bisogno di tornare a casa e abbassare la guardia e smettere per un attimo di guardarci le spalle ogni secondo della nostra vita. Non devi aver paura di questo, Bellamy.

E, spinto da quelle parole, spostò il capo per arrivare alla sua altezza e spostò le mani dalla sua schiena ai lati del suo viso, osservandola con intensità.

Le sue pupille erano dilatate, quasi completamente sciolte nel blu delle iridi, e le sue labbra socchiuse sembravano aspettare nient’altro che lui.

Rimasero a fissarsi per un paio di secondi, il tempo necessario per cercare l’uno negli occhi dell’altra qualsiasi tipo di esitazione.

Clarke si aggrappò ai bordi della sua maglietta nello stesso momento in cui lui si avventò su di lei, le bocche aperte l’una contro l’altra e pronte a scoprirsi senza alcun indugio, senza il minimo desiderio di rallentare quella corsa frenetica.

Entrambi pensarono che avevano perso fin troppo tempo.

La giovane Griffin tirò verso l’alto la base della sua maglia con insistenza e impazienza, e Bellamy sollevò di rimando le braccia, permettendole di togliergliela.

« Ho bisogno di te. » Gli disse all’improvviso, gettandogli le braccia al collo e abbracciandolo di nuovo, mettendo per un attimo da parte la foga da cui si erano fatti trascinare fino a quel momento.

« Non solo stanotte, » gli sussurrò all’orecchio, mentre il cuore le batteva così forte da rimbombarle dietro la nuca, « non solo così. »

 « Mi sei mancata. » Replicò lui, permettendosi per una volta di essere completamente sincero.

Non gli importava di niente di quello che era successo, del tempo che avevano trascorso separati e di tutto ciò che li rendeva diversi.

Ora che era con lei, protetti da quell’intimità che solo insieme avevano trovato, poteva dimenticare per un attimo del Dipartimento, del suo migliore amico, delle indagini.

Di qualsiasi cosa che non fosse Clarke fra le sue braccia in quell’esatto istante.

I loro volti si cercarono all’unisono e si incontrarono di nuovo, e le loro bocche sembrarono implacabili nel modo in cui si rincorsero e si mischiarono.

Parevano divorarsi e scoprirsi ad ogni movimento, come se non ci fosse niente di più ovvio che quello. Quando, poi, Bellamy iniziò a dirigerli entrambi verso il letto matrimoniale in cui era solito trascorrere le proprie notti da solo, lei lo assecondò, camminando indietro finché non toccò con il retro delle ginocchia il bordo del materasso.

Atterrarono entrambi con delicatezza, ancora stretti l’uno all’altra, e una gamba del maggiore dei Blake finì intrappolata in quelle di Clarke, che le strinse attorno a lui.

« E se Octavia ci sentisse? »

« Ti ha fatto entrare lei nella mia stanza, » le rispose, « credo abbia preso in considerazione l’idea che questo potesse succedere. »

La bionda annuì celermente e scivolò indietro, trascinandolo con sé, fino a poggiare il capo contro i cuscini.

E stava per aggrapparsi alla sua cintura, quando si accorse di essere ancora completamente vestita.

Il moro parve prenderne coscienza lui stesso, perché strinse le mani attorno ai suoi fianchi e trascinò verso l’alto la sua canotta, accarezzandola nel frattempo.

Clarke non si era mai sentita totalmente sicura del proprio corpo, sebbene non se ne fosse mai presa cura come avrebbe dovuto, ma in quel momento non percepì alcuna difficoltà nell’assecondare i suoi movimenti e lasciarsi vedere.

Il suo sguardo riverente, poi, non le permise di provare nemmeno una vaga parvenza di vergogna.

Non appena le sue mani le sfiorarono il petto durante la salita per spogliarla, la bionda sospirò profondamente, contorcendosi sotto di lui e prendendo il controllo della situazione, afferrando i bordi dell’indumento e togliendolo definitivamente di mezzo.

Bellamy le sorrise e lei, presa da un qualche strano tipo di potentissima adrenalina, fece forza sulle gambe e ribaltò le posizioni, schiacciandolo contro il materasso e sedendosi sopra di lui.

Lo osservò per qualche istante, inarcando la schiena per avvicinarsi al punto in cui la voleva di più, e immaginò che fosse passato un lungo tempo dall’ultima volta che aveva visto qualcosa di così bello come Bellamy Blake implorante e adorante sotto di lei.

« Sei perfetta. » Mormorò piano, deciso a farsi prendere sul serio e a convincerla davvero del fatto che lo pensasse, che non era soltanto la solita bugia.

Lei non seppe perché, ma in quel momento le sembrò vero.

Clarke si morse le labbra e si passò una mano fra i capelli, spostando i ricci di torno e guardandolo dall’alto, fiera e orgogliosa e pericolosa come non si era mai sentita prima.

Se aveva pensato di sentirsi potente con una pistola in mano era solo perché non aveva ancora provato la sensazione di averlo costretto fra le sue gambe, ansimante e pronto per lei.

Non appena, dopo alcuni attimi, si chinò verso di lui, Bellamy si sollevò, mettendosi a sedere e trascinandola con sé.

Si baciarono di nuovo, pieni di meraviglia e desiderio e di denti che si incontravano perché nessuno dei due riusciva a smettere di sorridere.

« Se avessi saputo che sarebbe stato così, mi sarei fatta arrestare molto tempo fa. » Scherzò lei, mentre il maggiore dei Blake scendeva per l’ennesima volta a baciarle il collo.

Lui rispose con una risata soffocata contro la sua pelle, sporgendo le braccia oltre la sua schiena e trovando il gancetto del suo reggiseno.

Immediatamente sollevò lo sguardo verso di lei in una tacita richiesta, e la bionda posò le mani sulle sue e le accompagnò dietro di sé, lasciandole sull’indumento.

Quando questo le scivolò dalle braccia e Bellamy lo lanciò da qualche parte sul pavimento, fu il suo turno di scambiare le posizioni e spingerla contro il materasso.

« Su questo dovremmo lavorarci. » Scherzò lei, mordendogli delicatamente la spalla sinistra.

Il moro, dal canto suo, continuò a baciarla da dove si era interrotto.

La base della gola, lo sterno, qualsiasi centimetro di pelle che potesse raggiungere senza muoversi ulteriormente.

Clarke parve respirare con affanno, chiudendo gli occhi, e lui risalì verso il suo volto con lentezza, posando le labbra contro il suo orecchio.

« Dimmi cosa vuoi che ti faccia. » Bisbigliò, spostando la bocca verso la sua tempia, sulle guance, sfiorandole appena le labbra.

« Toccami. » Ansimò, inarcandosi e dimenandosi verso il suo petto, rabbrividendo al contatto con la sua pelle calda.

Bellamy annuì visibilmente, accarezzandole con la lingua il labbro inferiore e risalendo dal basso con la mano sinistra, sfiorando appena il bordo dei suoi jeans e strofinando le punte delle dita contro la sua pelle.

La risposta di lei non si fece attendere: si aggrappò alla sua cintura come se da questo ne dipendessero le loro vite, e il rumore del gancio che si sfilava e si apriva le provocò una serie di brividi lungo la schiena.

Lui poggiò la fronte contro la sua, i loro respiri boccheggianti che si mischiavano, e Clarke lo baciò nello stesso momento in cui gli tirò giù i pantaloni, spingendoli via con il suo aiuto.

Non ebbe tempo di fare nulla, però, perché il maggiore dei Blake si staccò da lei e arretrò sulle ginocchia.

Perfino prima di potersi sentire confusa da quel gesto, Clarke percepì in profondità entrambe le sue mani scivolare sulle proprie gambe e ancorarsi al bordo dei suoi shorts.

Mentre con una toglieva il bottone dall’asola, l’altra mano si allungò verso il suo petto e rimase lì per qualche secondo.

Con un ultimo sguardo, Bellamy fece una minima pressione e li tirò via insieme alla biancheria, lasciandola nuda e affannata davanti ai suoi occhi.

Clarke pensò che se avesse continuato a guardarla in quel modo, tutto quello non sarebbe durato poi così tanto.

Ma fu costretta a ricredersi, perché quelle mani che la stavano facendo impazzire si posarono improvvisamente sulle sue ginocchia e le separarono, provocandole una sensazione alla bocca dello stomaco che la fece impulsivamente boccheggiare.

A quel punto il moro si riavvicinò a lei, approfittandone per incastrarsi in quello spazio e tornare ad appropriarsi della sua bocca con fugacità, prima di iniziare una discesa di baci bagnati contro la sua pelle.

Scivolò con dolorosa lentezza sul collo, sul petto, al centro della pancia senza smettere di guardarla nemmeno per un attimo.

Il suo sguardo implorante la supplicava di bloccarlo, di dirgli qualcosa, di spostarsi e urlargli contro che era un bastardo e che doveva togliere le sue mani luride da lei, come se i suoi occhi potessero entrarle nella testa e sussurrarle "fermami, fermami, fermami adesso, lasciami andare e io ti lascerò andare, ma fallo subito".

Ma Clarke non fece niente.

E, quando la sua discesa le impedì di guardarlo negli occhi, sollevò di poco la testa appena in tempo per vederlo affondare in lei.

Immediatamente tutto prese fuoco: ogni parte del suo corpo sembrava bruciare e tremare ed essere colta da spasmi incontrollabili, ogni sensazione amplificata dalla potenza di ciascuna delle mani di Bellamy a tenerle ferme le gambe e dei suoi ricci a sfiorarle la pelle delle cosce e dei rumori osceni che stava facendo la sua bocca contro di lei, pronta a farla gridare, se fosse stato necessario.

E quella pressione al centro del suo corpo si fece quasi impossibile da sopportare, costringendo la giovane Griffin ad aggrapparsi alle lenzuola con entrambe le braccia e a reclinare il capo più indietro che potesse, puntando gli occhi spalancati al soffitto e serrandoli subito dopo.
 


 
*




Clarke giunse sotto il portico di casa sua camminando velocemente, un paio di occhiali a coprirle il volto e una delle felpe senza cappuccio di Bellamy ad avvolgerla.

Si erano appena salutati, lui l’aveva accompagnata alla porta e, quando lei gli aveva dato le spalle, si era aggrappato alla sua mano sinistra e l’aveva trascinata di nuovo dentro, spingendola contro la porta e baciandola un’ultima volta.

Probabilmente la stava ancora osservando dalla sua finestra, e il solo pensiero la fece sorridere istintivamente, mordendosi il labbro inferiore subito dopo.

Clarke non era abituata a sentirsi così leggera, a ricordare con tale dolcezza le carezze di qualcun altro sulla propria pelle.

Nonostante ciò, era una bella sensazione. Le faceva venire voglia di dimenticare tutto per un attimo e abbandonarsi a qualsiasi cosa sarebbe venuta dopo.

Mettendo da parte per un attimo tutti quei pensieri tanto estranei dalla sua quotidianità, la bionda tirò fuori il suo mazzo di chiavi e, trovata quella giusta, la girò lentamente nella toppa, attenta a non fare rumore o attirare l’attenzione dei suoi famigliari.

Non appena richiuse la porta, una voce alle sue spalle la fece sussultare.

« Beccata! »

Clarke imprecò sottovoce, dandogli ancora le spalle, e alzò gli occhi al cielo prima di voltarsi e incrociare le braccia al petto.

« Non dovresti essere da qualche parte a studiare? » Provocò suo fratello, sollevando un sopracciglio e lasciando cadere le chiavi sul tavolino basso alla sua sinistra.

« È sabato mattina. » Rispose Wells, guardandola con la stessa espressione di rimando.

« E quella non è tua, » continuò, indicando chiaramente la felpa che stava indossando, « e non sei tornata a casa a dormire. »

« Io- »

« Non provare a mentirmi, » la minacciò con un gesto secco del braccio, dirigendosi verso la cucina senza aspettare che lo seguisse, « la mia camera si affaccia sul tratto di strada dal lato di casa Blake. »

La giovane Griffin, arresa e abbandonata all’idea di non poterne uscire vincitrice, si tolse gli occhiali da sole, lo raggiunse e si appoggiò allo stipite della porta, osservandolo aprire il frigorifero e cercare qualcosa al suo interno con meticolosa attenzione.

« Ok, ok, va bene. Ero lì. » Ammise, il capo chino e le braccia ancora strette al petto.

« Lo sapevo! » Esultò Wells, mimando con vigore il segno di vittoria.

« Octavia mi deve venti dollari. »

« Scusami? »

« Oh, ehm- »

« Tu e Octavia avete scommesso su di noi? Su me e Bellamy? »

« Non sembrarne tanto sconvolta, Ky. Voi due, insieme… Insomma, » scrollò le spalle, « doveva succedere. »

Clarke sbatté le palpebre, stupita.  

Forse c’era qualcosa che quelle due semplici parole avevano riportato a galla, qualcosa che lei aveva tentato con tutte le forze di reprimere.

Una sensazione fugace e dinamica che l’aveva turbata.

Ma c’era qualcosa nella semplicità con cui Wells l’aveva detto, quel “doveva succedere”, che la lasciò sbigottita e sbalordita di fronte alla facilità con cui quell’ipotesi si era palesata davanti ai suoi occhi.

Lei e Bellamy, quello che era accaduto, quello che condividevano. Doveva semplicemente succedere.

« Stai bene? » Il suo fratellastro abbandonò il tono scherzoso per assumerne uno preoccupato, più serio.

Smise per un attimo di versare l’impasto per pancake in una padella e si concentrò su di lei con quello sguardo per cui Clarke non avrebbe mai smesso di essere grata.

« Certo. » Rispose pacatamente, accennando un sorriso, perché forse non c’era stato nessun altro giorno in cui si era sentita più vicina allo stare bene di quello.

C’erano ancora tante cose che doveva affrontare e superare, luoghi oscuri dentro di sé a cui avrebbe preferito non avvicinarsi mai, verità che strisciavano e arrancavano verso di lei un centimetro alla volta, ogni giorno di più, ma si sentiva un passo più in là.

Un piccolo, minuscolo ed inconsistente passo più prossima al trovare un motivo per andare avanti, uno solo, l’amore per se stessa, l’affetto per qualcun altro, la tenerezza di un abbraccio al buio.

In quel momento Clarke pensò che avrebbe potuto farcela. Non le importò di risultare arrogante o presuntuosa davanti ai suoi stessi occhi; forse, ma solo forse, sarebbe sopravvissuta. E poi avrebbe vissuto.

« Sono davvero felice che tu abbia trovato qualcuno come lui, Key. Non fare casini. »

«Non lo farò. Prometto. » Si scambiarono uno sguardo complice, quello che era cresciuto insieme a loro, e poi il giovane Jaha tornò ad occuparsi della colazione.

« Ne vuoi un po’? » Le domandò, mentre lei prendeva posto davanti a lui, appoggiandosi con entrambi i gomiti al bancone.

« Già mangiato, grazie. »

« Dovresti sapere ormai che i miei pancake non si rifiutano. »

« La prossima volta non li rifiuterò, parola di scout. » Clarke rimase seduta al suo fianco senza fare nulla, in silenzio, semplicemente osservandolo mangiare e leggere attentamente le etichette dietro qualsiasi recipiente si trovasse davanti.

« Loro dove sono? » Domandò dopo qualche attimo, sondando il terreno.

« Mio padre sta partecipando a quel convegno fuori città che il suo studio aveva programmato mesi fa. Abs è in ospedale. »

« Come sempre. »

« Clarke. »

« Lo so, lo so. Non ho detto niente! »

« Ehi, che ne dici se ci seppelliamo sul divano e non ci alziamo finché i due vecchi non tornano? So che vuoi rivedere Interstellar, so che lo vuoi. » Le propose Wells, alzandosi e ripulendo velocemente il bancone della cucina.

Con un’unica e silenziosa occhiata d’intesa, i due afferrarono la maggior quantità di cibo spazzatura che potessero e si diressero senza troppe riserve verso il salotto.
 
 

 
*




 
Bellamy rincasò dalla sua corsa mattutina assecondato da una strana energia.

Voleva davvero evitare di imputarlo a ciò che era successo quella notte, ma la parte più onesta della sua mente non sembrava trovare ulteriori motivi a quell’adrenalina che lo aveva pervaso dal momento in cui si era svegliato, Clarke nuda e calda fra le sue braccia.

Dopo averla salutata, dopo averle rubato un ultimo bacio, si era precipitato a cambiarsi ed era uscito per una corsa.

Immaginò che fosse quello di cui il suo corpo aveva bisogno per liberarsi dall’elettricità che aveva pervaso qualsiasi sua terminazione nervosa e gli aveva impedito di rimanere fermo anche per un solo istante.

Ora, i capelli completamente bagnati appiccicati alla fronte e le cuffiette in una mano, tutto ciò che gli serviva era una colazione nutriente e massiccia.

« Fratellone! » Lo salutò la voce di Octavia non appena svoltò l’angolo della cucina.

« Pensavo che stanotte avessi esaurito tutte le energie. Felice di sapere che tu ne abbia ancora. »

Il maggiore dei Blake arricciò la bocca in segno di disgusto e le lancio un’occhiataccia.

« Dannazione, O, sei mia sorella. Non dovresti addentrarti in questioni del genere. »

« Andiamo, Bells, non fare il puritano. Non è che sia stata proprio la sorpresa del secolo. »

« Che vorresti insinuare? » Domandò, sporgendosi oltre di lei e afferrando uno dei cornetti che aveva evidentemente appena scaldato.

« Intendo dire che sapevo sarebbe successo. Non solo quando le ho aperto la porta e l’ho fatta entrare. Lo sapevo fin dall’inizio. »

Bellamy non rispose. Non subito, perlomeno.

Il suo primo istinto fu quello di abbassare lo sguardo, mantenere un’espressione neutrale, falsamente indifferente a quello che sua sorella aveva appena detto con tale tranquillità da sembrare la vera e pura realtà. Da apparire così semplice da non destare sospetti, da essere lasciato lì, in bella vista.

E Octavia sembrò percepire il flusso dei suoi pensieri, perché si schiarì la voce e cambiò discorso.

« Comunque… Ha chiamato il Capitano. Ti vuole al Dipartimento il più presto possibile. » Lui assentì, ancora silenzioso e riflessivo.

« Siete vicini? »

« Sì, » annuì, « credo proprio di sì. »

« Bene. Il bagno è tutto tuo, io stavo uscendo. »

La più giovane si alzò da una delle sedie della cucina e gli si avvicinò, baciandogli delicatamente una guancia.

« Vado da Lincoln. » Prima che potesse allontanarsi troppo, però, suo fratello la richiamò.

« Ehi, O? Prendi la mia macchina. Vai direttamente da Lincoln, non fermarti da nessun’altra parte. »

« Mi piaci quando ti preoccupi. »Lo provocò lei, alludendo al fatto che non fosse un evento comune o irrilevante che Bellamy fosse disposto a lasciarle la sua preziosa automobile.

« Sparisci. » La canzonò con un sorriso, prendendo un goccio di caffè dalla tazza che lei gli aveva preparato e dirigendosi verso il bagno.





 
*





L’agente Blake arrivò alla Centrale poco più di mezz’ora dopo, una camicia pulita arrotolata fino ai gomiti e un paio di jeans come abbinamento standard durante le ore di lavoro.

Senza rivolgersi ai suoi colleghi, si diresse direttamente verso l’ufficio del Capitano.

« Buongiorno. » Salutò con precisione e brevità dopo aver bussato una sola volta.

« Bellamy, » ricambiò il suo capo, sollevando lo sguardo da uno dei fascicoli che teneva sulla scrivania e incrociando le braccia davanti a sé.

« So che stai trascorrendo tanto tempo qui, so che hai bisogno di riposo. Ma so anche che sei determinato quanto me ad archiviare questo caso, perciò sono convinta di poter fare pieno affidamento alla tua collaborazione. »

Il moro non aggiunse altro, ma chinò la testa in segno di assenso e la lasciò continuare.

« Hai pensato a quello che ti ha detto Atom durante il secondo interrogatorio? »

Un flash della schiena nuda di Clarke, delle sue gambe attorno ai propri fianchi, della sua lingua su di lui gli passò davanti agli occhi in un paio di secondi, ma subito dopo lo ricacciò via ed annuì con vigore.

« Abbiamo bisogno dei tabulati telefonici di Abigail Griffin. »





 
*



 
« Ti ricordi quando siamo stati in campeggio? » Domandò improvvisamente Wells, voltandosi verso Clarke e indicando allo stesso tempo la busta di gelatine gommose che lei teneva in grembo.

Senza parlare, le porse i suoi marshmallow e afferrò la suddetta confezione.

« Sì, il periodo peggiore della nostra vita: la pubertà. »

« Lì è dove abbiamo imparato il codice morse. E allora cosa sta dicendo Matthew McConaughey a sua figlia? »

« “Scusa se sono uno stronzo”? » Ipotizzò la giovane Griffin, guadagnandosi un colpo di cuscino in pieno volto.

« Doveva andare. Doveva provare a salvare il mondo, renderlo migliore per i suoi figli. Per lei. »

Clarke percepì una stretta al petto non appena Wells pronunciò quelle parole.

Sapeva che stava parlando del film che stavano guardando, ma fino a quel momento non si era resa conto di quanto la vicenda fosse così simile alla sua.

Improvvisamente le saltò alla mente suo padre, il segreto sull’Ark Corporation che avevano condiviso e che era stato, poi, il motivo per cui era stato ucciso.

Il motivo per cui l’aveva lasciata.

« Forse lei è un’egoista. Forse non voleva che il mondo fosse un posto più sicuro, non se avesse significato viverci senza suo padre. Forse aveva bisogno di lui più di quanto ne avessero bisogno gli altri e non poteva accettare l’idea di crescere senza di lui. Forse sarebbe stata disposta a perdere tutto pur di tenerlo con sé. »

Sussurrò, tenendo lo sguardo dritto davanti ai suoi occhi e senza voltarsi verso il suo fratellastro.

Il suo fratellastro, che si limitò ad osservare il suo profilo per qualche secondo prima di avvicinarsi un po’ di più a lei.

« Ehi, vieni qui. »

La invitò, circondandole le spalle con il braccio sinistro e stringendola forte al suo petto. Clarke non disse niente né lo guardò, ma si mosse fino a rannicchiarsi contro di lui e stringere in un pugno la sua maglietta.





 
*



 
 
« Non posso crederci, cazzo. » Sussurrò fra sé e sé Bellamy, i tabulati telefonici di Abby in una mano e i nomi che gli aveva fatto Atom nell’altra.

Fra tutti, spiccava quello di Lexa Heda.

E le cose si erano appena complicate così tanto da sbigottirlo oltre ogni limite, da confonderlo e fargli mettere in dubbio tutto quello in cui aveva creduto fino a quel momento.

Senza attendere oltre, afferrò entrambi i fogli e si diresse per l’ennesima volta verso l’ufficio del Capitano, abbandonando la sua postazione e facendo attenzione a non lasciarsi dietro nulla.

« Credo di avere una pista. » Annunciò senza troppi preamboli, dirigendosi verso la scrivania di Sidney e posizionandole davanti le due liste.

« E credo di dover andare al Mount Weather immediatamente. »

Ispezionando con attenzione i documenti e annuendo poco dopo, la più anziana sollevò lo sguardo verso di lui. « Ottimo lavoro, Bellamy. »
 




 
*



 
« Ho bisogno di parlare subito con il primario. » Esordì alla reception del reparto di chirurgia dell’ospedale, tamburellando con le dita sulla superficie del bancone.

L’infermiera seduta davanti a lui, una donna sulla mezza età dall’evidente ricrescita e dalle rughe marcate attorno agli occhi, lo guardò con un misto di beffeggiamento e indifferenza.

« Temo che la dottoressa Jaha non sia disponibile in questo momento. »

Gli comunicò la sua voce annoiata e acuta fino al punto da risultare profondamente sgradevole.

Consapevole di ciò che fosse necessario fare a quel punto, l’agente Blake tirò fuori il distintivo e lo appoggiò al vetro del gabbiotto per permetterne la completa visione.

« Dipartimento di Los Angeles. Le dispiacerebbe riprovare a chiamare il primario? »

Sorrise falsamente e la sua effettiva intolleranza e impazienza risultò plateale perfino a lui stesso.

La donna osservò per qualche istante il distintivo, questa volta con espressione spaventata e intimorita, e, senza aggiungere altro, sollevò la cornetta.

Esattamente sette minuti dopo, il moro vide svoltare il corridoio a qualche metro da sé Abigail Jaha, un camicie perfettamente bianco e completamente immacolato a circondarle le forme sinuose del corpo.

Ogni suo passo sembrava librare nell’aria e conferirle un portamento estremamente raffinato.

Fu la sua voce, però, a tradire il suo vero stato d’animo.

« Bellamy, » sussurrò spaventata, « è successo qualcosa a Clarke? »

Il maggiore dei Blake la osservò per qualche istante, si chiese come avesse fatto a non rendersi conto delle sue menzogne fino a quel momento, poi tornò a concentrarsi su di lei e la condusse lontano dal resto delle infermiere.

« Ho bisogno di parlarle privatamente, Abby. »

La più grande lo condusse in direzione di una stanza vuota, i letti destinati ai malati sistemati con cura – letti incredibilmente simili a quelli su cui Aurora Blake aveva trascorso gli ultimi mesi della sua vita – e il candore tipico del posto a circondarli.

« Clarke sta bene? » Domandò lei di nuovo, un’espressione apparentemente preoccupata dipinta sul volto innegabilmente segnato dalla fatica e della stanchezza.

« Lei sta bene. Ora le farò una domanda, signora Jaha, e lei dovrà rispondermi con la più totale e completa onestà, o sarò costretto a prenderla in custodia e portarla in centrale non come testimone, ma come accusata. Le è tutto chiaro? »

L’ex signora Griffin annuì, sebbene il suo volto apparisse del tutto perplesso e timoroso.

« Può spiegarmi perché nell’ultimo mese ha chiamato il numero di Marcus Kane almeno un centinaio di volte? »
 



 
*




 
La giovane Griffin si risvegliò al buio nel suo salotto in preda alla confusione e allo smarrimento più totali.

Le sue gambe erano avvolte attorno ad una coperta leggera, la televisione era spenta e le buste di schifezze che lei e Wells avevano mangiato per tutto il pomeriggio si ritrovavano ammassate ai suoi piedi, sebbene di suo fratello non ci fosse la minima traccia.

Mettendosi a sedere e passandosi una mano fra i capelli, attese di sentirsi pienamente sicura delle proprie capacità fisiche e si alzò. Una volta più vicina alla cucina, sentì delle voci parlare sommessamente e si diresse verso quel suono, ancora piuttosto confusa e disorientata.

Non appena svoltò l’angolo, le teste di Wells e Bellamy scattarono verso di lei praticamente nello stesso istante.

La bionda non poté fare a meno di sorridere nella direzione del maggiore dei Blake, che la stava guardando con un’espressione a metà fra la meraviglia e l’apprensione.

« Che ci fai qui? » Gli domandò, continuando a sorridere e avvicinandosi ai due.

Lui spostò lo sguardo verso quello dell’unico figlio Jaha e i due si scambiarono un’occhiata complice, come se sapessero qualcosa di cui lei non era ancora a conoscenza e si trovassero indecisi se rivelargliela o meno.

Percependo che ci fosse davvero qualcosa che doveva sapere, Clarke fece scorrere gli occhi dall’uno all’altro, le sopracciglia che iniziavano ad aggrottarsi e il sorriso che lentamente svaniva dal suo volto.

« Bellamy? Che… Che sta succedendo? » Ora sembrava allarmata, e lui si passò una mano sul volto, chiaro segno di stanchezza ed evidente difficoltà.

« Siediti, Clarke. » Parlò per la prima volta, indicandole con un gesto secco della mano sinistra al loro fianco.

La più giovane fece come gli era stato riferito e si sedette in mezzo ai due, continuando a far saettare lo sguardo fra le loro figure rigide.

« Dimmi che sta succedendo, Bellamy. Cosa hai scoperto? »

Il moro non esitò oltre. Per prima cosa prese un respiro profondo, poi raddrizzò le spalle e si voltò completamente verso di lei.

« Quando ho interrogato Atom, mi ha riferito qualcosa che non credevo fosse relativo al tuo caso, e che quindi non ho messo in conto fin dall’inizio. Poi, però, ci ho riflettuto su, e le cose erano troppo collegate fra loro per essere ritenute delle coincidenze. Così… ecco, ho richiesto i tabulati telefonici di tua madre e il mio sospetto si è improvvisamente realizzato. Questa mattina sono andato al Mount Weather e le ho parlato. »

Fece una pausa per accertarsi che Clarke avesse compreso tutto e che metabolizzasse quello che le aveva appena rivelato.

Lei, dal canto suo, si sentiva immobilizzata dalla paura. Il cuore le rimbombava nella gola, dietro la testa, in ogni parte del suo corpo che veniva alimentata da quel battito.

Il sangue nelle sue vene sembrava essersi tramutato in fuoco puro, mandandole in corto circuito qualsiasi funzione.

« Tua madre è in stretto contatto con Marcus Kane, Clarke. E… la sua assistente personale, ecco, è Lexa Heda, la leader dei Grounders. »

La giovane Griffin si immobilizzò.

Per un attimo smise di respirare, perdendo di vista il volto di Bellamy davanti a lei e quello del suo fratellastro al suo fianco, rimasto in silenzio per tutto quel tempo.

Si accorse perfettamente della sua vista che si appannò e delle orecchie che iniziarono a fischiare, ma il suo corpo sembrava essersi scisso dalla mente, incontrollabile e selvaggio e violento contro la parte più razionale di sé.

Nel momento in cui l’agente Blake riprese a parlare, la sua concentrazione si raccolse nuovamente sul suo volto, analizzandolo ed esaminandolo con scrupolo e terrore.

Una parte della sua mente si preparò a sentirsi dire che sua madre era nient’altro che un’ assassina.

« Vedi, loro hanno stretto un accordo. Ben consapevoli di quello che succedeva per le strade, del pericolo che tu correvi, Jake ed Abby giurarono a Kane che non avrebbero fatto trapelare il segreto degli appalti illegali e instabili dell’Ark a patto che lui avesse fatto in modo di proteggerti.
Per tutto questo tempo i Grounders  ti stavano proteggendo, Clarke. Tuo padre non aveva la minima intenzione di rivelare il loro segreto. Non sono stati loro ad ucciderlo. »

La bionda a quel punto sussultò, annaspando in cerca d’aria e cercando di vedere con chiarezza attraverso le lacrime che avevano iniziato a scorrerle copiosamente sul volto.

« Non abbiamo più niente. » Sussurrò debolmente, incapace di articolare altro che lievi gemiti e respiri affannosi.








 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: Fannie Fiffi