«Rachel!
Bentornata, tesoro!»
«Ciao,
zia!» Rachel abbracciò affettuosamente Selina,
prima di
salutare anche lo zio e il cugino.
Cugino
che guardò per qualche secondo alle spalle della ragazza,
prima di esordire con: «Ma quello non è
Garfield?»
Selina
si voltò di scatto: «Quel povero ragazzo? Rachel,
non mi
avevi detto che sarebbe venuto anche lui! Dobbiamo assolutamente
invitarlo a
cena, povero caro!»
«No, zia. Non
dobbiamo. E non
è lui. Andiamo» decretò la ragazza,
lapidaria.
«Rach,
giuro che non ho le traveggole. Quello è
proprio…»
«Andiamo»
ripeté la ragazza, raccogliendo il trolley dal pavimento
e dirigendosi verso l’uscita dell’aeroporto. Ai
Wayne non restò altro da fare
che seguirla, nonostante la confusione che era chiaramente leggibile
sui loro
volti.
Garfield
guardò Rachel allontanarsi a passo di marcia e i Wayne
seguirla dopo un attimo. Si attardò a recuperare il proprio
bagaglio, poi
estrasse il telefono dalla tasca.
«Tara?»
Rachel
si fece una rapida doccia e dopo un pasto altrettanto
veloce, sotto l’occhio vigile della zia, era pronta per
andare in ospedale. Richard
deglutì l’ultimo boccone di insalata e la
seguì fuori.
I
Wayne li salutarono dalla porta e quando furono fuori vista, il
ragazzo si rivolse alla cugina: «Rachel, quello era
Garfield.»
Rachel non rispose, limitandosi a guardare il familiare paesaggio scorrere fuori dal finestrino.
«Che
cosa ci faceva in aeroporto? E soprattutto, cosa è successo
tra di voi? L’ultima volta che ti ho sentito, stavi uscendo
con lui» continuò
il ragazzo, senza la minima intenzione di mollare l’osso.
Una
lacrima scivolò lungo la guancia della ragazza, che tuttavia
rimase in silenzio.
«Rachel.
Cosa è successo?» chiese Richard, fermando la
macchina e
voltandosi a guardare la cugina, che in tutta risposta gli si
gettò tra le
braccia, piangendo come l’aveva vista fare poche volte. La
strinse forte e
lasciò che si sfogasse.
Dopo
qualche minuto, la ragazza si ricompose e lo lasciò libero.
Lui
la guardò e a un suo cenno si rimise in carreggiata, in
direzione dell’ospedale,
in silenzio.
Silenzio
che fu rotto proprio da Rachel: «Ha lasciato la Juilliard
per seguire me. Per me, capisci? Non posso crederci.
L’occasione della sua vita
e lui la spreca per me!»
«Anche
tu hai lasciato la Juilliard.»
«Per
un valido motivo. Lui no.»
«Chi
ti dice che per lui tu non sia un altrettanto valido motivo?»
Rachel
tacque, scuotendo la testa.
«Rach,
quel ragazzo ti ama. Probabilmente ancora non lo sa, ma ti
ama dal profondo, quanto tu ami la zia. E anche tu provi qualcosa di
forte per
lui, altrimenti non ti saresti mai arrabbiata così tanto e
lo sai bene quanto
me.»
«Io…»
iniziò la ragazza, ma si bloccò, la voce rotta da
altre
lacrime. Si passò velocemente le maniche della felpa sulle
guance, prima di
continuare. «Io sono responsabile per tutto questo. Per la
mamma, per Garfield,
per te…»
«Cosa
c’entro io? Sono tuo cugino, sono la famiglia. Ti conosco da
sempre e ti voglio bene come a una sorella. E la zia non è
in ospedale per
colpa tua, ma per colpa di quell’uomo.»
«Quell’uomo
ce l’aveva con me! La mamma voleva difendere me!»
«Quell’uomo
ce l’aveva principalmente con se stesso! Come si spiegano,
altrimenti, le quantità di alcol e droga che si metteva in
corpo? Non darti
colpe che non hai, Rachel!»
«Ma
se io non ci fossi stata…»
«Se
tu non ci fossi stata, io non avrei avuto la migliore amica
che si possa desiderare. Garfield non sarebbe entrato nel club di coro
e si
sarebbe messo con Tara. Selina e Bruce starebbero ancora trattando con
un
ragazzo difficile.»
«Ma
la mamma starebbe bene.»
«Forse.
Ma forse no. Chi sa cosa avrebbe potuto combinare quell’uomo,
anche se tu non ci fossi stata, Rachel. Anzi, soprattutto in quel
caso.»
«Richard…»
«Non
capisci, Rach? È un bene che tu ci sia. Hai aiutato tante
persone, senza nemmeno accorgertene. Sei la cosa migliore nella vita di
molti
di noi.»
Rachel
tacque di nuovo, guardando per un attimo il cugino alla
guida.
Qualche
minuto dopo, con gli occhi lucidi, mormorò:
«Grazie, Rich.»
«Non
dirlo nemmeno. Grazie a te. E ora andiamo dalla zia»
ribatté
il ragazzo, parcheggiando all’ospedale.
«Signorina
Roth? Sua madre è da questa parte» le disse un
medico,
riconoscendola. La guidò verso una stanza che non ricordava
di aver mai visto. L’uomo
parve notare la sua confusione, perché si
affrettò a spiegare: «L’abbiamo
spostata nel nostro reparto speciale, ma temo che sarà tutto
inutile. La situazione
è critica e non posso prometterle che andrà tutto
bene.»
La
ragazza respirò profondamente, poi strinse forte la mano di
Richard. Lui gliela strinse in risposta, poi i ragazzi entrarono nella
stanza.
La
situazione era mille volte peggio di quel che Rachel si era
immaginata. Sua madre era ormai poco più di uno scheletro ed
era letteralmente
tenuta in vita dai macchinari che la circondavano. Il battito del cuore
era
quasi inesistente.
Rachel
corse al fianco della madre e prese delicatamente una mano
scheletrica tra le sue. Posò un bacio sulla guancia
incavata, poi iniziò a
parlare piano, a bassa voce, in romeno.
Richard
uscì discretamente dalla camera, seguito dal medico. Rachel
aveva bisogno di quel poco tempo che le restava con la madre.
Un
quarto d’ora dopo, Rachel uscì dalla stanza con
una calma
innaturale. Ignorò il cugino e si rivolse direttamente al
medico: «Credo… Credo
che sia morta, signore.»
Il
medico si precipitò nella camera, dalla quale
uscì dopo qualche
secondo con un’aria grave. Annuì una sola volta e
allora Rachel sembrò capire
veramente quello che era successo. Si accasciò tra le
braccia del cugino, priva
di sensi. Il ragazzo la appoggiò con delicatezza su una
sedia, gli occhi pieni
di lacrime.
Il
dottore soccorse Rachel, poi, constatato che si era ripresa,
almeno fisicamente, lasciò i due ragazzi da soli con il loro
dolore.
Dopo
un tempo che parve eterno, la ragazza alzò lo sguardo sul
cugino: «Dobbiamo avvisare la zia. E preparare il funerale.
E…»
«E
tornare a casa. Per il momento abbiamo bisogno solo di
questo»
rispose il ragazzo, aiutandola ad alzarsi e muovendosi verso
l’ascensore.
Il
viaggio in macchina fu incredibilmente silenzioso.
Tre
giorni più tardi, i Wayne, Rachel e i loro amici erano al
cimitero di Jump City. Mentre il prete officiava, lo sguardo di Rachel
rimase
fisso sulla bara della madre. Legno semplice, eppure forte, proprio
come la
donna che era stata Arella.
Richard
le pose un braccio intorno alla spalla, con fare
protettivo, mentre la bara veniva calata nella fossa. I due ragazzi
gettarono
la prima, simbolica, manciata di terra, lasciando poi ai becchini il
resto.
Terminata
la triste operazione, i ragazzi e i Wayne fecero per
andare, ma Rachel parlò per la prima volta da tre giorni:
«Vorrei… Vorrei
cantare qualcosa. La canzone preferita della mamma.»
I
presenti quasi sorrisero: finalmente Rachel sembrava mostrare
interesse per qualcosa. Negli ultimi tre giorni era stata il fantasma
di se
stessa e solo le cure amorevoli degli zii e di Richard
l’avevano salvata da un
tracollo fisico.
La
ragazza si guardò rapidamente intorno, poi
attaccò a cantare.
Today is gonna be the
day
That they're gonna throw it back to you
By now you should've somehow
Realized what you gotta do
I don't believe that anybody
Feels the way I do, about you now
Back beat, the word was
on the street
That the fire in your heart is out
I'm sure you've heard it all before
But you never really had a doubt
I don't believe that anybody
Feels the way I do about you now
Selina scoppiò a piangere e
abbracciò la nipote,
che si interruppe per un momento, sopraffatta dall’emozione.
La zia aveva perso
una sorella, lei una madre.
And all the roads we
have to walk are winding
And all the lights that lead us there are blinding
There are many things that I
Would like to say to you but I don't know how
Because maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
Rachel si appoggiò alla lapide della
madre,
stringendola in una sorta di abbraccio. Sua madre era stata la sua
forza e
avrebbe continuato ad esserlo, per sempre.
Today was gonna be the
day
But they'll never throw it back to you
By now you should've somehow
Realized what you're not to do
I don't believe that anybody
Feels the way I do, about you now
A questo punto della canzone, la ragazza
lanciò un’occhiataccia
in direzione di Tara, praticamente appiccicata al braccio di Garfield.
Da quando
era tornato da New York e le aveva chiesto di andare a prenderlo in
aeroporto
era diventata la sua ombra, convinta che ormai tra lui e Rachel fosse
tutto
finito.
And all the roads that
lead you there are winding
And all the lights that light the way are blinding
There are many things that I
Would like to say to you but I don't know how
Rachel si alzò da terra, incurante del
terriccio
che le si era attaccato alle calze velate e iniziò a
camminare verso Garfield,
senza smettere di cantare.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
I due ragazzi erano uno di fronte
all’altra e Tara
batté in ritirata.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
And after all, you're my wonderwall
Rachel gettò le braccia al collo di Garfield, stringendolo come se non ci fosse un domani o come se lui potesse scappare da un momento all’altro.
Il ragazzo restituì l’abbraccio con forza superiore.
I said maybe, you're
gonna be the one that saves me
You're gonna be the one that saves me
You're gonna be the one that saves me
I due si guardarono, poi Rachel stupì tutti quanti, baciandolo sulle labbra.