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Autore: lyndea    28/02/2009    1 recensioni
Una storia che avevo scritto molto tempo fa. Due ragazzi e due ragazze che suonano e le loro storie, niente di particolarmente geniale.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ff

 

1.

 

Heidi trangugiò un sorso d’acqua dalla bottiglietta e disse ai suoi compagni, coprendo il microfono con la mano:

“Posso farcela ancora per un paio di canzoni.”

I Chocolate avevano deciso di esibirsi nonostante la loro cantante stesse uscendo da un forte raffreddore che le aveva provocato qualche problema alle corde vocali. La serata al Ladybird era troppo importante, aveva bofonchiato il loro manager. Così Heidi aveva preso tutti gli antibiotici mai inventati dalla scoperta della penicillina in avanti e aveva sperato in bene.

“Senti, facciamo la cover dei Kiss e poi i Police - suggerì River - Con i Kiss sforzerai, ma l’altra è molto lenta, quasi sussurrata. Non è il massimo chiudere così, ma le altre nostre canzoni sono troppo impegnative, mentre sei in queste condizioni.”

“E se ci chiedono il bis?”

“Ci inventeremo qualcosa.”disse Andrea.

“Va bene, allora forza.”

La folla che riempiva il locale apprezzò molto, e quindi chiese il bis. I Chocolate dimenticarono il proposito di poco prima, ma scelsero di proporre di nuovo un paio delle loro canzoni più lente per salvare almeno in parte la voce di Heidi. 

Dieci minuti dopo erano tutti nella saletta che costituiva il camerino comune. Tyler, il loro manager, entrò e si gettò su una poltrona.

“Allora?”chiese River.

“Allora... avete notato una tipa bionda e uno alto e muscoloso con un giaccone di pelle?”

“Sì, erano vicini al palco”rispose David.

“Erano Lucian&Pat.”

Il silenzio cadde nella stanza. Si sentiva solo il fracasso del locale.

“La prossima settimana avete un incontro per parlare con loro.”

Lucian&Pat erano una coppia di talent-scout che lavorava per la RCA. I Chocolate avevano la possibilità di un contatto con una major.

Il primo ad afferrare l’importanza dell’evento fu River che si mise a saltare e coinvolse i suoi amici in un pazzo ballo di gruppo. Continuarono così per un po’, finché Heidi non fece sentire quel che restava della sua voce.

Si sistemarono tutti nell’eroico pulmino Volkswagen bianco e rosso di River, che li portò ognuno a casa. Sapevano che avrebbero dormito ben poco, ma le regole di Tyler erano ferree. “Dopo un concerto, niente feste, niente groupies, niente alcol... tutti a dormire”, ecco il Tyler-pensiero.

 

Heidi saliva le scale con passi lenti e fiochi, il cui suono rimbombava nel silenzio. Entrò nell’appartamento: Matthew dormiva, circondato da un certo numero di bottiglie di birra. Vuote. Heidi le raccolse e le gettò via. Poi prese una sciarpa e uscì sul terrazzo. Da lì, si godeva una splendida vista dell’oceano.

Amava sentire l’aria fresca della notte che le sfiorava il viso, e inspirò a pieni polmoni il profumo di salsedine. L’aurora iniziava appena ad illuminare l’orizzonte, e in quel momento, Heidi si sentì felice. Riusciva a ripensare a tutto quello che nella sua vita non aveva funzionato senza piangere.

I suoi genitori si erano separati circa dieci anni prima, e ricordava tutto con una lucidità che le pungolava il cuore: ma sopra ogni cosa la sensazione di non-appartenenza, sballottata fra sua madre e suo padre.  

Le vacanze con uno, poi saltate per il mancato pagamento degli alimenti, o magari perché  aveva una nuova fiamma da far divertire. La vita di tutti i giorni con l’altra, la pressione di essere sempre perfetta, il college appena completato “così finalmente inizierai a lavorare seriamente”. E Matthew.

Aveva conosciuto Matthew alla festa di una confraternita. Era mezza addormentata su un divano, e lui si era avvicinato per offrirle un tiro da una canna. Lei aveva accettato e il giorno dopo era andata a vivere da lui. L’appartamento era enorme e bellissimo, pagato dai gentili signori Longhurst. Quando sua madre aveva saputo che andava a vivere con il loro rampollo, aveva affermato che alla fine si era trovata uno ricco, e che doveva riuscire a farsi sposare.

Heidi non la chiamava da sei mesi.

Con suo padre i contatti erano ancora più sporadici: l’ultima volta che si era fatto vivo era stata in occasione del Natale dell’anno precedente, con una cartolina dai Caraibi.

Heidi si sfilò i sandali, poi si distese su una delle chaises longues, e rimase immobile a fissare l’alba. I riflessi del sole la abbagliavano, e dovette chiudere gli occhi. Pian piano, scivolò nel sonno.       

 

David era fermo davanti alla porta di casa sua: un appartamento incastrato in un residence vicino alla stazione. Stava frugando nelle tasche dei pantaloni alla ricerca delle chiavi. Non c’erano. Mentre appoggiava sul pianerottolo la custodia del basso, sentì un rumore argentino. La aprì, e  vide le sue chiavi, rintanate in un angolo.  

Infilò la prima nella toppa, senza preoccuparsi del rumore. Il suo coinquilino ed i vicini non erano tipi da essere a casa a quell’ora. Appena entrato si tolse le scarpe, e andò a deporre la custodia sulla poltrona della sua stanza. Poi si spogliò con calma, afferrò un paio di boxer e si diresse in bagno, per farsi una doccia. L’acqua che percuoteva il suo viso aveva un effetto rigenerante. Rimase cinque minuti fermo sotto l’acqua tiepida, poi si insaponò e si sciacquò.

Uscì dalla cabina, si asciugò e indossò la biancheria. Mentre usciva dal bagno, piombò in casa Lucas, in compagnia di due ragazze.

“Ehi, vi presento il mio coinquilino...” biascicò “David, loro sono Christy e Sabrina.”

“Ciao!”dissero le due ragazze in coro.

“Christy è venuta qua per te.”

La bruna arrancò verso di lui e lo prese sottobraccio, sussurrandogli di seguirla.

“La porta a destra!”le disse Lucas.

David non oppose resistenza e lasciò che la ragazza lo trascinasse. Qualcosa in lui gli diceva di rinunciare, ma la sua mente non riusciva a trovare alcuna ragione valida.

Dopo aver compiuto il suo dovere, si alzò dal letto, dove Christy dormiva, ubriaca e stanca, e tornò a farsi la doccia. Si raggomitolò in un angolo, mentre le gocce bollenti gli sferzavano la pelle.

 

River ebbe un colpo di sonn; il pulmino Volkswagen, che ne aveva viste tante ma non era capace di guidarsi da solo, sbandò. Andrea mandò un grido e nel frattempo diede uno strattone al volante. River si riscosse e frenò davanti all’abitazione della ragazza, che abitava in una delle casette vittoriane dei sobborghi.

“River, non posso lasciarti tornare a casa, guidando in questo stato.”

“Quale stato?”

“Poco fa stavamo per andare a sbattere contro un lampione. E non credo che la cosa fosse programmata.”

River parve molto interessato al volante.

“Hai ragione, forse sono un po’ assonnato.”

“Fermati a casa mia per dormire. Ho una stanza per gli ospiti... se è quello il problema.”

“Va bene, fammi strada.”

River entrò timidamente nell’ingresso e seguì su per le scale Andrea, che gli mostrò la sua stanza, e poi si ritirò nella propria. Mentre stava indossando la maglietta grigia di sei taglie più grande che usava come camicia da notte, la ragazza ripensava alle ore appena trascorse. Sospirò: aveva ancora troppa adrenalina in circolo per riuscire a addormentarsi. Scese in cucina e mise un pentolino d’acqua sul fuoco. Poi iniziò a macinare alcune foglie in un mortaio; Taryn, la sua coinquilina, l’aveva contagiata con la mania degli alimenti naturali.

La ragazza avvertì una presenza alle sue spalle, e non appena si girò si trovò davanti River, che portava solo i jeans, sveglio come lei.

“Cosa stai preparando?”

“Una tisana calmante. Non riesco a dormire, e neanche tu a quanto vedo.”

“In effetti... potrei averne una tazza?”

“Certo, anzi già che ci sei preparane due e mettici tre zollette di zucchero. Guarda nell’armadietto in altro a sinistra.”

Mentre trafficavano vicini, Andrea si rese conto che conosceva poco di River. A parte il suo nome, il suo talento come batterista, e negli ultimi minuti il suo fisico insospettabilmente atletico.

“Non conosco neanche il tuo cognome.”disse lui, come se avesse pensato la stessa cosa.

“Farrant.”

“I Farrant che possiedono il T****?” chiese lui, nominando la testa più famosa di San Francisco.

“Loro.” tagliò corto Andrea “E tu?

“Casey. River Casey. Detto così, suona malissimo.”

“Hai un nome molto particolare.”

“I miei erano degli hippie fuori tempo massimo.”

“Credo che un po’ tutti i genitori lo siano.”

“Già, ma io ho avuto il non comune privilegio di nascere in una comune hippie di Bombay.”

La tisana era pronta. Andrea e River andarono a sedersi sulle poltrone del salotto. Dopo non pochi contorcimenti per assumere una posizione che non rivelasse al ragazzo tipo e colore della sua biancheria intima, Andrea ritornò sul discorso.

“Quindi sei indiano?”

“Ho il doppio passaporto.”

Notando che Andrea lo guardava incuriosita, River le parlò della sua vita. Era così semplice aprirsi in quel clima di confidenza e pace.

“Vedi, mia madre era una bellissima ragazza anglo-indiana che lavorava all’ambasciata. Mio padre era in viaggio per l’India alla ricerca di se stesso, invece trovò mia madre e insieme andarono a vivere in una comune vicino a Bombay, dove nacqui io. Restammo lì fino al mio quinto compleanno, poi su insistenza di mio nonno materno, un colonnello dell’esercito inglese preoccupato che il suo nipotino crescesse in modo così disordinato, tornammo alla vita civile. Mio padre iniziò  a lavorare come insegnante in un liceo privato, e mia madre riprese a lavorare all’ambasciata. Quando avevo nove anni morì mio nonno paterno e l’anno dopo ci trasferimmo qui negli Stati Uniti, perché mio padre doveva mandare avanti l’attività di famiglia. Quando ho finito il college, ho girato il mondo. Dopo peregrinazioni varie, sono arrivato qua a San Francisco.”

“Come mai proprio qui?”

“Avevo letto da qualche parte che è la città americana nella quale « si impresse nel patrimonio genetico cittadino quella predisposizione alla tolleranza e all'accoglienza che la caratterizzano oggi forse ancora più che in passato, facendone la metropoli nordamericana meno allineata alle convenzioni sociali » .”

“Un po’ troppo solenne, ma abbastanza vero.”

Andrea e River continuarono a parlare per un po’, poi lui si assopì poco dopo l’alba. Andrea lo fece stendere sul divano, e lo coprì con una coperta leggera; poi salì le scale, si infilò fra le lenzuola e anche lei si addormentò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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