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Autore: alaskha    23/11/2015    2 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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chapter four

begin again

 
 
 “Stasera abbiamo una cena con il direttore subito dopo una riunione importante, vai a prendere Jai a scuola e non aspettarmi in piedi”.
Posai il foglietto sul tavolo in vetro della sala, dove l’avevo trovato. Guardai un po’ fuori dalla grande finestra, osservando Wall Street, pensando a quanto fossimo così vicini, ma in realtà lontanissimi, io e mio padre.
Sospirai, barcollando un po’ sul mio stivaletto, fino a che non vidi la figura sorridente di Maribel, con un mazzo di fiori tra le mani.
Il mio mazzo di fiori.
“Altri fiori?” domandai, stranita.
“Tieni – me li porse, senza smettere di sorridere – stanno arrivando da stamattina, abbiamo finito i vasi in cui metterli”
“Ma quanti sono?”
“Questo è il settimo mazzo, credo che il prossimo sarà l’ultimo”
“Otto mazzi di fiori per otto mesi di relazione, mi sembra giusto” dissi, accarezzando un petalo di quel tulipano bianco.
Ma quando lo avrebbe imparato, che i miei fiori preferiti erano le margherite?
Io e Daniel, quel giorno, il dieci giugno, facevamo esattamente otto mesi di relazione. Ci eravamo conosciuti ad ottobre, ed il mese dopo, il dieci novembre, ci eravamo messi insieme.
Osservai i fiori nelle mie mani, e sospirai.
“Non ti piacciono?” mi chiese Maribel, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
“Certo che mi piacciono, sono bellissimi..”
“Ma..?”
“Ma non lo so, ma c’è sempre qualcosa che non va – dissi, buttandomi a peso morto sul divano – perché lui non è qui? Dovremmo festeggiare i nostri otto mesi insieme”
“Daniel lavora molto, Jen, lo sai”
Maribel si sedette accanto a me, accarezzandomi i capelli lunghi, che ricadevano sulle mie spalle.
“Appunto, è questo il problema – riflettei – io non voglio un agente di borsa che sorride solo quando salgono quotazioni in mercato, dove sono finiti i gentiluomini di cui scrivevano  Shakespeare ed Oscar Wilde? Io voglio Romeo, non voglio il lupo di Wall Street”
“Devi ammettere che Leonardo Di Caprio aveva il suo fascino, in quel film” scherzò Maribel.
“Non abbastanza da ricevere un Oscar” le feci notare.
“D’accordo – fece poi Maribel, facendomi alzare – tu devi uscire, hai bisogno di prenderti una vacanza, che ne dici di andartene da qualche parte a prendere il sole con la tua migliore amica?”
“Io non ho una migliore amica” le ricordai.
“Appunto, forse è il momento di trovarsene una, signorinella” disse, con fare materno, spingendomi verso la porta.
“Credo che la cosa che si avvicini di più ad una migliore amica, per me, sia Louis”
“D’accordo allora, va’ da Louis e fatti portare un po’ in giro” mi consigliò.
“Ma dove?”
“Dove ti pare Jenelle, l’importante è che lasci questa casa grigia per almeno due ore”
Aprì la porta e mi spinse fuori.
“Mi stai cacciando, Maribel?”
“Lo faccio per il tuo bene, piccolo fiore”
Sbuffai, ma poi acconsentii.
“Okay, d’accordo – la assecondai, mentre lei mi guardava appoggiata allo stipite della porta – me ne vado, ma tu avvisami quando arriverà l’ultimo mazzo di fiori!”
Dissi, scendendo velocemente le scale.
“E tu ricordati di andare a prendere Jai, a scuola!” mi urlò lei, dietro.
“Io non sono Steve, me lo ricordo di avere un fratellino!”.
 
 
 
 
 
 
“Ehi Louis”
Ero già in strada quando, seguendo alla lettera le parole di Maribel, portai l’iPhone all’orecchio, immersa in una chiamata con Louis.
“Ciao innamorata pazza” mi salutò lui.
“Sei uno stronzo – berciai io – non mi fai gli auguri?”
“Auguri per cosa? Luke Hamblett ti ha già messa incinta?”
“Primo: non fa Hamblett di cognome, ma Hemmings – iniziai – secondo: vaffanculo, e terzo: dì a Zayn che le sue risate le sento da qui”
Louis scoppiò a ridere, ed io trattenni un sorriso.
“Otto mesi, eh?”
“Eh già, passa in fretta il tempo quando ci si diverte”
“Non credo sia il tuo caso, piccola”
“Non ho bisogno di questo tipo di negatività nella mia vita, passami Zayn”
“Ai suoi ordini”
Aspettai qualche secondo, giusto il tempo di fare cambio migliore amico coglione.
“Ciao bimba”
“Ciao Zayn, Maribel vuole che io esca un po’, quindi – presi fiato – cosa facciamo stasera?”
“Il solito, bimba – disse lui, tranquillo – un salto da Joy e poi al The Bank”
“D’accordo”
“Davvero? Vieni al The Bank sul serio?”
“Certo, per chi mi hai preso?”
“Per la brava ragazzina che sei – mi prese in giro – ci vediamo stasera, ti passiamo a prendere noi, vestiti bene e non da troia, ti voglio bene bimba”
“Sì, si percepisce”
Chiusi la chiamata quando sentii la sua risata e mi ritrovai magicamente davanti al mio paradiso. Altro che The Bank e The Bank. Sorrisi ed entrai nell’edificio, assaporando il profumo familiare delle pagine sfogliate.
Mi diressi come al solito al reparto letteratura inglese, ma quella volta mi soffermai sullo specchio alla parete proprio di fronte a me. Non l’avevo mai notato, così fissai il mio riflesso: i miei occhi blu erano spenti ed il mio viso sembrava triste. Ma dov’era finita, la Jenelle Stratford di otto mesi fa?
Dov’ero finita?
Scacciai quei pensieri ed estrassi le cuffie dalla mia borsa, per collegarle all’iPhone e permettere alla musica di far tacere la mia mente. “Firefly” di Ed Sheeran esplose nelle mie orecchie, ed io risi davanti al destino, perché quella canzone Dan non l’aveva mai capita e quando ero con lui, non potevo mai ascoltarla.
Iniziai a sfogliare il mio libro preferito, sempre lo stesso, sognando un amore di quel tipo. Un amore per cui si combatte, un amore che seppur sbagliato davanti agli occhi degli altri, è così tanto giusto per te, che non t’importa di nulla, affinchè vada avanti per la sua strada. Magari con un finale meno tragico, certo.
Sobbalzai, quando smisi di sentire la voce di uno dei miei cantanti preferiti dall’orecchio sinistro. Dov’era finita la mia cuffia?
“Ed Sheeran? – ma che diavolo? – mi piace”
Mi voltai, e la figura di Luke Hemmings, con una felpa nera, uno zaino in spalla e la mia cuffia tra le sue dita, appoggiata al suo orecchio, mi riscosse dai miei pensieri.
Mi ritrassi, facendolo sorridere.
“Che ci fai qui?”
“Non sai chiedermi altro?”
“Proverò a formulare la domanda in modo diverso, se ci tieni tanto – dissi – cosa diavolo fai in questo posto conosciuto da sì e no dieci persone in tutta New York?”
“Undici” mi corresse.
“Ti piace farmi innervosire?”
“Un po’, sì” disse, ridendo.
Roteai gli occhi al cielo, facendo per dirigermi verso l’uscita. Ma lui mi seguì, affiancandomi.
“Okay, lo ammetto - disse, mentre aprivo la grande porta in vetro – sono venuto qui per cercarti”
“E perché?”
Ci eravamo riversati nell’aria frizzate e caotica di New York, ma tra tutti i taxi, le persone, la confusione e le voci alte della gente, non riuscivo a guardare altro che non fossero i suoi occhi.
Lui sorrise, mordendosi poi il labbro, all’altezza del piercing, e distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
“Volevo parlare un po’ con te – ammise – ti va qualcosa da Starbucks?”
Non so perché, ma scoppiai a ridere.
Lui mi guardò stranito, senza capire, ma comunque non perse il sorriso.
“Perché proprio Starbucks?”
“Non ti piace il caffè – si spiegò, gesticolando – e so che voi ragazze andate matte per Starbucks”
Restammo in silenzio per qualche secondo, dopodiché io annuii.
“D’accordo – dissi – ma lo faccio solo per Starbucks, che sia chiaro”.
 
 
 
 
 
 
*Arrivammo in pochi minuti allo Starbucks più vicino e lui, inaspettatamente, aprì la porta in vetro e mi fece entrare per prima. Non dissi nulla, ma accettai il gesto riconoscente.
Quando poi scostò la sedia di uno dei tavoli del bar, per farmici accomodare, la mia boccaccia non seppe resistere.
“Sei davvero un gentiluomo, per essere perennemente vestito come un barbone di classe A”
Si sedette di fronte a me, incrociando le mani davanti a sé.
“E tu sei gentile, per essere la figlia di uno dei più grandi agenti di borsa di tutta Wall Street”
“Ho imparato dal migliore, no?”
Luke scoppiò a ridere, gettando la testa all’indietro, come un bambino. Era innegabilmente bellissimo, ed io non trattenni un sorriso, davanti a quello spettacolo.
“Sei divertente”
“Ah sì? – domandai, stranita – il mio ragazzo, in otto mesi di relazione, non l’ha mai pensato neanche una volta”
“Stai con un ragazzo da otto mesi?” domandò, sorpreso.
Annuii.
“Ma non voglio parlare di lui”
Non fece in tempo a dire nulla, che una ragazza con un imbarazzante berretto verde si avvicinò a noi, pronta per prendere le ordinazioni.
“Cosa vi porto, ragazzi?”
Luke fece per aprire bocca, ma io lo anticipai.
“Due frappuccini al caramello, grazie”
La liquidai con un sorriso, e lei sparì.
“Era da dodici anni a questa parte che qualcuno non ordinava per me”
“Perché, quanti anni hai?”
“Venti”
“Sei già diplomato?” chiesi, facendomi curiosa sulla sua vita.
Scosse la testa, accigliato.
“No”
“Oh, scusa, non volevo..”
“No, niente scuse, questo è solo l’ennesimo argomento di perenne lite con il mio patrigno – mi spiegò – io non ho problemi con il fatto di non essere diplomato, so cosa voglio dalla vita, e non è certo un diploma in ragioneria per lavorare con lui nel suo ridicolo studio di commercialista”
Lo guardai incantata, da tutta quella sicurezza che mostrava.
“Non vai d’accordo con il padre di Jj?”
“No”
E mentre lui scuoteva la testa, arrivarono i nostri frappuccini.
“Come diavolo si beve questa cosa?”
Risi, davanti alla sua incapacità.
“Tieni, prendi la mia cannuccia”
Lo guardai assaggiare la mia bevanda preferita di Starbucks.
“Continuo a preferire il vecchio e classico caffè”
“Dovresti ringraziarmi, per farti provare nuovi piaceri della vita”
Lui mi guardò di sottecchi, mentre sorseggiava il suo frappuccino.
“Com’è la vita a Wall Street?” domandò, a freddo.
“Una noia mortale” ammisi.
“Ah, davvero? E pensare che mi piacerebbe, fare cambio con il tuo attico in zona residenziale”
“Tu dove abiti?”
“A Brooklyn, con uno dei miei migliori amici – mi spiegò – la vita lì non è facile, sai principessa?”
“Vorrei tanto saperlo, Luke” mi lasciai scappare, sognante.
“Cosa ti manca, nella tua vita perfetta?”
Sembrava saperla lunga sulla mia vita, ma non sapeva proprio un bel niente.
“La mia vita sarebbe perfetta? Ma tu che ne sai? Te ne vai in giro con i tuoi pantaloni strappati e le tue magliette da rocker a sputare sentenze sulla vita degli altri tutti i giorni, Luke Hemmings? – sbottai – mio padre si comporta come se non esistessi, il mio fratellino di otto anni piange una notte sì e l’altra pure a causa sua ed il mio fidanzato preferisce passare le sue serate in compagnia del signor Stratford piuttosto che con me, che dovrei dire? Di spassarmela? Beh, non credo proprio”
Avevo attirato qualche sguardo indiscreto verso di noi, ma a Luke non sembrava importare. Mi stava fissando, eloquentemente.
“Scusa, devo andare”
Uscii velocemente da quel posto, terribilmente in imbarazzo e con una voglia matta di sprofondare nel mio letto e non alzarmi mai più.
Ma sentii la sua mano afferrarmi il polso, ed io fui costretta a voltarmi.
“Perché te ne vai sempre? Hai così tanta paura di urlare al mondo che la tua vita non ti piace? Hai bisogno di qualcuno per cambiarla e stravolgerla del tutto, Jenelle?”
“Sì, Luke! – ammisi – è proprio questo il punto! Non ce la faccio più a lottare da sola, ho bisogno di qualcuno che non si stanchi della mia vita “perfetta”, come la chiami tu, e mi aiuti a scoprirne il vero sapore”
“Vuoi che ti insegni a vivere davvero, Jen?”
Lo guardai, mentre le sue mani mi stringevano le spalle, come a sorreggermi.
“Tu? Ma io non so niente di te”
“Non c’è molto da sapere, in realtà – disse, ridendo amaramente – ma a questo possiamo rimediare”.
 
 
 
 
 
 
“Dove siamo?” domandai, spaesata.
Avevamo camminato per dieci minuti, o giù di lì, lungo strade che non avevo mai percorso, se non nella Limousine di Steve.
“A Brooklyn, principessa” disse, spegnendo la sigaretta sotto le sue Vans completamente nere.
“Smettila di chiamarmi così”
Lui roteò gli occhi al cielo, stanco di quel mio atteggiamento da dura. Mi prese per la mia maglietta a mezze maniche azzurra e mi trascinò all’interno di un edificio.
“Che cos’è?”
“Una specie di paradiso”
Lo guardai allucinata.
“Che c’è? – mi chiese, stranito da quello sguardo – che ho detto?”
“No, nulla – dissi, scuotendo la testa – anche io chiamo paradiso il mio posto preferito, è solo una coincidenza”
“Già, una coincidenza” ripetè lui, lascivo.
Mi guardai intorno e mi sembrò di essere stata catapultata negli anni ’60, con tutti quei dischi.
“Questo è uno dei miei preferiti” disse poi, lui.
“James Taylor? Davvero?”
“Perché? Che ha che non va James Taylor?” mi chiese, sulla difensiva.
“Io ho la collezione dei suoi dischi!”
“Un’altra coincidenza, allora”
Annuii, osservandolo nel suo habitat naturale.
“Ora vuoi svelarmi il tuo segreto più grande?”
“E sarebbe?” mi chiese, voltandosi verso di me.
“Perché ti vesti come se fossi in una rock band anni ’70?”
“Io sono in una rock band – mi spiegò – non anni ’70, ma ci proviamo”
“Fai parte di una band? Sul serio?”
Lui annuì, portandomi fuori da quel negozio. Mi affiancò, stringendo una sigaretta tra le labbra.
“Suoniamo nel garage di Calum ma, io credo in noi”
“Chi diavolo è Calum?”
“Il bassista”
“E chi è il cantante?”
“Secondo te?”
“Tu? Tu canti?”
“Io e Cal ci diamo una mano a vicenda”
“E che mi dici della chitarra?”
“È il mio amore più grande”
Risi, mentre lui prendeva una boccata di fumo.
Non era male quel Luke Hemmings, quasi mi piaceva camminare insieme a lui, per Brooklyn, in un mercoledì qualsiasi.
“Scusami per prima” dissi, poi.
“È normale, a tutti capita di sbottare, prima o poi”
“Perché tu non vai d’accordo con il tuo patrigno?”
“Lui ha una visione distorta di me – iniziò – è convinto che io non abbia voglia di fare niente della mia vita, che la band sia una stronzata ed ha paura che porti Jj sulla cattiva strada”
“Ma tu non sei cattivo” mi lasciai sfuggire.
Lui mi guardò, sorridendo.
“Ti ringrazio” ironizzò.
“Cretino – lo ripresi – hai capito che intendo, tu mi sembri una brava persona, mi hai salvato da un coglione l’altra sera e adesso sei ancora con me, dopo aver subito quella mia scenata assurda, da Starbucks”
Lui si strinse nelle spalle.
“Non sei da lasciarsi scappare, tu – mi colse di sorpresa – l’ho capito quando ti ho vista per la prima volta alla cerimonia del diploma”
“Davvero? Non sembrava importarti molto, della mia presenza, comunque”
Lui rise.
“Ci sei rimasta male?”
Dio mio, quanto ero stupida.
“Ma no, certo che no” finsi.
“Irwin e Kyle insieme, hanno il potere di farmi incazzare più di chiunque altro”
“Kyle è il padre di Jj, il signor Hamblett, giusto?”
Lui annuì, senza smettere di camminarmi affianco.
“E Irwin?”
“Ashton Irwin è il coglione più coglione che incontrerai mai nella tua vita”
“Che ne sai che lo incontrerò?”
“Prima o poi diventeremo famosi e tu ti strapperai i capelli, per una nostra stretta di mano o un nostro autografo”
“È il tuo sogno più grande?”
“Quello di sfondare?”
“E diventare famosi, sì”
Lui annuì.
“Voglio fare musica nella mia vita, è l’unica cosa di cui sono sicuro – ammise – poi non lo so se ce la faremo, se avremo un migliaio di fan sparsi per tutto il mondo o se incideremo qualche disco d’oro..”
“L’importante è fare musica” conclusi, al posto suo.
“Esatto – annuì – che mi dici di te, sempre con un libro in mano?”
Sorrisi, guardando la strada davanti a noi.
“Il mio sogno più grande è Londra – iniziai – la facoltà di lettere al King’s College”
“Vuoi diventare una scrittrice?”
“Con tutto il cuore”
Restammo in silenzio qualche istante, dopodiché Luke si fermò.
“Siamo arrivati, questa è casa tua, no?”
Mi guardai intorno e mi stupii nel vedere che eravamo a Wall Street.
“Abbiamo camminato davvero così tanto?”
“Già, il tempo vola quando ci si diverte, no?”
Risi, insieme a lui.
“Tornerai a Brooklyn, adesso?”
Lui annuì.
“E quando ci rivedremo?” gli chiesi, senza mezzi termini.
“Presto, te lo prometto”.

 
 
 
 


 
sounds good feels good!
ciao ragazze!
rieccomi puntuale ogni tre giorni a pubblicare il seguito di questa storia.
allora, come vi sembra?
qui vi lascio John , Steve, Maribel e Daniel. tutti personaggi importanti per la storia.
in questo capitolo si nominano anche gli altri ragazzi che già dal prossimo saranno presenti.
e nulla, fatemi sapere se vi piace oppure no. qualche parere insomma, mi fa sempre piacere.
vi amo, Simona.

 
 
 
 
 



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