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Autore: 365feelings    24/11/2015    2 recensioni
Dicembre, New York. Mentre le feste si avvicinano e i bollettini meteo non fanno altro che parlare della terribile tempesta di neve Chione, Annabeth capisce di non essere sua madre, Piper decide di mettersi in gioco, Leo trova finalmente qualcuno con cui condividere i propri sogni e Nico scopre che può essere ancora felice.
(...)nello stesso momento Will si volta e lo accoglie con uno sguardo che rischia di farlo arrossire. Non perché sia carico di malizia o sottintesi, ma proprio perché, al contrario, è limpido e caldo. Sembra dirglibuongiorno e farlo con la stessa intimità che potrebbe usare una coppia che si conosce da molto tempo.
Percy/Annabeth, Jason/Piper, Leo/Calipso, Will/Nico | accennati Talia/Reyna, Frank/Hazel, Chris/Clarisse | storia scritta per la settima edizione del Big Bang Italia
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calipso, Jason/Piper, Leo/Calipso, Nico/Will, Percy/Annabeth
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: kuma_cla
Titolo: In città zero gradi
Rating: verde
Pairing: Leo/Calipso, accennate Jason/Piper, Katie/Travis
Genere: romantico, sentimentale, introspettivo
Avvertimenti: modern au, what if in cui gli americani usano i gradi celsius come il resto del mondo
Note: eccoci al penultimo capitolo (il quarto arriverà entro la fine della settimana). Leo è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto, ma non so gestirlo, per cui spero di non aver pasticciato troppo.
  • Arverne è un'isola e dista circa un'ora da Manhattan, ma è abitata. L'ho eggermente modificata per renderla più simile a Ogigia.
  • Come per gli altri capitoli i luoghi citati, i locali e le strade esistono veramente.
  • La Monocle Motors ovviamente è uno dei richiami al canon verse che ho inserito anche qui.
  • Trappola per topi è un libro di Agatha Christie, Kwazy Cupcakes è gioco tipo Candy Crash che ho scoperto guardando Broklyn Nine-Nine e che secondo me è perfetto per il Coach, Eleanor Abernathy è la gattara dei Simpson, Petunia Dursley è beh, Petunia Dursley.
  • Il MIT è il Massachusetts Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca al mondo.
  • Ho mentenuto il soprannome di Piper in inglese perché non mi piace la traduzione italiana.


Capitolo terzo
 
(17 dicembre)
Si è perso.
E non come quella volta al centro commerciale, quando Piper lo ha ritrovato al reparto televisori, davanti a degli schermi piatti con monitor led e non meno 95 pollici a guardare una televendita.
Questa volta si è proprio perso. O meglio, si sono proprio persi. Perché non è solamente lui a non capire dove si trova, anche il sistema di navigazione che ha progettato e installato in Festus e che fino ad ora ha sempre funzionato sembra aver smarrito la rotta, lasciandolo in balia di un nulla bianco in cui si distingue a fatica la strada.
Fuori dall'abitacolo della macchina, infatti, la neve cade sempre più fitta e le raffiche di vento che hanno iniziato a spazzare le vie quando ancora stava attraversando Brooklyn, spingendo i pedoni a rifugiarsi in luoghi chiusi, sono aumentate. La visibilità è ormai quasi totalmente ridotta a zero ed è da almeno venti minuti, se non di più, che non incrocia un'altra macchina e che prosegue sulla strada in cui si trova senza sapere dove conduca.
In retrospettiva, l'idea di attraversare New York per fornire consulenza informatica ad una ditta sconosciuta non è una delle migliori, lo riconosce. È un mese che i meteo parlano di Chione, negli ultimi giorni il termometro ha avuto un'impennata sotto lo zero che avrebbe dovuto allarmarlo e quella mattina il cielo plumbeo era più minaccioso del solito. Avrebbe dovuto telefonare e annullare, avrebbero sicuramente capito e anche se lo avessero fatto, beh, peggio per loro, non sarebbe stato sicuramente lui a rimetterci. Non ha un lavoro fisso da quattro anni, da quando cioè ha lasciato la Silicon Valley per New York, e ci sono periodi in cui non fa nulla e altri in cui fa tutto (il consulente informatico, il meccanico, l'elettricista, recentemente anche l'idraulico) ma non ha problemi economici e quella vita tutto sommato non gli dispiace. Ovviamente la condizione in cui si trova non è mai stata la sua grande aspirazione, se a undici anni gli avessero chiesto come si sarebbe immaginato da grande non avrebbe mai risposto da qualche parte nel sud del Queens bloccato in una macchina che ho restaurato da solo a causa di una bufera di neve perché non ho un vero lavoro; non è scemo. Tuttavia a tredici anni, in fuga da già due famiglie affidatarie, non sapeva nemmeno se sarebbe diventato adulto e, nel caso affermativo, se lo avrebbe fatto alla luce del sole o in una prigione. La situazione in cui si trova, quindi, non è certo il suo sogno di felicità, ma è un notevole miglioramento rispetto al passato: un appartamento a Chelsea e un garage ai confini di China Town in cui rintanarsi per costruire non possono definirsi, in nessun universo immaginabile, una cosa negativa.
Della tormenta avrebbe però fatto volentieri a meno.
La neve, che vortica furiosa dietro al parabrezza e che si schianta contro il vetro come se volesse romperlo, ha ormai reso completamente irriconoscibile ogni forma del paesaggio. Prima almeno riusciva a distinguere qualcosa, alcune sagome, ora invece più nulla e inizia a temere per la propria incolumità. Se non trova al più presto un riparo, non ha idea di che fine potrebbero fare lui e Festus – non una di bella, però, di questo ne è lugubremente sicuro.
Sta vagliando tutte le possibilità, a partire dal fermare la macchina lì dov'è che tanto ormai sta procedendo con la stessa velocità di un anziano vecchio e zoppo al costruirsi un igloo in cui attendere la fine della bufera, quando i fanali fendono i fiocchi di neve e illuminano per un breve istante quella che sembra un'abitazione. Rincuorato da quella fugace visione, Leo accelera quanto basta per non far morire il motore e procede verso la casa con cautela, lo sguardo che saetta verso la sua destra per accertarsi che l'edificio sia davvero lì e che non se lo sia sognato.
Se sul cruscotto il contachilometri non avesse segnato uno scarto di nemmeno mezzo chilometro dall'ultima volta che lo ha controllato, Leo non saprebbe dire con certezza quanta strada ha percorso dal punto nel nulla in cui si trovava e il giardino della casa. Ha guidato così lentamente che quel l'ultimo pezzo di strada gli sembra che sia durato più di tutti i chilometri percorsi da Chelsea al ponte che attraversa la Jamaica Bay.
A malincuore spegne il motore (l'idea di lasciare Festus fuori con quel tempo lo disturba moltissimo) e prende la borsa degli attrezzi che porta sempre con sé più per abitudine che necessità. Non appena apre lo sportello, però, una folata di vento gelido lo investe e lo rispinge nell'abitacolo. Imprecando contro Chione, alla fine riesce ad uscire e con non poca fatica raggiunge il portico dell'abitazione. Suona il campanello diverse volte, il vento che ulula nelle sue orecchie, prima di capire che probabilmente è rotto o che il rumore della bufera lo sovrasta, quindi inizia a bussare, chiedendosi con un moto crescente di angoscia se qualcuno verrà mai ad aprirgli o se morirà assiderato lì fuori – non è infatti certo di avere le forze per scassinare la porta, nonostante i guanti sente già le dita intirizzite.
Ha ormai perso ogni speranza quando due serrature scattano e la porta viene aperta il cigolio tipico dei cardini che non vengono oliati da troppo tempo.
«Ti prego fammi entrare, mi sono perso e qui fuori è in corso una nuova glaciazione e io non sono pronto ad estinguermi come hanno fatto i dinosauri» supplica e la donna (suppone sia una donna, ha addosso così tanti strati di lana che si vede a mala pena il volto) lo fissa per qualche secondo, poi gli ordina di sbrigarsi ed entrare.
Leo non se lo fa ripetere due volte e si precipita all'interno, beandosi immediatamente del calore del riscaldamento. Mentre riacquista lentamente la sensibilità delle mani e le guance iniziano a bruciargli un po' a causa del vento che le aveva sferzate, considera che ha avuto fortuna nel trovare quella casa e una padrona disposta ad accoglierlo nonostante sia uno sconosciuto che è entrato senza permesso nella sua proprietà (a sua discolpa c'è da dire che non c'era alcun cancello). Mentre ci riflette, gli sovviene un altro pensiero, decisamente macabro (magari in quella casa abita un assassino e la donna lo ha fatto entrare solo per poterlo uccidere) ma si affretta a cacciarlo.
«Stavo cercando la Monocle Motors per una consulenza informatica che mi hanno chiesto, ma ho sbagliato strada e poi sono stato sorpreso dalla bufera. Grazie per avermi aperto» le spiega per dimostrarle di non essere un malintenzionato e nel frattempo osserva il grande salotto, constatando che non sembra la dimora di una pazza omicida (però lui che ne sa di come arredano i soggiorni i serial killer?). Si volta per chiedere alla donna dove può appoggiare il giubbotto e il cappello dato che inizia ad avere caldo, ma scopre che lo sta guardando male, come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Inizialmente non capisce, poi però nota che all'ingresso ormai si è formata una pozza d'acqua dove la neve è entrata e che anche ai suoi piedi è successa la stessa cosa.
Le rivolge un sorriso di scuse passandosi una mano sul collo, facendo inavvertitamente scivolare dei fiocchi di neve lungo il collo e rabbrividendo, ma lo sguardo della padrona di casa non si ammorbidisce mentre recupera da un mobile alcuni stracci e cerca di arginare il danno.
«Dammi» gli dice poi, riferendosi alla giacca «E togliti gli scarponi, mi stai distruggendo il parquet».
Leo obbedisce in silenzio e più che un serial killer, la donna gli sembra una di quelle vecchie signore pazze che vivono con tanti gatti e che si inacidiscono con l'età. Ad un'occhiata superficiale, però, di gatti non sembrano essercene e quando anche lei si libera di alcuni strati di lana, appendendo il cappello e la spessa sciarpa sull'attaccapanni lì accanto, scopre che non è la signora Abernathy. Per niente. Non riesce a capire quanti anni abbia, probabilmente è più grande di lui sebbene allo stesso tempo gli sembri giovane. In ogni caso è bella, molto bella. Lunghi capelli castani, espressivi occhi scuri, lineamenti femminili e proporzionati. Sì, è proprio bella – e visibilmente indisposta nei suoi confronti, una combinazione che gli risulta familiare ormai.
«Io sono Leo, comunque» si presenta.
«Calipso» replica lei dopo averlo squadrato dall'alto al basso.
 
Non sarà Eleaonor Abernathy, ma non è detto che non sia un'assassina. Senza volerlo gli torna in mente Trappola per topi, anche lì c'è una bufera di neve e anche lì il telefono non funziona – ha provato infatti a chiamare Piper ma non ha campo e la linea fissa è fuori uso.
Calipso, ignara dei suoi pensieri, siede su una poltrona con le gambe raccolte al petto, un libro tra le mani e una tazza sul tavolino accanto. Indossa un largo maglione color crema e ha raccolto i capelli in una treccia morbida da cui sfuggono alcune ciocche che le incorniciano il volto. Non riesce a leggere il titolo del volume, ma la donna sembra molto presa da ciò che si trova in quelle pagine (una storia d'amore? Un saggio? Cento e un modi per uccidere gli sventurati che bussano alla tua porta e farla franca?) e non curarsi della tormenta che nel frattempo infuria all'esterno. Leo, al contrario, quando non si suggestiona da solo con l'ipotetica carriera da serial killer della padrona di casa pensa a Festus, fuori al freddo, probabilmente sepolto sotto una montagna di neve e gli si stringe il cuore.
«Puoi smetterla?» gli dice a un certo punto Calipso, alzando gli occhi dal libro per guardarlo con aria infastidita. Vedendo che non comprende, aggiunge seccata: «La gamba».
L'uomo abbassa lo sguardo e solo allora si accorge di aver iniziato a muovere nervosamente la gamba. Mormora delle scuse e prova a stare fermo, ma gli risulta molto difficile: ormai è un'ora e mezza che se ne sta seduto su quel divano senza fare nulla. Nella sua tutto quel tempo con le mani in mano equivale almeno ad un giorno di inattività ed è praticamente una tortura. Inoltre non sa se sia colpa del maltempo, ma in quella casa il tempo sembra non passare mai.
Nel tentativo di ingannare l'attesa, non potendo infatti mettersi ad aggiustare tutte le cose da sistemare che ha individuato nel salotto (e sono molte, abbastanza da tenerlo occupato una manciata di ore), inizia a giocare a Kwazy Cupcakes premurandosi di togliere la suoneria per non suscitare ulteriormente il fastidio della donna. Una cinquantina di livelli dopo, superati senza grandi difficoltà, Leo si chiede a che punto del gioco sia il Coach; è stato infatti lui a consigliargli l'applicazione, sbraitando meraviglie su cupcakes che esplodono. Il pensiero di Hedge, un metro e sessanta scarsi di camicie hawaiane di dubbio gusto e consigli di vita che implicano soluzioni violente, lo fa sorridere. Piper gli ha detto che Chuck Gleeson sta per nascere e l'immagine del Coach padre di famiglia è così assurda e ridicola e bella. È giunto il momento di tornare in California e chissà se Hedge gli permetterà di insegnare al figlio come si tiene in mano una chiave inglese – un requisito fondamentale a suo parere e fin troppo sottovalutato.
In quel momento, però, pensare alle chiavi inglesi lo mette di cattivo umore perché gli ricorda un'infanzia felice finita precocemente e non ha nemmeno un motore da smontare o anche solo un bullone da avvitare che lo distraggano. Ha solamente un nuovo livello di Kwazy Cupcakes da superare, così riprende a combinare cupcakes colorati fino a quando Calipso, dirigendosi un cucina, gli domanda se vuole del tè caldo. La richiesta giunge del tutto inaspettata ma ha la prontezza di rispondere subito affermativamente, così una decina di minuti dopo la donna gli porge (con un'espressione che sembra dirgli hai idea del favore che ti sto facendo?) una tazza bollente.
 
La corrente salta verso le quattro e mezza (sempre più simile a Trappola per topi) e non torna prima delle sette, ma Calipso non si scompone, munendosi di torcia e accedendo abbastanza candele da illuminare buona parte del salotto.
Quando però si fanno le otto e la situazione all'esterno non gli permette ancora di riprendere la macchina e andarsene (il vento sembra essersi un po' calmato, ma nevica ancora e sicuramente le strade sono impraticabili) è chiaro ad entrambi che deve trascorrere la notte lì.
Calipso non ne è per niente felice; non lo dice ad alta voce, ma la sua espressione infastidita parla per lei. Leo, che come unica colpa ha quella essere uscito di casa invece di restare a letto (e di averle sporcato l'ingresso), non comprende il motivo di tanto astio nei suoi confronti e durante la cena rinuncia a ogni tentativo di instaurare un dialogo, limitandosi ad osservare ogni tanto di sottecchi la donna che si comporta come se lui non esistesse.
Inizialmente pensa che lo voglia far dormire sul divano (e non ci sono problemi, il divano è meglio del pavimento, il divano va bene; sembra davvero comodo), lei però non lo considera nemmeno e apre una delle due porte che precedono le scale. Leo la segue chiedendosi se voglia allora farlo dormire nel sottoscala, come Harry Potter (quindi questo farebbe di lei cosa, Petunia Dursley?), tuttavia scopre che sì, la stanza non è molto grande ma è una camera per gli ospiti e non un ripostiglio. Ci sono un letto, un comodino, un armadio a muro e anche una poltrona. Sotto la finestra un termosifone riscalda l'ambiente e le pareti sono dipinte di bianco. È confortevole.
Senza che le abbia chiesto nulla, Calipso provvede a mettergli a disposizione un'altra coperta e degli asciugamani e gli spiega l'altra porta è quella del bagno.
È tutto molto meglio di quanto pensasse e quando finalmente si addormenta, lo fa con il rumore del vento che ulula nella notte e ogni tanto soffia così forte da far scricchiolare la casa.
 
(18 dicembre)
La mattina successiva Leo ha appena il tempo di controllare l’iPhone e scoprire che ha diverse chiamate perse di Piper che la batteria si esaurisce e con sé non ha nulla per ricaricarla. Impreca e controlla per sicurezza nella sua borsa degli attrezzi, ma la sua ricerca conferma l'assenza del carica batteria e gli ricorda invece di avere il telefono satellitare. Peccato che Piper non sia in possesso di tale tecnologia e che lui non conosca nessuno a cui potrebbe chiedere di avvisare la sua migliore amica che sta bene. Gli unici contatti che ha sono di persone con cui in passato gli è capitato di lavorare e suo padre. Chiamare suo padre è fuori discussione.
Non è che siano esattamente in cattivi rapporti. Certo, Efesto non lo ha riconosciuto fino ai suoi quindici anni, ma non gli ha mai portato troppo rancore per questo. Più che altro hanno diversi tratti in comune e uno penserebbe che per due persone simili sia facile creare un legame e andare d'accordo, ma è proprio questa somiglianza a dividerli. Efesto è un disastro con le persone, non perché sia cattivo ma semplicemente perché si trova più a suo agio con i motori, gli ingranaggi e i computer e non ha la più pallida idea di come ci si dovrebbe comportare con un figlio. Leo se la cava un po' meglio con le persone, ma anche lui è più a suo agio con un cacciavite in mano, inoltre non è ancora riuscito a capire come ci si debba rapportare con un padre dato che per quindici anni ne ha fatto a meno e se l'è cavata discretamente bene – sebbene i servizi sociali all’epoca non fossero d’accordo. Sostanzialmente sono due estranei che condividono una parte di patrimonio genetico e la cosa più profonda che nutrono nei confronti l'uno dell'altro è la stima reciproca per i loro lavori e le loro menti brillanti. A Leo va bene così e di chiamarlo per chiedergli di avvisare Piper non ne ha proprio voglia: probabilmente Efesto è chiuso in uno dei suoi laboratori e se anche rispondesse sicuramente si dimenticherebbe di contattare la sua amica.
Non gli resta quindi che aspettare fino a quando le strade non saranno nuovamente agibili e se il tempo collabora non dovrebbe volerci poi così tanto. Per iniziare ad ingannare l'attesa decide di preparare la colazione. Calipso è ancora a letto o se si è svegliata non è ancora scesa: in ogni caso meglio così. Sa che non dovrebbe utilizzare la sua cucina come fosse la propria, sono due estranei, tuttavia è sicuro che dopo aver assaggiato i suoi pancakes la donna non avrà nulla da ridire. Inoltre intende sdebitarsi per quell'ospitalità un po' forzata che però lo ha salvato da una morte sicura per assideramento.
Quando sente dei passi sulle scale, Leo ha già finito di mangiare e ha riordinato, tenendo da parte un'abbondate porzione per Calipso.
«Hai preparato la colazione» constata lei raggiungendolo in cucina e notando il piatto sul tavolo. Leo annuisce sentendosi nervoso e non capendo perché. La donna nel frattempo si siede e inizia a consumare in silenzio i pancakes, senza lasciar trasparire alcuna impressione.
«Non è quello che di solito mangio io» commenta alla fine «Ma è buono. Sei bravo».
Leo sa di essere bravo, cucina sempre per Piper e anche Jason apprezza i suoi piatti, l'opinione di Calipso, però, per un motivo che nemmeno lui riesce a comprendere, all'improvviso conta. Non si interroga e sorride.
«Grazie» replica mentre prende il piatto e lo posa nel lavello, procedendo poi ad esporle la sua idea e cercando di farlo con più tatto possibile per non offenderla «Senti, non sappiamo quanto resterò bloccato qui. Il maltempo potrebbe durare ancora a lungo e io non voglio approfittare della tua disponibilità, per cui vorrei proporti uno scambio vantaggioso per entrambi. Tu mi ospiti fino a quando le strade non saranno nuovamente agibili e io per sdebitarmi ti aggiusto la casa. Ho notato alcune cose da sistemare e ho con me i miei attrezzi».
Poiché la donna non dice nulla ma sembra ascoltarlo con interesse, Leo continua: «Puoi fidarti, so quello che faccio. Sono bravo ad aggiustare le cose».
Alla fine Calipso deve ritenere conveniente quella proposta, perché accetta e lui inizia a fare quanto promesso partendo dall'ampio salotto.
Mentre si dà da fare, Calipso apre, non senza difficoltà a causa delle neve depositatasi sul davanzale, una finestra per controllare l'esterno, ma la richiude subito dopo strofinandosi le mani sulle braccia per scacciare il freddo e decidendo di dedicarsi nuovamente alla lettura. Si sistema sulla poltrona e Leo non cerca nemmeno di scorgere il titolo, continua a sistemare la gamba di un mobile e gli unici rumori sono quelli del martello e delle pagine che vengono girate.
Quando l'ora di pranzo arriva, annunciata da un laconico «È pronto» di Calipso, l'uomo è assorto nelle sue mansioni e all'iniziale «Arrivo» segue (dieci minuti dopo? Trenta? Un'ora?) un «Grazie» per il piatto che gli viene portato.
Nel pomeriggio aggiusta altre cose, tra cui il frullatore e l’aspirapolvere, e prima di cena la donna gli chiede se può dare un'occhiata anche al settimo e al quindicesimo gradino della scala che conduce al piano superiore.
Leo decide di interpretare quella richiesta come un progresso.
 
(19 dicembre)
«Non sei un consulente informatico qualsiasi» gli dice di punto in bianco il terzo giorno, mentre le sta aggiustando il computer nel suo studio. Quella mattina infatti gli ha dato il permesso di salire al piano superiore.
Non capisce se il tono sia accusatorio o se il suo sia un complimento. In generale non la capisce molto – Piper dice che non capisce le donne punto e forse ha ragione, ma questa in particolare sembra sfuggire ad ogni logica e lui davvero non sa come prenderla. Si comporta come se lui le avesse appena fatto un torto irreperibile, lo guarda con diffidenza e gli parla con sufficienza ma ogni tanto, come in quel momento, lo cerca – e quando accade deve ammettere a se stesso che gli fa piacere.
«Grazie?» risponde, alzando lo sguardo per osservarla e cercare di capire dove voglia arrivare, ma la sua espressione è indecifrabile.
«Sai aggiustare i computer e gli orologi, hai sistemato anche il vecchio grammofono. Non sei un consulente informatico qualsiasi» continua e Leo inizia a giocare con il cacciavite – il computer è apposto, pronto per essere nuovamente usato, e a lui non piace restare con le mani in mano. Deve fare qualcosa, sempre, un po' come suo padre.
«Ho studiato al MIT» ammette e poi aggiunge «Ma non l'ho mai finito».
«Perché?»
Scrolla le spalle e le risponde, anche se non ha capito perché le interessi – non ha nemmeno capito perché glielo ha detto, a dire la verità.
«Non riesco a stare fermo per molto tempo nello stesso luogo. Seduto, soprattutto, lo avrai notato. E studiare prevede molte ore di immobilità, in aula, in biblioteca, nella propria camera».
«Quindi hai lasciato» commenta «Te ne sei mai pentito? Hai talento, è ovvio. Non pensi mai che avresti fatto meglio a concludere gli studi? Non credo che aggiustare cose sia la tua massima aspirazione».
Si accorge di un cavo scoperto e procede subito a sistemarlo, dandole le spalle.
«Forse, a volte» ammette «Ma mi va bene così. Certo, non è il mio sogno di felicità, però non è nemmeno così male come pensi. Ho un appartamento, degli amici, ogni tanto del lavoro. Per un po' ho lavorato come sviluppatore di applicazioni in California quindi ho anche un conto in banca. Tutte cose che una quindicina di anni fa mi sarei solo sognato, non ho avuto un’adolescenza facile».
La donna non indaga ulteriormente, persa in alcune riflessioni di cui lui non riesce ad immaginare la natura. Sembra allo stesso tempo così vicina e così lontana.
«Mi passi quello? Grazie» le chiede e poi, sempre per un motivo che non riesce bene a comprendere, continua quella strana e inaspettata conversazione.
«E tu invece?» domanda voltandosi e Calipso lo guarda come se lo vedesse per la prima volta.
«Io?»
«Sì, tu. Hai fatto delle domande personali e io ho risposto. Ora tocca a te. Cosa ci fai qui tutta sola?»
«Ho una serra» ribatte, con il tono di chi sta facendo notare un'ovvietà.
«Lo so. Intendo perché proprio qui, a chilometri di distanza dalla civiltà».
«Ho ereditato il terreno da mia nonna molti anni fa. Si può dire che io abbia sempre vissuto qui» gli spiega.
«Sempre? Qui?» ripete e lei annuisce, sul volto un'espressione che sembra dire cosa c'è di male? A Leo verrebbe da rispondere tutto. Ha intuito da subito che quella della donna fosse una vita solitaria: una casa nel nulla su un'isola dimenticata dagli stessi concittadini, abitudini quotidiane di chi non ha mai diviso i propri spazi con altre persone, un carattere inacidito dall'isolamento. Però non si aspettava di dover immaginare una Calipso più giovane, adolescente, addirittura bambina che trascorre le sue giornate in quell'abitazione distante ore di macchina da tutto. È triste, profondamente triste e ingiusto.
«Hai mai pensato di andartene? Non ti piacerebbe vedere altri posti?»
«Non saprei. Suppongo di sì, ma qui c'è tutta la mia vita. Ogigia non è solo un lavoro, è la mia casa».
«Non devi lasciarla per sempre. Si tratta solo di viaggiare, scoprire luoghi nuovi e poi tornare».
«Sarebbe bello» replica «Non ricordo di aver mai lasciato l'isola, forse quando ero piccola, ma è passato così tanto tempo e sono arrivata solo fino a Broad Channel. Sì, sarebbe bello».
«No, aspetta, mi stai dicendo che abiti a New York e che non hai nemmeno mai visto la Statua della Libertà?!»
È addirittura peggio di quanto pensasse.
«Sì, non ho mai visto la Statua della Libertà» ribatte lei piccata e Leo comprende subito di aver fatto un passo falso e cerca di rimediare, ma Calipso ormai si è offesa e senza più ascoltarlo se ne va.
«Non te la prendere!» esclama un'ultima volta alla stanza vuota.
È come dice Piper, non ci sa proprio fare con le donne. Sospira. Meglio tornare alle cose da aggiustare, con loro non ci sono mai problemi – oltre al fatto che beh, sono rotte, ma se così non fosse probabilmente la sua iperattività lo farebbe impazzire. Probabilmente sono l'unica cosa certa della sua vita, insieme al pessimo gusto per quanto riguarda film e camicie del Coach e al fatto che Piper non riuscirà mai a parlare in spagnolo in modo decente – ogni volta che ci prova finisce per pronunciare le parole con accento francese e il risultato è a dir poco penoso.
Quando qualche ora dopo Calipso lo avvisa che il pranzo è pronto, Leo scende le scale con cautela. Da una parte c'è il fatto che probabilmente la donna è ancora offesa e da quel poco che appreso su di lei, sembra una dai lunghi risentimenti. Dall'altro però lo ha chiamato e il tavolo è effettivamente apparecchiato per due persone. Si avvicina quindi con circospezione, cercando di intuire l'umore di Calipso, ma lei non gli presta attenzione, prendendo le ultime cose necessarie per il pranzo, per cui si siede senza aver capito se ce l'abbia ancora non lui o meno e mentre iniziano a mangiare si sente non poco a disagio, come se i progressi fatti fossero svaniti (e tutta per colpa di una sua stupidissima frase).
La donna, al contrario, non sembra per niente a disagio e nemmeno arrabbiata oppure offesa. La osserva di sottecchi e non si azzarda a descriverla serena, perché chissà qual è il suo vero umore, ma quasi, ci si avvicina molto per cui sospetta, ipotizza, spera che l'arrabbiatura le sia passata e le parla.
Tra tutte le cose che potrebbe chiederle, Leo le domanda di Ogigia e non appena termina la frase si dà dell'idiota. Calipso è suscettibile e permalosa, quando le ha fatto notare che è assurdo abitare a New York (ma questo vale per qualsiasi posto) e non averla mai visitata si è offesa e ora le chiede della serra?
A dimostrazione del fatto che non riesce a comprendere i suoi ragionamenti, la donna gli risponde di buon grado, raccontandogli della sua passione per le piante e di come questo l'abbia condotta ad iniziare un'attività insospettabilmente redditizia. Il terreno ereditato si trova in un posto sperduto e scomodo da raggiungere, sono pochi i clienti che comprano personalmente ciò di cui hanno bisogno e più spesso ha a che fare con fattorini che si limitano a caricare i loro camion e andarsene, tuttavia le sue piante sono richieste da molti architetti di giardini, diverse fiorerie a Manhattan vendono le sue rose e Era Grace si rifornisce da lei. Ogigia, con il suo avanzato sistema di irrigazione e la qualità delle sue piante, è una delle migliori serre dello Stato e Calipso è profondamente orgogliosa di ciò.
«E a te va bene così? Essere sola, intendo. Sei felice e senza rimpianti?» chiede con cautela alla fine. Leo sa che dovrebbe mordersi la lingua ogni tanto (ok, più di ogni tanto, diciamo pure sempre) però la frase premeva per uscire; conoscere la risposta sembra improvvisamente di vitale importanza. Sente il bisogno di assicurarsi della felicità della donna e non sa perché. All'inizio lei nemmeno gli piaceva, da subito gli ha ricordato troppo tutte le donne che ha incontrato nel corso della sua vita e che lo hanno guardato dall'alto al basso, considerandosi superiori e facendolo sentire una nullità, e non è che ora la sua opinione nei suoi confronti sia cambiata: certo, Calipso è bellissima e intelligente e ha iniziato ad essere gentile, però questo non cancella i suoi modi sgarbati – giusto?
In ogni caso per un motivo che sfugge alla sua comprensione ha bisogno di sapere se lei è veramente felice di vivere in quella casa, isolata dal mondo e in compagnia delle sue piante. Per un istante pensa a se stesso: non è isolato dal mondo, ma a volte è come se lo fosse e in quelle occasioni con lui ci sono solo i suoi attrezzi. La realizzazione che non sono poi così diversi (entrambi nascondono la propria solitudine, lui con il sarcasmo e lei con i suoi modi altezzosi) lo coglie mentre aiuta la donna a sparecchiare e acuisce la necessità di conoscere la risposta.
Calipso si prende del tempo per rispondere, occupandosi i piatti che le sta passando e riponendoli nel lavello. Per svolgere quel lavoro ha legato i capelli in una coda alta che ondeggia tra le scapole quando si muove e che le scopre il collo; Leo si ritrova incapace di distogliere l’attenzione da quei centimetri pelle candida solitamente nascosta dai maglioni e dalla folta e lucente chioma.
«A volte vorrei andarmene» gli rivela «Ci sono giorni in cui questa casa sembra una prigione. Non ricevo molte visite e in inverno basta una nevicata per rendere impraticabile la strada. Gli inverni sono i periodi peggiori, senza dubbio. Però poi il freddo passa e con la bella stagione non è brutto stare qui, in estate posso persino scendere in spiaggia. Inoltre sono meno sola di quanto si possa pensare. Sono io a fare gran parte del lavoro nella serra, ma durante la settimana ho dei dipendenti che mi danno una mano».
Leo vorrebbe dire qualcosa, invece l'unica cosa che fa è annuire. Poi Calipso apre il rubinetto e l'attenzione di entrambi si concentra su questo. L'acqua infatti non scende.
«Com'è possibile?» chiede lei, agitandosi.
«I casi sono due: un tubo si è congelato e rotto oppure è stata l'acqua a ghiacciarsi e creare un tappo» replica senza scomporsi. Da quello che ha potuto vedere la casa è vecchia e mentre le serre godono delle tecnologie più avanzate, l'abitazione invece avrebbe bisogno di un restauro. Il problema che si è appena verificato gliene dà la conferma e mentre la donna impreca, lui pensa ad Annabeth: non sa se si occupa di case, ma potrebbe comunque sottoporle il caso.
«Per caso sei anche un idraulico?»
«Per tua fortuna ne so qualcosa di tubi. Lascia aperto il rubinetto» replica lui raggiungendo l'ingresso per prendere la giacca, seguito poco dopo dalla donna.
All'esterno li attende un paesaggio lunare: il mondo si è trasformato in una silenziosa distesa bianca, ogni cosa sembra immobile, lo stesso scorrere del tempo pare essersi fermato. Per qualche istante rimangono immobili e in silenzio guardandosi attorno.
Lo sguardo di Calipso si porta immediatamente sulla serra, seguito da quello dell'uomo che prima ha però cercato la propria macchina. Arrivando non l'ha notata, concentrato com'era sul non uscire di strada nel pieno di una bufera, ma ora che la visuale è libera la vede distintamente e non potrebbe essere il contrario, si tratta di una struttura davvero grande.
«Ci serviranno delle pale. Dov'è il contatore?» le chiede.
«Da questa parte» replica dopo aver recuperato gli attrezzi dalla rimessa accostata alla casa e procede senza esitare verso il retro. Ad ogni passo sprofonda nelle neve di settanta centimetri buoni e quando raggiungono il retro della casa sono entrambi accaldati.
«Ora?»
«Ora dobbiamo sperare che l'acqua gelando abbia formato un tappo e dobbiamo trovare il punto in cui è successo. Di solito si ghiacciano le zone più esposte, quindi iniziamo a scavare vicino al contatore».
Si prospetta un lavoro lungo e faticoso, ma Calipso non batte ciglio e prende in mano la pala iniziando a fare quanto le è stato detto e canticchiando tra sé e sé. Leo la osserva con un po' di stupore. Non si aspettava infatti che avrebbe contribuito: nonostante possieda una serra di notevoli dimensioni di cui si occupa personalmente, la donna non sembra avvezza ai lavori manuali. Ovviamente l'ha sottovalutata. Inoltre ha una bella voce.
«Cosa c'è?»
«Nulla» replica sorridendo e imitandola.
Prima spalano la neve, poi con non poca difficoltà iniziano a scavare. Per fortuna i tubi corrono quasi in superficie e Leo individua subito l'origine del problema, rallegrandosi del fatto che si tratta di tubi in metallo, più facili da sistemare.
«Adesso bisogna sciogliere l'acqua. Non hai per caso uno sgelatubi? Cavi scaldanti? Cannello a gas? No, va bene, possiamo fare lo stesso. Basta anche solo dell'aria calda o dell'acqua bollente».
«Posso sciogliere della neve» propone e l'uomo approva.
Alcune ore dopo gli impacchi hanno funzionato e l'acqua è tornata a scorrere dal rubinetto. Calipso festeggia il loro successo preparando il tè e Leo scherza sul fatto che fuori hanno fatto un buon lavoro e che potrebbero mettersi in società; lui aggiusta cose (preferibilmente motori, i motori gli piacciono davvero molto) e lei gli dà una mano.
Lavorare fianco a fianco sembra aver allontanato le loro ostilità, avvicinandoli, tanto che Calipso decide di suonare per lui al pianoforte e poi gli mostra come muovere le dita sulla tastiera. Leo le racconta di Festus e poi insieme preparano la cena, dimenticandosi completamente della televisione che ha risintonizzato quella mattina.
 
(20 dicembre)
È steso a terra e sta controllando le tubature del lavandino, quando Calipso si ferma accanto ai suoi piedi. Dalla posizione in cui si trova ha una visione perfetta delle gambe del tavolo e delle caviglie della padrona di casa e considera che sono davvero sottili, molto femminili – le caviglie, non le gambe del tavolo.
«La tua borsa degli attrezzi sta vibrando» lo avvisa.
«È il telefono satellitare, me lo passi?» le chiede, continuando ad armeggiare con la chiave inglese e aspettandosi un «Non sono la tua serva» come risposta. La donna invece glielo porta.
Non ha idea di chi lo stia cercando, non conosce il numero, ma risponde e quando comprende di chi si tratta assume un'espressione stupita.
«Reyna?!»
«Chi è Reyna?» domanda Calipso ostentando fin troppa freddezza «La tua fidanzata?»
Gli sembra di cogliere una nota di gelosia nel suo tono e più tardi ci rifletterà: ora riesce solo a pensare che Calipso, senza rendersene conto, ha detto una cosa divertentissima. È già tanto, infatti, se Reyna riesce a tollerare la sua esistenza; non lo ha mai perdonato, infatti, per l'incidente con l'allarme antincendio.
«No» replica divertito prima di tornare all'inaspettata telefonata. La voce di Reyna dall'altra parte del ricevitore è autoritaria come sempre.
«Sei vivo quindi» commenta alla fine con un tono che non è dispiaciuto ma ci si avvicina molto «Immagino che Piper sarà felice di saperlo».
Solo in quel momento, chiudendo la chiamata, realizza di essersi completamente dimenticato della sua migliore amica e più in generale del mondo che c'è all'esterno e lo fa come se si stesse svegliando da un sogno e fosse ancora a metà strada, non più addormentato ma nemmeno del tutto sveglio.
Calipso nel frattempo lo osserva senza rivelare alcuna emozione, a Leo però pare di scorgere qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che si avvicina alla tristezza e alla delusione, ma non ne è sicuro. La conosce solo da quattro giorni e non è mai riuscito a comprendere ciò che le passa per la testa, dubita di essere improvvisamente in grado di capirla, tuttavia ciò che gli sembra di aver visto nei suoi occhi lo riporta completamente alla realtà. Adesso, mentre inizia a riporre gli attrezzi nella borsa, è come se si fosse svegliato e già rimpiange di averlo fatto.
Dovrebbe essere felice di potersene finalmente andare, è quello che ha desiderato sin dal primo momento, eppure non riesce ad esserlo completamente.
Fuori il giardino continua ad essere bianco e silenzioso, ma anche solo stando sul portico si vede che la strada principale è percorribile e se le macchine spazza neve sono passate in quel remoto angolo del Queens allora non c'è dubbio che la via del ritorno sia perfettamente agibile. A Leo non resta altro che spalare la neve attorno alla macchina – e salutare Calipso.
La donna non dice nulla né lo guarda con la sua solita aria infastidita, si limita a passargli le cose che gli servono e a sovrintendere il suo lavoro dal portico, stando appoggiata ad una delle colonne portanti. Mentre affonda con la pala nel profondo strato di neve che imprigiona Festus, a Leo vengono in mente diverse idee per velocizzare il suo faticoso operato, alcune attuabili perfino in quella circostanza, con le poche cose che ha a disposizione, ma non le mette in pratica e continua a spalare per posticipare il momento dei saluti.
«Magari quando il tempo migliora torno a trovarti così mi mostri la serra».
«Non fare promesse da marinaio» ribatte. Sembra un po' triste e Leo non sa cosa dire. Gli ultimi quattro giorni sono stati strani, quasi irreali. Sospesi nel tempo.
«Beh, io vado» dice alla fine, a disagio, ma non fa in tempo a voltarsi che Calipso si sporge verso di lui e lo bacia, cogliendolo completamente di sorpresa. Non si aspettava una cosa simile; nonostante il giorno precedente ci siano stati dei progressi, credeva che la donna lo trovasse insopportabile.
«Buon viaggio» gli augura prima di rientrare in casa.
 
Mentre torna a Manhattan ha tutto il tempo per pensare a Calipso e ai quasi quattro giorni trascorsi a casa sua sua e non impiega molto (è solo all'altezza dell’aeroporto John F. Kennedy) per realizzare di essersi innamorato di lei. E non innamorato come lo è stato di quella donna (una Lisbeth Salander dagli intensi occhi blu) incrociata in metropolitana o di quell'altra, l'afro-americana dai riccioli caramello e l'accento del sud (Alabama? Louisiana?) che qualche settimana prima, mentre erano in coda in uno Starbucks, ha riso ad una sua battuta. No, non è nulla del genere, è qualcosa più profondo e lo sa che dice sempre che questa volta è diverso, ma non ha dubbi: questa volta è davvero diverso.
In quei pochi giorni ha avuto un assaggio di quella che potrebbe essere la loro vita insieme ed è consapevole che è da pazzi parlare di vita insieme dato che si sono appena conosciuti, che dovrebbe rimuovere il piede dall'acceleratore della sua fantasia e non lasciarsi trasportare delle emozioni come invece sta facendo (come fa sempre), ma non può fare a meno di volerla, una vita con lei. La vuole come in ventinove anni ha voluto poche cose (che sua madre non fosse mai morta, che ci fosse un posto per lui da qualche parte nel mondo) e più si allontana, più avverte la sua mancanza. È come se quella bellissima, indisponente e lunatica donna gli fosse entrata nel cuore. È come se la sua solitudine si incastrasse perfettamente con quella di lei. Sì, ne è certo, Calipso è tutto un altro tipo di innamoramento.
Mentre si immette nella Jamaica Avenue, ripensando all'inaspettato bacio, Leo sospetta che non gli passerà velocemente, che non gli passerà affatto, e questo lo porta a riflettere su ciò che deve fare. Tornare da Calipso? E se non lo volesse come lui vuole lei? Ora comunque riprendere la sua vita e fare come nulla fosse accaduto è impossibile.
Gli ha detto di non fare promesse che non può mantenere, ma Leo ha intenzione di prestare fede a ciò che ha detto. Tornerà, il contrario è impensabile.
Nel frattempo però imbocca Canal Street per raggiungere il garage e lasciare Festus prima di dirigersi a Chelsea e scoprire quanto arrabbiata sia Piper. Il pensiero della sua migliore amica è rimasto relegato in un angolo della sua mente per buona parte del tragitto, ma man a mano che la distanza da Manhattan si è ridotta ha iniziato a premere per essere preso in considerazione. Gli dispiace di essersi completamente dimenticato di lei e di averla fatta preoccupare e sta pensando ad un modo per farglielo capire quando arriva al garage e scopre che la donna lo aspetta davanti la saracinesca.
Ha il cappello di lana rosa con le orecchie e i poi pon ben calato sul capo e accanto a lei c'è Jason. Sono così vicini che i loro giubbotti quasi si sfiorano. Distrattamente si chiede se ci siano stati degli sviluppi mentre era via.
Parcheggia Festus non senza un po' di nervosismo ed esce senza sapere bene cosa gli aspetta, Piper ha dato prova diverse volte di essere premurosa, di tenere a lui e anche di essere all'occorrenza una persona violenta. L'abbraccio in ogni caso lo coglie di sorpresa, lasciandolo senza parole (sono lacrime quelle che gli è sembrato di vedere?).
«Ehi, Beauty Queen...»
«Stupido, stupido, stupido» gli dice, sciogliendo l'abbraccio per colpirlo sulla spalla con un pugno e tornando subito dopo a stringerlo a sé come se temesse di perderlo.
Leo avverte una sensazione di tepore diffondersi nel petto che non ha nulla a che fare con ciò prova al pensiero di Calipso ma che è altrettanto piacevole. Si sente amato, voluto ed è una cosa che non gli succedeva da davvero troppo tempo. Chiude gli occhi, affonda il volto nella sciarpa di Piper ignorando il prurito che gli procura la lana e si abbandona all'abbraccio.
«Che ne dite di mangiare cinese?» propone poco dopo «Sapete, per festeggiare il mio ritorno. Chione mi fa un baffo».
«Volentieri» replica Piper, ma poi guarda Jason «Non so però se...»
«Non ho nessun impegno».
«Ottimo, andiamo allora».
 
(21 dicembre)
Quando il giorno dopo scende per colazione ed entra in cucina scopre che la sua migliore amica ha preparato i pancakes. Il ricordo della prima mattina a casa di Calipso torna prepotentemente, ma Leo si sforza di non pensarci e si concentra sul presente.
«Potrei abituarmici» commenta sedendosi mentre la donna gli riempie il piatto.
«Non contarci» ribatte lei con quella che dovrebbe essere una smorfia ma assomiglia più ad un sorriso sghembo ed è allora che si accorge che si sta preparando per uscire ed è decisamente di buon umore.
«Ti vedi con Jason?» le chiede versandosi una tazza di caffè. Piper è insolitamente elegante, nonostante i suoi modi rimangano spontanei e i capelli siano raccolti in una coda frettolosa da cui pende la piuma da cui non si separare mai e che poco si abbina agli abiti scelti. Scuote il capo, ma gli angoli della bocca che continuano a guizzare verso l'alto.
«Ho un colloquio».
Ecco, ora la donna ha la sua completa attenzione.
«I tuoi articoli hanno avuto successo? Chi ti ha contattata? Il New York Times?»
Scuote il capo un'altra volta.
«Ricordi quando mi hai suggerito di sfruttare le mie conoscenze cinematografiche? Il primo articolo che ho scritto era la recensione di un film e pare che alla redazione del The New Yorker sia piaciuto. Vogliono vedermi per discutere di una possibile rubrica sul cinema, ho un appuntamento stamattina» gli spiega controllando di avere tutto ciò che le serve nella borsa
«Non era questo a cui pensavo quando dicevo di voler intraprendere la carriera giornalistica, però da qualche parte devo pure iniziare, no?»
«Allora vai e conquistali, Beauty Queen» la incoraggia lui, addentando un pancake «Ti aspetto per pranzo?»
«Il colloquio è alle undici al World Trade Center, quindi penso che per l'una sarò di nuovo a casa. Se però ritardo inizia pure senza di me» replica la donna infilandosi gli scarponi dato che fuori fiocca ancora «Quando torno inizio anche a cercare un volo per Los Angeles, ma ne parliamo più tardi. Augurami buona fortuna».
«Buona fortuna!»
 
(23 dicembre)
Una volta superato il ponte di Cross Bay che collega l’isola al resto del Queens, non è più certo della strada da prendere e per alcuni lunghissimi momenti teme di essersi nuovamente perso nel nulla, ma lo sbilenco cartello stradale che indica la direzione per Ogigia lo tranquillizza e una quindicina di minuti dopo ferma la macchina nello spiazzo davanti il portico di Calipso.
La donna è in giardino, indossa un vecchio Barbour verde sopra uno dei suoi spessi maglioni a collo alto e ha il volto arrossato per lo sforzo di spalare la neve che ostruisce l'ingresso alla serra. Si prende qualche istante per osservarla, un sorriso che piano piano gli illumina il volto, poi decide di raggiungerla.
Completamente assorta nel proprio lavoro da non sentire la macchina percorrere il vialetto, si accorge di lui solo quando li separano pochi metri. Si ferma, appoggiandosi alla pala e rivolgendogli uno sguardo che non riesce ad interpretare. Leo, che quella mattina ha deciso di salire in macchina e tornare ad Arverne, teme che Calipso non lo voglia lì. In fondo si è trattato solo di un bacio, magari non vuol dire nulla per lei, magari lo ha baciato perché credeva non lo avrebbe mai più rivisto – e lui invece si presenta a sorpresa. L'espressione della donna, però, più la studia e più esprime confusione, non rifiuto. Confusione e sorpresa e, in fondo allo sguardo, anche felicità.
«Cosa ci fai qui?» gli chiede e il tono brusco è quasi nostalgico.
«Avevo detto che sarei tornato» replica, inaspettatamente serio. Calipso non sa come prendere la sua risposta e nel dubbio fa quello che le riesce meglio: lo guarda male e poi torna a spalare la neve brontolando a mezza voce.
Le labbra dell'uomo si curvano in un sorriso, uno di quelli a cui di solito Piper risponde con «Oh no, non ci pensare, è una follia».
«Partiamo» dice all'improvviso, mentre la pala raschia le mattonelle sotto la neve «Andiamo in Messico o in Asia o in Cile. Dove vuoi tu».
«Sei serio?» chiede lei, accompagnando dietro l'orecchio una ciocca di capelli e guardandolo dritto negli occhi.
«Serissimo. Ho un amico che possiede una compagnia di aerei, possiamo prendere un aereo e andare ovunque. Oppure andiamo in macchina, ho il serbatoio pieno e le gomme da neve. Basta che chiudi tutto».
«Basta che chiuda tutto» ripete tra sé e sé, dimenticandosi della pala che cade a terra.
«Sì, quest'anno New York farà a meno delle stelle di Natale di Ogigia. Quest'anno ti prendi una vacanza e vieni via con me. Ora».
Non sa nemmeno lui da dove provenga tutta la sicurezza che sta improvvisamente mostrando, ma non ha dubbi sul fatto che voglia partire con Calipso. La sua vita non ha nulla di stabile, è un castello di incertezze e progetti iniziati ma mai finiti, è priva di un punto fisso e dopo ventinove anni non ha ancora trovato il proprio posto nel mondo. È folle che una donna come Calipso decida di seguirlo in quella fuga (anzi no, non una fuga, un viaggio per trovare se stesso) ma lui ci spera e osservando la luce nel suo sguardo anche ci crede.
«Potrei chiedere a Katie di controllare le piante» la sente mormorare e il secondo dopo torna a rivolgersi a lui.
«Ma per le valigie come farai?»
«In bagagliaio ho i miei attrezzi» risponde lui, pensando al borsone pieno di chiavi e cacciaviti che ha preso prima di partire, quando ancora non aveva idea che avrebbe proposto alla donna di lasciare New York.
«Se vieni, non ho bisogno di altro» aggiunge «Quello che serve lo compriamo. Allora?»
Calipso resta in silenzio per qualche secondo, poi sorride e nello sguardo brilla una luce eccitata. Leo trova che sia bellissima e si chiede se può baciarla o se è troppo presto. Non ci pensa però a lungo perché è lei stessa a posare le proprie labbra sulle sue, risolvendo il problema. Questa volta non si fa trovare impreparato e prima che la donna possa ritrarsi porta le mani tra i sui capelli, ricambiando il bacio con trasporto e strappandole un sospiro.
Quando si separano, senza più fiato e con i volti arrossati, rimangono vicini ancora per un po', fronte contro fronte. Lo sguardo di Calipso è così radioso e felice e Leo è certo che al mondo non esista nulla di più bello.
Le loro labbra si sfiorano, per un istante i respiri si mescolano, poi lei sorride – un sorriso stupendo che non le ha mai visto fare nei giorni passati e che sospetta non ha mai illuminato il suo volto. Un sorriso tenuto in serbo solo per quel momento.
«Chiudo e andiamo».
 
«Ora gira a destra» gli dice Calipso, seduta al suo fianco, una ventina di minuti dopo. È vestita come l'ha trovata in giardino, un maglione a collo alto color crema e il Barbour verde, e con sé nulla. Quando è uscita chiudendo la porta di ingresso non aveva borse o valigie; si è giustificata dicendogli «Quello che serve lo compriamo».
«La casa in mattoni sulla destra» aggiunge poco dopo «Sì, questa. Accosta qui. Faccio presto, avviso Katie».
La osserva scendere e percorrere il vialetto di ingresso da cui la neve è stata accuratamente spalata. Dopo aver suonato il campanello si volta verso di lui ed è in quel momento che la porta su cui è appena una ghirlanda natalizia si apre. Si affaccia una donna dai capelli castani e gli occhi verdi, aggrappato ad una gamba ha un bambino di almeno cinque anni che si guarda attorno con aria curiosa. Le due parlano e dieci minuti dopo Calipso è nuovamente nel caldo abitacolo della macchina.
«Fatto» gli dice sorridendo «Possiamo andare».
Leo non se lo fa ripetere.
«E i tuoi amici?» gli chiede poco dopo, mentre casa Stoll rimpicciolisce alle loro spalle.
«Appena ci fermiamo mando loro una cartolina» risponde. Pensa a Piper e a Jason e non ha dubbi che i suoi amici se la caveranno anche senza di lui, ma, soprattutto, che capiranno.
«Una cartolina?»
«Sì, una cartolina da ogni posto che visiteremo».


 
   
 
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