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Autore: rossella0806    24/11/2015    2 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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QUALCOSA DI CUI PARLARE




Liliane si stava vestendo di malavoglia: erano tre giorni che pensava ad una buona scusa da fornire a madame Betancourt per non partecipare alla cena d’addio in favore di Sophie.
Ovviamente, non era a causa della bambina che non aveva alcuna intenzione di andare: le era affezionata e le voleva bene, alla stessa maniera di tutti i ragazzi del Centre, ma il problema era sua madre, Aimée, la donna per la quale il sogno d’amore di realizzare una solida e sincera relazione con Philippe si era improvvisamente sgretolato.
Ma Gabrielle, la direttrice, non ne aveva voluto sapere di approvare la sua richiesta e aveva invece incentivato la presenza della psicologa alla cena di quella sera.
Sei stata la prima ad accogliere Sophie, la prima a insegnarle qualcosa e ad occuparsi di lei, Liliane!" le aveva ripetuto fino allo sfinimento, nei giorni precedenti "non puoi permetterti di non esserci: sono sicura che, se tu non venissi, la bambina resterebbe molto male per la tua assenza! E poi, c'è già il signor Soave che non potrà raggiungerci, ma tu, insomma, non puoi assolutamente deludermi!
La cerniera del vestito si bloccò a metà, mentre la mente viaggiava fino a Philippe, chissà dove in quel momento e impegnato a fare chissà cosa: pensare a quell'uomo, a ciò che era successo, a come si era comportato, le faceva troppo male al cuore, lasciandola stordita e di cattivo umore per il resto della giornata.
"Per fortuna" rifletté per l'ennesima volta "è riuscito a trovare una buona scusa per non partecipare alla cena:
un grave problema famigliare ... banale ma efficace".
Già, la famiglia, quella precaria condizione sentimentale che lei aveva così tanto cercato di costruire da dieci anni: prima con Mathieu e con il bambino che aveva dolorosamente abortito, per salvargli, scioccamente e inutilmente, la carriera da ingegnere biomedico in Australia, poi con Philippe, il collega così affettuoso, premuroso e simpatico... tutto svanito.
Alla soglia dei trent’anni, Liliane si sentiva nuovamente tradita e incompresa.
Cosa aveva sbagliato? Perché era di nuovo sola? Eppure si era data con passione e sincerità all’uomo che credeva la amasse, senza riserve, quasi mettendo da parte l’irrazionalità che aveva caratterizzato la sua vita, da quando la morte della madre l’aveva talmente scossa da dover assumere degli psicofarmaci, ormai anni addietro.
Da quella dolorosa esperienza, ne era uscita più forte e consapevole di quello che voleva diventare: una donna sicura, ambiziosa, ma anche generosa.
La sua vita le stava scorrendo davanti come se stesse vedendo un film dal retrogusto amaro, peccato che ancora non avesse trovato l’interruttore per spegnere quelle scene da incubo, il telecomando per cambiare programma e sintonizzare lo schermo su una commedia, allegra e dall’immancabile lietofine.
Indossato l’abito di pizzo rosso, con uno scollo a V e le maniche a sbuffo, Liliane passò a scegliere le scarpe, dei semplici sandali di tela intrecciata.
Controllò il trucco appena sfumato, lo chignon stretto e bloccato da un filo di lacca, poi aprì la porta d’entrata, non prima di aver agguantato la pochette giallo oro.


Parcheggiò sul lato principale della struttura, in prossimità del grande cancello automatico in ferro battuto.
Era insolito trovarsi lì, al Centre, a quell’ora di sera: il piano terra e
il primo erano illuminati a giorno e, dalle tende accostate, si riuscivano a scorgere le sagome di dozzine di persone che si spostavano da una camera all’altra.
Liliane scese dalla Mini Cooper blu notte e si avviò lungo il vialetto, salutando Nicole e Louise che le venivano incontro.
“Credevamo di essere in ritardo, la macchina si è fermata dopo che sono andata a prendere Louise!” spiegò l’altra collega, una camicetta rosa antico e una gonna nera, come il coprispalle di seta, sfiorando il braccio della ragazza.
“Sono appena arrivata anch’io, non preoccupatevi. Entriamo?”
“Ho una fame! Oggi a pranzo i ragazzi mi hanno tenuta impegnata nella lettura di un libro e …”
La voce di Louise, una maglia bianca plissettata e dei pantaloni grigio perla, si perse in mezzo al rombo di altre macchine, nello stesso istante in cui Nicole aprì la porta d'ingresso.



La sala ristorazione, adibita al primo piano, era incredibilmente affollata: Liliane non era abituata a vedere tutti i bambini e i ragazzi insieme, perché, di solito, era necessario fare dei turni per mangiare, in modo da non creare troppa confusione e accontentare tutti, senza litigare.
I quattro tavoli di mogano erano stati rivestiti di tovaglie verdi, gialle e rosse, i colori della bandiera senegalese, il Paese d’origine di Sophie.
Sulla parete di sinistra, il servizio di cattering -prenotato da madame Betancourt- aveva posizionato un altro tavolo, lungo e ricco di cibarie e bevande dai colori sgargianti.
Le forti luci provenienti dai due grandi lampadari a goccia proiettavano calore e illuminavano la stanza in maniera quasi prepotente, creando degli intensi bagliori bianco dorati.
Liliane si guardò intorno, volendo assicurarsi che Philippe avesse mantenuto la parola e non si presentasse alla cena.
Uno dei camerieri si avvicinò per offrirle un flȗte contenente un liquido rosso brillante, un aperitivo analcolico e fruttato.
La donna si portò il bicchiere alle labbra, lasciando una lieve traccia di rossetto.
Si approssimò al banchetto, osservando ancora una volta gli invitati: salutò con la mano le sue due classi, i bambini di sei anni e i ragazzini di dieci, mentre alcuni di loro si avvicinavano allegramente per parlarle.
Liliane prese un piattino di carta e lo riempì con degli sfiziosi e appetitosi voul-â-vent, degli involtini di melanzana e qualche fetta di rollé di mozzarella.
Chiacchierò ancora un po’con il gruppo dei piccoli, che poi tornarono dai loro compagni.
La donna riprese a concentrarsi sul cibo, alternandolo a qualche sorso di analcolico, il secondo che beveva da quando era arrivata.
Dopo l’ennesimo giro di antipasti, finalmente arrivarono i primi, serviti impeccabilmente da uno stuolo di camerieri in livrea bianca e verde.
I convitati presero posto lungo i quattro tavoli di mogano disposti ad U: la donna, insieme alle altre colleghe, si premurò di far sistemare i bambini e i ragazzi, in modo da non creare diatribe inutili.
Poi, Liliane cercò con lo sguardo madame Betancourt, non riuscendola però a rintracciare in nessun angolo della stanza.
“Vieni, andiamo a sederci!” le gridò Mireille, mentre Juliette veniva loro incontro, entrambe avvolte in un vestito verde scuro.
“Ho trovato dei posti, poco più in là! Così potremo tenere sotto controllo la situazione!” scherzò l’altra collega, ora vicina.
Bisognava urlare, infatti, per farsi capire, in quella babele di suoni e rumori: le stoviglie che sbattevano sulla tavola, i bicchieri che tintinnavano, le risate dei bambini, i passi leggeri e veloci dei camerieri.
“Sì, forse è meglio!” assentì Liliane, chiedendo subito dopo dove fosse la direttrice.
“E’ influenzata! Ha chiamato poco prima che arrivassi!” le spiegò Mireille, che infatti aveva salutato da lontano lei, Nicole e Louise, quando avevano fatto il loro ingresso poco meno di un’ora prima.
“Come mai?” domandò la psicologa, mettendosi finalmente a sedere.
“Non ha voce! Anzi, ha detto che una di noi dovrà dire due parole per ringraziare e salutare la madre di Sophie!” replicò Juliette, dopo che un cameriere riempì i piatti di carta con delle crespelle profumatissime.
La convinzione che non avrebbe dovuto venire affatto a quella pagliacciata si fece sempre più largo nell’animo di Liliane: l’ansia le attanagliò lo stomaco e, improvvisamente, le girò la testa.
“Cos’hai? Non ti senti bene?” gridò Mireille, proteggendosi l’abito scuro con un tovagliolo.
“Non molto: forse è meglio se vado a prendere un po’ d’aria …”
“Un po’ d’acqua?!”
“No, ha detto aria!” puntualizzò Juliette, correggendo la collega.
La psicologa alzò lo sguardo in direzione dei due tavoli davanti a lei: all’inizio non riuscì a scorgere Sophie, poi la vide sorridente, accanto alla madre, trionfale in un abito molto colorato e che le metteva in risalto l’incavo della schiena.
Liliane deglutì, spostando gli occhi dietro di loro, verso gli altri convitati: si sentì in trappola, accerchiata da quelli stessi bambini e ragazzi che amava.
Tutti le sembravano dei nemici, per questo doveva scappare, uscire e respirare dell’aria più salubre, cercando di riordinarsi le idee, di godersi almeno in parte la serata e quell'appetitoso banchetto, dimenticandosi per qualche ora di quel traditore di cui ancora era innamorata.
“Scusatemi: esco un attimo. Ci vediamo più tardi …”
“E le crêpes?! Si raffredderanno!”
“Non preoccuparti, Juliette, io non le mangio! Non le ho toccate, quindi, se volete, ve le lascio volentieri! Buon appetito!”
La donna si districò a fatica da quel groviglio di sedie e camerieri pronti e scattanti, facendosi strada fino all’uscita.
Imboccò le scale e raggiunse il più velocemente possibile l’androne, per poi ritrovarsi nel giardino.
La serata era splendida, non tirava un filo di vento, e il cielo era trapuntato di piccole e numerosissime stelle.
La luna, tonda e piena, illuminava magnificamente e infondeva un senso di pace.
Liliane si sedette su una panchina, all’ombra della quercia, non sapendo che quello era il posto preferito in cui amava rifugiarsi Philippe.
Aveva lo stomaco sottosopra, addirittura pensò di tornare a casa e di dimenticarsi della cena.
Le dispiaceva solamente non abbracciare Sophie, ma sapeva che mancavano ancora tre giorni alla sua partenza, quindi avrebbe avuto tutto il tempo per salutarla come meritava.
Rimase lì fuori per un buon quarto d’ora, intenta ad osservare il firmamento e i rari passanti, al di là del cancello.
Poi, decise di affrontare le sue paure e ritornare dentro: con un po’ di fortuna, era molto probabile che avessero già distribuito i secondi piatti, quindi avrebbe dovuto resistere solo fino al dolce, una nota piacevole in quella sfumatura amara che stava caratterizzando la sua vita.


Stava salendo le scale, stanca ma decisa, quando una voce femminile la bloccò:
“Lei è Liliane, vero? Mia figlia ha visto prima: voleva venire a salutare, ma poi cominciato a mangiare crêpes e, quando voltata in sua direzione, lei sparita. Io sono Aimée Zoukra, molto piacere”
La giovane psicologa deglutì: porse titubante la mano alla donna, indubbiamente affascinante e magnetica, che arrivava dalla direzione opposta.
“Sì, sono io. E’ ... è una bella festa, siamo tutti molto felici per Sophie … per voi” continuò, abbozzando un sorriso.
Non sapeva se far finta di niente e, con l’ennesima scusa, dirigersi in bagno e rimanere lì per il resto della serata, oppure affrontarla e chiederle spiegazioni.
“Grazie, anche noi siamo molto felici di tutto. Voi siete delle brave persone, Dio vi darà ricompensa”
Liliane fece per scusarsi, perché non aveva alcuna intenzione di perdere il tempo e le poche forze che le erano rimaste, quando non riuscì più a resistere e domandò, il tono basso e apparentemente distaccato:
“Ha conosciute il dottor Soave, vero?”
“Sì, certo. Lui è stata la prima persona che ho visto qui, davanti al cancello. E’ molto buono e gentile, è l'insegnante di mia figlia. Ma stasera non c’è, perché?”
La psicologa alzò lo sguardo verso le scale, alla disperata ricerca di qualcuno che la venisse a salvare da quella situazione imbarazzante, pentendosi di essersi addentrata in quel discorso.
“Ha avuto dei problemi in famiglia. Signora Zoukra, lei e il dottor Soave vi siete visti anche fuori dal Centre?”
La donna che aveva parlato arrossì e avvertì il cuore accelerare i battiti.
“No, fuori da qui mai. Anzi, sabato, mentre tornavo alla comunità, ero convinta di aver visto Philippe, ma, quando salutato, lui non ha risposto: con la macchina è andato via, veloce, senza fermarsi”
Liliane si inumidì le labbra, sentendo la bocca secca e dal retrogusto amaro.
“E’ sicura?”
“Sì, io l’ho visto solo due volte: quando sono arrivata e lui mi ha accompagnato da direttrice, poi mangiato insieme e ha aspettato con me arrivo di Sophie, la mia bambina. E altra volta, quando l'ho visto sabato, come le ho detto, ma, forse, pensando, non sono sicura che era lui …”
La psicologa deglutì, abbassando lo sguardo e sospirando:
“Va bene. Adesso torniamo alla festa. A proposito, cosa ci faceva qui?”
“Io cercavo un bagno” sorrise Aimée, risalendo le scale e ricambiando il cenno d’intesa con l’altra donna.
Liliane lasciò che andasse avanti di qualche gradino, rassicurandola sul fatto che le avrebbe mostrato la stanza, rendendosi conto di essere ancora più confusa di pochi attimi prima: le avrebbe dovuto credere oppure era giusto continuare a covare dei sospetti e troncare la relazione con Philippe, non dandogli una seconda possibilità?
Si convinse che quello non era né il momento e neppure il posto adatto per darsi una risposta.
Scosse la testa e raggiunse la madre di Sophie, sorridente sul pianerottolo.
   
 
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