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Dopo sette estenuanti ore il
viaggio verso l’abitazione dei conti Miroglio era terminato.
Isabella, vedendo la sagoma
del palazzo avvicinarsi sempre più, avvertì un formicolio allo stomaco. Per
molto tempo aveva desiderato farvi ritorno, ma ora che il momento era giunto si
rese conto che ciò avrebbe significato affrontare gli spettri del passato.
Cercò di scacciare dalla mente l’immagine di quella notte e strinse i pugni.
Ripensandoci per lei fu un bene ricevere una simile lezione: Roberto null’altro
era che un semplice servo, ciò che faceva in privato non la riguardava affatto,
a meno che non recasse un danno diretto alla sua famiglia. Inoltre le aveva
dato la giusta motivazione per non “fuggire” dal collegio ogni qualvolta ne
aveva la possibilità. In tal modo il suo apprendimento ne aveva giovato.
-Cara, sei felice? - chiese
Clelia alla figlia, prendendole le mani fra le sue –Tra poco sarai di nuovo a
casa. -
-Sono certo che tutti saranno
lieti di rivederti dopo tutto questo tempo. - terminò Giuseppe. Entrambi
ottennero solamente un sorriso e un accenno col capo come risposta.
Dopo pochi minuti la carrozza
si arrestò. Isabella tirò un profondo respiro, il momento
era giunto. Per primi scesero i genitori, poi fu il suo turno. Non appena mise
la testa fuori dall’abitacolo i suoi occhi rividero volti che da anni non
incrociavano. Erano appena un poco più vecchi e stanchi, ma nessuno risultava
irriconoscibile: la signora Caterina ed Anna, ripresesi dallo stupore, si
stavano asciugando gli occhi con un fazzoletto, Giudo stringeva al petto il suo
solito capello di paglia semi distrutto e piegava il capo in segno di saluto,
mentre Maffeo tentava, invano, di trattenere le lacrime.
Isabella rimase immobile per
un paio di secondi, facendo vagare il suo sguardo ancora una volta sulla
piccola folla radunata. Inconsciamente tirò un sospiro di sollievo nel notare
l’assenza di Roberto. Il momento di affrontarlo non sembrava ancora essere
giunto. E nemmeno l’assenza di Diego sembrava averla sorpresa molto: i due
ragazzi erano da sempre inseparabili. Sicuramente erano insieme.
Lentamente scese la piccola
scala rivolgendo un sorriso a tutti, ma senza avvicinarsi a nessuno di loro.
Malgrado avesse voluto più di ogni altra cosa correre ed abbracciarli, si
trattenne, e si limitò a piegare le labbra in un timido sorriso.
Caterina e Anna le si
avvicinarono, con discrezione. Alle due donne non era sfuggito affatto lo
strano comportamento della giovane, ma lo attribuirono entrambe al ritorno dopo
anni di assenza.
-Contessina…- iniziò la più
anziana -… siete diventata un’incantevole fanciulla. La vostra assenza si è
fatta molto sentire in questi anni. - concluse, cercando, invano, di trattenere
nuovamente le lacrime.
-Vi ringrazio signora
Caterina… - replicò la giovane, posandole leggermente una mano sul braccio. –
Anch’io ho sentito molto la vostra mancanza. E quella di tutti voi. – disse,
rivolgendosi al resto della servitù. –Ora, se non vi dispiace, sono molto
stanca e vorrei andare a riposare…- salutò e si avviò alle sue stanze, mentre i
giovani valletti Carlo e Enrico si occuparono dei suoi bauli.
***
-Berto…
vuoi ancora un po’ di vino? – chiese una delle cameriere della locanda del
paese, rivolgendosi al ragazzo accasciato sul tavolino.
-Credo
di averne bevuto abbastanza per oggi…- rispose, alzando la testa e mostrando
gli occhi arrossati e assonnati. Si voltò verso la piccola finestra e vide che
il cielo era ormai buoi. Dovevano essere le dieci passate considerando la
posizione della Luna. Con molta fatica diede una pacca sulla spalla Diego,
anch’egli crollato. –Dai svegliati… Fuori è notte. Faremo meglio a tornare. –
la risposta dell’amico furono dei lamenti incomprensibili, ma dopo poco si tirò
in piedi.
Pagarono
il conto e, dopo aver salutato le ragazze che li avevano amorevolmente serviti,
si diressero barcollanti verso il palazzo.
-Sai,
vero, che una volta arrivati tua madre e mia nonna andranno delle furie. –
disse il giovane cuoco.
Roberto
scrollò le spalle. – Ormai ci saranno abituate… e poi cosa pretendevano? Che rinunciassimo
al nostro giorno libero per il ritorno di quella mocciosa? – non riuscì a
trattenere una risata. – Non credo ci sperassero nemmeno loro. –
-Lo
so… però Isabella non tornava da così tanto tempo. Non credo le abbia fatto
piacere la nostra assenza. –
Lo
stalliere si bloccò d’un tratto e strinse i pugni lungo i fianchi. – Se le
avesse fatto piacere la nostra compagnia non avrebbe interrotto le sue visite!
– sbottò, in un impeto di rabbia.
Diego
fece per replicare, ma desistette. Conosceva fin troppo bene Roberto per non
accorgersi che quel suo eccesso di rabbia non era solo frutto della sbornia, ma
serviva per celare il dolore provato per gli anni di assenza di Isabella.
Le
restanti miglia di viaggio le passarono ridendo e scherzando, scordandosi quasi
del tutto dello sfogo di prima.
Giunsero
a palazzo che dovevano essere le due passate. Cercando di fare meno chiasso
possibile, passarono per il cortile. Fortunatamente tutto il personale si era
già ritirato nelle proprie stanze. “Meglio così…” pensò Roberto. Almeno per il
momento si sarebbero risparmiati la solita ramanzina da parte di Anna e
Caterina.
-Io
vado a letto…- disse Diego, appena giunsero nei pressi di una delle porte
d’ingresso alle cucine. –Vieni anche tu? –
Roberto,
accasciatosi su di una delle panchine presenti, come risposta alzò un braccio
e, con il dito indice, fece cenno di no. Nelle condizioni in cui si trovava
sarebbe stata un’impresa troppo ardua salite sei rampe di scale senza svegliate
tutti. Un po’ di aria fresca gli avrebbe fatto bene, decise.
Dopo
pochi minuti, però, si dovette alzare a causa della nausea che lo colse. Si
mise in piedi e andò verso il giardino per cercare di placare la sgradevole
sensazione. L’estate era alle porte, per sua fortuna, e il debole vento aveva
trattenuto ancora un poco del caldo della giornata. Molto più arduo, invece,
sarebbe stato trovare un rimedio a bevute di quella portata durante i mesi
invernali. Aveva, però, ancora un paio di mesi prima di doversene preoccupare.
Inoltrandosi
ancora un poco nel giardino, vide in lontananza la sagoma di qualcuno.
Incuriosito continuò ad avanzare. Si trattava certamente di una ragazza. “Cosa
ci faceva una ragazza in giro a quell’ora?”
Roberto la squadrò da capo a piedi: aveva un fisico esile, coperto da
una veste forse troppo larga per lei, mentre i capelli erano legati in una
treccia che le arrivava fino a metà schiena. La figura non somigliava a nessuna
delle cameriere del palazzo, doveva trattarsi di una ladra, giunse alla
conclusione il ragazzo. Lentamente iniziò ad avvicinarsi.
***
Per l’ennesima volta quella
sera Isabella si rigirò nel letto. Inutile… non riusciva a prendere sonno.
Molteplici potevano essere le cause: il lungo viaggio, l’emozione di rivedere
tutti a palazzo, il cambio di letto…
La ragazza si mise a sedere e
guardò il piccolo orologio posato sulla toeletta. Le due e mezzo del mattino. Sospirando
si alzò dal letto e, indossando una delle vestaglie, si diresse verso le scale.
Forse due passi all’aperto le avrebbero fatto bene. Inoltre a quell’ora non
avrebbe corso il rischio di incontrare nessuno, o almeno quello era ciò che
sperava.
Decise di fare una bella
passeggiata nei giardini. Da tempo non aveva la possibilità di camminare in
solitudine. Le rare occasioni in cui la responsabile del collegio aveva
permesso alle alunne di uscire dall’istituto si era sempre ritrovata circondata
da ragazze troppo frivole per i suoi gusti, e con cui non aveva nulla in
comune.
L’aria tiepida la investì non
appena uscì dalla piccola porta di servizio, e un sorriso le si formò sul viso
posando gli occhi sull’enorme distesa verde. Per la prima volta, in quella
giornata, si sentiva veramente a casa.
Scordandosi delle regole del
protocollo, Isabella si sfilò le pantofole e camminò a piedi nudi. La sensazione
dell’erba leggermente bagnata sulla pelle aveva sempre avuto un effetto
rilassante su di lei.
Con le scarpette in mano si
diresse verso il centro del giardino, probabilmente la parte che preferiva.
Forse perché era proprio lì che aveva conosciuto Roberto… scosse violentemente
la testa. Non doveva pensare a lui.
Si fermò dopo pochi passi,
avvertendo una presenza alle sua spalle e, immediatamente dopo, lo scricchiolio
dell’erba calpestata da delle scarpe. Isabella si bloccò, per poi iniziare a tremare
non appena sentì le mani dello sconosciuto poggiarsi sulle sue spalle.
Doveva trattarsi di un
bandito. Avrebbe voluto gridare aiuto, ma nessuno l’avrebbe sentita distante
com'era ’al palazzo. Inoltre vi era la possibilità che l’uomo fosse armato e che
la facesse fuori nel momento in cui l’avesse sentita muoversi.
-E tu chi saresti? – le
chiese, soffiandole nell’orecchio. Isabella sgranò gli occhi… non poteva essere
lui. Non poteva trattarsi di Roberto, ma avrebbe riconosciuto la sua voce fra
mille altre. Riprese a tremare, ma questa volta di rabbia, strinse i pugni così
forte che le nocche le divennero bianche e le lacrime iniziarono a salirle agli
occhi. Piuttosto che lui, avrebbe preferito indubbiamente si trattasse di un
bandito.
Non ricevendo alcuna
risposta, Roberto riprese a parlare.
-Se non vuoi dirmelo, te lo
dico io chi sei… sei solo una ladruncola da quattro soldi che è riuscita ad
intrufolarsi in questo palazzo…-
Isabella raccolse tutta la
forza di cui disponeva per mantenere la calma. Prima di rivelarle chi era
realmente voleva conoscere lo scopo del ragazzo. Non smise, comunque, di
tremare.
-Non avere paura… non ho
alcuna intenzione di farti del male… - continuò.
“Paura?” si disse la
contessina. La paura era l’ultimo dei sentimenti che provava in quel momento.
-Sai… ci sarebbe un modo per
fartela passare liscia…- dicendo ciò, le mani di Roberto scesero lungo la
braccia di Isabella, per poi posarsi sui fianchi.
In un primo momento la
ragazza chiuse gli occhi e rabbrividì. Per anni aveva sognato di ritrovarsi
sola con lui e tra le sue braccia. Percepire la salda presa sulla sua vita la
fece sentire mal ferma sulle gambe. Per un attimo ebbe la tentazione di cedere…
nella sua mente, però, tornò a galla il ricordo della sera in cui lo vide
trascinare Giannina con sé in una stanza. Tutte le splendide sensazioni
svanirono, lasciando spazio alla rabbia.
Fu questione di pochi
secondi: Isabella mise le proprie mani su quelle di Roberto, scostandole si
girò verso di lui e, con il braccio destro testo, gli assesto un ceffone
diritto in viso.
Il ragazzo restò inizialmente
impietrito, per poi voltarsi verso di lei fumate di rabbia.
-Ehi! Ma che diavolo…- le
parole gli morirono in bocca non appena mise a fuoco il volto della giovane.
Roberto sgranò gli occhi – Isabella? – sussurrò.
N.d.A.: Dopo quasi un anno e mezzo
eccomi qui ad aggiornare questa storia! Non ho parole per chiedere scusa a chi
la seguiva. Spero che possiate perdonarmi e che vi possa interessare ancora
andare avanti con la sua lettura… Grazie a chi avrà avuto voglia di leggere il
capitolo e, se vi va, ditemi cosa ne pensate! ^.*
Un bacione enorme!
SoGi